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Immagine e trasgressione nel Medioevo
Immagine e trasgressione nel Medioevo
Immagine e trasgressione nel Medioevo
E-book246 pagine2 ore

Immagine e trasgressione nel Medioevo

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Info su questo ebook

Perché un'immagine ci scandalizza? La risposta che, pagina dopo pagina, si delinea in questo saggio ruota intorno al concetto di montaggio: disposizione degli sguardi e dei luoghi, delle figure e dei tempi. La crescente diffidenza di fronte alle immagini del male, la nascita dell'emozione pornografica, l'emergere dei graffiti di contestazione, la distruzione d'immagini per mano della stessa autorità che le aveva commissionate, la sapiente elaborazione dell'inimmaginabile sono tutti fenomeni che illuminano la trasformazione del rapporto con le immagini in Occidente. Trasgressione e immagini formano qui un binomio la cui storia viene posta in prospettiva con il presente. Ciò facendo, a essere decifrata è la credenza in un potere delle immagini
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2015
ISBN9788864830315
Immagine e trasgressione nel Medioevo
Autore

Bartholeyns Gil

Storico antropologo, è titolare della cattedra di Studi visivi presso l'Università di Lille 3.

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    Anteprima del libro

    Immagine e trasgressione nel Medioevo - Bartholeyns Gil

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    Immagine e trasgressione nel Medioevo

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    Gil Bartholeyns Pierre-Olivier Dittmar Vincent Jolivet

    Traduzione dal francese di Milvia Faccia

    COLLANA

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    Copyright

    Immagine e trasgressione nel Medioevo

    di Gil Bartholeyns Pierre-Olivier Dittmar Vincent Jolivet

    Traduzione dal francese di Milvia Faccia

    Titolo originale dell’opera:

    IMAGE ET TRANSGRESSION AU MOYEN ÂGE

    © Presses Universitaires de France, 2008

    Tutti i diritti riservati

    © 2015 by EDIZIONI ARKEIOS Srl

    Via Flaminia, 109

    00196 Roma- tel. 063235433 - fax 063236277

    ISBN 978-88-6483-031-5

    Prima edizione digitale 2015

    © Copyright 2015 by EDIZIONI ARKEIOS Srl

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

    Or, figliuol mio, non il gustar del legno

    fu per sé la cagion di tanto essilio,

    ma solamente il trapassar del segno.

    Parole rivolte da Adamo a Dante Alighieri,

    La Divina Commedia, Paradiso, XXVI, v. 115-117

    Ringraziamenti

    Questo libro ha visto la luce tra Parigi, Bruxelles e Roma, a seguito di un seminario di studi tenutosi presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) nel febbraio del 2003. È il frutto del caso e della cortesia: a causa dell’imprevista assenza di Hans Belting il giorno previsto per il suo intervento, Jean-Claude Schmitt ci invitò a parlare delle nostre ricerche. Noi abbiamo creduto opportuno cambiare le regole dell’esposizione tradizionale presentando, insieme, tutti e tre, uno stesso argomento, per di più nuovo per noi.

    Riserviamo un ringraziamento particolare a Jean-Claude Schmitt senza il quale questo libro non sarebbe mai nato. I suoi consigli sono stati per noi inestimabili. Ringraziamo alcuni amici che hanno contribuito all’approfondimento di certi aspetti specifici e alla revisione del testo: Francesca Aceto, Jean-Claude Bonne, Alain Dierkens, Rena Fakhouri, Thomas Golsenne, Misgav Har-Peled, Arnaud Lambert, Judith Lesur, Angelica Montanari, Claire Moyrand, Vera Segre, Maud Simon, Edgar Szoc, Élodie Tournebize, Guénael Visentini. Abbiamo cercato in tutti i modi di tener conto delle loro osservazioni. Ci siamo avvalsi dell’aiuto di altri amici e colleghi che ringraziamo nel testo. Tutti sono consapevoli di quanto deve loro questo saggio, pensato e scritto a sei mani.

    Prefazione - Dietro le nostre immagini

    Nel libro medievale di preghiere, sodomiti, scimmie burlone e vescovi travestiti da cani si trastullano ai margini dei salmi. Nella navata di una chiesa, una scultura femminile offre il suo sesso con le mani. Nel coro, piccoli mostri lignei dalle mammelle cadenti osservano i monaci cantare. Più in basso, sugli stessi arredi, un uomo intento a defecare bacia le proprie braghe. Sul cappello del pellegrino, a fianco della conchiglia di san Giacomo, una vulva coronata viene portata in trionfo da giovani falli. Per secoli il Medioevo ha prodotto e guardato tutte queste immagini senza esserne infastidito.

    Sia che immagini relativamente banali si considerino sconvenienti nel momento della loro realizzazione, sia che si attribuiscano intenzioni sovversive agli artisti che riempivano di facezie i recessi delle cattedrali, le nostre reazioni testimoniano della consuetudine a pensare l’immagine in termini di trasgressione. Le immagini sono osservate presupponendo una norma, se ne insegue il superamento del limite, si ragiona ponendo implicitamente la questione del lecito e dell’illecito, del tollerabile e dell’insopportabile. Questo tipo di considerazione ha acquisito la forza di un’abitudine, probabilmente perché la trasgressione s’inserisce, lo si voglia o no, al centro del sistema di produzione delle immagini contemporanee. Tale evoluzione riguarda una buona parte dell’arte del XX secolo e, almeno a partire dagli anni Ottanta, le immagini pubblicitarie. Il lavoro del fotografo Oliviero Toscani per conto di Benetton ne offre un buon esempio. Ciò che trasgredisce ha l’effetto di sconvolgere e mescola, o associa, elementi appartenenti di solito a universi differenti: Marilyn Monroe a braccetto con Giovanna d’Arco; una donna nera che allatta un bambino bianco; un prete che abbraccia una suora; il malato di AIDS David Kirby che muore di fronte alla sua famiglia; ritratti di condannati a morte americani associati a immagini di sessi maschili.

    Ha poca importanza sapere se tali immagini siano legittime o no nello spazio pubblico. Si ricorderà che quelle fotografie hanno spesso provocato la reazione della legge o della società civile¹. Le reazioni, siano esse di difesa o di condanna, producono lo stesso effetto: ogni volta i limiti della norma vengono ridiscussi e riattualizzati. L’uso generalizzato della trasgressione come argomento pubblicitario produce in cambio un’inflazione del procedimento normativo relativo alle immagini, al punto che la giurisprudenza in materia è tanto abbondante quanto dettagliata, e questo tipo di dibattito costituisce l’essenza della comune disquisizione sull’immagine. È quasi sempre in occasione dell’emergere di tali problematiche che quest’ultima viene analizzata per se stessa sulla stampa o in televisione. È raro che il piccolo schermo parli di fotografia, ancor più raro che descriva e commenti delle immagini. Eppure, è stato così per le pubblicità di Benetton che abbiamo evocato poco fa, o per le fotografie di Bettina Rheims che mise in scena una Passione in cui il ruolo del Cristo era interpretato da una donna seminuda². Interrogarsi sulla decenza di una rappresentazione è, a quanto sembra, il modo più normale in cui i media affrontano l’immagine.

    Inoltre, sono moltissime le situazioni esagerate di violazioni della legge o di superamento dei limiti che oggi vengono a conoscenza del grande pubblico soltanto con la mediazione delle immagini (ad esempio, quelle relative alla prigione irachena di Abu Ghraib, pubblicate nel 2004). È attraverso esse che di solito ci troviamo di fronte qualcosa di vietato o di contrario all’ordine morale: l’atto negativo è il più delle volte l’immagine (di finzione o no) che viene offerta alla nostra vista. Il confronto con la trasgressione passa più che altro per un confronto con le immagini. Senza esagerare troppo, potremmo affermare che nella società attuale è attraverso l’immagine che si viene a conoscenza della trasgressione, ed è attraverso la trasgressione che si conosce l’immagine. Immagine e trasgressione formano una coppia, un ambito di conoscenza i cui termini si arricchiscono reciprocamente. Tale intenso rapporto costituisce una singolarità della nostra cultura contemporanea, e non può essere considerato universale. Nel seno stesso della civiltà occidentale, esso ha conosciuto modalità del tutto diverse.

    Quando si pensa al Medioevo, si avverte che un grave pregiudizio pesa su questo periodo: oscurantismo, rigore religioso imposto dal Vaticano... In definitiva, ci siamo convinti che anche la più piccola immagine dovesse essere inquadrata da tutto un discorso normativo tanto puntuale quanto imperioso; una serie di norme esplicite doveva essere tanto maggiormente imposta agli artisti in quanto l’autonomia creativa era minore rispetto a oggi ed era quasi sempre legata al sacro. In simili condizioni, le trasgressioni non avevano diritto di cittadinanza nell’immagine ecc.

    Non è esattamente ciò che accadeva. Al contrario, ciò che colpisce è l’estrema rarità di testi che definiscano la decenza o l’indecenza delle immagini. I teologi disputano all’infinito sulla presenza del Cristo nell’immagine o sul grado di verità di una visione, ma il carattere inadeguato oppure offensivo di questa o quella rappresentazione non viene quasi mai messo in discussione. Inoltre, non sono solo le numerose trasgressioni mostrate dalle immagini medievali a sconcertare, ma anche il fatto che la stragrande maggioranza di tali immagini viene commissionata dai garanti dell’ordine per esprimere la norma e rafforzare la morale. Sorprende, infine, la relativa libertà di esecuzione assicurata agli artisti: nell’ambito di ogni programma iconografico essi possono lavorare a proprio piacimento, come riporta il vescovo e liturgista Guillaume Durand alla fine del XIII secolo. Il monaco Teofilo raccomanda loro perfino di inserire la varietas nelle loro realizzazioni, affinché gli occhi non si stanchino. Esistono dei modelli, ma si tratta di norme interne alla professione³, che esprimono non tanto restrizioni all’inventiva, quanto piuttosto una continuità geografica e cronologica delle opere.

    Questa situazione costituisce il risultato di una storia a dir poco complessa e singolare. Paradossalmente, in Occidente fu l’attitudine moderata nei confronti delle immagini – tra culto delle immagini e rifiuto dell’immagine – a lasciare campo libero alla loro espansione. Il cristianesimo occidentale si distinse dal mondo bizantino che, fin dal IX secolo, con l’icona, aveva attribuito un posto centrale all’immagine. Esso segnò una svolta rispetto tanto all’iconoclasmo, che conobbe soltanto un breve periodo di fama, quanto alle altre religioni del Libro, rimaste fedeli ai divieti biblici di fabbricare immagini. Nella parte occidentale della cristianità le immagini, spiritualmente importanti ma relegate in secondo piano tra le cose degne di manifestare il culto (dopo il crocifisso o l’ostia), furono in grado di evolversi senza imporre agli artisti un rigido modello iconografico da seguire, come accadeva in Oriente. Questa libertà si rivelò straordinariamente feconda sul piano delle forme e dei soggetti. Essa acquisì un significato tanto più pregnante in quanto l’immagine aveva uno status alquanto diverso da quello di cui gode oggi: con l’Incarnazione (mediante la quale Dio si è reso visibile e ci ha lasciato un’immagine della sua persona), gli esseri rappresentati acquistano importanza e l’immagine perde un po’ del carattere illusorio conferitole dal retaggio platonico. Ma il margine di manovra di cui gli artisti disponevano si sarebbe ridotto a ben poco, se non fosse stato accompagnato da una moltiplicazione senza precedenti delle immagini. A partire dal X secolo e ancor più dal XIII in poi, l’immagine si diffonde in maniera esponenziale su numerosi supporti e grazie alle più diverse tecniche. Dal manoscritto alla statuaria, dalle pale d’altare ai portali delle cattedrali, essa si impone perfino sui muri degli edifici laici, sugli arredi o sull’abbigliamento (attraverso le insegne di pellegrinaggio o gli stemmi). Una proliferazione ulteriormente incrementata nel XV secolo dalla xilografia e dalle incisioni.

    In quattro secoli, e per la prima volta in un contesto cristiano, l’immagine si è imposta al maggior numero possibile di persone. Questa libertà congiunta a tanta profusione incuriosisce. Come concepire che un capovolgimento tanto spettacolare si accompagni all’assoluta scarsità di testi normativi idonei a contenerlo? La domanda è legittima, tanto più che la decenza di questa produzione non è scontata e molte immagini realizzate nel corso del periodo (come l’universo scatologico dei margini dei manoscritti) hanno in seguito, e fino ai nostri giorni, suscitato reazioni di rifiuto, addirittura di disgusto. Dopo qualche segnale precursore la Chiesa, in linea con il Concilio di Trento (1563), ha finalmente sentito il bisogno di mettere in discussione in modo sistematico la moralità delle immagini. Questi due momenti, la fioritura del XIII secolo e la codificazione del XVI, inquadrano i termini cronologici della presente opera.

    L’assenza di norme scritte non implica automaticamente una totale libertà di esecuzione. Il discorso sull’immagine si è sviluppato innanzi tutto silenziosamente, all’interno di essa. È dunque nelle stesse immagini che dobbiamo ricercare le ragioni per le quali esse erano accettabili (normative) o al contrario sconcertanti e intollerabili (trasgressive). Il presente saggio è dedicato alla storia dei rapporti tra immagine e trasgressione. I temi della sessualità, dell’animalità e delle apparenze serviranno da linee guida. Nel Medioevo essi si riferiscono non solo alla definizione di una buona condotta morale, ma anche alla stessa concezione dell’uomo. Questo invita lo storico ad articolare l’ordine morale con un ordine antropologico più profondo. Dei gesti banali, infatti, possono essere associati a vere e proprie trasgressioni dell’ordine del mondo.

    Un modo di vedere la trasgressione

    Se le immagini possono insegnarci qualcosa sulla loro società di riferimento, è indubbiamente per il fatto che coniugano realtà fisiche e simboliche, siano esse visive, verbali o mentali⁴. Le immagini postulano da parte di coloro che le osservano o le formano nella propria mente un universo di senso e di sensazioni, e costituiscono esiti di significato i cui limiti incoraggiano anch’essi una seria riflessione. Di fatto, possono esistere immagini inadeguate: soggetti proibiti, una maniera impropria di mostrare o di esprimere, spettatori o luoghi che le rendono inaccettabili. Le immagini possono trasgredire in diversi modi i fondamenti morali della società. La trasgressione potrà collocarsi a livello della legge quando, ad esempio, qualcuno produce un’immagine che è stata vietata. Oppure potrà situarsi a un livello affettivo, quello dell’emozione, di uno shock provocato dall’immagine stessa, e ciò spiega il concetto di trasgressivo. La distinzione tra ciò che costituisce trasgressione e ciò che è trasgressivo non è irrilevante. Non è possibile confondere ciò che è vietato con ciò che sconcerta: non sempre ciò che sconcerta è vietato (e neppure negativo), e non necessariamente ciò che è vietato ci sconvolge. Il divieto trova giustificazione in valori comuni, ma questi ultimi coincidono più o meno con i valori individuali.

    Che cosa c’è dietro questo fenomeno? L’ordine. Quello di un’epoca o di una cultura, suscettibili di variare nel tempo. Se un’immagine viene ufficialmente proibita o distrutta, è perché disturba l’ordine della società. Se provoca imbarazzo è perché disturba i valori di alcune persone. Ogni concezione del mondo, sia essa individuale o collettiva, ha un proprio assetto, e le categorie che la strutturano sono delimitate per mezzo di frontiere, vale a dire divieti, più o meno permeabili. Alcune barriere, come quelle che differenziano l’interno dall’esterno del corpo, i vivi dai morti, gli uomini dagli animali, sono talmente costitutive

    da essere circondate da vere e proprie no man’s land. La trasgressione corrisponde precisamente all’attraversamento di queste frontiere, che rappresenta anche una rimessa in discussione della loro pertinenza. Questa crisi delle frontiere non può essere che passeggera: o l’ordine resiste e tutto torna a posto, oppure la frontiera si sposta e un nuovo ordine si crea. Rappresentando un fattore di cambiamento delle strutture fondamentali delle società e degli individui, la trasgressione si trova all’incrocio tra storia e antropologia.

    La trasgressione è stata poco studiata in quanto fenomeno storico, a maggior ragione per ciò che riguarda il Medioevo. L’ordine e il disordine hanno attirato l’attenzione degli storici più del passaggio dall’uno all’altro o del loro rapporto. Numerosi sono stati gli studi che hanno riguardato anche l’esclusione, la marginalità e, più di recente, le norme. E un’intera sezione della sociologia è dedicata alla devianza: scarto nei confronti delle norme, origini e relatività del crimine. Quanto al divieto, cerbero dell’ordine, garante delle separazioni simboliche, esso ha enormemente preoccupato gli etnologi: le sue manifestazioni, le funzioni, i pericoli della trasgressione, i mezzi rituali per ristabilire l’equilibrio sociale. L’antropologia sociale, infine, si lega ai metodi con cui gli uomini costruiscono il mondo e gli conferiscono un senso, procedendo a una classificazione degli esseri, degli oggetti e delle attività. Tutti questi approcci si interessano in via prioritaria a degli stati: che significa marginale? Che cos’è la norma? Che cos’è il mondo degli altri, e il nostro? Di conseguenza, essi rendono difficile la comprensione di ciò che è in gioco e di ciò che cambia, semplicemente, quando una regola viene violata. Pensare in termini di trasgressione ci esorta a considerare maggiormente la società in termini dinamici e a non insistere troppo sulla sua presunta unità, ponendo in particolare rilievo la diversità, raramente armonica, degli universi normativi, non foss’altro tra il vecchio e il nuovo. Situata nel cuore dei cambiamenti di stato, la trasgressione parla dei diversi divenire; ponendo sempre in rapporto due termini, essa interroga necessariamente i rapporti⁵. Quindi, prendere le distanze nei confronti della devianza o della norma impegna altresì a non pensare la trasgressione in modo soltanto negativo, come fa il discorso cristiano e, dietro di esso, numerosi discorsi attuali sulle società del passato o del presente.

    Georges Bataille è uno dei pochi studiosi ad aver approfondito la questione della trasgressione, ma è poco letto dagli storici; la sua riflessione nell’opera L’erotismo (1957) tratta più in particolare delle sfide e delle singolarità della trasgressione nel contesto cristiano. Le opere

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