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L'amore che aspettavo
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L'amore che aspettavo
E-book106 pagine1 ora

L'amore che aspettavo

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Info su questo ebook

Calder Weiss non è solo una star dell'hockey, è anche un padre single. Per questo, nonostante il successo e i riflettori, ha blindato il suo cuore e non si è più avvicinato a una donna negli ultimi cinque anni. Le sue priorità sono dare il massimo sul ghiaccio e occuparsi di sua figlia. Ma un incontro fuori dal bagno degli uomini è destinato a cambiare tutto. Rachel Perry è un uragano di vitalità e Calder non riesce a ignorare la connessione che sembra essere scattata tra loro. Ma nell'istante esatto in cui memorizza il suo numero di telefono, ha paura di aver commesso un terribile errore. È terrorizzato che se le cose con Rachel non dovessero funzionare, sua figlia Shea potrebbe soffrire ancora. E allora perché non riesce a ignorare i battiti del suo cuore?

Meghan Quinn
trascorre il suo tempo immergendosi nella lettura del suo ebook reader, ascoltando musica strappalacrime o scrivendo convulsamente per dare vita a qualcuna delle storie che popolano la sua testa. Vive con la famiglia in Colorado, in una città dove splende sempre il sole.
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2019
ISBN9788822735409
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    Anteprima del libro

    L'amore che aspettavo - Meghan Quinn

    Capitolo uno

    Calder

    «No, papà, così». Shea mi sistema il diadema sulla testa. «Non va di lato come lo hai sistemato tu, devi mettere in mostra i tuoi gioielli».

    «Se papà mettesse in mostra i suoi gioielli, potrebbe finire nei guai. Si chiamano atti osceni in luogo pubblico, tesoro».

    «Eh?». Shea inclina la testa di lato e inarca le sopracciglia.

    «Non importa». Mi schiarisco la gola e do un’occhiata alla mia immagine riflessa sul finestrino della macchina.

    Diadema… fatto.

    Mostrare i gioielli (il diadema, cioè)… fatto.

    Sciarpa rosa avvolta intorno al torace all’altezza dei capezzoli e fermata con un fiocco… fatto.

    Ali da fata viola con i brillantini legate sulle spalle ampie… fatto.

    Sembra finalmente che sia pronto per andare a pranzo con mia figlia. Speriamo solo che non ci sia nessun tifoso sfegatato in zona, perché in questo momento sono una storia di Instagram ambulante. Anche se…

    Mi accovaccio accanto a mia figlia e tiro fuori il telefono. Apro Instagram, vado alle mie storie e ruoto la videocamera, rivolgendola verso di me.

    «Vuoi fare una storia con me, Shea?»

    «Sì!». Batte le mani entusiasta.

    Premo rec e stringo Shea al mio fianco. «Oggi sono a pranzo con questa bella ragazza. Ho indossato le ali da fata e il diadema, sono in modalità papà al cento per cento. Vi mandiamo un bacio». Shea lancia un bacio subito prima che smetta di registrare.

    «Che vuol dire modalità papà?», mi chiede, facendo una giravolta nel suo tutù rosa con i brillantini.

    «Eh, non è importante che tu lo sappia». Condivido la storia e rimetto il telefono in tasca. «Dammi la mano. Andiamo a mangiare».

    Apro la porta del ristorante per far entrare la mia bambina, senza lasciarmi turbare dalle occhiate che ricevo. Non è la prima volta che mi vesto da Fata Wanda. Già, ho un nome e tutto il resto. Farei qualunque cosa per Shea, non solo perché è mia figlia ed è ciò che amo di più al mondo, ma anche perché non ha avuto una vita facile. Sua madre, di cui non parleremo molto, se n’è andata appena un mese dopo essere diventata la mamma di Shea. Adesso vive in Francia, da dove si sposta spesso con il suo fidanzato violinista. Noi due non saremmo mai stati una coppia comunque, quindi il fatto che lei stia con qualcun altro non mi fa male; ma quello che mi fa venire voglia di inculcare a forza un po’ di buon senso in quella donna è pensare al modo in cui ha totalmente abbandonato sua figlia. Soprattutto considerato che io sono un giocatore di hockey professionista e ho una vita piena di impegni. Sarebbe stato bello se la mamma di Shea mi avesse aiutato. Per fortuna ci sono mio fratello e sua moglie, che mi danno una mano quando sono fuori città.

    «Wanda, che piacere vederti». Eduardo, il proprietario di Tagliatelle e Ciambelle, mi saluta con un sorriso enorme. «E la signorina Shea, bella come sempre».

    «Grazie, gentile signore». Shea fa un inchino e poi una giravolta nel suo tutù. Gentile signore…, scuoto la testa, lo deve aver preso da mio fratello.

    «Gradisci il solito tavolo?»

    «E due ciambelle rosa», aggiunge Shea, alzando indice e medio.

    Eduardo le sfiora il mento. «Arrivano subito, tesoro». Indica con la testa il retro del ristorante. «Vi potete accomodare. Caffè?»

    «Sì, grazie, e pollo alle arachidi thailandese con verdure extra per me».

    «Subito».

    Ci dirigiamo nel retro del ristorante e raggiungiamo il tavolo sotto la finestra che si affaccia sul piccolo giardino. Shea salta immediatamente sulla sedia, appoggia i gomiti sul davanzale e guarda le piante all’esterno.

    «Uno, due, tre, quattro, sei».

    «Cinque, tesoro, non dimenticare il cinque, come i tuoi anni, non ti conviene saltarlo».

    «Papà», mi lancia uno sguardo. «Ho detto cinque nella mia testa».

    «Oh, okay, ma quando conti evita di dire i numeri solo nella tua testa».

    «Ma papaaaà, così non è divertente», dice strascicando le parole.

    «Hai ragione, ho sbagliato io», borbotto.

    Mi guardo intorno, sorpreso per i numerosissimi clienti. Tagliatelle e Ciambelle è un ristorantino famoso a Philadelfia. È il posto perfetto per mangiare qualcosa di dolce o di salato. Effettivamente, cos’altro si può desiderare oltre alle tagliatelle e alle ciambelle?

    Be’, molte cose, ma a Shea piace tantissimo venire qui e quindi è il nostro posto speciale.

    «Undici pomodori, riesci a crederci papà? Undici!».

    «Wow, undici, roba da matti».

    «LO SO!». Ridacchia e scuote la testa. «Undici pomodori è davvero una roba da matti».

    «Da mattissimi». Il telefono vibra nella mia tasca, ma lo ignoro. Molto probabilmente è il mio allenatore, o forse il mio agente, e non mi va affatto di parlare con nessuno dei due in questo momento, considerato tra l’altro che è il mio giorno libero dopo una trasferta difficile, che la fine della stagione si avvicina e i play-off incombono. Voglio concentrarmi solo sulla mia bambina.

    «Due ciambelle rosa per la bambina più graziosa che conosco», dice Eduardo, porgendole un piatto.

    Shea fa per prendere le ciambelle, ma io le allontano il piatto prima che possa infilarsene una intera in bocca. Ha un obiettivo nella vita, un obiettivo buffo, badate bene: infilarsi in bocca una ciambella intera. Lo ha visto fare a mio fratello una volta e adesso, appena ne ha la possibilità, ci prova. Grazie, Chuck.

    Mi tremano le gambe, devo proprio andare in bagno. Punto un dito verso Shea e le dico: «Ascoltami bene, principessa delle fate: non provare a infilarti una ciambella intera in bocca. E prima di poter anche solo pensare alla seconda ciambella, devi mangiare un po’ delle mie verdure capito?»

    «Ma papà, come riuscirò a mettermi una ciambella intera in bocca se non mi esercito?».

    Sospiro e guardo Eduardo, che sta ridacchiando tra sé e sé. «Le puoi dare un’occhiata un secondo mentre vado in bagno?»

    «Nessun problema. Ma se si infila una ciambella intera in bocca, sono affari suoi».

    Mi alzo in piedi, sono una decina di centimetri più alto di Eduardo. «Non le permettere di infilarsi quella maledetta cosa in bocca, dagliene solo un pezzo. Andiamo, comportati da adulto».

    «Ma è così carina».

    Sì, è carina e questo rende le cose molto più difficili. Mentre vado verso il bagno, tiro fuori il telefono dalla tasca.

    Trovò un messaggio vocale di Greg; già, il mio agente vuole qualcosa e io non sono dell’umore adatto a scoprire cosa. Amo il mio lavoro, giocare a hockey da professionista, sentire il rumore delle lame che raschiano il ghiaccio e guadagnare dei soldi per farlo, non c’è niente di più bello, ma sono piuttosto refrattario riguardo le altre incombenze legate al lavoro. Io voglio solo pattinare, giocare, sbattere qualche tizio contro la balaustra e prendere lo stipendio. La pubblicità, il marketing e le questioni legate all’immagine… be’, potrei benissimo farne a meno. Non mi fraintendete, sei anni fa, alla prima stagione da professionista, durante la quale probabilmente mi sono scatenato un po’ troppo e la cui conseguenza è stata la nascita mia figlia, mi sono divertito un sacco; ma adesso sono un po’ più vecchio, un po’ più saggio e un po’ più malconcio. Forse un po’ più noioso.

    Giunto in bagno, mi occupo della faccenda in fretta e mi do un’occhiata allo specchio.

    Cazzo, sono una bella signorina.

    Wanda, luccicante di brillantini, bella in rosa e piena di gioielli scintillanti. Anche se non cambierei questa vita con nient’altro, mi

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