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Il codice segreto dei Templari
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E-book501 pagine6 ore

Il codice segreto dei Templari

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Il messaggio nascosto nelle grandi opere architettoniche dell’ordine, dalle cattedrali di Chartres, Reims e Amiens, alla cappella di Rosslyn e a Rennes-Le-Château

La vera storia del simbolismo nascosto nell’arte rinascimentale è assai più affascinante di qualsiasi romanzo. Queste pagine, attraverso la decifrazione dei messaggi segreti celati in grandi opere architettoniche – come le magnifiche cattedrali di Chartres, Reims e Amiens, la misteriosa cappella di Rosslyn in Scozia, l’enigmatico villaggio di Rennes-le-Château – portano alla luce una storia fatta di complotti e intrighi, di poteri corrotti e di valorosi eroismi, di disinformazione, tradimento e cavalleria: una storia “altra” che la Chiesa dell’epoca ha provato in tutti i modi a tenere nascosta. I segreti celati nel simbolismo delle opere d’arte rappresentarono l’unico modo, geniale e prudente, per preservare la verità che letterati, artisti e intellettuali intendevano comunicare alle generazioni future – cioè a noi. Una volta interpretati i simboli si può dunque accedere alle loro conoscenze e alle loro scoperte, ritenute un tempo pericolose eresie. Perché i massoni e i Templari sono stati perseguitati dalla Chiesa? Forse perché erano votati a conservare la memoria di verità sgradite? È ancora possibile decifrare i loro messaggi nascosti?

In principio
• Nascita e sviluppo del simbolismo sacro
• L’eredità dell’antica gnosi egizia

La Bibbia, origini egizie del giudaismo e due discordanti opinioni su Gesù
• La Bibbia e gli israeliti
• Due diverse ipotesi sulla vita e sul ministero di Gesù

Il cristianesimo dei primordi e lo sviluppo del suo simbolismo
• San Paolo, la storia della Chiesa delle origini e la nascita del simbolismo cristiano
• Il consolidamento dell’Europa cristiana e la nascita del simbolismo della Chiesa
• Le meraviglie del Gotico

La corrente sotterranea risale in superficie
• La geometria sacra e la “langue verte”
• Le correnti segrete in seno alla Chiesa
• L’aspetto esteriore della cattedrale di Chartres
• Il mistico interno della cattedrale di Chartres
• La venerazione della Madonna Nera
• Il Graal, i Trionfi dei Tarocchi e l’annientamento dei Templari
• Il simbolismo mistico della Cappella di Rosslyn
• Il flusso mai interrotto della corrente iniziatica
• Simbolismo eretico nei dipinti rinascimentali
• La controversa fratellanza dei massoni


Tim Wallace-Murphy
è nato in Irlanda e ha studiato medicina allo University College di Dublino. La Newton Compton ha pubblicato Il codice segreto dei templari, Sulle tracce del Santo Graal, scritto in collaborazione con Marilyn Hopkins, Il codice segreto del Graal, con Marilyn Hopkins e Graham Simmans, e Il potere occulto della lancia del destino, con Trevor Ravenscroft.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854155503
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    Anteprima del libro

    Il codice segreto dei Templari - Tim Wallace

    Parte prima

    In principio

    Premessa

    Il simbolismo è qualcosa che accompagna da sempre la storia dell’umanità, perché quello sacro e religioso la pervade e connota sin dai remoti tempi dell’era paleolitica ed è quanto mai vivo ancora oggi. I ritrovamenti archeologici più antichi, legati all’attività dell’uomo, consistono in ossa umane e arnesi in pietra scheggiata ed anche questi semplici oggetti sembrano possedere un risvolto spirituale, come viene brillantemente sottolineato da Jacob Bronowski a proposito del cosiddetto Fanciullo di Taung, i resti di un bambino preistorico, da cui, a suo dire, presero le mosse, i primi passi dell’avventura dell’uomo sul pianeta. Scrive, Bronowski: «Il cucciolo di uomo, è un mosaico, una via intermedia fra la natura animale e quella angelica»¹. Puntando il dito, forse senza volerlo, sulla differenza essenziale fra l’uomo e il resto del mondo animale.

    In modo per nulla sorprendente, la palese dimensione spirituale dell’uomo si manifestava sin dagli albori della Storia nella sua capacità di avvertire aspirazioni superiori, di sintetizzare conoscenze e credenze, racchiudendole in simboli. Penso che tutti si rendano conto, chi con maggiore chi con minore intensità, dell’esistenza di qualcosa di strano che sembra trascendere il normale, solito tran tran della nostra quotidiana battaglia per la vita, o abbiano, prima o poi, avvertito il profondo senso di timore che ci lega al non conosciuto, una specie di sensazione innata e sottile che fa immaginare un mondo spirituale che tutto pervade, in grado di informare e controllare quello fenomenico, il mondo visibile in cui ci muoviamo. Infatti, come fa osservare sir Kenneth Clark, l’uomo ha da sempre avvertito la necessità di dare sviluppo a quelle sue qualità «dello spirito e del pensiero per poter accostarsi il più possibile ad un’ideale di perfezione… cercando di raggiungere questa meta in vari modi, attraverso i miti, la danza e la musica, il canto, ricorrendo a sistemi filosofici e all’ordine che ha cercato di imporre al mondo materiale che lo circonda»².

    John Baldock, eminente autorità inglese in fatto di simbolismo, riecheggia questo stesso concetto quando dice: «Il significato simbolico contenuto nel mondo dell’immagine, pur essendo unitario, può presentarsi sotto forme svariate e diverse: leggende, miti, allegorie, metafore, analogie. Tutte queste forme trattengono, in dosi più o meno elevate, un principio originario autentico, che consente di estrinsecare e manifestare in questo mondo, concetti che appartengono ad una realtà superiore, diversa»³. Quest’altra diversa realtà è, ovviamente, quella dello spirito. Lo scrittore inglese Colin Wilson afferma: «Più la forma di vita è elevata, maggiore è la capacità di codificare dei significati»⁴. Wilson prosegue descrivendo la chiave di tutte le esperienze poetiche, mistiche e spirituali, che battezza genericamente fattore x, definendo tale propensione naturale con queste parole: «Quel potere latente in tutti gli esseri umani, che li spinge ad andare oltre il presente»⁵. Tuttavia, il vero significato di questa capacità innata viene riconosciuto ed apprezzato solamente dal 5% di ogni gruppo umano, quegli individui che lo stesso Wilson definisce i pochi. Sono sciamani, sacerdoti, maghi, streghe e medium, leaders naturali che, rendendosi conto di possedere dei poteri spirituali, cercano di svilupparli per metterli al servizio della comunità in cui vivono.

    Il grande mistero che i pochi investigano e l’assoluta necessità di descrivere la realtà in termini simbolici vengono fotografati in questo modo nelle parole di Nicolas Berdyaeff: «L’autentico significato, l’importanza ed il valore della vita sono determinati dal mistero che le si cela dietro, da un infinito che non può in alcun modo essere razionalizzato, ma che può essere espresso per il tramite dei miti e del simboli».

    ¹ Jacob Bronowski, The Ascento of Man, Little Brown, Arkush, 1974, p. 31.

    ² Kenneth Clark, Civilisation, London, John Murray, 1980, p. 3.

    ³John Baldock, The Elements of Christian Symbolism, Shaftesbury, Element Book, 1997, p. 11.

    ⁴ Colin Wilson, The Occult, London, Grafton Books, 1979, p. 38 (trad. it. L’Occulto, Roma, Astrolabio, 1975).

    ⁵Ivi, p. 73.

    1

    Nascita e sviluppo

    del simbolismo sacro

    «Lo speleologo francese Norbert Casteret amava esplorare le grotte di Montespan; ma questa intima soddisfazione venne sopraffatta da un’eccitazione ancora più profonda quando un giorno si accorse che le pareti erano ricoperte da disegni di leoni e cavalli, intuendo al volo di trovarsi al cospetto dell’espressione artistica dell’uomo preistorico».

    COLIN WILSON¹

    Una delle scoperte più straordinarie del XIX secolo è stata quella delle pitture rupestri, realizzate dall’uomo preistorico, di una grande varietà di animali, rinvenute sulle pareti di alcune grotte in Spagna e nel sud della Francia. Appena scoperte, si disse che potevano vantare circa ventimila anni. La cosa curiosa era che quelle immagini non risultavano dipinte in spazi facilmente accessibili, aperti all’ingresso della luce naturale, bensì su pareti di camere oscure, collocate in profondità e di difficile, ardimentoso accesso. La cura con cui erano state preparate risultava evidente, ed infatti sono stati anche rintracciati schizzi provvisori e, come dire, prove d’artista. Le pitture furono, per forza di cose, ottenute alla luce delle torce e si è potuto constatare che non soltanto costituivano una sorta di preghiera figurata da parte di chi, nella tribù, si dedicava alla caccia, ma erano stato dipinte in quelle sezioni delle grotte dove si registrava la massima esaltazione del fenomeno di risonanza dell’intero complesso di caverne.

    Purtroppo, per proteggerne l’integrità, oggi l’acceso alle grotte da parte del pubblico è vietato, perché la condensazione provocata dalla respirazione umana è sufficiente a distruggere i delicati pigmenti colorati usati per la realizzazione delle pitture. Così il solo mezzo di cui disponiamo per prendere atto delle meravigliose realizzazioni artistiche dei nostri antichi progenitori è quello di osservare delle fotografie, dei disegni riprodotti e aggiornarci sul dibattito filosofico ed artistico che non è mai cessato da quando le pitture rupestri sono state scoperte.

    Stando allo scienziato Jacob Bronowski, queste opere d’arte preistoriche altro non sono che l’immagine figurata delle idee e dei pensieri dominanti nella mente di coloro che le realizzarono. In genere, dei cacciatori ossessionati dalle loro prede, quegli animali commestibili che fornivano alla tribù il sostentamento necessario, ma anche le pellicce per potersi proteggere e vestire². Descritte da molti studiosi come il primissimo esempio di opere artistiche umane, sin dal loro ritrovamento hanno innescato un formidabile dibattito in merito a che cosa, in realtà, potessero servire. Persino il super razionalista Bronowski è propenso a ritenerle l’espressione di una forma di magia, idea che Colin Wilson condivide, supportato dal confronto dell’arte magica contemporanea dei Boscimani, che abitano il deserto del Kalahari.

    Consapevole di sostenere un’ipotesi probabilmente veritiera, Bronowski non concede però null’altro all’irrazionale, quando tiene a precisare: «In sé magia è parola che non significa nulla. Ci dice semplicemente che, forse, l’uomo primitivo riteneva di possedere un certo potere; ma, ci chiediamo, quale, che tipo di potere? Dobbiamo ancora scoprirlo adesso quale energia occulta i nostri antichi progenitori cavernicoli pensavano di poter suscitare affrescando con tanta cura e maestria le pareti delle loro caverne»³.

    Ciò detto, Bronowski cambia radicalmente rotta per abbandonare questo pensiero che alla fine avrebbe potuto condurlo ad un’ipotesi plausibile. Afferma, infatti, che le pitture di cui trattasi altro non sarebbero state che una forma di augurio, il desiderio figurato per il successo delle spedizioni di caccia. Ma l’autentica risposta, che lo studioso trascura – o, meglio, ha deciso di non tenere in conto – ce la offre un’altra serie di pitture rupestri, quelle rinvenute a Les Trois Frères nella regione francese dell’Ariège, dove si vedono uomini travestiti da animali ed altri che indossano le classiche vesti degli sciamani (fig. 1).

    Fig. 1. Un esempio delle pitture rupestri rinvenute a Les Trois Frères, nella regione francese dell’Ariege. Risalente al periodo paleolitico, raffigura un uomo travestito da animale, forse un rito di augurio per la caccia.

    L’intrinseca natura spirituale delle pitture rupestri

    I nostri antichi antenati paleolitici erano cacciatori–raccoglitori che vivevano in armonia con la Natura. Avevano imparato quando e dove cacciare, quali frutti e semi raccogliere a seconda del periodo dell’anno, come fare uso di materiali diversi – come la pietra, la tagliente selce, le ossa e la pelle degli animali – per aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Sapevano anche come distinguere i luoghi geografici da considerare sacri, dove venerare gli spiriti e, per il tramite dei pochi, vale a dire i leaders naturali e gli sciamani della tribù, fortificare i loro innati poteri spirituali. Quando qualcuno si ammalava, ricorrevano sia ai rimedi naturali garantiti dalle piante, sia ad altri sistemi terapeutici, quelli che potremmo classificare come psichedelici, capaci di sollecitare e stimolare le qualità visionarie dell’individuo. Conoscevano il potenziale alterno e vibrazionale di certi suoni e come fare per condurne gli effetti all’apice massimo, con lo scopo di trovare anche in questa forma un catalizzatore in grado di esaltare i poteri sottili della visione spirituale.

    Il celebre storico delle religioni, Mircea Elide, ha scritto: «È impossibile immaginare un momento in cui l’uomo non sognasse, non si abbandonasse a visioni ad occhi aperti, non cadesse in trance, quella condizione psichica di perdita della coscienza consapevole, durante la quale l’anima viaggia e si spinge oltre»⁴.

    Gli sciamani credevano che il mondo fenomenico avesse radice all’interno di un’altra realtà, il mondo invisibile dello spirito. I riscontri archeologici confortati dalle recenti osservazioni fatte presso quelle popolazioni nomadi di cacciatori–raccoglitori ancora esistenti al mondo, dimostrano in modo chiaro come sciamani e sacerdoti siano sempre stati concordi nel ritenere che i luoghi sacri per eccellenza, dove le qualità visionarie e spirituali trovavano il massimo della loro esaltazione, fossero le grotte, le fonti e le cime montuose⁵. Ne consegue che le rappresentazioni pittoriche delle grotte paleolitiche sono i più antichi simboli sacri che l’uomo abbia mai tracciato.

    I luoghi sacri del Neolitico

    Poiché i nostri progenitori dell’Età della Pietra non ci hanno lasciato nulla di scritto, cercare di definire in modo assoluto e preciso il loro senso del sacro o le loro pratiche religiose è cosa virtualmente impossibile. Tuttavia, certi aspetti del loro sistema di credenze, la sua autentica natura cosmica e la sua importanza vitale per l’uomo primitivo sono in qualche modo razionalmente valutabili da un attento esame dei luoghi sacri dell’era neolitica, sparsi un po’ ovunque nel mondo intero. Ne prendiamo in considerazione alcuni significativi nel territorio europeo, non per una particolare affezione verso il vecchio continente, ma soltanto perché sono quelli studiati con maggiore attenzione, meglio documentati e quindi, per un verso o per un altro, meglio conosciuti dai lettori di tutto il mondo.

    Il paesaggio dell’Europa Occidentale è stellato ovunque da migliaia di strutture megalitiche di dimensioni e finalità diverse. Dolmen, monoliti allungati, cerchi di pietre, templi solari e grandi pietre verticali solitarie che puntano verso l’alto sono ancora oggi muti testimoni di un complesso ed unico grandioso sistema di credenze e ritualistiche che predata l’arte della scrittura di almeno un migliaio di anni e forse più. Anche se non più utilizzati a scopi sacri e religiosi da moltissimo tempo, questi siti sembrano ancora adesso pervasi da un’energia mistica, riscontrabile anche dai visitatori più scettici e razionali.

    Per la gran parte di queste strutture lo scopo sembra palese: dolmen e triliti erano luoghi di sepoltura, come, per esempio, il sito di Newgrange, che presenta la parte interna completamente istoriata con disegni a spirale (fig. 2).

    Fig. 2. La parte interna del sito sepolcrale di Newgrange, in Irlanda, presenta decorazioni a spirale di cui si ignora tuttora il reale significato.

    Altri luoghi mostrano di essere templi sacri, come i celebri complessi di Stonehenge e Avebury. Per alcuni altri, invece, ancora oggi, non si è riusciti a intuire quale potesse essere la loro funzione. Una cosa è indubbia: la scelta del luogo dove innalzare queste strutture era deliberata, intenzionale. Questo è dimostrato, per esempio, da Stonehenge dove l’analisi geologica delle pietre che compongono il complesso ha rivelato che sono state tagliate a molti chilometri di distanza, nel Galles, e quindi trasportate, possiamo immaginare con quanta fatica, via acqua e terra fin sul luogo individuato come sacro. Imprese ancora più straordinarie, se solo si pensa che gli uomini che innalzarono queste strutture appartenevano a tribù che lottavano quotidianamente per la sopravvivenza, ma che, evidentemente, non avevano timore di dedicare tempo ed energia alla realizzazione dei loro luoghi cultuali, ritenuti di grandissima importanza per la loro vita spirituale.

    La collocazione così precisa di tutti questi monumenti religiosi ci pone di fronte ad almeno un paio di interessanti interrogativi. In primo luogo si è osservato che la maggior parte di essi risulta allineato con costellazioni stellari o planetarie. La qual cosa fa immediatamente sorgere la domanda: perché?, e poi come?. La straordinaria precisione di questi allineamenti dimostra in modo indubbio che i nostri antenati, presunti primitivi, possedevano in realtà una conoscenza astronomica che non possiamo neppure immaginare. In seconda battuta, si è scoperto che tutti questi siti corrispondono a luoghi in cui la forza tellurica terrestre è particolarmente attiva e si manifesta attraverso quella energia che è indagata e percepita dall’antica arte della rabdomanzia. Stando a Platone, gli antichi erano gente semplice, che non investigava i fenomeni della Natura, ma accettava le cose per com’erano e come venivano. Per questo se un luogo qualunque manifestava un richiamo mistico oppure un influsso potente, avvertibile nello sprigionarsi di energie magiche, lo veneravano istintivamente, senza porsi troppe domande. In noi, però, ne nascono almeno un altro paio. Primo: i nostri antenati erano in grado di distinguere ed apprezzare questi luoghi particolari in virtù della loro innata capacità di sentire l’energia tellurica? Secondo: la mistica coniugazione fra il senso del sacro e le forze telluriche nasceva soltanto da una mera fortuità?

    L’autore e rabdomante inglese Paul Devereux chiama questi posti luoghi della geografia sacra. Gli antichi Romani esprimevano un concetto simile riconoscendovi la presenza del genius loci, lo spirito del posto. Qualcosa che i siti religiosi neolitici manifestano in modo così potente da essere ancora tangibile e concreto ai nostri giorni. Non a caso, molti sensitivi e medium affermano di avvertire un’alterazione della consapevolezza quando visitano luoghi come Stonehenge, Avebury, Silbury Hill o Newgrange. Un’altra domanda ne scaturisce: questa alterazione psichica è la conseguenza dell’immanenza del genius loci, la forza tellurica del posto, oppure deriva dalla forte presa simbolica esercitata dalla struttura stessa? Oppure ancora è una singolare combinazione di questi due fattori e, magari, di qualche altro aggiuntivo, ma indefinibile?

    Silbury Hill

    Questo genere di strutture erano senz’altro simboliche, pur avendo noi perduto la chiave mistica in grado di svelarcene il senso. Prendiamo, per esempio, il sito di Silbury Hill. Per quello che oggi possiamo constatare, non è allineato con alcun corpo stellare, mentre rimane misteriosa la sua evidente correlazione con il vicino sito neolitico di pietre erette dell’altrettanto celebre Avebury.

    A Silbury Hill, la struttura risulta scavata all’interno della roccia, con il risultato di far venire alla mente dei ricercatori alcune strutture simili dell’antico Egitto. Gli scavi – condotti congiuntamente dai tecnici del Ministero dell’Ambiente e dall’Università del Galles del Sud – hanno evidenziato che l’opera venne realizzata esclusivamente tutta a mano e secondo tre fasi principali.

    La prima fase ha visto la creazione di un grande tumulo, il cuore interno, di circa 40 m di diametro. A questo se ne è poi aggiunto un secondo, che lo ha in pratica duplicato. Lo scavo per estrarre la pietra di gesso necessaria all’operazione ha dato origine ad un vasto fossato profondo oltre 6 m. A questo secondo strato ne è poi stato sovrapposto un terzo, considerato da esperti ed archeologi un lavoro di straordinaria fattura e per la realizzazione del quale sono state stimate più di quattro milioni di ore uomo di lavoro. Il gesso estratto dal profondo fossato è poi servito per la costruzione di un grande terrazzamento a sette strati, con tanto di pareti di contenimento.

    Infine, questa struttura piramidale a gradoni è poi stata ricoperta con terra e vegetazione per dare conformazione finale a quella che a noi compare come la collina neolitica di Silbury. L’aspetto esterno, quello che si vede, è quello di una protuberanza conica. All’interno invece, come detto, si configura una struttura a sette gradoni che sembra replicare il design esterno della successiva e più grande piramide a gradoni di Zoser a Saqqara, in Egitto.

    Ad oggi, nessun studioso è ancora riuscito a spiegare il perché della struttura settenaria interna e della copertura e dunque il vero scopo che portò i nostri antenati neolitici a realizzare il gigantesco tumulo di Silbury Hill giace nel mistero più fitto, né maggiore chiarezza riguarda il vicino sito di Avebury, altrettanto spettacolare.

    Lo sguardo dell’archeologia

    nelle antiche pratiche religiose

    Uno dei primi archeologi ad interessarsi del sito di Avebury è stato William Sukely, il quale nel 1743 ha descritto il posto come il Tempio del Serpente Alato. A suo dire, il disegno della struttura ricordava quello alchemico dell’energia sacra, una immagine voluta dalla casta sacerdotale per celebrare la sacralità del posto. Un’altra possibilità è riconoscere nei complessi congiunti di Silbury Hill e Avebury la celebrazione neolitica della divinità della Madre Terra. Una specie di grandioso, straordinario inno di gloria e riconoscenza alla Grande Madre. La cosa, in effetti, ben si allineerebbe con la maggior parte dei simboli ascrivibili a questa remota era, venuti alla luce nel corso delle investigazioni archeologiche condotte in Europa e nel vicino Medio Oriente.

    L’archeologia ha dimostrato che circa ventimila anni or sono – vale a dire, grosso modo, al tempo in cui gli ignoti artisti affrescavano le pareti delle grotte di Altamira, Lescaux, Montespan e quelle dell’Ariège – immagini della grande dea avevano incominciato a diffondersi un po’ in tutta l’Europa, dai Pirenei al lago Baikal, in Siberia. Sono state ritrovate statuette votive scolpite nell’osso, nella pietra e nell’avorio; piccole figurine di matrone e grandi madri, molte volte in chiaro stato di gravidanza, ornate con simboli allusivi come linee, triangoli, cerchi, zigzag, foglie e spirali⁶.

    Da quello che siamo riusciti a ricostruire, l’Homo sapiens incominciò a moltiplicarsi fruttuosamente in Europa al termine dell’ultima era glaciale, quando i ghiacci, che fino a quel momento avevano ricoperto il continente con uno spesso strato, avevano incominciato a sciogliersi e a ritirarsi. In questo frangente, gruppi di uomini non avevano esitato a mettersi sulle piste dei grandi branchi di animali commestibili che, sospinti dall’istinto, erano scesi a sud sciamando nelle grandi vallate della Dordogna, del Vézère e dell’Ariège, nell’attuale Francia. Corrisponde a questo momento la realizzazione delle statuette della dea e delle pitture rupestri sulle pareti delle grotte, nelle vaste regioni percorse da rocce calcaree.

    Le figurine, come detto, rappresentavano una divinità femminile, sempre nuda e molto obesa, incinta, come se il grande mistero del femminino si concentrasse soltanto in quello altrettanto grandioso della fertilità, della gravidanza e della nascita. Alcuni di questi manufatti erano colorati con l’ocra rossa, evidente richiamo al sangue, che è fonte della vita. Certi esemplari di queste statuette sembrano essere stati modellati per essere infissi nel terreno, anche se ci è ignoto⁷ per quale finalità rituale.

    Un esempio unico e particolare di queste statuine raffiguranti la Madre Terra è venuto alla luce a Laussel, Dordogna, in Francia, un sito non distante dal complesso di grotte di Lascaux. La figurina è ricavata in un pezzo di roccia calcarea, lavorata con arnesi di silice. Nella mano destra trattiene un corno di bisonte, che ricorda il crescente lunare. Su questo oggetto compaiono tredici punti, simbolo dei tredici giorni della Luna crescente e dei tredici mesi lunari che compongono l’anno. La mano sinistra è atteggiata ad indicare il ventre, gonfio della gravidanza⁸. Il professor Joseph Campbell, una riconosciuta autorità nel campo della mitologia, intreccia un vivido collegamento fra le fasi lunari ed il mistero della nascita, quando scrive:

    Le fasi della Luna al tempo dell’uomo dell’Età della Pietra erano le stesse di oggi, dell’uomo moderno, e la stessa cosa vale per la durata della gravidanza. È possibile che la prima osservazione che innestò nella mente dell’uomo primitivo il principio d una mitologia legata al mistero che pervade le cose terrene e celesti, riguardasse il collegamento esistente fra fattori analoghi, ma appartenenti ad ordini diversi: il misterioso manifestarsi nel cielo della Luna crescete e l’altrettanto misterioso formarsi del feto nel ventre femminile nel periodo della gravidanza

    Non sembra difficile classificare questo genere di creazioni – come, d’altra parte la maggior parte dei musei che ne conserva una tende da sempre a fare – etichettandole come statue di donna o, altrettanto sbrigativamente, come simbolo di fertilità, definizioni che non sono scorrette. Peccato che la ristrettezza di queste definizioni manchi di cogliere il cuore del problema. Come studiosi attenti del calibro di Baring e Cashford evidenziano, in realtà in queste statuine si coglie anche un aspetto di ordine spirituale, in quanto la manifestazione del mistero della nascita non è soltanto la dimostrazione di come la vita si concretizza nel mondo, ma qualcosa di più, che va oltre, ossia il non manifesto che si palesa e diventa manifesto, come l’invisibile e lo spirituale che informando la materia si fanno sensibili e tangibili. Questo è anche il motivo per cui tali figurine sono state identificate in deità dal ventre gravido, portatore di vita, alimento e al tempo stesso principio rigenerante dell’esistenza stessa.

    Poi dal Paleolitico si transitò nel Neolitico quando il progresso dell’umanità registrò un balzo decisivo abbracciando due momenti fondamentali: la coltivazione delle piante e la domesticazione degli animali, due conquiste che permisero di dare corso alla fondazione delle città e, da lì, far nascere la civiltà così come la intendiamo e la conosciamo. Sulla base di queste titaniche affermazioni, l’uomo è poi andato incontro all’invenzione che ne ha completamente trasfigurato l’esistenza, consentendogli non solo di tenere conto del passato, ma di cogliere l’importanza del suo progredire come essere pensante, senziente, sensibile e sociale, mi riferisco – ma l'avrete già intuito – alla invenzione della scrittura.

    Le prime memorie storiche

    Grazie alle registrazioni scritte possiamo ora apprendere in forma diretta dalla voce dei nostri antenati come vivevano ed erano organizzati, quali erano le loro gerarchie sociali, riuscendo anche ad intravedere quali potevano essere le credenze religiose e le aspirazioni spirituali. È in questo momento – con il sorgere delle civiltà babilonese ed egizia – che ci accorgiamo come non è soltanto il sistema sociale umano a svilupparsi con grande slancio, andando incontro ad una grandiosa complessificazione, ma anche tutto l’altrettanto articolato sistema delle convinzioni religiose. La religione inizia a definire ritualistiche, cerimoniali, pratiche e credenze che vengono meticolosamente registrate, consentendoci, con una valutazione comparata, di confrontare i diversi sistemi e le differenti culture. E il risultato è, a dir poco – almeno per i cristiani devoti – sorprendente, nel momento in cui si prende nozione di una continuità quasi straordinaria con le cerimonie, i riti e il simbolismo ancora in auge oggi. Ecco, concordando, che cosa scrivono Baring e Cashford:

    Fra i labirintici percorsi delle grotte del Paleolitico al labirinto del pavimento centrale della cattedrale di Chartres esiste un distacco temprale di circa 25 mila anni, tuttavia questo sembra non avere alcuna importanza per l’identità simbolica che, in pratica, azzerando il tempo, li rende coevi nello spirito. Gli uccelli in volo delle tombe dell’isola di Malta si agganciano simbolicamente… alle colombe della dea sumera Inanna, dell’egizia Iside, della greca Afrodite, alla colomba candida dello Spirito Santo¹⁰

    Dunque, col nascere delle grandi civiltà del passato – Babilonia, Sumer, Egitto – assistiamo non solo ad un progressivo sviluppo sociale, organizzativo e legislativo, ma anche alla raffigurazione, con graffiti, sculture in pietra e tavolette di argilla, delle immagini di divinità, dèi e dee, e di cose ed oggetti, intesi come simboli carichi di un profondo significato spirituale, quali per esempio l’albero della vita ed il serpente, rappresentazione del dono divino della sapienza o della sacra gnosi.

    L’avvento del politeismo

    La nascita e lo sviluppo della civiltà è il preannuncio della fine del monopolio religioso della Grande Dea, la Madre Terra, che viene ora raggiunta nel pantheon celeste da altre divinità, come dal consorte e dal figlio. Presso tutti i centri emergenti di sviluppo umano – indipendentemente dal momento e dal luogo – viene grandemente venerato un corpo di credenze che riconoscono l’origine divina del prezioso dono dell’agricoltura, il salto di qualità che ha permesso all’umanità di incamminarsi lungo la strada della civiltà. E, attenzione, questo riconoscimento, questo processo, non si è fermato o limitato alle grandi civiltà di cui si è detto, ma ha interessato e interessa tutti i popoli e le culture.

    Molte sono le mitologie in cui si parla dell’origine misteriosa e divina dell’agricoltura e dell’artigianato¹¹. In particolare, il professor Campbell illustra quelle degli Indiani del Nord America e dei popoli della Polinesia, presso i quali si riconosce, senza mezzi termini, la natura divina dell’agricoltura, vista come un munifico dono degli dèi. Poiché è assolutamente provato che fra questi due diversi gruppi umani non sono mai esistiti contatti di sorta, la rassomiglianza di queste loro convinzioni religiose che li accomunano è a dir poco sorprendente. Tuttavia, si tratta di qualcosa perfettamente in linea con ciò che raccontano anche i miti di tutte le altre antiche civiltà, che non esitano a sostenere la scaturigine superiore di molte delle abilità e delle capacità espresse dall’uomo.

    Il profeta persiano Zaratustra – il fondatore dello Zoroastrismo – ammetteva di aver avuto la conoscenza delle tecniche agricole per bontà divina, dal dio Sole, Ahura Mazda. In Egitto tocca al dio Osiride – giudice dell’oltretomba e contemporaneamente fratello e sposo di Iside, la dea della fertilità – il merito di aver insegnato al popolo come coltivare il prezioso grano; il dio greco del vino e della fertilità Dioniso gira in lungo e in largo per tutta la Grecia e nelle isole per far conoscere la bontà e le delizie del prodotto ricavato dalla spremitura dell’uva. Analoghe radici vengono anche riconosciute alle leggi, ai principi normativi che hanno contribuito in modo determinate all’imporsi della civiltà. Gli esempi più tipici sono quelli di Mosè, che conduce il suo popolo fuori dalla terra d’Egitto, affrancandolo dalla lunga schiavitù e riceve le Tavole della Legge sul Monte Sinai; Hammurrabi, il re di Babilonia che unifica le leggi della sua gente e quelle dei precedenti Sumeri e dice di essere stato ispirato in questa azione di sintesi dal dio Shamash in persona; Numa Pompilio, il secondo leggendario re di Roma, che rivela di incontrarsi regolarmente con la divina ninfa Egeria per ricevere da lei ispirazione nel definire le istituzioni e le ritualistiche della religione praticata dal suo popolo¹².

    La scintilla della consapevolezza

    Il plurisfaccettato problema relativo ad un’accurata ricostruzione della straordinaria storia dei nostri antichi progenitori è ulteriormente complicato dalla nostra riluttanza – o, se si preferisce, non volontà – di ammettere che l’uomo stesso faceva parte integrale del processo evolutivo. Qualcosa che non si limitava ad esprimersi soltanto sul piano biologico, ma anche dell’intelletto e della coscienza. L’antropologo e teologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin identifica questo processo di graduale evoluzione della mente e delle sue qualità con un atto creativo continuo, scaturito come risultato dell’incessante accumularsi delle funzioni della coscienza e del pensiero, elemento che costituisce la chiave di volta per poter comprendere non solo l’autentico percorso lungo il quale si è instradata la civiltà dell’uomo, ma anche per poterne conoscere il futuro.

    Lo psicologo Julian Jaynes afferma che nell’era neolitica la coscienza umana era così saldamente interfacciata col divino che l’uomo interloquiva ed obbediva ai comandi dei celesti che letteralmente udiva, nello stesso modo in cui gli schizofrenici parlano delle loro voci. Jaynes descrive la conquista della consapevolezza come una discesa da questa condizione di compartecipazione col divino, un processo che passo dopo passo ci ha consentito di approdare all’attuale grado di indipendenza e complessità di pensiero scientifico¹³. Questa discesa divina della consapevolezza – le cui tracce restano della differenziazione fra i due lobi del nostro cervello – esercitò anche una forte influenza nella comprensione del simbolismo sacro. Tuttavia, come ho già detto, dobbiamo affrontare i problemi con un certo coraggio se intendiamo per davvero tentare di comprendere quali erano le concezioni spirituali dei nostri antenati.

    È sempre difficile sradicare dalla mente le idee precostituite, quelle credenze che si sono stratificate nel corso dei millenni e che, inevitabilmente, esercitano una forza che porta a distorcere la vera comprensione di molti concetti legati alla rappresentazione simbolica, specie se abbiamo a che fare con immagini che hanno anticipato di molto la cultura cristiana. Prendiamo, per fare un esempio concreto, il simbolo del serpente, che presso la tradizione babilonese e sumera era la raffigurazione della saggezza o del dono divino della conoscenza sacra, la gnosi. Due serpenti avvinghiati attorno ad un bastone costituivano il simbolo della dea sumera Ningizzida, ma erano anche il caduceo, emblema inconfondibile del dio greco Hermes, il messaggero degli dèi (fig. 3). Anche un altro dio greco, Asclepio patrono dell’arte medica, esibiva questo segno distintivo¹⁴.

    Fig. 3. L’immagine di due serpenti avvinghiati intorno a un bastone ricorre in molte radizioni religiose: per i Sumeri identificava la dea Ningizzida, per i Greci simboleggiava sia il dio Hermes, il messaggero degli dèi, sia Asclepio, il dio della medicina. Per tutti era comunque il simbolo della saggezza e della conoscenza sacra, la gnosi.

    Ma oltre duemila anni di cultura cristiana hanno completamente snaturato questo simbolo, imprimendo nelle nostre coscienze l’idea che il serpente possegga una valenza negativa e rappresenti il diavolo o il peccato originale. Ebbene, convincimenti come questo devono essere immediatamente sradicati, se vogliamo cogliere la vera essenza delle antiche conoscenze. Senza parlare, poi, di tutto quel bagaglio di convinzioni errate che il cristianesimo in genere si porta appresso, vale a dire, in primo luogo, il pensiero di essere una religione originale, che non ha avuto alcun precedente.

    Una prova lampante che non è, né avrebbe potuto essere, così sono i tanti attributi che nella Sumeria del 3500 a.C. venivano riconosciuti alla dea Inanna. A seconda dei casi, veniva detta Vergine Regina dei Cieli, Luce del Mondo, Stella del Mattino, Stella della Sera, Colei che perdona i peccati e via dicendo, tutti attributi che nella liturgia della Chiesa di Roma vengono recitati, salmodiando, nelle litanie dedicate alla Beata Vergine Maria, la madre di Cristo. Ad Inanna, poi, erano sacri i simboli del crescente lunare e della stella della sera, l’astro che noi chiamiamo Venere, gli stessi della Vergine Maria¹⁵.

    Identica fraseologia e stesso simbolismo contraddistinguevano anche un’altra divinità importante, la sumera Ishtar, i cui grandiosi templi, innalzati in luoghi sopraelevati, erano decorati con la stella a cinque punte e con delle rosette. Ishtar aveva un figlio destinato ogni anno a morire. In autunno il giovane Tammuz discendeva agli inferi, ma solo per risalire in superficie, nella gloria più piena per riportare sulla Terra il rinnovellarsi della vita, col sopraggiungere della primavera. Tammuz era conosciuto come il figlio della vedova, un termine che è risuonato lungo i millenni, trasmettendosi dalla Sumeria alla civiltà dell’Egitto faraonico ed ancora oggi carico di simbolici significati, specie nell’ambito della Fratellanza massonica. La mitica figura del giovane Tammuz è una delle prime immagini di un dio che affronta una morte sacrificale per poi rinascere e ritornare alla vita; un essere radioso che raffigura assai bene l’aspetto vitale del percorso spirituale, vale a dire la morte, la conclusione delle cose terrene del mondo temporale e la successiva rinascita nel mondo dello spirito, una caratteristica essenziale in tutti i cammini d’iniziazione.

    Dunque, nelle antichissime tavolette incise di Sumeria e Babilonia, già apprezziamo con chiarezza concetti di natura spirituale che hanno attraversato i secoli intatti ed incorrotti, espressi in forme sintetiche e simboliche, capaci di esercitare una grande influenza in tutte le civiltà successive, da quella egizia, a quella biblica del giudaismo e, tramite queste, il cristianesimo, in tutte le sue mille sfaccettature.

    ¹Colin Wilson, The Occult, London, Grafton Books, 1979, p. 38 (trad. it. L’Occulto, Roma, Astrolabio, 1975).

    ²2 Jacob Bronowski, The Ascento of Man, Little Brown, Arkush, 1974, p. 31.

    ³Ivi, p. 54.

    ⁴ Mircea Eliade, Shamanism, Princeton, Princeton University Press, 2004, p. 19.

    ⁵Paul Devereux, Places of Power, London, Blandford, 1990, p. 11.

    ⁶Anne Baring – Jules Cashford, The Myth of the Goddess, London, Penguin, 1993, p. 3.

    ⁷Ivi, p. 6.

    Ibid.

    ⁹Joseph Campbell, The Way of Animal Powers, London, Times Books, 1984, p. 69.

    ¹⁰ Anne Baring – Jules Cashford, The Myth of the Goddess, cit. p. 42.

    ¹¹ Trevor Ravenscroft – Tim Wallace Murphy, The Mark of the Beast, London, Sphere Books, 1990, p. 43 (trad. it. Il potere occulto della lancia del destino, Roma, Newton & Compton, 2002).

    ¹² Ivi, p.44.

    ¹³Julian Jeynes, The Origin of Consciuousness in the Breakdown of the Bicameral Mind, London, Penguin, 1993, pp. 83-94 (trad. it. Il crollo della mente bicamerale e la nascita della coscienza, Milano, Adelphi, 1984.

    ¹⁴ Anne Baring – Jules Cashford, The Myth of the Goddess, cit. p. 43.

    ¹⁵ Ivi. pp. 176, 177.

    2

    L’eredità dell’antica gnosi egizia

    La stupefacente civiltà dell’antico Egitto ci ha lasciato in eredità una massiccia quantità di testi scritti e di testimonianze architettoniche e archeologiche, che sono risultati molto influenti nei confronti delle tre grandi religioni rivelate del mondo, vale a dire giudaismo, cristianesimo e islamismo. Assai singolarmente, la civiltà egizia sembra essere sorta quasi d’incanto, già plasmata, come se non fosse stata preannunciata da fasi propedeutiche e di gestazione, come se lo splendore delle sue architetture e della sua scrittura geroglifica fosse nato senza precedenti, sbocciato come dal niente. Nei cosiddetti Testi delle Piramidi – che sono le più antiche testimonianze di letteratura esoterica che conosciamo – si parla con insistenza di Tep Zepi, il Primo Tempo, quello del leggendario dio Osiride, quando la terra d’Egitto era governata dagli dèi in sembianze d’uomini, generosi donatori della conoscenza sacra, manifestata nel complesso insieme delle avanzate ed accurate conoscenze di astronomia.

    Due, per lo meno, gli interrogativi spontanei: da dove scaturiva, in quell’Egitto preistorico, una conoscenza del firmamento così scrupolosa e precisa? Secondo: quando si registrò il Primo Tempo e dove?

    A rispondere alla prima domanda

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