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Plight: Promessa di matrimonio
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E-book267 pagine3 ore

Plight: Promessa di matrimonio

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Info su questo ebook

Plight [plahyt]
Sostantivo: una situazione difficile, o spiacevole.
Verbo: impegno o promessa solenne. Fidanzamento ufficiale prima del matrimonio.
Mi sono promessa a un uomo. Beh, tecnicamente a un ragazzo. Avevamo otto anni ed eravamo vicini di casa. Mi ha regalato un Cheezel, me lo ha infilato al dito e mi ha chiesto di sposarlo.
Quel Cheezel me lo sono mangiato.
Ho anche risposto di sì, ma che avremmo dovuto aspettare finché non avessimo avuto trent’anni.
La scorsa settimana ne ho compiuti trenta e adesso lui vuole riscuotere quella promessa.
A parte gli scherzi, Elliot Parker è matto se pensa che, di punto in bianco, con un messaggio privato su Facebook, possa stipulare il diritto vincolante di un accordo contrattuale verbale, che suggellerà il nostro fidanzamento del cazzo, di ventidue anni fa.
Matto.
Però, chissà se è davvero come nella foto del profilo?
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788893125994
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    Anteprima del libro

    Plight - K.M. Golland

    1

    Messaggio Privato da Elliot Parker.


    Miss Danielle Cunningham

    RE: Obbligo Contrattuale


    Le sto scrivendo in relazione a un contratto vincolante stipulato tra me e lei il 7 maggio 1995, dietro l’albero di limoni di Cassia Place 23, Coldstream, altrimenti conosciuta come sua casa d’infanzia.

    Quel giorno lei accettò la mia proposta di matrimonio, la quale, secondo i suoi termini e le sue condizioni, fu intentata ventidue anni fa a partire da suddetta data.

    Secondo la legge australiana, ai sensi della Competition and Consumer Act 2010, la proposta, il consenso e il patto concordato costituiscono un contratto legalmente vincolante; pertanto, vorrei fissare un appuntamento per incontrarla di persona e discutere i dettagli delle nostre nozze incombenti.


    Cordiali saluti,

    Elliot Parker


    Che. Cazzo. È. ’Sta. Roba?

    Quello era il messaggio privato che avevo ricevuto su Facebook due giorni prima da Elliot, alias Lots (il nomignolo che gli diedi quando eravamo due ragazzini) Parker. Non ci parlavamo da diciassette anni, da quando lui aveva cambiato casa e avevamo preso strade diverse, quindi quel messaggio era uscito dal nulla.

    Dal NULLA.

    Ad ogni modo, questa fu la mia risposta:


    Danielle:

    Ah ah ah. LOTS! Ciao! Wow! La tua memoria è esemplare. Come stai? È da tanto che non ci sentiamo. Cos’hai combinato in tutti questi anni?


    Come qualsiasi persona normale, avevo preso quella breve tiritera giuridica come uno scherzo, perché chi può scrive qualcosa del genere in un messaggio di Facebook e aspettarsi che qualcuno pensi che sia legittimo? Lui, a quanto pare.


    Elliot:

    In previsione di diventare tuo marito, mi sono laureato in legge e adesso sono socio di uno studio legale del CBD ¹.

    Come stai? Pronta a fare il grande passo?


    Danielle:

    L’hai fatto per me? Sono assolutamente senza parole, lol.

    Scherzi a parte, Elliot, è meraviglioso. Davvero meraviglioso. A quanto pare tutto il tuo duro lavoro ha dato i suoi frutti. Buon per te.

    Se sono pronta a fare il grande passo? NO! Sono felicemente single. E tu? Ti sei sposato? Hai bimbi?


    Elliot:

    Ti prometto anche che avrai una bella vita matrimoniale. E no, naturalmente non sono sposato. Come potrei sposare te se fossi già fidanzato con un’altra?

    Bambini? No. Anche se, probabilmente, avremmo dovuto discutere ventidue anni fa se averne.


    A quel punto tutta la sua eccentricità aveva iniziato a trasformarsi gradualmente in puoi-smetterla-con-tutta-questa-stronzata-del-matrimonio. Era eccessivo. Strano. D’altra parte, Elliot era sempre stato esuberante, eccentrico ed eccessivamente melodrammatico. Da ragazzini quella era stata una cosa piuttosto figa, ma da adulti non molto.


    Danielle:

    Non hai intenzione di obbligarmi a mantenere fede a questo accordo verbale, vero? Cioè… ho già digerito l’anello di fidanzamento, lol, quindi l’accordo dev’essere annullato.


    Come minimo, mi aspettavo una grossa risata in risposta – la mia battuta era divertente – ma così non fu. Nemmeno una emoji che rideva con le lacrime.


    Elliot:

    La digestione del tuo anello di fidanzamento non annulla il contratto. L’anello è un oggetto simbolico esclusivamente ornamentale.


    Danielle:

    Oh, davvero? Beh, ti avverto: non so cucinare e ho gusti costosi.


    Devo ammetterlo, anche se con lui ero stata al gioco, mi aveva fatto venire un po’ i brividi, così lasciai la conversazione com’era. Ormai erano passate quarantotto ore e c’era un numerino rosso, un due, attaccato al bollino di Messenger con la sua immagine, nella mia lista di messaggi in arrivo; una specie di pupilla rossa, sfrontata, fastidiosa, difficile da ignorare. Però non vi cliccai sopra. Cliccarci su avrebbe significato fargli sapere che lo avevo letto, ed era buona educazione rispondere a un messaggio se lo leggevi. Invece, non replicare era un segnale evidente che lo stavi ignorando di proposito, o eri solo troppo impegnata. Forse dovrei fare così?

    Ripiegai di lato le gambe sottili come due stecchini e mi accoccolai nell’enorme poltrona a sacco di Chris, il mio coinquilino. Era giovedì sera e lui era fuori città. Giocava a football per gli Essendon Bombers e la partita di quella settimana l’avrebbero disputata a Sydney.

    Noi abitavamo a Melbourne.

    Mi piaceva quando la squadra giocava in trasferta. Significava che potevo avere del tempo indisturbato solo per me sulla mia poltrona a sacco preferita, con la mia copertina non-umana preferita: il mio carlino, Dudley.

    Ero la store manager del merchandising degli Essendon Bomber, ed è stato per questo che ho conosciuto Chris. Era tristemente famoso per essere il puttaniere della squadra, il loro giocatore playboy. Quando alcuni dei suoi colleghi si sentirono costretti a effettuare un intervento – altrimenti noto come Operazione Castrazione Chris – mi supplicò di dividere l’appartamento con lui perché, parole sue, abitare con una pollastrella che non poteva scoparsi avrebbe messo fine alle sue abitudini da zoccola.

    Beh, in realtà avevamo scopato.

    Ma solo una volta.

    Ma poi non ne abbiamo mai parlato, perché era sbagliato per così tanti motivi. Tanto per cominciare, Chris non era il mio tipo. Era decisamente troppo presuntuoso e sgualdrina, e pigro, e irritante. Ma cavolo se sa cucinare. E, strano a dirsi, la nostra convivenza funzionava proprio. Io tenevo la casa in ordine e gli impedivo di portare a casa donne usa e getta, e lui mi nutriva.

    Una grande conquista.

    Cliccai sull’immagine del profilo Facebook di Elliot, seguita da un gruppo di altre foto, sollevai la tazza di tè chai e ne bevvi un sorso. Si congelava fuori, essendo inverno e tutto, e poiché Chris si era, guarda caso, dimenticato di riempire di nuovo la nostra catasta di legna, non faceva nemmeno caldissimo in casa. Sabato, al suo ritorno, gli avrei fatto davvero del male. O meglio, prima gli avrei nascosto gli integratori di proteine, e poi lo avrei picchiato.

    Mi strinsi la tazza al petto, e il calore mi offrì una minima tregua dal gelo nell’aria; ma ciò che aiutò anche a scongelare la mia acidità fu la versione più vecchia e molto attraente di Elliot che, in quel momento, stavo osservando sul telefono. Sfortunatamente era l’unica foto che aveva caricato.

    Dire che era notevolmente cambiato dall’ultima volta che lo avevo visto era un eufemismo. La chioma corvina arruffata e la tipica spolverata di acne giovanile erano sparite, rimpiazzate, invece, da un corto e sofisticato taglio di capelli alla moda ancora nero come l’asso di picche. La pelle era perfetta, sebbene fosse gettata leggermente in ombra dalla ricrescita di una barba tarda.

    Sorrisi e mi diedi un colpetto sulle ginocchia perché Dudley vi saltasse sopra. Aveva appena terminato la sua cena e si stava leccando i baffi come un piccolo maniaco soddisfatto.

    «Vieni a conoscere Lots, Dudley. È affascinante in qualsiasi modo lo guardi!» Risi e abbracciai il mio bimbo a quattro zampe, ma fui troppo lenta per schivare la sua imprevedibile lingua che odorava di carne. «Che schifo! Dudley, smettila.»

    Si sistemò nel suo spazio preferito, tra il mio sedere e i miei piedi, e manifestò la sua disapprovazione con un ringhio mezzo sbuffato.

    «Come? Sei geloso? Non devi. Sei ancora tu l’amore della mia vita. Te lo prometto… anche se il tuo fiato è gradevole quanto un mattatoio.» Me lo tirai delicatamente tra le braccia. «Vieni qui. Guarda tu stesso Lots.»

    Passai il braccio attorno a Dudley, e sistemai il telefono in modo che potessimo vedere entrambi lo schermo.

    Occhi azzurro ghiaccio ci stavano fissando, occhi che avevano sempre avuto la capacità di incantarmi, anche solo per un brevissimo secondo. Erano decisamente una cosa che non era cambiata in lui, sin dall’infanzia; ed erano anche la prima caratteristica in assoluto che avessi notato di Elliot Parker, il giorno in cui si era trasferito alla porta accanto. Ricordo di aver pensato, con tutta la saggezza dei miei cinque anni, che fosse una specie di essere mistico in incognito, tipo un grosso folletto mandato a mescolarsi con il genere umano, al fine di fare rapporto al Re dei Folletti.

    Quegli occhi non dovevano far parte di questo mondo, e neppure adesso.

    Incapace di ignorare ancora quell’appariscente due rosso di Messenger, picchiettai sull’icona tonda di Elliot.

    Il primo messaggio era in risposta ai miei gusti costosi e alla prospettiva di un anello di fidanzamento più raffinato, ma fu il secondo, mandato il giorno successivo, che suscitò parecchio la mia curiosità.


    Elliot:

    Guadagno abbastanza da soddisfare i tuoi gusti costosi, quindi non preoccuparti. ;)


    Elliot:

    Ti ho spaventata? Scusa. Forse dovrei spiegarmi meglio, così da non sembrare che ti stia stalkerando da diciassette anni, perché non è così. Voglio soltanto chiarire la cosa.

    Ti ricordi il giardino pubblico costruito dalle nostre madri in memoria del signor Hillier? Beh, l’amministrazione locale ha emesso un avviso di demolizione per motivi di manutenzione inadeguata. Ho presentato un’obiezione ed è stata concessa una sospensione temporanea, a patto che il sito soddisfi le normative entro sessanta giorni a partire dalla data di emissione.

    Quando mia madre ha accennato che tu e la signora Cunningham eravate state coinvolte nella ristrutturazione del nuovo giardino, mi sono sentito in dovere di cercarti. È stato allora che mi sono accorto della data e mi sono ricordato del nostro patto.


    Ripeto, che cazzo è ’sta storia?

    Primo, quella era la prima volta che sentivo parlare di un mio coinvolgimento in quello che aveva tutta l’aria di essere un progetto enorme. Grazie, mamma. Secondo, non potevo credere che l’amministrazione locale volesse demolire il nostro giardino. Quella notizia fu un colpo al cuore, per me. Non potevano distruggerlo. Era speciale. E, terzo, l’emoji che fa l’occhiolino fu il primo segnale a indicare che lui non aveva perso senso dell’umorismo.

    Almeno lo speravo.

    Ero sul punto di digitare una risposta, quando il telefono iniziò a saltellarmi in mano, con l’immagine di mia madre che mi fissava.

    Spinsi il vivavoce. «Ti fischiavano le orecchie?»

    «Ma ciao, cara. Il modo corretto per rispondere al telefono è dire pronto. Avrei potuto essere chiunque, sai?»

    Scossi la testa e sorrisi. «No, non potevi, mamma. Sapevo che eri tu.»

    Lei rise. «Oh, quindi adesso sei una sensitiva?»

    «Nooooo…» Strizzai gli occhi e scossi di nuovo la testa. «Lasciamo perdere. Allora, cos’è questa storia che ho sentito sul dover ristrutturare il giardino del signor Hillier altrimenti verrà demolito, e che saremo noi a ristrutturarlo? Quando pensavi di dirmelo?»

    «Adesso, a dire il vero, ma i tuoi nuovi poteri paranormali ti hanno permesso di battermi sul tempo.»

    «Non sono una sensitiva, mamma. L’ho scoperto da Elliot Parker.»

    «Ahh, sì, il figlio di Helen. Davvero un ragazzo meraviglioso. Lo sapevi che è un famoso avvocato? Ha fermato la demolizione, così potremo sistemare il giardino,» sospirò tristemente, in modo un po’ teatrale. «Ho sempre pensato che voi due avreste finito per sposarvi e darmi dei nipotini, come pensava anche Helen.» Il lato da strega di mia madre, quella risatina cantilenante, la interruppe per un istante. «Credo che lei ci speri ancora.»

    Sbuffai. Forte. «Mamma! Il giardino. Qual è il problema?»

    «Okay, okay. Accidenti. A partire da questo fine settimana abbiamo intenzione di lavorare senza sosta sulla sua ristrutturazione. Dal momento che io e Helen figuriamo come le fondatrici, spetta a noi assicurarci che la ristrutturazione abbia successo, altrimenti verrà demolito.»

    «Cos’è successo al giardino? L’ultima volta che l’ho visto non era male.»

    «Quand’è stata l’ultima volta che sei andata a vederlo, Danielle?» Il suo tono onnisciente era critico verso la mia risposta, e ben giustificato: era passato un bel po’.

    «Non so… forse un anno, o giù di lì?»

    «Prova con almeno cinque.»

    «Assolutamente no!»

    «Assolutamente sì. Saranno passati due anni per me, e io abito qui."

    Schiacciata dal senso di colpa, abbracciai Dudley un po’ più stretto, per rassicurarmi. Il giardino era speciale per la famiglia di Elliot e per la mia, e noi lo avevamo trascurato. Mi sentii in colpa.

    «Quanto è grave la situazione?» chiesi, la mia voce poco più di un sussurro.

    «Beh, le aiuole non si distinguono più, sono state inghiottite dalle erbacce. Il casotto è marcio, le finestre rotte e le pareti sono state sfondate a suon di calci e ricoperte di graffiti.» Mamma si interruppe. «E, naturalmente, qualche mascalzoncello irriverente, con nient’altro di meglio da fare, ha lordato la targa del signor Hillier. È anche piuttosto probabile che l’eucalipto sia morto, o quantomeno parzialmente morto.»

    «Merda! Allora c’è parecchio da fare, no?»

    «Già, tesoro, parecchio. E noi lo dobbiamo al signor Hillier, dobbiamo sistemare le cose. Siamo anche in debito con Elliot, che ha compiuto la sua magia e ci ha concesso questa seconda possibilità.»

    Feci cenno di sì con la testa, aveva ragione. Quello che Elliot aveva fatto per le nostre famiglie, per la comunità di Coldstream e per la memoria del signor Hillier era fantastico. Aveva combattuto per tutti noi, sapendo quanto fosse importante il giardino.

    Di punto in bianco, lui non mi sembrò più così inquietante.

    «Okay, mamma. Allora, a che ora iniziamo sabato mattina?»

    «Arriva qui alle sette in punto. E porta una vanga. Ti voglio bene.»

    «Io non ho una van…» Prima che potessi terminare la frase, aveva già riagganciato. Alle sette di sabato mattina? Mi prendi in giro? Uff! Addio drink del Grazie-A-Dio-È-Venerdì, dopo il lavoro.

    2

    Messaggio da Danielle Cunningham


    Lo ammetto, per un minuto o due sono stata un po’ incerta sulle tue capacità di farmi accapponare la pelle. Mi hai fregato per bene, Lots, lol. Ci vediamo sabato.


    La prima volta che mi sono innamorato di Danielle Cunningham avevo otto anni. Non era la ragazzina più popolare a scuola, ma era la più bella, dentro e fuori. Per questo mi ero innamorato di lei, perché era gentile e premurosa. Soprattutto, ci teneva a me e a quello che avevo da dire.

    A poche persone importava.

    Aveva anche un nasino a patata molto carino, le guanciotte rosse, capelli castano scuro che mi ricordavano quei riccioli di cioccolato che a volte mettevano sopra le torte di compleanno, e sopracciglia folte che somigliavano a piccoli bruchi. Alcuni bambini l’avevano presa in giro per quei bruchetti in viso, ma io ho sempre pensato che fossero mitici. Unici.

    La seconda volta che mi sono innamorato di lei fu quando si mangiò il mio anello di Cheezel e disse che mi avrebbe sposato. Il matrimonio è un grande impegno per chiunque, figuriamoci per una bimba di otto anni, e adesso avevo intenzione di divertirmi un po’ con quella promessa, forse anche di farle mantenere la parola data. Lei è stata la prima ragazza che io abbia mai amato, l’unica.

    Per quanto riguarda la terza volta, beh… non c’era ancora una terza volta, però sapevo che ci sarebbe stata. Lo sapevo, perché tutto il mio corpo era appena diventato un blocco di ghiaccio, che poi si era sciolto piano piano nel momento in cui lei era scesa dal suo vecchio Maggiolino Volkswagen, con indosso un grosso berretto grigio che era davvero troppo grande per la sua testa. Quindi, se alla sola vista poteva fare quell’effetto a un uomo adulto, un uomo che non la vedeva da diciassette anni, allora sì, significava essersi innamorato di Danielle Cunningham per la terza volta.

    Era solo una questione di quando.

    Distolsi goffamente lo sguardo e lo posai sul mucchio di rottami di legno che avevo tra le mani guantate, e subito rimpiansi quella decisione perché Danielle era molto meglio da guardare; tornai velocemente a osservarla mentre faceva qualche passo verso di noi, prima di soffermarsi al limitare del giardino. Con la punta del piede toccò alcune pietre nel punto in cui un sentiero di mattoni, con curve perfette, un tempo serpeggiava attraverso piante e fiori dai colori vivaci.

    Ormai non più.

    Mi si attorcigliò lo stomaco quando colsi lo sguardo addolorato sul suo viso, perché era lo stesso che avevo avuto io qualche attimo prima, quando mi ero fermato nel punto in cui si trovava lei. Le condizioni penose del nostro giardino commemorativo erano una pugnalata al cuore e uno schiaffo bello forte in faccia, e quei precisi sentimenti erano messi in evidenza dai suoi occhi color caffè, sgranati, che erano sul punto di sciogliersi mentre le lacrime minacciavano di rigarle le guance.

    La mascella di Danielle cadde al rallentatore e la sua bocca formò una O, le spalle si abbassarono pesantemente, le braccia inerti lungo i fianchi. Ogni cellula del mio corpo desiderava avvolgersi attorno a lei e dirle che lo avremmo riparato, che avremmo restituito il giardino al suo antico splendore e reso omaggio e gratitudine al signor Hillier, come meritava. Gli dovevamo questo e molto di più.

    Gli dovevamo le nostre vite.

    Quando avevamo solo dieci anni, il signor Hillier aveva sentito le nostre grida d’aiuto terrorizzate, e aveva attraversato una piena improvvisa che aveva velocemente trasformato il nostro giocare a nascondino lungo il canale di scolo in una questione di vita o di morte. Eravamo rimasti intrappolati sottoterra, dietro una grata di metallo a protezione del condotto fognario nel quale ci introducevamo spesso, dopo che non eravamo riusciti a ritornare all’entrata. La piena era aumentata in modo violento, impenitente, e aveva raggiunto velocemente la sporgenza sopra la quale io e Danielle ci eravamo abbarbicati.

    Rievocare quel ricordo mi provocava ancora un brivido freddo lungo la schiena, persino dopo vent’anni. Era stata l’esperienza più spaventosa della mia vita guardare impotente il feroce mostro d’acqua che ci dava la caccia.

    Grazie al cielo, il signor Hillier – a quel tempo un giardiniere del quartiere – aveva una catena con un piccolo argano nel suo camioncino e in quel modo era riuscito a sbloccare la grata di metallo dal calcestruzzo nel quale era racchiusa, liberandoci.

    Non scorderò mai quel giorno, non scorderò mai il livello di paura che una persona può provare, ma, soprattutto, non dimenticherò mai il signor Hillier, motivo per cui restaurare il giardino era tanto importante. Negli ultimi dieci anni, avevo permesso al mio stile di vita

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