La casa
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La vicenda di Domizio, protagonista del romanzo insieme alla Casa, è un’intensa allegoria sull’importanza delle proprie radici e, nel contempo, è la rappresentazione archetipica del buono e del malvagio che, miscelati, compongono le nostre esistenze, dando vita a un magma composito e contraddittorio che tutti noi quotidianamente sperimentiamo.
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Anteprima del libro
La casa - Cinzia Groppi
Prologo
La Casa si preparò emotivamente all'arrivo dei nuovi potenziali acquirenti. Un fremito la scosse tutta. Un sussulto ampio, quasi visibile… Le accadeva così tutte le volte che capiva che nuovi proprietari avrebbero preso possesso di Lei: come una scossa elettrica le partiva dalla vecchia soffitta e correva giù al primo piano e poi giù ancora al piano terra, quindi al seminterrato e infine la scossa si andava a spegnere nei bui sotterranei della cantina.
Era come un rimettersi a posto, un rigenerarsi istantaneo, per dare il meglio di sé al momento opportuno. La Casa fremeva di curiosità e di gioia.
Erano passati ormai quasi vent'anni da quando era stata chiusa e abbandonata dall'ultimo proprietario e il sapere che ora l'impiegato dell'agenzia immobiliare l'avrebbe riaperta, ne avrebbe spalancato le finestre e l'aria avrebbe potuto entrare fresca, leggera e luminosa le metteva addosso un'indicibile sensazione di frizzante novità. Se l'avessero acquistata ora, per l'inizio dell'anno prossimo sarebbe stata in ordine, pulita, abitata e viva.
Finalmente!
Per ingannare il tempo, la Casa decise di ricordare i suoi primi giorni di vita, le sue primissime origini.
Aveva immagini nebulose e frammentate di quel remoto periodo. Alcuni fatti erano semplicemente il frutto di una sua paziente ricostruzione successiva, più che un vero ricordo, ma Lei aveva avuto decine di anni di tempo per rimetterli in ordine. Aveva anche dovuto esaminare alcuni documenti, vecchie carte dimenticate che erano rimaste ad ammuffire in angoli remoti o nei suoi tanti nascondigli…
Capitolo 1
Le pietre di fondazione
'Le mie pietre di fondazione - rifletteva la Casa - sono state ricavate dalla cava del Monteferrato, che era stata aperta verso la fine di quel momento che gli uomini chiamano '400…'
In quel tempo, era il 1491, la Pieve del paesino di Figuline, che si trovava a circa tre o quattro chilometri più a valle del Luogo dove poi sarebbe nata la Casa, aveva bisogno di alcune riparazioni, poiché era passata di là la furia dei fanti mercenari, scesi dal nord al soldo dell'Imperatore: la facciata aveva subìto danni sia alla base che all'architrave del portale d'ingresso.
Il Vescovo di Firenze, essendo un lontano parente del vicario della Pieve, si era sentito in dovere di interessarsi personalmente della faccenda ed aveva trovato a Roma, inaspettatamente, i fondi per le riparazioni...
Ma la manodopera dovrà essere locale caro amico…
aveva detto l'alto prelato rivolgendosi al parroco …e quindi cercate di organizzare subito delle maestranze qui o nei paesi vicini, altrimenti l'aggiusto verrà a costare troppo.
Per la stessa ragione economica anche il materiale doveva essere reperito in zona. Un esperto di geologia, amico e collaboratore delle alte sfere ecclesiastiche fiorentine, era venuto quasi spontaneamente da Firenze per saggiare l'area del Monteferrato alla ricerca del materiale adatto alle riparazioni, avendo peraltro molto gradito le quattro forme di cacio pecorino e i dieci litri di olio di oliva 'non allungato' che gli aveva fatto pervenire il curato della Pieve.
Guidato più che altro da un pastore anziano che abitava la montagna da almeno cinquant'anni, il geologo aveva trovato una zona ove si ergeva un magnifico sperone roccioso dal quale non sarebbe stato difficile ricavare la pietra per riparare la chiesa.
Questo è proprio il punto, signor Geologo, dove di solito sosta il gregge, d'inverno, avido dell'ultimo pascolo di erba fresca, prima di scendere definitivamente a valle.
Sì vedo
aveva approvato il perito, e poi fra sé e sé: Dunque… qui ci troviamo alla terza svolta, nella direzione della mezzadria dei Cerreto, che sono carissimi e fedeli amici del Vescovo.
Voleva infatti memorizzare dei punti di riferimento validi e utili sia a ritrovare il posto che soprattutto gli agganci politici e strategici con le persone che contano.
Come vedete abbiamo di poco superato quel fitto sottobosco
aveva concluso il pastore indicando una zona scoscesa più in basso e, come se avesse indovinato i pensieri dell'esperto, Non avrete difficoltà a ritrovare lo sperone, quando tornerete qui con gli operai. Eppoi, se proprio non riuscirete ad orientarvi, basterà che chiediate della 'rupe del Malcantone', un nome che non potrete dimenticare, nato da una terribile storia di due pastori rivali, che si perde nella notte dei tempi.
Quella sera stessa il geologo aveva voluto festeggiare quel fortunato reperimento proprio alla tavola del mezzadro, con pecorino e fette di pane casereccio. Il tutto offerto dal pastore, naturalmente...
Era ormai mattina inoltrata. La Casa ebbe una nuova palpitazione: 'E se non vengono?'
Dopo tanti anni di totale solitudine adesso le pareva di non poter aspettare più neppure un'ora: il desiderio di tornare ad essere utile e funzionante era grande e alla sensazione inebriante di poco prima venne sostituendosi un sentimento di oscuro, sottile e penoso dubbio: 'E se decidono di non acquistarmi?'
Per sbarazzarsi di questo odioso rimuginìo la Casa riprese il filo dei suoi pensieri circa il momento esatto della sua nascita…
Il parroco non ebbe molto a penare per trovare gli operai in loco: giunsero dalla montagna, ad offrirgli i propri servigi, alcuni uomini esperti di cave. Questi garantirono che il lavoro sarebbe stato compiuto perfettamente e poi, presi da una generosità che i montanari, gente rude, di solito non hanno, assicurarono che come compenso si sarebbero accontentati delle preghiere domenicali dei paesani, di essere citati dal cappellano in qualche Santa Messa e di ricevere alla fine di ogni mese, per i due anni successivi al compimento del lavoro, tre libbre di granaglie a testa, un sacco di farina e una piccola scorta di burro e latte in segno di riconoscenza.
Non è proprio un'opera pia
fece notare il prete al suo Vescovo.
Beh, probabilmente non si può ottenere di meglio!
rispose questi, pensando che però bisognava provvedere a dare un nuovo impulso alla cristianità, contro questo tipo di 'fede mercenaria' che si stava diffondendo tra la gente.
Riflettendo su ciò e chiedendosi se non fosse il caso di cominciare a parlarne con il suo Cardinale, 'poiché la Santa Chiesa ha sempre bisogno della fede sincera ed incondizionata dei suoi amati cristiani', decise comunque di procedere: Diamo subito il via ai lavori!
decretò con sicurezza.
Gli esperti cavatori, che avevano appreso al nord l'arte di scavare la pietra e di darle la forma desiderata, si misero subito all'opera. Trovarono una bellissima vena marmorea di pietra verde con striature nero-brunastre. Grandi massi vennero staccati dallo sperone roccioso spicconando a tutta forza su cunei di legno bagnato lasciati agire dentro le fessure della roccia per un'intera notte.
L'area circostante venne ripulita dai pruni e dalle ginestre selvatiche, per ottenere uno spiazzo ove creare un deposito delle pietre.
Là gli operai ridussero i massi in pezzi più piccoli.
I colpi dei mazzuoli percorrevano rapidi l'aria limpida del colle e arrivavano fino alle orecchie del vicario, che ogni sera aveva perciò un buon motivo per ringraziare il Signore dell'interessamento del Vescovo e di Roma verso la sua piccola Pieve e per pensare a come avrebbe fatto a convincere i parrocchiani a consegnare ogni mese agli operai della montagna una parte dei prodotti del loro lavoro 'come segno di riconoscenza'.
Un carro trainato da due buoi messi a disposizione dai Cerreto, mezzadri da tre generazioni alle dipendenze del conte Mazzei, scendeva ogni giorno alla cava: ci si caricavano le pietre più belle, quelle più ricche di venatura, quelle più verdi.
L'occhio esperto del geologo valutava, insieme al capomastro, quali pietre sarebbero state più adatte per la base della chiesa e quali più malleabili per rimodellarne l'architrave.
Bisognava che non avessero crepature o antiestetici innesti gessoso-calcarei o, peggio ancora, pericolosi inserti ferrosi. Bisognava essere certi che, nel momento di dare la forma definitiva alle pietre, queste non si frantumassero lungo una striatura o non si sbriciolassero a causa di un farinoso morbido deposito di gesso.
I contenuti metallici venivano vagliati ancora più accuratamente, in quanto non provocavano di per sé una rottura immediata della pietra, ma col passar del tempo le piogge e le nevicate potevano creare una 'ruggine pietrosa' e il sasso finiva per franare sotto il suo stesso peso negli anni successivi al suo posizionamento. E ciò avrebbe reso inutilissimo il lavoro di riparazione.
Pertanto tutte le pietre che non davano la massima sicurezza venivano lasciate giacenti sul posto e non seguivano sul carro quelle più fortunate, destinate alla chiesa.
Quando ogni tardo pomeriggio il carro dei Cerreto arrivava in paese, là c'era ad attenderlo un giovane e ambizioso architetto, grande amico del Vescovo ed inviato anch'esso da Firenze.
Egli controllava nuovamente le pietre, il tipo di taglio, l'andamento della venatura. Quelle giudicate di tipologia inferiore non venivano neppure scaricate dal carro e i buoi se le riportavano alla cava, a far compagnia ai primi scarti…
La Casa ebbe a questo punto un altro sussulto, uno scricchiolio simile in tutto ad un sorriso ironico, al ricordo della sua fondazione; una vecchia tegola cadde giù perché era in bilico già da tempo e la fessura di un solaio si allargò di una frazione di millimetro.
Chi poteva mai immaginare che Lei conosceva la storia remota della sua fondazione? Chi avrebbe potuto neppure sospettare che Lei 'sapeva'?
Sotto le prime pietre, nel terriccio ora umido ora secco della collina, la Casa 'sapeva', per averne percepita la presenza già svariate decine di anni prima, che c'era un vecchissimo documento, rimasto sepolto dai lavoranti e dal tempo. In esso si ordinava la fornitura di un certo quantitativo di 'sassi del Monteferrato' ad uso riparazioni urgenti della Pieve locale, con la raccomandazione che non venisse utilizzato materiale 'di scarto'.
I cavatori, una volta consegnato il materiale, lasciarono le pietre di scarto sparse qua e là, nei pressi dello spiazzo creato come deposito.
Evidentemente ritennero che portarle via sarebbe costato troppo, a loro che in fondo avevano lavorato quasi gratuitamente.
D'altro canto non vollero mettere in difficoltà il reverendo, gravandolo dell'incombenza di far spostare quei massi da qualcun altro. Del resto questi erano stati dichiarati inservibili dagli esperti e quindi non si sarebbero potuti utilizzare neppure in futuro!
'Come potevano supporre che, almeno dieci anni dopo, alcuni boscaioli troppo pigri avrebbero scelto proprio quegli scarti per costruire un rifugio da caccia e dare origine a me?'
La Casa sghignazzò (o qualcosa del genere) e proseguì divertita la commemorazione della sua nascita: 'Furono proprio gli uomini alle dipendenze del conte Mazzei, alcuni anni dopo la ristrutturazione della Pieve, a porre le pietre per la mia fondazione.'
Il figlio ventenne del conte, che era stato battezzato Taddeo, ma che veniva chiamato da tutti Lazzaro per la sua proverbiale indolenza e totale assenza di interessi, non si sa come si era appassionato alle battute di caccia, avendone apprese le tecniche in un suo memorabile viaggio in Francia.
I cortigiani francesi a quell'epoca si dilettavano a trascorrere i lunghi periodi di tempo libero cacciando prede nelle sconfinate tenute boschive di loro proprietà e così avevano affinato ogni possibile astuzia, inganno o abilità nello scovare, inseguire ed uccidere animali di ogni specie.
Mio figlio rientrerà da un lungo viaggio di studio
aveva detto il conte al suo uomo più fidato. Egli si è fatto un'esperienza e tornerà certamente più maturo. Inoltre là in Francia ha conosciuto lo sport della caccia agli animali di grossa taglia e se n'è innamorato. Noi dobbiamo accoglierlo con un regalo adatto alla sua età e col quale possa, nelle ore di svago, coltivare questa sua nuova passione.
Fu così che i coloni, al ritorno del 'signorino Lazzaro', ebbero l'ordine di costruire immediatamente, per il primogenito del conte, un capanno adatto a nascondervisi dentro in attesa del passaggio di cervi o cinghiali, visto che il ragazzo, notoriamente apatico e abulico, per la prima volta pareva dar segno di interessarsi a qualcosa.
Quegli uomini, che normalmente, nel resto dell'anno, facevano i boscaioli e si occupavano di tenere in ordine l'immensa tenuta del conte, furono costretti ad improvvisarsi operai edificatori, perché il padrone non intendeva aspettar troppo per la costruzione del capanno, temendo che l'interesse del figlio per la caccia sfumasse in breve tempo.
Perciò si organizzarono in squadre.
Chi era addetto a reperire le pietre da posare sul terreno per poi costruirci sopra il capanno non si perse a cercarle nei giacimenti sassosi della vallata: furono trovati dei vecchi massi coperti di muschio in uno spiazzo vicino ad un costone. Forse erano là per una frana, forse c'era stato uno smottamento del terreno sottostante e i sassi erano caduti disordinatamente, forse anni prima qualcuno li aveva raccolti e radunati in quel Luogo con l'intento di fabbricare, ma poi doveva essere intervenuto un qualche cambiamento, per cui la costruzione non era mai stata iniziata…
Comunque l'origine dei sassi di certo non interessava a nessuno: alcune di quelle pietre furono radunate e ripulite e, nello stesso spiazzo che già c'era, per non durare troppa fatica, furono poste in bell'ordine.
Venne così lastricato un rettangolo di tre metri per quattro.
Il capanno, però, non fu mai portato a termine: nel giro di pochi giorni il giovane conte si era infatuato di una paesana e aveva apertamente fatto capire che della caccia ai cinghiali non gli importava più nulla. Così il padre, mandando a dire di fermare i lavori, dovette invece darsi un gran da fare per dissuadere quel figlio sciagurato ad abbandonare quell'amore così inopportuno e tanto repentino, quanto repentina era stata la nascita e la morte della passione per la caccia.
La Casa non poté fare a meno di provare un sottile inorgoglimento al pensiero delle sue proprie fondazioni: Lei era fondata sugli scarti del Vescovo!
Quelle pietre, che patentati geologi, architetti e capomastri avevano ritenute pericolose e inadeguate per la Pieve, erano poi divenute le sue fondamenta grazie alle fugaci passioni di un giovane conte.
Nessun altro edificio, per quanto Lei ne poteva sapere, aveva fondazioni così prestigiose ed origini così nobili: marmi naturali, ricchi di rivoli di colore, belli e robusti, ruvidi e grezzi perché mai lavorati… Marmi del Luogo dove Lei era nata! Le sue radici, insomma!
Lei sorgeva sulle pietre antenate che avevano popolato per secoli, forse per millenni, l'area del Monteferrato, queste pietre ora le appartenevano così intimamente che niente e nessuno avrebbe più potuto scalzargliele di dosso!
In un guizzo immobile, come solo Lei sapeva fare, balzò in avanti nella cronologia dei suoi ricordi, alla ricerca, nel suo personalissimo memoriale, di quando fosse iniziato il proprio straordinario percorso vitale.
Andò agli ultimi anni del '600, epoca in cui era ormai divenuta una fornace…
Capitolo 2
La coscienza di sé
La Casa non aveva mai saputo ricostruire con esattezza com'era riuscita ad avere la consapevolezza di esistere.
Sapeva soltanto che, ad un certo punto, in un giorno torrido di fine estate, all'epoca in cui Lei era una fornace, nella torre che fungeva da forno essiccatorio per la terracotta, mentre gli operai fuochisti stavano mettendo in fila sulle assi di legno di quercia gli ultimi mattoni appena sfornati, aveva sentito una specie di prurito...
Questa era stata la sua prima sensazione cosciente: il prurito, o qualcosa che poi col tempo avrebbe imparato a definire tale.
Le pareti dell'essiccatoio prudevano, forse stimolate dal grande mantice mosso dai ciuchi.
Prudevano le crepe del muro, che si erano create a causa del forte calore, necessario per cuocere i mattoni.
Prudeva l'ampia vòlta a botte, che da anni riceveva l'impatto dei vapori ascendenti, misti di acqua e calcare.
Prudevano specialmente gli interstizi tra i mattoni refrattari che, disposti in file ordinate, componevano le quattro pareti e la vòlta.
Anche il pavimento dell'essiccatoio, attraversato da fitte grate metalliche annerite dai fumi, prudeva ogni volta che l'aria calda residua saliva dal forno sottostante. Era un prurito più leggero e meno appiccicoso di quello delle pareti, ma era pur sempre anch'esso un fastidioso prurito.
Probabilmente una curiosa alchimia, una miscela di fuoco e d'aria ossigenata sommata ai sali minerali emanati dal sudore degli operai, con l'aggiunta dei putridi vapori nitrici e fenolici emessi dagli escrementi degli asini che facevano girare la ventola, probabilmente