Ab Umbris
Di Marco Ghergo
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Info su questo ebook
Nulla, tuttavia, sembra essere avvenuto a caso. Una notte Isabella vedrà comparire all’interno della sua stanza, la figura spettrale di una donna dalla quale tenterà di scappare in preda al terrore. E sarà proprio questa fuga a condurre la protagonista verso la verità...
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Anteprima del libro
Ab Umbris - Marco Ghergo
Marco Ghergo
AB UMBRIS
Elison Publishing
© 2021 – Elison Publishing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 9788869632938
1.
«Era là, nel buio della mia camera. E mi fissava.» riferì Isabella con un filo di voce.
Luigi si avvicinò a lei e le strinse le mani. Poteva notare sul suo volto un profondo smarrimento che portava la donna a sgranare gli occhi. Le sue dita erano gelide e tremolanti come se avessero subito i rigori dell’inverno.
«Chi era?» domandò lui.
«Mio dio, non so cosa dirle! Solo che sembrava morta! Anzi, lo era!»
«Signora Ferri la prego, cerchi di respirare.»
«Non faccia anche lei come tutti gli altri! Io l’ho vista davvero!» si coprì il volto con i palmi, come a volersi schermare dal mondo «È comparsa nel buio della mia stanza e dapprima era distesa. Sembrava un cadavere su un feretro, capisce? E poi si è alzata in piedi all’improvviso, come chi si risveglia dal sonno.»
Isabella riprese a singhiozzare e poi deglutì, cercando di riaversi. Virò su un altro argomento, come a voler cancellare quel terribile ricordo.
«Mio marito e mia figlia sono impazziti. Dicevano persino che era tutto a posto.»
«Quindi loro non hanno visto nulla?»
«Non so cosa dirle ma sono giorni che non danno mai peso a tutto quello che succede in casa.»
Luigi Ragni, porse un fazzoletto alla donna, con premura. La conosceva come avvocato di successo ma vederla così inerme, scalza e vestita solo di un pigiama color turchese, accese in lui un sentimento che andava ben oltre la pietà.
«Luigi, non sapevo dove andare. Non sapevo chi chiamare.»
«Non si preoccupi. Ha fatto bene a venire qua.»
«Non posso pensare di tornare là dentro.» continuò Isabella «Mia figlia era fuori di sé e mio marito insisteva nel dire che era tutto a posto. Hanno devastato quella casa, signor Ragni. L’hanno imbrattata. E io continuo a sentirmi l’unica squilibrata che si chiede cosa stia succedendo davvero!»
«La aiuteremo in qualche modo.» cercò di rassicurarla Luigi «Se vuole, proverò io a parlare con i suoi familiari.»
Fece per alzarsi con circospezione, recandosi in direzione della porta e cercando di raggiungere l’appartamento dirimpetto, ma fu costretto a fermarsi all’improvviso.
«No, la prego!» Isabella afferrò il signor Ragni per il polso, come fanno i bambini impauriti «Non mi lasci qui da sola!»
A quel punto, Isabella prese a digrignare i denti e a batterli come fosse stata colta da un brivido improvviso.
Luigi Ragni, in risposta, si voltò iniziando a scrutare la stanza nella esatta direzione in cui la donna stava guardando. C’erano varie cianfrusaglie ammonticchiate insieme agli abiti dell’anziano appesi nel disimpegno, tra cui il lungo impermeabile e il cappello di feltro che l’uomo non indossava da mesi. Tutto il resto era immerso in un ampio settore buio che impediva di vedere cosa o chi vi fosse nel mezzo.
Isabella lanciò un urlo e scattò in piedi, pronta a scappare, senza che l’uomo potesse dire qualcosa.
«Mio dio! Eccola! È là!» gridò lei.
Era come se l’ombra del corridoio si stesse muovendo, mentre una sagoma esile e indefinita emergeva dal nero. Forse era solo immaginazione o forse era la sola cosa che il cervello di Isabella riuscisse a elaborare in quegli attimi di terrore.
La sentiva. Percepiva il suo respiro simile al rantolo dei moribondi e notava un incedere irregolare, quasi zoppicante.
Non attese risposte o conferme dal signor Ragni e iniziò a correre nella direzione opposta, riuscendo solo a sentire le parole lontane di Luigi che le intimavano:
«Signora aspetti!»
Isabella non poteva aspettare. Doveva solo scappare lì, a piedi nudi, gettandosi sul pianerottolo e poi lungo la rampa di scale che conduceva all’antico portone d’ingresso dello stabile. Dove poteva andare a quell’ora di notte, camminando scalza sui sampietrini?
Avrebbe chiamato la polizia? A che pro?
Niente domande: in quel momento desiderava solo morire, aspettando un sano e sconcertante oblio che le avrebbe fatto dimenticare ogni dettaglio. Avrebbe dimenticato quella donna e i suoi occhi pregni di malvagità, e con essa tutta la follia che aveva vissuto nelle ultime settimane.
Avrebbe voluto ma non poteva. Perché ora quell’apparizione si trovava proprio là, di fronte al portone del palazzo in cui viveva con la sua famiglia, frapponendosi fra lei e l’uscita. Quella donna eterea attendeva Isabella, protendendo una mano rapace, come a volerla afferrare, impedendole di uscire dal palazzo.
Isabella, dal conto suo, non aveva tempo per valutare, né per capire quale sarebbe stata la soluzione migliore.
L’unica possibilità era tuffarsi nel buio degli scantinati, ora in fase di restauro. Ovunque, purché lontano da quegli occhi. Vada anche per il buio, dunque: Isabella sarebbe stata disposta a scappare anche in capo al mondo.
Non aveva più energia per gridare e risparmiò tutto il suo vigore solo per ansimare, fiondandosi di corsa verso i sotterranei ingombri di attrezzature e materiali edili destinati ai lavori. Urtò con la gamba contro un imprecisato oggetto acuminato che le provocò un dolore intenso, anche se nulla era sgradevole e paragonabile allo sgomento che la invase non appena si accorse del coro di voci che aveva iniziato a bisbigliare nel buio.
Sembravano suoni di un passato lontano o forse di un altro mondo, di una realtà che non doveva essere lì in quel momento.
Tastò la sua gamba e si accorse che perdeva sangue, ma neppure quello era un problema, ora. Insisteva quel maledetto ciarlare che continuava imperterrito a dispensare messaggi non richiesti.
Era stato sempre così negli ultimi tempi e si rassegnò all’idea di dover udire per sempre quei sussurri che in frammenti di frasi sconnesse sembravano parlare soltanto di morte.
E poi credé di afferrare, tra tutte le altre, una frase più forte:
Revoca ab umbris
.
Era proprio quella proposizione, la stessa che aveva sancito il suo ritorno a vecchi dolori dimenticati e sepolti. Fu ripetuta in modo sadico, in maniera molto lenta e scandita, tre o quattro volte.
Poi tutto cessò di colpo quando Isabella percepì una mano che le bloccava l’avambraccio con forza:
«Devi ascoltarmi!» decretò a quel punto, perentoria, una gracchiante voce maschile secca e priva di eco.
E su tutto piombò di nuovo l’oscuro silenzio della notte.
Due settimane prima
2.
Isabella procedeva a passo deciso, avanzando nel grigiore di una mattinata gelida. Era un marzo molto freddo e la primavera stentava ad arrivare. Il clima non era al momento la sua preoccupazione principale, tuttavia. Stava facendo di nuovo tardi e questo rappresentava il vero problema.
Il cliente ti sta aspettando in studio da venti minuti
aveva annunciato con una punta di compiacimento Luca Berardi, dipendente dello studio, con spiccate velleità di primadonna.
Lo Studio Legale Ferri era di proprietà della famiglia di Isabella. Da quando suo padre morì nel 2005, la madre di Isabella, per statuizioni stabilite già prima della dipartita del signor Ferri, divenne titolare dello studio, pur non operando all’interno di esso.
Ma l’attività restava sempre e comunque della famiglia Ferri: Isabella, figlia unica, era una brillante avvocata che lavorava nello studio e si chiedeva se un giorno sua madre avrebbe mai deciso di fare il grande passo e lasciare le redini dell’intera attività in mano a sua figlia.
Luisa, l’anziana vedova Ferri, incrostata di convinzioni patriarcali e idee antiquate, riteneva che dovesse essere un uomo a tenere le fila di qualsiasi attività. Per ora si limitava dunque a seguire le indicazioni del defunto marito che era e restava un uomo, dunque più autorevole e affidabile ai suoi occhi. Per il futuro si vedrà
diceva sempre.
Isabella trangugiava malvolentieri questo atteggiamento, dal momento che non poteva fare a meno di leggere in esso una chiara mancanza di fiducia.
Pensò in modo intenso a sua madre e iniziò a salirle dentro un’ira sotterranea, dovuta a una sete di giustizia