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Non tutto è permesso, tutto è possibile
Non tutto è permesso, tutto è possibile
Non tutto è permesso, tutto è possibile
E-book115 pagine1 ora

Non tutto è permesso, tutto è possibile

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Info su questo ebook

Lo scrittore Raul Robb è intento a scrivere un romanzo, in continuo e costante conflitto con il suo doppio, il Ghostwriter; immediatamente, il lettore viene catapultato in un mondo immaginario, dove gli elementi reali si mescolano ad elementi surreali, capaci di suscitare emozioni e offrire spunti di riflessione, sì che, ben presto, lo scrittore e i suoi personaggi si ritrovano sullo stesso piano narrativo.
Questo romanzo fantastico surreale, dal ritmo dinamico, quasi frenetico, risulta essere un efficace scritto di denuncia, soprattutto riguardo al genocidio dei pellirossa, ma anche un trattato sui generis sull’arte dello scrivere.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2022
ISBN9788855392310
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    Anteprima del libro

    Non tutto è permesso, tutto è possibile - Giampaolo Di Stefano

    PREFAZIONE

    È difficile ammettere che la democrazia possa essere, quando non correttamente applicata, un veicolo di sopraffazione e di dominio. Eppure è così. Voglio dire che non di rado il concetto è stato manipolato e reso diverso da quello che è, a vantaggio della demagogia e del facile populismo. In nome della democrazia, come della libertà, si sono commessi delitti atroci. La storia ne anella un’innumerevole serie. Ciò che aumenta lo sconcerto è che spesso, ancora oggi, chi si rende, o pretende di rendersi, artefice e custode della democrazia finisce per esserne detrattore nei fatti. Chi fa della democrazia un concetto assoluto è da temere, perché è là dove si grida alto il suo esercizio esclusivo che è più facile scorgere l’inganno e la mistificazione. La democrazia non è mai soltanto formale, ma è soprattutto sostanziale. È così, oppure non è. Non c’è scampo. La democrazia è un tendere a, uno strumento, non è un fine per pochi per annichilire molti. È un tendere alla libertà, questa sì da intendersi come fine. E la libertà come essere, come assoluto, sta nel volto degli altri, nei volti di tutti gli altri. Il tratto egualitario della democrazia risiede proprio qui e cioè nello sguardo di chi subisce la perversa logica dei poteri, di chi cerca di essere quello che è per essenza e non per quello che si pretende che sia. Qui si coglie il grave peso dell’inganno, qui la partita passa nelle mani di chi bara. Penso a chi si fa interprete alla democrazia della nicchia, pregiudicando gravemente il reale concetto di democrazia. Intendo dire quella liberista, piuttosto che liberale, quella che condiziona la libertà, riconducendole in ragione dei pochi spazi che si intendono lasciare alle reali autonomie. Sono spazi effettivi, ma limitati, dalle nicchie appunto, dove i potenti lasciano apparire e non essere i soggetti che li occupano. Dalla nicchia si è soltanto liberi di uscire per essere strutturati all’interno di sistemi consumistici o per essere addestrati ad essere acritiche cinghie di trasmissione di potere, mentre quanti regolano il perverso meccanismo si ergono a custodi e garanti dei diritti umani, pronti a stigmatizzare le pagliuzze degli altri per nascondere le proprie travi. Giampaolo Di Stefano in questo suo terzo romanzo ci pone di fronte a una offesa profonda dei diritti soggettivi, una, per carità, tra molte, ma, a differenza di tutte le altre, dimenticata, perché non ha avuto memoria, distratta nella storia proprio da quelle pretese di esclusiva detenzione della democrazia di cui facevo cenno. Si tratta dello sterminio sistematico degli Indiani d’America, uno dei più praticati nella storia, considerando che ha avuto corso dall’età immediata post-colombiana fino al XX secolo, e che ancora oggi si perpetua nelle forme della discriminazione sociale e culturale. La storiografia, sorda e muta, poco si è accorta della crudeltà di tale genocidio, fondato sullo scempio perpetrato ai danni di una parte dell’umanità, per spossessarla della propria terra e per offenderla con lo stupro fisico, con la riduzione ad animalità, con lo sventramento culturale, perché potesse così attecchire alla millantata vera democrazia, quella assoluta, quella che non vede il relativo rispetto a sé, se non attraverso sé. Sia chiaro: Giampaolo Di Stefano non colma una lacuna storiografica, troppo ampia dall’altra parte. Piuttosto, con il suo linguaggio conciso, con il suo rapsodico flusso narrativo, con il suo stile, dunque, che più lo caratterizza, descrive, anche con tratti apparentemente ingenui ma sempre arguti e oculatissimi, il lento e nobile dolore di un popolo, un dolore silenzioso, immemore forse, ma pieno di dignità. Quando ho discusso con l’autore i contenuti di Non tutto è permesso, tutto è possibile, egli mi ha detto che nel suo registro narrativo la poesia non è contemplata. Non è vero. Tanto più il reticolato narrativo si fa stringente, proprio lì la serrata maglia del racconto si gonfia di poesia. Là dove la costruzione dei periodi si manifesta frammentaria, anche approssimativa, proprio lì, dove il procedere logico e narratologico sembra assottigliare i già deboli fili, Giampaolo Di Stefano pone le corde solide dell’evocazione, dei flebili ma intensi suoni dei sentimenti e la tavolozza dei colori si fa intensa e suggestiva. Allora, le rughe segnate nei volti nativi sono i solchi profondi delle loro terre e dei loro tormenti, i gesti diventano tocchi magici, il dire, o il non dire, la forza e l’orgoglio di una cultura calpestata, i sogni non sono astrazioni semplicemente oniriche, ma candide visioni di quello che doveva essere e che non è stato. Tutto questo è esaltazione della ragione poetica che surroga, e tuttavia risalta, la ragion storica. E in questo gioco di rilievi, in quel caleidoscopico di effetti, la descrizione di una carezza a un bisonte non è un toccante episodio brevemente digressivo, ma l’estetica intuizione, sublime invero, di un tempo e di uno spazio storico che subito recuperano una memoria offesa.

    Marco Majone

    1

    Tanto per stuzzicare l’immaginazione delle lettrici e dei lettori, semmai ve ne saranno, In Quel Post si trova nel bel mezzo di una foresta non molto lontano da dove lo scrittore Raul Robb sta scrivendo una storia d’amore. La foresta è fitta di vegetazione, alberi enormi, sabbie mobili, lupi mannari, folletti e gnomi e pentole piene di monete d’oro.

    Vivì Jojò era assillata da uno sgradevole malumore per via di certe ataviche questioni di cuore. Lo scrittore le consigliò di andare In Quel Post e lei, una notte di luna piena, partì.

    I lupi mannari avrebbero tanto voluto sbranarla, però Vivì andò In Quel Post a bordo di una Smart Passion a prova di morsi di lupi mannari e arrivò tutta intera al termine di un sentiero sterrato che conduceva alla soglia di un pesante portone di legno intarsiato.

    Bussò, ma nessun rumore udibile a orecchie umane si produceva dall’incontro delle nocche della sua mano con la superficie tarlata del legno. Continuò a bussare, ancora niente.

    Quindi, non curandosi minimamente del curioso fenomeno fisico né tanto meno del reato che si apprestava a compiere, anzi, la situazione le aveva messo un certo brivido addosso, forzò la serratura del portone che cedette come burro ed entrò.

    Nell’ingresso c’era una panchina di legno e si sedette. Immediatamente percepì un dolce tepore sul suo bel sederino a mandolino.

    Poco dopo dietro di lei si aprì di scatto una finestrella a forma d’oblò.

    «Desidera?» disse una voce calda e sensuale.

    Vivì si voltò e rispose:

    «Sono qui per via di un fastidioso malumore».

    «Bene, compili il questionario.»

    Una mano dalla finestrella uscì fuori e le porse un foglio. C’era scritto: Come è venuta a conoscenza di In Quel Post? Tramite dépliant pubblicitario infilato nella buca delle lettere? Internet? Oppure, ce l’ha mandata qualcuno? 

    Constatata la lentezza di Vivì, spazientita la voce calda e sensuale disse:

    «Finito di compilare il questionario?»

    «Sì.»

    «Bene, si accomodi.»

    «Dovrei entrare dalla finestrella?»

    «Eh già, vuole entrarci di testa o di piedi?»

    Vivì Jojò optò per i piedi, poi si accorse che le si sarebbero viste le mutandine, capirai, e ci entrò di testa.

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