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Uno scrooge a Sunrise Valley
Uno scrooge a Sunrise Valley
Uno scrooge a Sunrise Valley
E-book284 pagine3 ore

Uno scrooge a Sunrise Valley

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Info su questo ebook

Spogliare la casa. Rivestirla. Tornare entro Natale.
Questo era il piano.
Innamorarsi di una splendida cameriera con le corna (da alce) e un sorriso da urlo?
Beh, anche i piani migliori possono fallire.
L’amministratore delegato Greyson Blair non riesce a credere di essere rimasto bloccato a trascorrere le vacanze nel mezzo del nulla, a gestire la vendita di una villa decrepita che non ha mai chiesto di ereditare.
La casa è un disastro, la gente del posto è matta e c’è una cameriera al ristorante che si spaccia per francese.
Allie Brooks è tutto ciò che lui non è: è tenera, divertente e vivace. E mantiene la sua brillantezza anche quando fa tre lavori per mantenere le sue nipoti orfane.
È anche l’unica collaboratrice che ha assunto in città e Greyson non mischia mai lavoro e piacere.
Un vicino ficcanaso, un tubo esploso e un’indossata riluttante dei panni di Babbo Natale dopo, e il CEO inizia a chiedersi se quella particolare regola non sia stata fatta per essere infranta.
Entro la mattina di Natale, l’unica cosa che Greyson vuole spogliare e rivestire... è lei.
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2022
ISBN9791220703383
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    Anteprima del libro

    Uno scrooge a Sunrise Valley - Harmony Knight

    1

    ALLIE

    «Lottie! Emma! Vostro zio è arrivato, è ora di andare!»

    Le mie nipotine si precipitano ridendo fuori dalla cucina, seguite dalla mia capa, Bet, che ha stampato un enorme sorriso sulla faccia mentre tiene in mano un vassoio di biscotti appena sfornati. Possiede la piccola tavola calda da anni e, un po’ come il municipio e la chiesa, quel posto è considerato un luogo d’importanza storica in città.

    «Zio Eddie!» urlano all’unisono le piccole, riempiendo il locale della loro gioia infantile mentre si aggrappano alle gambe di mio fratello. Lottie ha sei anni, Emma tre e sono le bambine più adorabili del mondo. Mi ricordano la loro madre, Libby, ogni giorno. E ogni giorno lei mi manca un po’ di più.

    «Mamma!» esclama Lottie, sollevando i suoi grandi occhi azzurri su di me. «Bet ha detto che possiamo avere un biscotto, ma solo se ci dai il permesso.»

    «Biccotto!» strilla Emma e protende le manine verso Bet. I boccoli biondi le ondeggiano intorno al viso e io fisso la mia capa, che a sua volta mi osserva con uno sguardo scintillante e un’espressione divertita sul viso florido e roseo.

    «E va bene,» cedo, scatenando un coro di evviva. «Ma solo uno. E dovete dire a zia Sadie che avete già avuto un anticipo sul dolce oggi.»

    «Lo faremo,» risponde Lottie, poi si disegna una piccola croce sul cuore. Bet dà a entrambe un biscotto enorme, grande quasi quanto la loro testa, e subito il silenzio scende nella tavola calda, rotto solo dal suono del loro masticare e ogni tanto da un plateale Mmmmmh!.

    «Grazie per essere venuto a prenderle,» mi rivolgo a Eddie, dopo averlo finalmente potuto salutare e abbracciare. Lui e sua moglie, Sadie, tengono le bambine alcune volte a settimana, quando sono impegnata con il lavoro. Non mi dicono mai di no e non chiedono niente in cambio, e io gli sono incredibilmente grata per tutto ciò che fanno. È stato tutto molto difficile da quando nostra sorella è morta.

    «Quando vuoi, sorellina. Sadie e i bambini adorano stare con le piccole, comunque. Ceni con noi stasera?»

    «Se per voi va bene,» rispondo. Dopo aver lavorato tutto il giorno alla tavola calda, l’ultima cosa che mi va di fare è mettermi a cucinare.

    «Sei sempre la benvenuta,» ribatte Eddie facendomi l’occhiolino. Si volta verso Bet, che è raggiante mentre osserva le mie nipoti divorare i biscotti. «Il locale ha un aspetto parecchio… festoso, Bet.»

    Lei adora le festività. Tutte le festività. Halloween è passato da poco meno di due settimane e ha già addobbato la tavola calda per Natale. Zucche e ragnatele sono state tolte di mezzo, rimpiazzate da agrifoglio e lucine intermittenti, e in un angolo è stato posizionato un abete coperto da varie decorazioni, compresa la collezione di palle di Natale spaiate di Bet.

    «Beh, vogliamo essere sicure che Santa Claus sappia dove andare. Non è vero, ragazze?» chiese, ammiccando a Lottie ed Emma. Le bambine annuiscono con enfasi, continuando a sgranocchiare i dolci.

    «Bene, rospette,» esclama Eddie rivolto alle nipoti, mentre apre la porta del locale. «Andiamo. Ci vediamo più tardi, Allie!»

    «A dopo!» rispondo e mi chino per baciare le piccole. «Fate le brave con gli zii.»

    Pochi istanti dopo che Eddie se n’è andato, seguito da una scia di risate e briciole, nella tavola calda irrompe Sam, il mio collega barra migliore amico, insieme a una raffica di vento gelido novembrino. Lui è anche il fratello di Sadie, il che lo rende mio cognato. Che posso dire? Viviamo in una piccola città.

    «Wow!» esclama guardando le decorazioni. «Bet, è favoloso. Devi averci messo un secolo ad addobbarlo.»

    «Beh, Allie mi ha dato una mano quindi mi ci è voluto molto meno del previsto. Venite in cucina voi due, ho una sorpresa per entrambi.»

    Sam mi prende a braccetto e mi trascina con sé dietro a Bet. «Buongiorno, tesoro,» mi sussurra, sbadigliando. «Spetta a te fare il caffè.»

    «Hai fatto le ore piccole?»

    «Sì,» risponde, guardandomi di sottecchi. «Oggi è il giorno libero di Drew quindi siamo stati alzati fino a tardi a bere vino e a guardare vecchi film.»

    «Ceeeerto,» ribatto allusiva. Sollevo le mani per fare le virgolette in aria e ripeto: «A guardare vecchi film.»

    Lui si mette a ridere. «Beh… abbiamo visto anche quelli, sì, ma non volevo farti ingelosire.»

    «Ah!» sbuffo. «Come se potesse accadere davvero. Non si può essere gelosi delle cose che non si ricordano.»

    Sto esagerando, ma solo un pochino. Non è che mi fossi data così tanto da fare con gli uomini prima della morte di Libby, ma ora che ho l’affidamento esclusivo delle bambine, loro sono diventate tutta la mia vita. Il solo pensiero di dedicare del tempo anche a uscire con qualcuno, oltre a dover fare più di due lavori per tenerci un tetto sulla testa, è estenuante. Senza considerare tutte le complicazioni che nascerebbero se trovassi un uomo che mi interessa davvero. Come potrei far entrare una nuova persona, qualcuno che potrebbe anche decidere di non voler stare con me per sempre, nella vita di due bambine piccole che hanno già perso così tanto?

    «Forse è arrivato il momento che tu rimonti in sella, per così dire,» suggerisce Sam facendomi la linguaccia.

    «Ah, ah!» esclamo sprezzante. «Impossibile. Conosco ogni uomo che vive a Sunrise Valley, anche perché siamo solo settecento persone in tutto, e non mi interessa nessuno di loro.»

    «Non dico mica che te lo devi sposare, ma di certo ce ne sarà almeno uno che ti aiuterebbe volentieri a… togliere le ragnatele da là sotto,» replica lui lanciando un’occhiata verso il mio basso ventre, le labbra che gli tremano per una risata trattenuta. «Forse potresti prendere spunto da Bet e addobbarla con un po’ di lucine intermittenti.»

    Rido forte piegando la testa all’indietro, poi lo stringo in un forte abbraccio. «Ti adoro, Sam.»

    Il mio amico mi fissa cercando di apparire serio, ma mi accorgo subito che riesce a controllarsi a malapena. «Oh, Allie. Mi piacerebbe tanto aiutarti, ma… stai abbaiando all’albero sbagliato, tesoro.»

    Scoppiamo entrambi a ridere di gusto e in quel momento Bet riappare in cucina. Ci rivolge un sorriso perplesso.

    «Che mi sono persa?»

    «Niente, Bet,» le rispondo, asciugandomi le lacrime dagli occhi. «Solo Sam che si comporta come al solito. Qual è questa sorpresa?»

    Il suo sorriso diventa raggiante e ci porge una pila di vestiti. «Oh, no. Bet! Oh, no,» gemo non appena mi rendo conto di cosa ha in mano.

    «Oh, sì!» annuisce lei, gli occhi scintillanti.

    «Oh, !» le fa eco Sam, battendo le mani. Si precipita da Bet per toglierle gli indumenti dalle braccia e mi passa un grembiule con un motivo tartan rosso, un cerchietto con delle corna di renna da mettere sulla testa e una pallina rossa.

    «Ma che…» mi interrompo, strizzando la pallina.

    «È un naso,» spiega Bet, continuando a sorridere.

    «Santo cielo.» Resto ferma a fissare quelle aggiunte natalizie alla mia uniforme e scuoto la testa. Mi piace il Natale, come a qualsiasi altra persona… okay, forse non quanto piace a Bet, ma come alla maggior parte della gente sì. Però… le corna e il naso di Rudolph? Mentre servo i clienti? I quali sono tutte persone che incontro ogni giorno in città?

    «Ghiababi Bister Christbas,» mi dice Sam, il naso chiuso per la pallina rossa che lo stringe. Mi metto a ridere mentre lo guardo e poi scuoto la testa con un sorriso. Tutta questa situazione è troppo divertente per poter restare seri.

    «Ah, le cose che mi tocca fare per te, donna!» esclamo mesta rivolta a Bet. La mia capa se ne sta lì, le braccia incrociate sull’ampio petto e un’espressione inequivocabile sul viso: si aspetta che indossi quel ridicolo travestimento senza perdere altro tempo.

    Mi infilo il grembiule, le corna di renna e il naso di Rudolph mentre Sam prepara il caffè e Bet accende le friggitrici e la griglia. Nel giro di un’ora il locale si riempie della clientela del mattino e serviamo caffè da portar via o colazioni da consumare sul posto ai nostri avventori abituali. Sono tutte persone che conosco da una vita, avendo vissuto sempre e solo a Sunrise Valley.

    «C’è un tizio nuovo là fuori,» ci informa Sam, quando entra in cucina con un vassoio pieno di piatti e tazze sporchi. Inizia a scaricare rapidamente le stoviglie da lavare sul bancone mentre io vado a sbirciare dall’oblò sulla porta.

    «Oh, è un bell’uomo,» commento, apprezzando parecchio quella vista.

    Il tizio nuovo in questione è un perfetto sconosciuto, ed è ovvio che viene da una grande città. È in piedi accanto a un tavolo e si sta togliendo il cappotto nero di lana e la sciarpa color senape a maglia grossa. È alto almeno un metro e ottanta, ha la barba corta, un paio di intensi occhi scuri e, perfino stando all’altra estremità della tavola calda, vedo con chiarezza il suo viso, che mi ricorda una statua di marmo scolpita da Michelangelo in persona. Ma ha un’espressione dura e sembra che la sua mente sia lontana mille miglia da qui.

    «Non mi pare molto contento, comunque,» aggiungo.

    «Oh, andiamo, chi ha bisogno della felicità quando ha un aspetto simile?» ribatte Sam, mettendosi accanto a me per guardare dall’oblò.

    «Stai sbavando,» lo prendo in giro.

    «No, non è vero!» protesta lui, continuando a fissare lo sconosciuto a bocca aperta.

    «C’è un bell’uomo là fuori?» ci domanda Bet mentre si infila tra di noi per sbirciare. «Oooh, carino.»

    Proprio nel preciso istante in cui le nostre tre facce sono accalcate dietro la piccola finestra circolare, tese nello sforzo di esaminare il nuovo arrivato, come se l’apparizione di uno sconosciuto molto bello a Sunrise Valley fosse un evento raro quanto un’eclissi o l’arrivo della cometa di Halley – e a essere onesta, è effettivamente così – lui guarda nella nostra direzione. Tutti e tre cacciamo uno strillo acuto all’unisono e scappiamo via dall’oblò.

    Sto ancora cercando di riprendermi dallo spavento e di rassicurarmi sul fatto che non ci abbia visti, quando Sam mi tocca una spalla. Il suo sorriso è ancora più grande di quello che gli era spuntato sulle labbra dopo aver visto il costume da renna.

    «È il tuooo turnooooo,» canticchia.

    Gemo. Eccetto i due anni che ho passato lontano per frequentare la scuola d’arte, lavoro in questa tavola calda da quando avevo diciassette anni. Anche per Sam è lo stesso. Non ricordo chi è stato il primo ad avere l’idea, ma ogni volta che uno sconosciuto entra nel locale facciamo a turno per servirlo con la condizione che l’altro può aggiungerci una sfida.

    «Bene,» rispondo, spingendomi di più la pallina rossa sul naso. Ho già un aspetto ridicolo, non può andare peggio di così.

    «Mmm, lasciami pensare,» mi dice Sam guardando di nuovo fuori dall’oblò e picchiettandosi il mento con fare assorto.

    «Beh, vedi di sbrigarti, comunque,» lo sollecita Bet. «Siete pagati per servire, non per pensare.»

    «Betty Boop,» replica lui. «Non ti deluderei mai.» Sam sa di potersi rigirare la nostra capa come vuole. Non appena le parla così, lei alza gli occhi al cielo, ma un sorriso le solleva gli angoli della bocca mentre si gira per tirare fuori qualcosa dal forno.

    «Okay.» Sam si volta verso di me. «Convincilo che sei francese.»

    «Francese,» ripeto con tono piatto.

    «Esatto!» annuisce, piuttosto compiaciuto della sua inventiva. A dire la verità, non è terribile come quella volta in cui lui aveva dovuto convincere il suo sconosciuto di essere un neurochirurgo costretto a fare un secondo lavoro come cameriere.

    «Va bene. Oui, oui!» acconsento e Sam sorride, sfregandosi le mani soddisfatto come i cattivi dei vecchi film. Prendo la penna e mi dirigo alla porta. Lui mi segue fuori ma resta in quella parte del locale, da dove può osservare la mia umiliazione di rito.

    Visto da vicino, lo sconosciuto è anche più sexy. Resta imperturbabile anche quando alza lo sguardo su di me, conciata in quel modo ridicolo, che gli rivolgo il sorriso più brillante che riesco a tirare fuori. I suoi occhi passano dal mio naso rosso alle corna di renna e poi di nuovo giù, ma non dice nulla. Decido di soprannominarlo muso lungo, tanto è solo di passaggio, e mi suona meglio di tristezza.

    «Bonjour!» esclamo abbastanza forte perché Sam mi senta.

    Il Signor Muso Lungo non batte ciglio.

    «Un breakfast roll ¹, per favore,» mi dice con voce indecifrabile. Appare impeccabile nei jeans scuri, le scarpe di pelle marrone e un maglione blu chiaro con le maniche tirate su. «Con uova al tegamino.»

    «Oui, oui!» Annuisco entusiasta. «Ah, monsieur, desiderrra tè o caffè?»

    Sento Sam trattenere a stento una risata dietro di me. Gli occhi del Signor Muso Lungo scattano verso di lui, ma non posso voltarmi a guardare il mio amico o perderei.

    «Caffè,» mi risponde lo sconosciuto, tornando a fissarmi.

    «Capito,» replico, scrivendo il suo ordine. «Desiderrra un peu di pannà?» Pronuncio quell’ultima parola con la a finale esageratamente aperta e dietro di me avverto Sam sussultare e poi il rumore dei suoi piedi che si precipitano verso la cucina.

    La porta basculante non fa a tempo a richiudersi che lui esplode in una fragorosa risata. Signor Muso Lungo guarda verso la cucina, solleva piano un sopracciglio e poi torna a osservarmi. Piego le labbra in una sorta di sorriso mentre trattengo il fiato per non scoppiare a ridere a mia volta.

    «Niente panna,» mi risponde lo sconosciuto.

    «Uno momento!»

    Merda, questo è spagnolo! Torno in fretta in cucina, camminando alla massima velocità che i piedi mi consentono. Tra una ristata isterica e l’altra, mentre tenta di riprendere fiato, Sam sta raccontando a Bet del mio tentativo di far credere al Signor Muso Lungo che sono francese. Scuotendo la testa, anche lei ride come fanno le madri quando cercano di nascondere il loro divertimento davanti alle pagliacciate dei figli.

    «Ho appena detto Uno momento!»

    Mi fissano entrambi. Sam scrolla le spalle come a dire: E allora?

    «È spagnolo!» esclamo, spingendo l’ordinazione dello sconosciuto sul bancone. Loro due si mettono di nuovo a ridere sonoramente.

    Dopo tutta quell’ilarità, il resto della permanenza del Signor Muso Lungo nel locale scorre senza altri problemi. Gli porto il suo ordine; lui divora tutto ripulendo il piatto e prende anche una seconda tazza di caffè, e io riesco a non dirgli nient’altro in spagnolo. Quando finisce di mangiare, mi sento abbastanza sicura che la mia recita l’abbia convinto.

    «Signorina,» mi chiama, muovendo una mano. «Il conto, per favore.»

    «Arrivo,» rispondo distratta, scordandomi che dovrei essere francese. «Ah.» Ripesco l’accento giusto. «Glielo porrrto subito.» Merda, potrei aver gettato al vento la possibilità di vincere così.

    Lo sconosciuto paga e lascia anche una bella mancia. Quando torno al tavolo per prendere la sua tazza vuota, lui è in piedi, ha il cappotto addosso e si sta mettendo la sciarpa intorno al collo.

    «Madame,» inizia, e io avverto uno strano formicolio risalirmi lungo tutto il corpo. Non è tanto colpa del fatto che torreggia su di me con quel suo aspetto peccaminosamente bello e invitante. È che in qualche modo sento cosa sta per arrivare.

    «Merci pour le repas, c’était délicieux. Il faudra que je revienne. Au revoir ²,» dice, e per la prima volta l’accenno di un sorriso gli attraversa le labbra mentre si volta e se ne va. Una folata di vento freddo mi scompiglia i capelli intorno al viso, e intanto Sam è in preda a una crisi isterica dietro di me.

    «Oh, mio Dio,» esclamo, mentre guardo il Signor Muso Lungo salire su una splendida macchina d’epoca dall’altra parte della strada. «Quel tipo parla francese!»

    Sam è piegato in due dalle risate e si è appoggiato a un tavolo vicino, perciò io sfrutto quel suo momento di debolezza e lo frusto sul sedere con uno strofinaccio.

    2

    GREYSON

    «Prendere la prima a sinistra.»

    A quell’indicazione del GPS, rallento e mi piego in avanti sul volante per vedere dove si trova la strada laterale che mi serve. Sunrise Valley è di certo una bella cittadina, ma è annidata nell’Upstate New York e la temperatura è più bassa di dieci gradi rispetto a quella di Manhattan quando sono partito stamattina.

    «Ma che cosa…» Freno e mi fermo di fronte a un vecchio cancello di ferro battuto semicoperto da una folta vegetazione. Le siepi ai lati sono alte quasi quanto il cancello stesso.

    «Non può essere,» borbotto. Apro la mia ventiquattr’ore e mi metto a scartabellare tra i documenti che contiene, finché non trovo quelli che mi interessano. È il medesimo cancello, sì, ma la foto che accompagna l’atto di proprietà lo mostra libero dalle piante e splendente grazie a un nuovo strato di vernice, mentre le siepi sono abbastanza basse da rendere visibile l’imponente e antica villa ben al di là. Non è possibile che la foto sia stata scattata negli ultimi venti anni.

    «Oh, per l’amor del…» Stringo i denti. Doveva essere una questione facile da sbrigare. Era stato uno shock per me scoprire di avere una prozia, di cui non avevo mai sentito parlare, ed era stato ancora più sorprendente venire a sapere che mi aveva lasciato la sua proprietà a Sunrise Valley. Comunque, non era una notizia che mi aveva cambiato la vita. Possiedo già un buon patrimonio. Sono qui solo per vendere la villa, prendere i soldi e andare avanti con la mia vita.

    Frugo di nuovo nella valigetta e tiro fuori il telecomando che l’avvocato di mia zia mi ha dato insieme ai documenti. Fisso il vecchio cancello e premo il bottone, certo che non accadrà nulla di nulla.

    Invece, con una serie di stridii e scricchiolii, le ante di ferro iniziano lentamente ad aprirsi davanti a me. E continuano nel loro spostamento nonostante tutti gli sforzi dei rovi di fermarle.

    «Ah,» mormoro tra me e me. «Immagino che non facciano più le cose come ai vecchi tempi.»

    Sono sicuro che il cancello ipertecnologico che ho a casa mia cadrebbe al primo soffio di vento. Una volta si è bloccato perché un uccello l’aveva fatta su un sensore, un’altra volta, invece, non voleva chiudersi perché un ragno aveva trasformato la centralina nella sua casa. L’ingegnere aveva impiegato due ore per accorgersene.

    Appena vedo che c’è abbastanza spazio per passare, imbocco il viale e percorro la tortuosa strada bordata di alberi finché la casa non mi appare davanti agli occhi. Sono sbalordito da quanto sia maestosa. È un vecchio edificio in stile Regina Anna, con diverse torrette e intricate decorazioni in legno sulla facciata. La vernice si è staccata, ma è evidente che un tempo doveva essere stata di un giallo brillante. Non è il mio colore preferito, ma mi dà un’impressione diversa della prozia Julia rispetto all’idea che mi ero fatto di lei.

    Ci metto un po’ a fare entrare la vecchia chiave di ferro nella serratura e devo fare forza per girarla. Non appena apro la porta, una cosa mi salta subito all’occhio: non sarà affatto una vendita rapida.

    Una folata di vento fa rotolare dei batuffoli di polvere sul pavimento e, nella luce pomeridiana, l’aria riverbera così tanto per colpa del pulviscolo che mi sembra di essere appena arrivato sul set di un film fantasy. Di fronte a me ci sono due grandi rampe di scale, mentre tutto il mobilio che riesco a vedere è coperto da lenzuola polverose.

    Non è per nulla come me l’ero immaginata. Infilo una mano in tasca e tiro fuori il cellulare.

    «Chiama Jacob.»

    Mentre attendo che lui mi risponda, continuo a guardarmi intorno ma non vedo nulla che migliori il mio umore. Il tappeto è vecchio e consumato, la carta da parati è sbiadita e si sta staccando dai muri, e le scale sono…

    «Greysoooon!» esclama il mio avvocato, nel suo più viscido accento professionale. «Come stai?»

    «Ma che cazzo, Jacob?» sbotto. Non parlerei a nessun altro avvocato in questo modo, ma lui ha frequentato la mia stessa università e abbiamo giocato nella medesima squadra di baseball. «Sono arrivato in questo posto nell’Upstate e sembra che sia abbandonato da almeno dieci anni.»

    «Beh, perché è

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