Notti arabe: Harmony Bianca
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Info su questo ebook
L'infermiera Carmen O'Shannessy è in gravi difficoltà economiche e accettare la proposta di diventare temporaneamente l'infermiera della famiglia reale di Zandorro risolverebbe molti dei suoi problemi. Tuttavia lavorare fianco a fianco con il sexy principe Zafar minerebbe la sua autostima e la decisione irrevocabile di rimanere single. Ma quando la passione sboccia e le notti infuocate col suo principe del deserto diventano realtà, il problema di Carmen improvvisamente diventa un altro: riuscirà il suo cuore a riprendersi da quel romanticissimo, devastante bacio d'addio?
Fiona McArthur
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Notti arabe - Fiona McArthur
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Falling For The Sheikh She Shouldn’t
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2012 Fiona McArthur
Traduzione di Giovanna Seniga
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-172-5
1
Le porte dell’ascensore si aprirono davanti a lui. Il principe Zafar Al Zamid salì e con sua grande irritazione il cuore cominciò a battergli più in fretta.
Qualcuno lo seguì e lui non riuscì a soffocare un profondo sospiro quando le porte si richiusero. Avvertì l’odore di un sapone all’arancio e per associazione gli venne in mente il profumo degli alberi carichi di frutta che sentiva da bambino nei giardini del palazzo.
Pensare a qualcosa di rassicurante era un ottimo metodo per vincere gli effetti delle fobie che nell’ultimo periodo lo colpivano sempre più spesso. Fin dal tempo dell’incidente era stata l’altezza a mandarlo in crisi, poi era stata la volta degli ascensori, in particolare in salita, e ormai bastava una porta che si chiudeva per provocargli i sintomi. Forse tutto si spiegava con il fatto che aver dovuto trascurare il suo lavoro per le responsabilità derivanti dal suo ruolo aveva peggiorato il senso di claustrofobia di cui soffriva.
Avrebbe cercato di recuperare la sua calma interiore con un periodo di solitudine non appena fosse riuscito a risolvere l’ultimo problema che si era ritrovato ad affrontare. La vastità del deserto aveva il potere di sdrammatizzare qualunque cosa.
Intanto era confinato in quello spazio ristretto insieme a una fragile neo mamma con un neonato in braccio, un padre radioso che stringeva un palloncino e, per fortuna, con la donna che profumava d’arancio.
Il palloncino con la scritta È UN MASCHIO gli ballò davanti agli occhi e d’istinto Zafar si addossò alla parete maledicendo la sua decisione di fermarsi in quell’hotel pieno di neonati. Il posto peggiore per lui. Gli tornò in mente l’immagine del corpicino di suo figlio e si sforzò di scacciarla.
Aveva sperato di andare a trovare sua cugina Fadia prima del parto, ma non ne aveva avuto il tempo. La donna aveva già deciso di passare la convalescenza all’albergo dei neonati invece che in ospedale.
Il palloncino oscillò quando il giovane padre si rivolse alla donna. «Carmen, non ti ringrazieremo mai abbastanza.» Le prese la mano e gliela strinse con calore. «Sei stata bravissima.»
La donna ritirò la mano e sorrise alla coppia. «Lisa, Jock, ciao di nuovo. Lisa è stata bravissima, non io.»
Per lui la voce della donna fu come una carezza fresca sul viso e la sua agitazione si fece meno forte.
«È stato un ottimo parto.» Lanciò uno sguardo di scusa a Zafar per quella conversazione esclusiva e lui rimase colpito da quell’occhiata inattesa. Un attimo dopo si girò di nuovo verso il giovane padre orgoglioso.
Cercando di ignorare il senso di frustrazione che gli derivava da qualunque accenno alla sua perduta professione, Zafar pensò che la donna doveva avere una preparazione in campo medico. Quasi sicuramente si trattava di una ostetrica.
Girò il capo per osservarla. Era un modo come un altro per distrarlo dalla sua fobia. Aveva i capelli neri e lisci. L’accento era irlandese, ma sembrava più il tipo della spagnola in accordo con il suo nome.
Le stava osservando la bocca quando lei chiese al padre di che sesso fosse il neonato.
«È un omaccione» rispose quello ridendo.
L’ascensore si arrestò un attimo a trenta centimetri dal pianerottolo per poi raggiungerlo con un balzo brusco. Tutti risero nervosamente escluso Zafar che chiuse gli occhi e sospirò.
Ci furono dei rumori di passi e dal pianerottolo risuonò di nuovo la voce del ragazzo. «Bene. Ci vediamo presto.»
«Scenderò non appena ricevute le consegne dalla collega del turno del mattino.»
«Ottimo.» Zafar, che aveva riaperto gli occhi, notò il sollievo sul viso del padre e si chiese se avesse un senso spostare le puerpere dall’ospedale ad alberghi per degenza post parto.
Per lui si trattava di qualcosa di estraneo, ma a ben pensarci non era una scelta senza senso. Per le neo mamme si trattava di un posto tranquillo e con meno germi dove rimettersi dal parto e per l’ospedale di liberare più velocemente i posti letto.
Le porte dell’ascensore si chiusero silenziosamente, ma la cabina rimase ferma e lui, resistendo al desiderio di studiare meglio la donna al suo fianco, si girò ad osservare le luci sul quadro di comando.
Lei aveva fatto un passo indietro e si era appoggiata al muro.
Sapeva che era alta perché la sua testa gli arrivava al mento. L’ascensore non era ancora ripartito. Bastava che si muovesse e dopo qualche secondo avrebbe potuto respirare normalmente.
La guardò di sottecchi e si accorse che la donna aveva gli occhi chiusi. Non era un comportamento frequente per le donne che gli capitavano vicino. Per la verità non si ricordava nemmeno l’ultima volta in cui gli era capitato di essere ignorato. Addossata alla parete la sua compagna di viaggio aveva un aspetto stanco. Troppo?
Si preoccupò. «Si sente bene?» le chiese.
Lei spalancò gli occhi sobbalzando leggermente. «Accidenti!» Sbatté le palpebre per metterlo a fuoco. «Solo un sonnellino. Ho fatto il turno di notte. È stata una settimana impegnativa.»
Lui provò un moto di simpatia per quella perfetta sconosciuta perché si ricordò della serie di giorni e notti di lavoro durante il suo internato. Allora si lamentava per la mancanza di sonno, ma adesso che quello non era più un suo problema sarebbe stato felice di soffrirne ancora.
Tornando a Sydney sapeva che quella città gli avrebbe costantemente ricordato che non stava vivendo la vita che aveva progettato.
L’ascensore sobbalzò e salì per qualche decina di centimetri. Lui pensò che più si faceva in fretta meglio era, ma la corsa si arrestò di colpo come era iniziata.
Trattenne il respiro nell’attesa. Le porte rimasero chiuse e il quadro non indicava né il quinto né il sesto piano. Erano bloccati.
Brutta situazione. Il cuore si mise a battergli più in fretta e cominciò a provare la sensazione che gli mancasse l’aria.
«Non sono nello stato d’animo giusto per questo.» Zafar udì la voce della donna come se venisse da lontano mentre cercava di controllare la contrazione della gola. Si accovacciò e appoggiò una mano alla parete mentre con l’altra si allentava la cravatta.
Di colpo l’ascensore era diventato la cabina dell’aereo privato. La sua famiglia sarebbe precipitata nel giro di pochi secondi e lui non avrebbe potuto farci nulla. E ora era venuto il suo momento di morire. Era quasi una liberazione. Non avrebbe più dovuto dispiacersi di essere un erede al trono.
Si rese solo vagamente conto che la sua compagna stava parlando al cellulare con l’assistenza. Poi la donna ripose l’apparecchio e si chinò verso di lui. «Come va?»
Lui alzò gli occhi dal pavimento solo quando sentì la mano di lei posarsi sul suo braccio. Era una mano calda, energica, confortante e lui ebbe lo strano pensiero che finché lei lo avesse tenuto non gli sarebbe successo nulla. Respirò a fatica e alle narici gli arrivò un profumo di agrumi. Bastò per tranquillizzarlo un po’.
Inspirò dalla bocca a denti stretti e la testa smise di girargli. Tutto questo era ridicolo. Irrazionale. Fortemente imbarazzante. Si sforzò di guardarla in viso. Aveva occhi dorati e caldi, tranquilli, saggi e comprensivi. Veramente affascinanti. «È un’infermiera?»
Lei sorrise e lui sentì che il senso di oppressione che lo attanagliava si stava allentando. «Una specie. Sono un’ostetrica. Ha bisogno di una respirazione profonda?»
«Non sto partorendo.» Comunque era in difficoltà. Chiuse di nuovo gli occhi. «Forse.»
«Soffre di qualche fobia?» Lo stesso tono gentile con cui avrebbe potuto chiedergli se voleva lo zucchero nel tè.
I demoni del passato lo perseguitarono di nuovo e lui dovette sforzarsi di tenere un tono di voce percettibile. «Così sembra.»
Lei si piegò. Udì il fruscio della stoffa e il leggero sfregamento della sua gamba quando si accovacciò accanto a lui sul pavimento. La sua mano rimase sul braccio di lui come per trasmettergli calma ed energia. E sembrava che funzionasse. «Qual è il suo nome?»
Lui ne aveva molti. «Zafar.»
Lei rimase in silenzio e lui colse la sua approvazione quando riaprì di nuovo gli occhi. «Bene, Zafar. Io sono Carmen. Sono rimasta bloccata in questo ascensore per tre volte questa settimana. Respiri a fondo. La aiuterà.»
Respirare a fondo per lui era difficile in quel momento. «Faccio fatica a respirare in modo superficiale.»
«Provi almeno un paio di volte» cercò di convincerlo lei.
Non ne era sicuro, ma il fatto che lei avesse avuto quel problema tre volte poteva aiutarlo. Intanto la testa aveva ricominciato a girargli.
«Inspiri attraverso il naso...»
Che donna autoritaria. «E espiro attraverso la bocca. Lo so.»
La sua voce era ferma. Come quella di sua madre una volta, al tempo degli alberi di arancio. «Allora lo faccia.»
Lui la assecondò e si sentì meglio. Tanto meglio che si concesse ancora una volta un’occhiata ai suoi seni visto che lei gli era accanto. Poi distolse educatamente lo sguardo, ma con quella vista in testa sentiva di migliorare ad ogni istante. Era un rimedio sicuramente senza controindicazioni.
Pensò all’eventualità che l’ascensore fosse ancora pieno e rabbrividì. Per fortuna c’era solo quella Carmen ad assistere alla sua debolezza. Per fortuna aveva mandato la sua segretaria e la sua guardia del corpo nella sua suite. Una volta conclusa quella vicenda non avrebbe più visto quella donna. Una cosa di cui era contento e dispiaciuto allo stesso tempo.
La donna aveva i seni più belli che avesse mai visto, anche se non era sua intenzione guardarglieli di nuovo. Invece le lanciò un’occhiata al viso. Aveva una bella bocca e delle splendide labbra. Sentì un’ondata di eccitazione.
«Si sente meglio?»
«Molto meglio.» Più di quanto lei potesse sospettare. Aspettò con un certo divertimento che lei si rendesse conto del motivo della improvvisa ripresa.
Quando se ne accorse la donna tolse la mano dal suo braccio, aggrottò lo sguardo e poi lo fissò con rimprovero scuotendo la testa.
L’ascensore traballò e riprese a salire. Zafar richiuse gli occhi per un attimo, ma l’attacco di panico era passato. Evidentemente lei era brava nel suo lavoro.
Zafar si rialzò e quando ebbe ritrovato l’equilibrio si chinò verso di lei e le porse la mano per aiutarla a rialzarsi. Lei l’accettò e si rimise in piedi con un movimento fluido ed elegante.
Nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono lui dimenticò l’ascensore, l’altezza, lo stress della sua vita, tutto meno quel legame inaspettato che si era creato fra loro. «Grazie.» Le parole fluttuarono nell’aria fra loro come nebbia.
Obbedendo a un impulso irrazionale avvicinò la testa a quella di lei. Si aspettò che lei si ritraesse. «Lei è molto gentile e... incredibilmente bella.»
Le accarezzò una guancia, lo sguardo fisso sulla sua splendida bocca.
Lei reagì in modo inaspettato. «Va bene. Capisco.» La nota di comprensione che colse nella sua voce lo terrorizzò. Aveva pietà di lui?
Si ritrasse. Di tutto aveva bisogno meno che di compassione.
L’ascensore si fermò e le porte si aprirono al settimo piano.