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Forever together
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E-book304 pagine4 ore

Forever together

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Info su questo ebook

Forever Series

Connor, Ellery, Julia e Colin: i Black sono tornati

È iniziato tutto la notte in cui una donna aiutò un uomo ubriaco a tornarsene a casa sano e salvo. Nessuno dei due allora aveva idea che le loro vite sarebbero cambiate per sempre. Un’amicizia dimenticata, un amore inarrestabile, oscuri segreti finalmente svelati li hanno condotti in un viaggio lungo una vita, fino al culmine della loro felicità: i loro figli Julia e Colin. Si tratta di tutto il loro mondo, la cosa più importante in assoluto per Connor ed Ellery. Adesso che Julia gli ha dato un nipotino e Colin è finalmente diventato l’uomo che tutti si sarebbero aspettati che fosse, sono pronti per lasciarsi alle spalle tutti i loro fantasmi e rinsaldare il legame che li unisce.
Sandi Lynn
è autrice della serie Forever, bestseller del «New York Times», di «USA Today» e «Wall Street Journal». Quando non scrive, ama andare a cena fuori e andare al cinema.
LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2017
ISBN9788822708830
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    Anteprima del libro

    Forever together - Sandi Lynn

    Pronti?

    Capitolo 1

    Collin

    Panico. Delusione. Urla. Pianti. Nella mia testa, riuscivo addirittura a sentire la voce della mamma, per non parlare di quella di papà. Per loro, la famiglia era tutto. Con questo non voglio dire che non lo fosse anche per me e infatti la mia famiglia era la mia stessa vita però, adesso, la mia vita era Amelia. Dovevano capirlo. Ma lo avrebbero capito? Papà, forse, perché lui conosceva il sentimento che provavo, dal momento che era il suo stesso. Un’alchimia speciale e unica. L’amore. Il bisogno di stare con la persona pensata per te da sempre. Mamma, invece, non sarebbe stata tanto comprensiva.

    Merda. Guardai Amelia che dormiva. Era talmente bella ed era tutta la mia vita. I miei genitori avrebbero capito oppure, alla fine, se ne sarebbero fatti una ragione. Saremmo anche potuti tornare a casa da Las Vegas dicendo loro che eravamo solo fidanzati, e non avrebbero mai saputo cosa avevamo fatto. Avremmo solo dovuto celebrare due anniversari per il resto della vita. Uno tra di noi e uno con la mia famiglia.

    «Buongiorno», sorrise Amelia, e con il dito mi accarezzò il petto.

    Le baciai i capelli. «Buongiorno, amore. Dormito bene?»

    «Certo, visto che stanotte qualcuno ha pensato bene di sfinirmi».

    Sorrisi e la rigirai sulla schiena, poi mi misi sopra di lei. «Davvero?». Le sfiorai le labbra con le mie e poi la baciai appassionatamente. «Credevo fosse stata mia moglie a condurre il gioco e che quindi fosse lei la sola responsabile di tanto sfinimento».

    Sollevò le spalle. «È l’effetto che mi fa il mio eccitante maritino».

    All’udire lo squillo del mio cellulare mi scappò un sospiro. Mi allontanai da Amelia e presi il telefono che era sul comodino. Mio padre. Sentii lo stomaco stringersi come un pugno.

    «Ciao, papà».

    «Buongiorno, figliolo. A che ora tornate oggi? Tua mamma vuole che stasera ceniamo tutti insieme».

    Merda. Merda. Merda. Mi strofinai la fronte. «Di’ alla mamma che stasera non è possibile. L’aereo non verrà a prenderci prima di mezzogiorno e quando rientreremo a New York, considerato il fuso orario, saranno quasi le otto. Avremo il jet lag da smaltire e poi domani mattina devo venire in ufficio mentre Amelia, prima di cominciare il tirocinio in corsia, ha lezione».

    «Capisco, figliolo, lo dirò alla mamma». Sentii che sospirava. «Non ne sarà contenta, ma capirà».

    «Grazie, papà. Chiedile se possiamo spostare a domani sera».

    «Va bene. Fate buon viaggio, ci vediamo domani in ufficio».

    Chiusi la telefonata e posai il cellulare sul comodino. Mi misi di nuovo sopra Amelia e la baciai delicatamente sulle labbra. «Allora, dove eravamo rimasti?», sorrisi.

    Entrammo nel nostro appartamento e posammo le valigie a terra. Era bello essere a casa.

    «Benvenuta a casa, signora Black».

    «Grazie, signor Black», e mi baciò.

    Sentimmo bussare alla porta e ci scambiammo un’occhiata. Mi strinsi nelle spalle e andai ad aprire.

    «Bentornati a casa», mi sorrise Julia entrando con Brayden.

    «Ah, Julia. Che ci fai qui?», domandai guardando Amelia, e subito nascondemmo entrambi le mani dietro la schiena.

    Julia mi lanciò un’occhiata di traverso e capii che le era balenato in testa il sospetto che ci fosse qualcosa che non andava. «Sono appena andata via da casa di mamma e papà e, uscendo dall’ascensore, ho visto voi due che entravate in casa. Così ho pensato di venirvi a salutare. Che succede?»

    «Niente. Perché?»

    «Vi comportate in modo strano. Cosa avete fatto?».

    Tirai su col naso, cosa che facevo tutte le volte che ero nervoso.

    «Hai tirato su col naso!», e mi puntò il dito contro. «Dimmelo, Collin. Amelia?», disse e la guardò.

    Amelia capitolò subito e le mostrò la mano con l’anello.

    «oh mio dio! Vi siete fidanzati!», esclamò osservando l’anello da vicino. Poi, però, dovette notare la fede nuziale. «Aspettate un attimo». Mi guardò e mi afferrò la mano dove anch’io portavo la fede. Spalancò gli occhi e mi lanciò un’occhiata. «vi siete sposati?», chiese urlando.

    «Shh».

    Brayden iniziò a piangere.

    «Senti, lascia che lo prenda in braccio io», disse Amelia e Julia glielo diede ben volentieri.

    «Oh mio Dio, Collin. Perché? Voglio dire, sono felice per voi. Ma, oh mio Dio, mamma! Papà!».

    Mi allontanai di qualche passo, scuotendo la testa. «Lo so. Lo so. Ma questi sono solo affari nostri, e di nessun altro. Amo Amelia, eravamo a Las Vegas e ho voluto sposarla e lei ha voluto sposare me».

    «Sono solo affari vostri? Stai scherzando?»

    «Okay. Non avrei dovuto dire così». Sospirai. «Sono terrorizzato, Julia. Mamma e papà andranno su tutte le furie».

    «Puoi dirlo forte. Li hai esclusi dal tuo matrimonio. Lo sai quanto la mamma ci tenga ad avere il controllo su tutto. Tu poi sei il suo bambino adorato». All’improvviso, un sorrisetto malevolo le comparve sul volto. «Forse da adesso non sarai più il suo bambino adorato».

    «Uffa, Julia. Smettila. Non fai che peggiorare la situazione». Mi sedetti sul divano e nascosi il viso tra le mani.

    Lei si sedette al mio fianco e mi cinse le spalle con un braccio. «Mi dispiace, Collin. Lo sai che ti voglio bene e che sono immensamente felice per te e Amelia. Davvero. Il fatto è che ho paura per voi», rise.

    «Grazie».

    «Dài, vieni qui», e mi attirò a sé. «Quando hai intenzione di dirlo a tutti e due?»

    «Non lo so».

    «Be’, quando lo farai, ci sarò anch’io con te così nel momento in cui la mamma darà in escandescenze, farò del mio meglio per calmarla».

    «Grazie, sorella».

    «Ora però è meglio che porti Brayden a casa e lo metta a letto». Si alzò dal divano e abbracciò Amelia. «Benvenuta in famiglia. Sono davvero felice per entrambi».

    «Grazie», le sorrise Amelia porgendole Brayden.

    «E tu farai meglio a toglierti dal dito la fede prima di andare al lavoro domani».

    «Certo. Buonanotte, sorella. Ti voglio bene».

    «Anche io, Collin». Una volta uscita Julia, guardai Amelia, seduta al mio fianco, e le misi una mano sulla coscia.

    «Ti sei pentito di esserti sposato?».

    Provai una fitta al cuore sentendo che mi faceva una domanda simile. Le presi la mano. «Ovviamente no. La cosa che più desideravo al mondo era che tu diventassi mia moglie quindi non devo scusarmene con nessuno. I miei genitori non dovranno far altro che accettarlo e guardare avanti».

    «E se non lo facessero?»

    «Saranno contenti quando sapranno che ci siamo sposati. Ti vogliono bene. L’unica cosa che non gradiranno sarà che non li abbiamo coinvolti nel matrimonio», sospirai.

    «Devo essere presente anch’io quando lo dirai loro?», sorrise.

    «Certo. Se mi faranno una bella ramanzina, te la dovrai sorbire anche tu. E adesso, basta parlare dei miei genitori. Sono le ultime persone a cui voglio pensare mentre sto per fare sesso con mia moglie per la prima volta a casa nostra».

    Si morse il labbro inferiore e mi fissò negli occhi con uno sguardo carico di desiderio. «Mhmm. Mi piace l’idea», e le sue labbra accarezzarono delicatamente le mie.

    Capitolo 2

    Ellery

    La mia vita non poteva essere più perfetta di così. Ero sposata con l’uomo che avevo sempre sognato, avevo due splendidi figli ormai adulti, un genero perfetto e un bellissimo nipotino. La galleria d’arte andava a gonfie vele e vendeva molto più di quanto avremmo mai immaginato, e anche la Black Enterprises era una società forte e solida. Connor aveva detto di volersi ritirare per lasciare a Collin il suo posto, ma desiderava aspettare un altro paio di anni. Sentiva infatti che Collin aveva bisogno di crescere ancora un po’. Io non ero d’accordo e avevamo avuto una discussione, ma poi lo avevo appoggiato comunque nella sua scelta di voler attendere.

    «Buongiorno, tesoro». Connor entrò in cucina e mi baciò con trasporto.

    «Buongiorno. Quando vedrai Collin in ufficio oggi digli che la cena è alle sei in punto».

    «Va bene. Non preoccuparti». Si portò il caffè a tavola e intanto io davanti al suo posto gli sistemai il resto della colazione.

    «Ieri sera pensavo a Collin e ad Amelia, e al fatto che forse, ben presto, ci troveremo a dover organizzare il loro matrimonio».

    «Amore, non mettiamo loro fretta di sposarsi. Penso che Collin abbia ancora bisogno di un paio di anni prima di prendere anche solo in considerazione l’idea del matrimonio. Per prima cosa devono entrambi realizzarsi nei rispettivi lavori».

    «Sono d’accordo con te, ma l’idea non ti elettrizza? Vedere il nostro bambino che avanza lungo la navata per sposare l’amore della sua vita, così come ha fatto Julia».

    «A proposito, lei dov’è? Pensavo che questa mattina ci avrebbe portato Brayden».

    «Papà, sono qui». Gli si avvicinò con un sorriso sulle labbra, lo baciò sulla guancia e intanto lui prese il bimbo che Julia aveva in braccio. «Sono in ritardo solo di qualche minuto ma, lo sai, con Jake fuori città è un po’ complicato».

    «Scusa, principessa. Il fatto è che avevo nostalgia del cucciolo».

    Preparai una tazza di caffè per Julia e gliela porsi. «Perché tu e Brayden non restate a dormire qui finché non torna Jake?», chiesi nella speranza che accettasse.

    «Tranquilla, mamma. Me la cavo benissimo con mio figlio anche da sola. Comunque grazie dell’offerta. Jake sarà a casa domani sera».

    «Come vuoi, io intanto oggi mi godo l’intera giornata con il mio ometto». Mi avvicinai a Connor e glielo tolsi dalle braccia.

    «Elle. Non avevo ancora finito di giocare con lui».

    «Scusami, tesoro, ma lui vuole la sua nonna. Vero?». Lo sollevai in aria e lui sorrise.

    Mi sembrava impossibile che avesse già sei mesi e mi elettrizzava il pensiero che, arrivata ormai la primavera a New York, lo potessi portare a Central Park.

    «Ho un’idea, Julia. Perché non prepari l’occorrente per far dormire Brayden una notte fuori casa e stasera lo lasci da noi? In questo modo, puoi avere una serata tutta per te».

    «Che ne dici se accettassi la tua offerta ma per domani sera quando torna a casa Jake, così potrò passare la notte da sola con mio marito?».

    Le sorrisi. «Mi sembra un’idea ancora migliore».

    Connor finì di fare colazione e si alzò da tavola. «Sei pronta per andare in ufficio, principessa?»

    «Sì, papà. Pronta». Si avvicinò a Brayden e lo salutò con un bacio. «Fa’ il bravo con la nonna, Brayden, la mamma torna più tardi».

    Lui fece un gridolino e le sorrise, allora gli sollevai il braccino e glielo agitai a mo’ di saluto verso Connor e Julia che salivano in ascensore.

    Connor

    «Buongiorno, figliolo», mi alzai dalla sedia della scrivania, girai attorno al tavolo e ci scambiammo un veloce abbraccio.

    «Giorno, papà».

    «Come è andato il viaggio a Las Vegas?»

    «Bene. Ci siamo divertiti molto».

    Tornai alla scrivania, mi rimisi a sedere, e accavallai le gambe. Collin si sistemò sulla sedia di fronte a me. Sembrava diverso.

    «Che ti succede?»

    «Nulla. Perché me lo chiedi?», e mi guardò con una strana espressione.

    «Non saprei dirti, ma mi sembri diverso».

    «No, affatto. Sono lo stesso Collin di qualche giorno fa».

    «Okay. Forse è solo un’impressione. Oh, la mamma ha detto che stasera si cena alle sei in punto. Non arrivate in ritardo».

    Si alzò dalla sedia. «Saremo puntuali. Te lo prometto».

    Abbozzai un sorriso mentre usciva dal mio ufficio. Mi misi poi a revisionare alcuni documenti che Cara, la mia nuova segretaria, aveva trascritto al computer, e notai che c’erano parecchi errori. Schiacciai il pulsante dell’interfono sulla scrivania.

    «Cara, per cortesia, puoi venire nel mio ufficio?».

    Dopo qualche minuto, la porta si aprì e lei entrò. «Sì, signor Black?»

    «Siediti, prego», e indicai la sedia. «Stavo revisionando questi documenti e ho notato che ci sono parecchi errori. Almeno li hai riletti prima di riportarmeli?».

    Mi guardò con quei suoi occhi marroni e continuò a biascicare la gomma, poi lasciò andare un sospiro. «Pensavo di averlo fatto. Mi dispiace, signor Black. Me li dia che li ricontrollo», disse e allungò la mano.

    Le porsi i documenti accigliato. «Hai tempo fino alle cinque per riportarmeli corretti».

    Uscì dal mio ufficio e si chiuse la porta alle spalle. Sentivo la mancanza di Valerie e Diana. Non ero riuscito a trovare nessuna altrettanto competente e in grado quindi di sostituirle in modo adeguato, e stavo cominciando a perdere la pazienza. Non avevo la più pallida idea di come avessi fatto a lasciare che Collin mi convincesse ad assumere Cara, che tra le altre cose non aveva nemmeno chissà quanta esperienza come segretaria. Guardai il calendario e pensai che il prossimo fine settimana sarebbe stato perfetto per andare negli Hamptons ad arieggiare la casa in vista dell’estate. Questo era il periodo dell’anno che più amavo. Mi piaceva tanto trascorrere il fine settimana nella villa al mare insieme a tutta la famiglia, anche se quest’anno sarebbe stato diverso perché Collin avrebbe soggiornato in una casa per conto suo, proprio in fondo alla strada. Premetti di nuovo il pulsante dell’interfono sulla scrivania.

    «Cara, per cortesia, chiama il fioraio e fa’ spedire a casa un mazzo di rose per mia moglie».

    «Sarà fatto, signor Black».

    Tirai fuori il cellulare e inviai un messaggio a Ellery.

    "Ho fatto mandare delle rose a casa così potrai usarle come centrotavola per la cena di stasera".

    "Grazie, tesoro. Avevo pensato di fermarmi a comperarne sulla via del ritorno dopo essere stata al parco con Brayden. Ti amo".

    "Anch’io ti amo. A dopo. Mandami qualche foto del nostro nipotino".

    Nel giro di qualche minuto, Ellery mi riempì il cellulare di un mucchio di pose adorabili di Brayden, alcune da solo e altre con lei. A guardarlo, mi ricordava tanto Collin. Mi sedetti di nuovo e pensai a quel che era solito dire Denny.

    «Connor, tuo figlio è la tua immagine sputata. Preparati perché ho la netta sensazione che crescendo te ne farà passare di tutti i colori».

    Sorrisi tra me e me perché sapevo che aveva avuto ragione. Collin era la mia immagine sputata, non solo fisicamente, ma anche per quel che riguardava il carattere e la temerarietà. Si era fatto uomo a vista d’occhio e per causa sua avevo già vissuto i miei bei patemi d’animo, come pure momenti di completo appagamento e di gioia piena, e non avrei potuto essere più fiero di lui per il modo in cui sapeva affrontare la vita. Nel momento in cui avessi deciso di ritirarmi, sentivo che non avrei dovuto temere nulla per quel che riguardava la società.

    Capitolo 3

    Connor

    Uscii dall’ufficio in anticipo per tornare a casa da mia moglie e da mio nipote. Era lui il centro della mia vita e non vedevo l’ora di mettermi tranquillo e giocarci un po’ insieme. Scesi dall’ascensore e posai la ventiquattrore. All’entrare in cucina, mi fermai di colpo quando vidi i fiori nel vaso sul bancone.

    «E quelle cosa sono?», chiesi.

    Ellery si voltò e mi sorrise. «Sono le rose che mi hai fatto consegnare. Sai darmi una spiegazione, Connor?».

    Sentii una rabbia smisurata montarmi dentro mentre continuavo a fissare la dozzina di rose nere che avevo davanti agli occhi. «Non posso credere che Cara ti abbia fatto consegnare delle rose nere. Ma che accidenti le prende?».

    Ellery iniziò a ridere. «Immagino che siano da ritenersi piuttosto originali, giusto?»

    «Non è divertente, Ellery». Le tolsi dal vaso e le buttai nella spazzatura. «Dov’è Brayden?»

    «Sta facendo un sonnellino». Mi si avvicinò e mi abbracciò. «Non te la prendere più di tanto per quei fiori. Non è successo niente di grave». Si protese verso di me e mi baciò sulle labbra.

    «E invece sì. Ma chi accidenti manda delle rose nere? La licenzio. Non sopporto più questa situazione. Oggi ho dovuto farle ricontrollare alcuni documenti perché erano pieni di errori».

    «Un’altra volta?»

    «Sì. Non ci credo che si sia diplomata. Le rose nere sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Andai in salotto, mi diressi al mobile bar e mi preparai uno scotch.

    «Dal baby monitor sento che il nipotino sta facendo dei gridolini. Perché non vai di sopra a prenderlo? Ti rasserenerà».

    Con un sospiro posai il drink e salii a controllare Brayden.

    Collin

    Quando tornai a casa, Amelia era in camera da letto e si stava togliendo il camice. Mi allentai la cravatta e intanto le andai incontro, e le diedi un bacio.

    «Ciao, tesoro. Com’è andato il tirocinio in corsia?»

    «Bene. E la tua giornata?»

    «Non male». Mi tolsi il completo elegante e tirai fuori dall’armadio un paio di pantaloni di tela beige. Mi fermai poi a fissare la mia splendida moglie che stava lì in piedi, con indosso solo mutandine e reggiseno, e intanto passava in rassegna gli abiti valutando quale mettersi. Mi chinai verso di lei e con le labbra le sfiorai il collo morbido.

    «Hai un odore così buono. Mi sto eccitando».

    Fece una risatina e intanto con la lingua la accarezzai su fino al lobo dell’orecchio. «Calmati, ragazzo. Esattamente tra quindici minuti dobbiamo essere a casa dei tuoi al piano di sopra».

    «Bene, ecco che sei riuscita a raffreddare tutto il mio entusiasmo», sospirai.

    Amelia si mise a ridere, si voltò e mi posò una mano sul petto. «Hai paura?»

    «Sì. Se devo essere sincero, ho paura».

    «Che ne è stato di tutti quei bei discorsi che hai fatto ieri sera quando hai detto che i tuoi avrebbero comunque dovuto farsene una ragione?», disse infilandosi un paio di pantaloni neri.

    «Quello era ieri. Oggi è oggi, e non voglio pensare a quel che potrà succedere tra un quarto d’ora».

    «Tra dieci minuti, ormai. Farai meglio a sbrigarti», disse e si infilò dalla testa una camicetta di cotone bianca a maniche corte.

    Presi una camicia dalla gruccia. «Facciamo cinque. Se arriviamo in anticipo, mia mamma sarà contenta. Rendiamola felice almeno per qualche minuto».

    «Okay. Mi sembra una buona idea».

    Ci mettemmo le scarpe e salimmo in ascensore fino all’attico. Appena si aprirono le porte, papà attraversò l’ingresso portando Brayden in braccio.

    «Bene, eccovi. Siete in anticipo», sorrise.

    «Ciao, papà».

    Si diresse verso Amelia e le diede un bacio sulla guancia. «Che bello vederti, cara».

    «È arrivato il mio bambino adorato?», chiese mamma uscendo dalla cucina. Mi abbracciò, mi diede un bacio sulla guancia e poi si voltò e fece la stessa cosa con Amelia.

    «Com’era Las Vegas? Vi siete divertiti?», chiese tutta eccitata.

    «Las Vegas era splendida. Siamo stati una meraviglia».

    Si aprirono le porte dell’ascensore e Julia entrò nell’ingresso. «Ciao, Amelia». Sorrise e la abbracciò delicatamente. «Ciao, fratellino. Ed ecco qui il mio cucciolo. Oggi la mamma ha sentito tanto la tua mancanza». Julia si avvicinò e cercò di prendere il bambino dalle braccia di mio padre. «Papà, dammi il bambino».

    «Principessa, il tempo delle nostre coccole non è finito. Avrai il piccolino tutto per te stasera. Adesso lasciamelo ancora un po’».

    Julia aggrottò le sopracciglia e io scoppiai a ridere.

    «Tutti in sala da pranzo. È pronta la cena», trillò la mamma.

    Mano nella mano con Amelia, andammo in sala da pranzo e ci mettemmo seduti a tavola. Julia, seduta di fronte a me, continuava a lanciarmi strani sorrisetti. Decisi di aspettare la fine della cena per parlare con i miei genitori del matrimonio. Non volevo che tutto il cibo che la mamma aveva preparato per l’intera giornata andasse a finire nella spazzatura. Una volta finito di mangiare, Julia, Amelia e la mamma sparecchiarono la tavola e misero tutto in ordine, mentre io e papà portammo Brayden in salotto.

    «Figliolo, c’è una cosa di cui vorrei parlarti. Scotch?», chiese.

    «Grazie, papà. Qualcosa non va?»

    «Voglio che domani licenzi Cara».

    Misi Brayden nel box e presi il drink che mio padre mi porgeva.

    «Cosa? Perché?»

    «Come dirtelo in modo gentile? È una cretina. Commette un errore dietro l’altro. Sta tutto il giorno al telefono, a navigare su Facebook e Twitter, e ha mandato a tua madre delle rose nere».

    Non riuscii a trattenermi. Gli scoppiai a ridere in faccia. «Cosa?! Dici sul serio?»

    «Sì. Le ho chiesto di chiamare il fioraio e di mandare una dozzina di rose a casa e lei le ha fatte arrivare nere».

    «Le avevi specificato di quale colore dovessero essere?», chiesi con fare da saputello.

    «Chiunque abbia un po’ di cervello sa che non si mandano rose nere, quindi per me quel che ha fatto non è stato divertente».

    «Per me sì. Ma perché devo licenziarla io? Lei è la tua segretaria».

    «Perché sei stato tu a darmi questa bella fregatura quando me l’hai fatta assumere. Quindi adesso la licenzi tu e voglio che questa sia la prima cosa che farai domani mattina. Voglio che lei non tocchi più nulla in ufficio».

    Merda. Non potevo credere che mi

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