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Autunno
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E-book210 pagine3 ore

Autunno

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Info su questo ebook

Il mondo di Nicola, giovane uomo alle prese con le turbolenze tipiche della sua età, viene sconvolto dalla morte del fratello maggiore Alessio, modello per lui di perfezione irraggiungibile. La disperazione e la rabbia prendono il sopravvento e sembra non lascino tregua: perché non ho capito? Perché non l’ho salvato? Si chiede Nicola alla ricerca di queste ed altre risposte che nessuno può dargli. Lo accompagniamo in questa storia sulle difficoltà e la paura di andare avanti anche quando ciò che succede non può essere spiegato. A volte siamo di fronte a qualcosa che rimane incomprensibile e comunque bisogna imparare ad accettarlo e soprattutto continuare  a vivere.
LinguaItaliano
Data di uscita15 set 2017
ISBN9788899819569
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    Anteprima del libro

    Autunno - Gabriella Somenzi

    indice

    TEMPORALE

    SETTEMBRE

    OTTOBRE

    NOVEMBRE

    SCHIARITA

     Temperino rosso edizioni

     Prima edizione Brescia 2017

     Grafica Afo -TR designer

     Immagine di  copertina

     Danilo Bernasconi

     © 2017 Temperino Rosso Edizioni Fortini

     ISBN 978-88-99819-56-9

     AUTUNNO

    Che le parole

    spose pudiche e conturbanti,

    guerrieri valorosi e rozzi,

    continuino a muovere gli uomini, 

    nei secoli dei secoli,

    Amen.

    Ad Alessio Mainardi, un garofano rosso

    TEMPORALE

     Alessio è morto, tre giorni fa. C’è già stato il funerale ma io non ci sono andato. Non ce l’ho fatta e papà si è arrabbiato. Mentre prendeva la mano di mamma, ha solo scosso la testa abbassando lo sguardo, con le labbra chiuse, all’ingiù, senza dire nulla. Sono rimasto a casa, da solo, nella mia camera e ho pianto, tanto. Vedevo, tremolanti, le macchine passare fuori, di corsa lungo la strada e le lacrime scendevano, senza singhiozzi, mentre me ne stavo sdraiato sul letto con le dita incrociate dietro la testa e il corpo immobile, pesante. Poi mi sono addormentato. Mi sono risvegliato quando ho sentito la porta che si apriva e si richiudeva, ho aperto gli occhi e ho guardato dalla finestra, una foglia che cadeva dall’albero preferito di Ale, l’acero del giardino dei vicini, il suo saluto.

     Alessio è morto e tre giorni dopo sono a scuola con gli U2 che rimbombano dalle orecchie al cervello Jesus, Jesus help me Aiuto! Il prof. mi sta guardando, si è accorto che non lo sto seguendo, però non mi riprenderà stavolta. Lo sa anche lui. Tutti hanno saputo che mio fratello è morto.

     L’hanno detto al telegiornale, anche sui quotidiani nazionali è apparsa la notizia: immagini e commenti. E poi mamma è venuta a parlargli. E lui stamattina, quando sono andato alla cattedra per fargli firmare il libretto, mi ha persino chiesto come stavo. Io gli ho sorriso per levarmelo presto di torno e lui, composto come sempre, ha attaccato subito con la Restaurazione.

     Sono tornato a scuola dopo tre giorni passati a poltrire: un sonno senza sogni, bello, anche se al risveglio non ero tanto riposato e me ne andavo in giro intontito fino a notte da solo, senza movente. Tutto perché non potevo sopportare di vedere il suo letto vuoto, intatto, uguale a prima. E non mi stupisco molto che anche adesso qui, il banco, la sedia, non siano cambiati; è tutto a posto, o quasi: da quando sono entrato e mi sono seduto, infatti, tutti i miei compagni mi guardano, a turno, attenti a non dare nell’occhio, mi studiano più che altro ed è molto fastidioso. Per fortuna sto già male di mio e non ci faccio più di tanto caso. Forse cercano di capire cosa vuol dire rimanere, si può dire … orfano? orfano di fratello. Chissà perché si dice orfano di padre o di madre e non esiste invece una parola per dire che non hai più tuo fratello. Mai più. Sì, sono orfano Alessio, come fossi tuo figlio, come credeva di essere Telemaco finché suo padre tornò a Itaca; solo, Ulisse era semplicemente scomparso, mentre io, anche se ti cercassi non riuscirei a trovarti, almeno non in questo mondo.

     Il fatto che non esista un vocabolo per indicare che tu sei sparito mi spaventa, perché sembra significare che il nostro legame non abbia senso: devo ricorrere alla storia di Telemaco o parlare impropriamente di vedovanza, non posso rivendicare una parola tutta per noi; del resto gli unici fratelli che mi vengono in mente sono Caino e Abele e sappiamo tutti quanto si amavano. Forse t’uccisi io? 

     Valentina, lei sì ha fatto l’unica cosa che mi aspettavo di poter accettare. A casa infatti, mi ero preparato all’idea di tornare e trovare pacche sulle spalle, frasi smozzicate dal dispiacere, condoglianze e ancor peggio tutti questi sguardi come dire, di circostanza. Da tutti ma non da lei che mi ha sorriso e mi ha toccato il braccio mentre passavo vicino al suo banco per andarmi a sedere. Non è servito che le dicessi nulla, non riuscivo a muovere le labbra, serrate e impastate di saliva amara tanto lei sa tutto, già.

     Vale è andata in chiesa e anche al cimitero ad accompagnare Alessio. Penso l’abbia fatto perché non riusciva a sfogarsi davanti a me; cioè il vento che ti sfiora le guance, fuori, all’inizio ti rimanda un po’ indietro il pianto, fa resistenza come se fosse una forza fisica poi però ti fa singhiozzare di più e secondo me meglio, perché se fa freddo come adesso, quando annusi l’aria, le lacrime si condensano subito sul viso, allora te le godi maggiormente e le gambe ti spingono avanti mentre stai male e non te ne frega niente se gli altri ti osservano. Penso che alle persone piaccia andare ai funerali perché si può piangere in pace davanti a tutti in chiesa e anche per strada, anzi per assurdo sei visto male se non piangi, bollato come insensibile; eppure, non piangiamo mai solo per la morte e per il dolore che ne deriva, sono convinto che quelle lacrime, tutta quell’acqua salata sul viso, nei fazzoletti, sia per noi e per la nostra tristezza, insomma per qualsiasi motivo venga in mente, tutto si scioglie in quei momenti e poi ci si sente meglio; allora è bello fare le feste dopo i funerali, mangiare, bere o anche continuare a piangere perché il fatto che la bara sia coperta da metri di terra umida, non significa che il morto sia sepolto, cancellato. Anzi.

     Invece, dopo il funerale di Alessio niente festa. Mamma è entrata in camera a chiedermi se volessi cenare e cosa preferissi e papà è andato a farsi la doccia. Entrato in bagno per lavare le mani, me lo sono trovato di fronte, nudo, con le braccia agganciate al lavandino a guardarsi nello specchio appannato. Ho fatto per uscire chiedendo scusa ma lui mi ha preso e trascinato a sé, abbracciandomi forte come quando andavamo allo stadio e il Toro vinceva. Siamo rimasti così 2 minuti o forse un’ora, non so, sapeva di bagnoschiuma e non parlava, io neppure.

     Mamma ci ha chiamati perché era pronto in tavola e ci siamo sciolti dall’abbraccio, insieme, come non aspettassimo che un’interruzione. Dopo cena ho provato a chiamare Vale ma sua madre mi ha detto che era già andata a dormire e così mi sono ributtato a letto e pensando a lei mi sono addormentato.

     Così anche Vale è andata al funerale per piangere con se stessa di sé; prima era stata a casa mia, nella mia camera, giocavamo a carte e parlavamo dei compiti e delle giornate scolastiche che mi stavo perdendo. Lei parlava, io la guardavo perché era bellissima quel giorno, lo è sempre del resto, però l’altro ieri, la poca luce che entrava dalla finestra le colpiva in pieno il viso ed era pallida, anche nel riflesso che i vetri scoperti dalle tende davano di lei. Le vedevo la bocca quasi contratta come se volesse dire qualcosa di diverso dalle frasi che pronunciava ed infatti sapevo che, mentre con monotonia accennava alle interrogazioni e bla bla al tempo freddo, voleva gridare che le dispiaceva un sacco che Alessio fosse morto e ch’io fossi triste e però diceva solo stronzate e io la stavo ad ascoltare bugiarda, fingendo di stare bene e avrei voluto dirle di buttar via le carte e posare su di me le sue mani da bambina.  Poi mio padre ha bussato alla porta -andiamo - ha detto e lei si è alzata. Ciao ha detto mentre le guardavo la schiena allontanarsi, sulla vetrata. Non la vedo da quel momento e adesso che l’ho davanti non so dirle nulla. Del resto sono giorni che non parlo con nessuno e la parola, la capacità di parlare va esercitata tutti i giorni sennò la si perde, mica per scherzo. Come se un musicista si permettesse di abbandonare il suo strumento per dei giorni, poi non potrebbe suonare con scioltezza o una ballerina non si allenasse ogni giorno per ore, perderebbe la grazia, l’eleganza dei passi e per parlare non cambia molto, anzi bastano poche ore, non perché si dimentichi come articolare suoni, ma si rischia di perdere la capacità di dire cose sensate, quello sì. E se non converti subito i pensieri in parole, appena sono pronti, sulla punta della lingua, quelli se ne tornano chissà dove e cominci a balbettare, ad arrossire, ad abbassare la voce e l’unico pensiero che affiora, è che non valga la pena sforzarsi di comunicare e la tua verità, qualunque verità si allontana e non ti serve conoscere otto lingue o un vocabolario se perdi la tua sonorità. E tutto questo lo so bene io, perché mi sta succedendo; non ho mai scritto tanto quanto ora, la mano quasi mi duole. Sto diventando muto e non me ne frega niente. 

     Il fatto è che le persone credono che sia vero solo quello che si tocca e sanno che solo i ciechi non vedono, i sordi non sentono e gli storpi non camminano; i muti sarebbero i soli a non parlare, quindi. E la stessa gente poi produce proverbi che ci azzeccano sempre in un modo o nell’altro: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Allora ci guardiamo con la stessa intensità con cui osserviamo i nostri piedi per camminare cioè per un cazzo, ci parliamo tanto perché lo sappiamo fare e ci sentiamo perché siamo costretti dai nostri corpi che funzionano perfettamente, senza veramente vederci e ascoltarci. A me sta bene così. Forse è questo il punto: se il nostro corpo fosse menomato per qualche motivo, ci accorgeremmo delle fortune che abbiamo; solo i ciechi si aggirano attorno alle parole con diffidenza e i sordi le pesano perché fanno fatica a pronunciarle, gli altri ne abusano. E i muti vedono e sentono tutti i colori che parlano più di questo deficiente che ho di fronte. E forse scrivono come me limando ogni parola, senza abusarne perché sarebbe un delitto immane, imperdonabile errore. Ora vorrei smettere di parlare e imparare a dire e queste pagine, i muri della città mi servono solo come inizio. Ne ho io di cose da dire, solo a chi e quando se lo meriterà.

     Alessio parlava poco, dosava le parole e intensificava gli sguardi come stesse seguendo alla lettera una difficile ricetta di cucina e non lo capivo. Non lo capivo proprio. A volte avevo l’impressione che volesse dirmi qualcosa, quando mi posava la mano sulla spalla, ma poi scuoteva la testa ed io lo lasciavo andare nella sua camera: quando sentivo la musica dallo stereo levarsi alta, ricominciavo a farmi i fatti miei.

     Cosa che adesso per esempio non riesce a farsi Laura, che mi guarda, è il suo turno. Nei suoi occhi vedo, anche se tenta di nascondermeli, qualcosa che conosco ma che non riesco a definire: l’anno scorso è morta sua nonna potrebbe essere che capisce cosa provo. È impossibile: se io stesso non so decifrare e la cosa è insopportabile, quest’angoscia, come può un altro capire questa fitta dolorosa al petto e alla testa, più forte di quando caddi in motorino e quella volta mi ero fatto veramente male, trauma cranico e varie contusioni. Questo è allora il coma? Beh, non sono immobile su un letto e non vedo nessuna cazzo di luce in fondo a nessun cazzo di corridoio, solo tutto normale. Normale. No, non posso piangere, mi fanno male gli occhi e non voglio fare pena a nessuno; a Vale e anche a Laura non farei pena, neanche ad altri forse è solo che, uffa non lo so. Non voglio. Sta musica mi ha rotto.

     L’esilio di Napoleone mi ricorda le vacanze appena finite. Anch’io ero andato su un’isola, all’isola d’Elba e l’ho vista la casupola di quel gigante, sì proprio poco ti avevano considerato Mon Grand Empereur. Certo era bella la vista, stupendo il mare, il giardino ma per uno che si era conquistata due volte l’Europa non era proprio niente. Inutile decantare le lodi di un esilio, per quanto dorato, inutile come dire ai miei di non disperarsi per la morte di Ale, tanto hanno ancora altri due figli. È solo il buon senso incarnato in onesti e assennati cittadini che fa dire certe cose ed io le odio; per questo non sono andato al funerale, avrebbero tentato di consolare anche me stringendomi come piovre e chissà quali improponibili ragioni per farmi stare meglio avrebbero inventato.

     Comunque Alessio non l’ha mai vista la prigione di Napoleone, era andato in Irlanda con la sua ragazza. Che invidia, volevo andarci anch’io ma la pagella faceva schifo e la punizione era l’isola d’Elba, certo che sono stato più fortunato di quell’Altro posto che nessun esercito controllava le mie mosse, però se avessi avuto voti più alti o genitori smemorati circa i castighi promessi, sarei potuto starmene ancora un po’ con mio fratello; invece, anche al ritorno non siamo stati insieme. Un pomeriggio di addio mi ha dato: si era seduto vicino a Vale per ridere con lei delle mie doti di fotografo e poi era di nuovo partito per la montagna e non l’ho più visto vivo. Neanche un saluto ho meritato, degno intendo. Ciao - mi ha detto - ci vediamo. Sì e dove? Neanche morto ho voluto vederlo, lui non lo avrebbe consentito: s’incazzava sempre quando lo guardavo dormire. Si svegliava e mi mandava a quel paese ed io ridevo e non gli dicevo che lo guardavo solo perché volevo capire se sognava tutte le cose che diceva o gli venivano così, al momento. Era bello mio fratello e la verità è che non potevo sopportare di vederlo immobile, coperto da un lenzuolo o peggio, imbacuccato come alla Comunione. Se avessero fatto la veglia a casa, me ne sarei andato via: odio le veglie dei cadaveri, tutti a bisbigliare preghiere monotone con le luci abbassate e i bambini che le prendono se osano alzare la voce un minimo per chiedere magari un biscotto; io volevo i biscotti alla veglia di mio nonno e mia zia mi aveva sgridato. Alla veglia di Alessio avrei chiesto solo perché? E avrei spaccato qualcosa, altro che biscotti!

     Sta cominciando a piovere. Anche se siamo solo all’inizio dell’autunno fa freddo. C’è sempre vento e il cielo, pieno di nuvole, sembra imbronciato; tra poco cominceranno a cadere le foglie e il mare sarà solo un bel ricordo. A me piace questo tempo, detesto il caldo e mi piace la sera guardare la pioggia battere sui vetri della mia camera e le persone fuori, immergersi e riemergere dal buio, lottando con gli ombrelli che l’aria vuol portarsi via; io me ne resto seduto sul letto, col plaid sulle gambe e le narici piene del profumo del caffè e mi cullo nel calore della tazza che stringo tra le mani ghiacciate. È proprio una bella sensazione, caldo e freddo insieme e solo questa stagione è così intensa, anche nei colori, il verde estivo dell’erba stona col grigio del cielo e si nota ancora di più. E poi non lo dico solo io che è a settembre che inizia un nuovo anno, un nuovo tempo, per me è sempre stato così: ricomincia la scuola, ritrovi gli amici e l’estate appena passata si porta via veloce, di solito gli affanni dell’anno prima. Così si è tutti di nuovo pronti per i problemi che subito ci accolgono, sulla soglia di casa mentre ancora pieni di sabbia e di sole già ci dimentichiamo di tutto quello che abbiamo fatto fino al giorno prima quando eravamo sdraiati sulla riva, dediti a costumi succinti e lunghe pinne. A questo pensavo quando sono tornato dal mare, a quanto ero abbronzato e se sarei piaciuto alla mia ragazza. E il mio anno è iniziato all’insegna della tua morte Alessio. Ci dovrò fare i conti per tutto l’anno e poi, d’estate, dimenticherò. E così sia.

     Davide mi ha passato un foglietto: mi ha fatto il solito segnale e me l’ha dato con una velocità così maldestra che per poco non mi facevo scoprire mentre lo raccoglievo da terra, dov’era ovviamente finito.

      È di Valentina. Posso parlarti all’intervallo? Mi sta guardando, annuisco e lei si gira di nuovo e riprende a scrivere. Ma come fa a stare attenta, che le lacrime già le siano passate tutte? Non riesco a capire. E poi che bisogno c’è di un biglietto per chiedermi di parlare; il suo non è altro che il riconoscimento di una distanza che si è creata ma stento a credere che non le sia chiaro che il vuoto non c’è tra me e lei ma tra noi tutti e Alessio. 

     Chissà che deve dirmi. Probabilmente starà facendo finta di seguire per non avere problemi; del resto non sarebbe la prima volta, io lo faccio spesso e non perché sia disinteressato a tutte quelle noiose definizioni che i professori pescano nei loro sillabari impolverati quando fanno gli scrutini. No, mi piace tutto: il latino, il greco, perfino la matematica solo che non sopporto che si faccia scempio della cultura. Ogni autore, qualsiasi uomo politico è individuato, estrapolato dal contesto (giusto per usare termini scolastici) e ricacciato in mezza pagina di libro. I testi poi, con quelle pagine patinate che sanno di rivista di moda più che di summae del Sapere, pieni di frasi commoventi sul destino di popoli vinti impunemente schiacciati da inarrestabili vincitori, accidenti persino un vestito di alta sartoria è più studiato, dal punto di vista della presentazione intendo, che non la storia e il dramma di Napoleone, tanto per rimanere in tema. Ecco, forse ci sono: sono di moda abiti che fanno scena, Napoleone non ha altro da offrire che se stesso al costo di faticose ore di studio; è un fatto passato; d’accordo c’è stato ma che ci importa?

     Odio chi non conserva la memoria e vuole cancellare o soltanto accorciare il passato per godersi il presente. Odio chi non ha memoria, perché la nostra mente vive di ricordi e noi stessi se dovessimo ogni giorno anche solo imparare a mangiare saremmo eterni infanti, altro che storia. E per finire, odio chi manipola le vicende per farci i soldi: agli Elbani non sarà fregato niente di Napoleone e adesso vendono manicaretti e unguenti dell’imperatore a tutto andare.

     E poi non si può dimenticare Alessio, non perché sia morto, nulla di straordinario, succede a tutti, piuttosto, perché è vissuto e per come l’ha fatto. La sua storia è unica, non ha niente da invidiare alle gesta dei grandi - e non sopporto chi parla di gente comune - e lo è anche e soprattutto perché ha coinvolto, coinvolta, la mia e quella dei miei, di Chiara e di un sacco di persone. Per questo, solo per questo non tollero chi, armato di un libro e due penne si permette di intimarmi il silenzio per rovinare i miei pensieri con dotte date e riferimenti. Chiunque voglia la mia attenzione deve conquistarsela e poi sono il più presente tra gli auditori, posso diventare il più loquace interlocutore e tant’altro, come offrire nuovi spunti e applaudire garbati discorsi. Per il resto solo silenzio e indifferenza. Per fortuna non si sente il frastuono dei miei pensieri, potrebbero espellermi.

     Al cambio dell’ora sono uscito un attimo, Davide è venuto con me e abbiamo fatto un pezzo di corridoio insieme. Mi ha chiesto se stasera vado a casa sua, solito programma, pizza e film. Gli ho detto no grazie perché sono tre sere che esco e torno tardi ma la

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