Prima o poi un libro lo scrivo
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Info su questo ebook
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I racconti, ambientati per lo più nella zona limitrofa al fiume Po, trattano di temi universali e trasversali che vanno dalla realizzazione di un proprio sogno, in Prima o poi un libro lo scrivo, la stesura di un libro appunto, alla liberazione dal proprio carnefice, rappresentato esteriormente dal padre, nel racconto La bestia, fino ad arrivare alla liberazione dai propri vincoli interiori. Viene trattato il tema della paura del vivere nel racconto Il bibliotecario e della paura di amare in Amore amore un cazzo; ma anche dell’eccesso di controllo, sempre dovuto alla paura, che sfocia in tragedia con Il lucchetto. In modo più leggero, ma non per questo meno incisivo, La signorina Nontivoglio diventa l’emblema dell’esasperazione della spiritualità e della chiusura e fuga dalla vita vera per rinchiudersi in una religiosità dai contorni ferrei. In Accadde una sera il tema è quello della non accettazione del diverso e dell’etichettamento che ne consegue, solo per fare alcuni esempi.
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Personalità, maschere che vanno a cadere e sbriciolarsi sotto l’impulso di emozioni forti, paure e voglia di realizzazione sono il filo conduttore che unisce queste storie.
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Anteprima del libro
Prima o poi un libro lo scrivo - Lorena Marenzi
Prima o poi un libro lo scrivo
Da sempre penso che prima o poi un libro lo scriverò, già dalle elementari, quando ho iniziato ad avere a che fare con i libri e a capirne l’importanza strategica. Ad esempio, Giulio siccome leggeva molto e prendeva dalla biblioteca della scuola un libro al giorno, era il cocco della maestra, a lui dava sempre ragione su tutto anche quando prendeva in giro gli altri o rubava le merende. Allora ho pensato di fare altrettanto, che a fare la parte degli intellettuali si ha tutto da guadagnare. Prendevo un libro e poi lo riportavo il giorno successivo. Ma quel cafone di Giulio se ne era accorto e così iniziò a prenderne due. Che fare quindi? Ho pensato: «Esageriamo», così un giorno ne presi tre e il giorno successivo li riportai.
La maestra che proprio di farsi i suoi non era capace deve aver intuito qualcosa di losco in questo ed allora ha iniziato a farmi delle domande sui libri per vedere se li avevo letti. Io, che chiaramente manco ne avevo sfogliato uno, arrossii e non spiaccicai parola. Lui invece, il mio rivale, rispose a tutto con disinvoltura e tornò al posto fiero più che mai. Fu la mia prima figuraccia pubblica, ne valse della mia reputazione e credibilità che a sette anni era già compromessa irrimediabilmente.
Allora pensai che prima o poi avrei scritto un libro sui cafoni come Giulio ai quali riesce tutto facile, avere il tempo e la voglia di leggere, essere i primi della classe, avere tutta la massima stima da parte della maestra ed essere osannati da tutti. Che a me quelli così stanno proprio antipatici.
Poi crescendo un pochino, siccome abitavo nelle case popolari ed ero sempre a contatto con le sfighe quotidiane di chi il pane deve procurarselo con la fatica, pensai che un libro l’avrei scritto sulla giustizia sociale e sul proletariato. Sarebbe stata una denuncia di tutte le iniquità e ingiustizie subite. Ma poi accadde invece che la denuncia bella grossa se la presero proprio quelli delle case del popolo. Capitò un sabato mattina verso mezzogiorno che venne a suonare ai citofoni un giovane muscoloso di bella presenza, ben vestito, con una camicia nera e pantaloni eleganti. Era un rappresentante del Folletto. La prima a rispondere fu la Pina che lei peli sulla lingua non ne aveva e non te le mandava a dire, te le spiattellava dritte in faccia. Quando il ragazzotto le propose di acquistare l’elettrodomestico lei rispose che dai fighetti come lui non avrebbe mai acquistato nulla, che avrebbe continuato ad andare di scopa e spazzolone e che se voleva guadagnarsi da vivere che andasse a lavorare per davvero e non a rompere i coglioni alla povera gente. Il tizio un po’ adirato ebbe l’ardire di rispondere che ci sarebbe voluto ancora il Duce per far andare meglio le cose e aprire la mente delle persone.
Fu un attimo o anche meno, corsero giù il Beppe che di mestiere faceva il muratore, l’Aldo operaio metalmeccanico e il Piccolo, che piccolo non era di certo ma era chiamato così solo perché ultimo di cinque fratelli tutti operai alla fabbrica di mattoni. Lo fecero nero a forzi di ceffoni e pugni che la camicia a confronto sembrava sbiadita. Dovettero fare una colletta per pagare un avvocato di quelli un po’ buoni perché di passare del tempo in galera non potevano certo permetterselo quelli visto che tenevano famiglia. A vedere quella scena andai in confusione, il cuore salì in gola e mi mancò il respiro. Decisi di lasciare l’argomento della giustizia popolare ai grandi e di occuparmi di altro che io proprio non ci avevo capivo nulla.
Crescendo avevo maturato un interesse speciale sulle domande sceme che gli adulti fanno ai bambini e ai ragazzi. Così decisi che prima o poi avrei scritto un libro su quelli che chiedono se vuoi più bene a mamma o a papà, se credi a Babbo Natale, se a scuola vai bene che non si capisce il senso del bene, se hai il moroso e se l’hai già fatto strizzandoti l’occhiolino, o altre castronerie del genere giusto per capire che razza di problemi tengono questi. Ma avrei anche potuto scriverne uno di poesie che da adolescenti fa figo. Così iniziai a scriverle, una al giorno per darmi una regola. A lavoro finito le rilessi tutte d’un fiato ma erano così tristi che mi misi a piangere sebbene quel giorno avessi preso la sufficienza in matematica. Deve essere perché a scuola ti fanno imparare a memoria solo cose tristissime, tipo quella storia della cavallina storna o di quell’ albatros che mi ricordo che era un uccello, allora ho preso i fogli e li ho buttati nella stufa a legna a fare un bel falò.
Poi siccome ero un po’ impacciatella, diciamo così, venni presa da un altro argomento per il libro. Mi giravano a mille quando iniziava a piacermi uno e da lì a poco lo vedevo mano nella mano con una delle mie amiche che a loro andava sempre bene. C’avevano quel sorrisetto stampato in faccia come a dire: «io sì e tu no». Avevano sempre il vestitino giusto, le scarpe belle, la sicurezza di chi non è in sovrappeso e porta i jeans di marca, le scarpe da ginnastica fighe, lo zaino firmato. Io invece di firme avevo solo quella del prof sul registro che mi dava la nota perché non facevo i compiti. Per il resto mi vestivo con gli avanzi dei miei fratelli che a comprare cose nuove non si poteva, figurarsi di marca poi. Allora il libro l’avrei scritto su tutte quelle fighette lì e sul senso delle marche.
Quando poi ho iniziato a lavorare in fabbrica ed ho visto che noi donne siamo proprio trattate male, sfruttate e sottopagate, che gli uomini lavorano di meno e contano di più, mi sono fatta più solidale con il genere femminile ed ho rassicurato le mie colleghe dicendo che prima o poi un libro sulle donne l’avrei scritto e non facevo altro che parlare di questo, su cosa avrei detto, come l’avrei strutturato. Questa volta era fatta, avevo le idee chiare per davvero. Ma poi un giorno passo in libreria e vedo un titolo che mi attira, era proprio quello che avevo pensato per il mio libro Lo sfruttamento delle donne scritto da una tizia con un nome esotico, uno pseudonimo sicuramente, che poteva essere anche una mia vicina di casa o collega o chissà chi. Io a quell’epoca lo dicevo a tutti cosa avrei scritto e qualcuno mi ha sicuramente rubato l’idea che di idee belle ce ne sono poche ed ho imparato a fare attenzione perché conta di più arrivare per primi che avere qualcosa di buono da dire.
Poi però ho trovato l’amore ed allora ho perso interesse per quella storia lì, ormai non ci pensavo più. Non era un gran che l’amore mio ma a me piaceva. A volte mi faceva un po’ incazzare, soprattutto quando mi prometteva di portarmi al mare poi all’ultimo aveva sempre altri impegni o quando arrivava in ritardo senza avvisare. Negli anni che ho passato con lui avevo iniziato a soffrire di ansia allora un giorno mi aveva proposto di andare a farmi vedere da una certa psichiatra da cui andava lui per un disturbo bipolare che teneva fin da ragazzo, che in fondo si vede che ci teneva a me e alla mia salute. Allora ci andai, fu sbrigativa, qualche domanda e poi mi prescrisse certe pastigliette. Lui invece quando ci andava teneva delle sedute lunghissime che non finivano più. Un giorno, che ero andata per le pastiglie, lo beccai che usciva dallo studio, a lui di pastiglie non ne prescriveva ma teneva la camicia tutta slacciata e due succhiotti proprio sotto alle spalle. Allora decisi in via definitiva che avrei scritto, prima o poi, un libro su quanto sono stronzi gli uomini. Mi figuravo già la copertina nelle librerie col titolo Gli uomini sono tutti stronzi. Poi avrei pensato ai concetti da mettere che comunque la parola stronzo ne esprime già parecchi. Ma altre parole non me ne venivano. Allora pensavo che avrei potuto semplicemente scrivere che gli uomini sono stronzi, stronzi, stronzi… e così riempire tutte le pagine per rendere bene l’idea. Magari avrei fatto successo.
Poi invece di scrivere ho deciso di lasciare l’amore mio stronzo e così in un attimo mi è anche passata l’ansia ed ho iniziato a stare bene. Ho pensato che allora avrei potuto aggiungere che gli uomini sono stronzi e fanno venire l’ansia nel libro e che a lasciarli è tutta salute, ma ho preferito lasciare perdere e siccome mi sentivo un po’ sola ho comprato un cane. Cioè sono andata al canile e ne ho preso uno, ho scelto Isotta perché mi ha guardata con certi occhioni che sembrava parlasse e mi ha fatto tenerezza e poi era femmina, che di maschi in quel periodo non volevo proprio saperne. Ho scoperto così che ci sono tanti vantaggi ad