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I segreti di Nettie
I segreti di Nettie
I segreti di Nettie
E-book436 pagine6 ore

I segreti di Nettie

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Info su questo ebook

Covent Garden, 1875. Nettie Carroll ha solo vent’anni quando lei e suo padre Robert si ritrovano immischiati in un affare di falsi d’autore a opera del disonesto mercante Duke Dexter, e costretti a lasciare l’Inghilterra per sfuggire alle indagini della polizia. La giovane, però, ha una grande determinazione e un passato che l’ha messa alla prova molte volte abituandola a svolgere lavori umili per poter sopravvivere e sopperire alle mancanze del padre, ma soprattutto un sogno che tiene segreto e a cui non ha mai rinunciato nonostante le difficoltà e i numerosi rifiuti: quello di poter pubblicare il suo libro e diventare una scrittrice di successo. Durante la fuga, padre e figlia avranno il sostegno e l’aiuto di Byron, l’amico più caro che Nettie abbia mai avuto e segretamente innamorato di lei, che si unirà a loro desideroso di riscoprire le sue origini. Ha inizio così una lunga catena di vicende che portano i Carroll e Byron a conoscere nuovi luoghi, persone e usanze e a imbattersi anche in vecchie conoscenze, come lo stesso Duke Dexter, nel frattempo sposatosi con la giovane Constance Gaillard, e l’inarrestabile detective privato Samson Wegg, da tempo sulle loro tracce. Solo dopo molto tempo riusciranno a tornare a Londra, dove Nettie avrà finalmente la possibilità di avere la vita che ha sempre sognato, ma dovrà fare i conti con i suoi sentimenti che la porteranno nuovamente lontana dall’Inghilterra per ritrovare il suo vero amore, stravolgendo così il suo futuro.
LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2020
ISBN9788863939941
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    Anteprima del libro

    I segreti di Nettie - Dilly Court

    SATURA

    frontespizio

    Dilly Court

    I segreti di Nettie

    ISBN 978-88-6393-994-1

    © 2020 Leone Editore, Milano

    Titolo originale: Nettie’s Secrets

    © Dilly Court 2019

    Traduzione: Giada Fattoretto

    www.leoneeditore.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Capitolo 1

    Covent Garden, 1875

    Robert Carroll comparve sulla soglia del suo studio nel sottotetto, pulendosi le mani sul grembiule già sporco di pittura. La striscia rosso violacea sulla fronte sembrava un taglio profondo.

    «Nettie, voglio che tu vada da Winsor and Newton a Rathbone Place a prendermi un altro po’ di blu cobalto, giallo indiano e bianco di zinco. Altrimenti non riesco a finire il quadro.»

    Nettie sollevò lo sguardo dall’indumento che stava rassettando.

    «Ti servono subito, papà? Ho promesso alla signora Fabron che le avrei finito questo. Debutta al teatro Adelphi stasera e deve avere il suo vestito.»

    «E io devo finire il lavoro che mi hanno commissionato, altrimenti non mi pagheranno e ci ritroveremo senza un tetto. Siamo già in ritardo con l’affitto e la signora Burton non è proprio una tipa ragionevole.»

    «Va bene, papà. Vado, ma credevo che non avessimo soldi e che fosse per questo che ieri sera abbiamo mangiato solo cipolle per cena.»

    Nettie mise da parte ago e filo, riluttante.

    «Quando si tratta di arte il cibo non è importante, Nettie» disse serio Robert. «Non posso finire il quadro senza colori e se non porto la tela a Dexter entro domani siamo nei guai».

    Prese qualche moneta dalla tasca e gliele cacciò in mano: «Adesso va’ e sbrigati».

    «So che stimi Duke Dexter, ma come fai a sapere che le copie che fai delle opere dei grandi maestri non vengono spacciate per originali?» Nettie si mise in tasca il denaro. «Hai solo la parola di Duke sul fatto che vende le tue tele come riproduzioni.»

    «Sciocchezze, Nettie. Duke è un rispettabile commerciante d’arte, ha una galleria a Parigi e anche a Londra.» Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli ancora di più. «E anche se non fosse onesto, cosa vorresti che facessi? Non ho tante commissioni da riuscire a mantenerci, nemmeno in questo sottotetto infestato dai ratti.»

    «Io sono comunque convinta che dovresti fare qualche ricerca su di lui, papà.»

    «Smettila di farmi la predica, Nettie. Fai la brava e vai a prendere i colori, altrimenti moriremo di fame.»

    «Hai un grande talento, papà» gli disse lei, triste. «È un peccato sprecarlo facendo copie del lavoro di altri.» Afferrò cuffia e scialle e lasciò il padre a continuare il lavoro meglio che poteva finché non fosse tornata con i colori che gli servivano urgentemente. Facevano sempre tutto con affanno e vivevano alla meno peggio da sempre. Quando Robert vendeva una delle sue tele se la cavavano bene ma, nonostante i tentativi di Nettie di mettere da parte qualcosa per i tempi duri, suo padre aveva l’abitudine di spendere e spandere senza pensare al futuro.

    Nettie scese la scala stretta e tortuosa fino al secondo piano, dove gli amici che le avevano sollevato il morale nei momenti bui condividevano due stanze. Byron Horton, che lei vedeva come un adorato fratello maggiore, lavorava in un ufficio legale a Lincoln’s Inn. Nettie era stata tentata di dirgli che sospettava che Marmaduke Dexter fosse un imbroglione, ma questo avrebbe potuto incriminare suo padre, così aveva tenuto le sue preoccupazioni per sé. Gli altri due ragazzi erano Philip Ransome, conosciuto dagli amici come Pip, che lavorava nello stesso ufficio legale di Byron e Ted Jones, il cui tenero cuore era stato spezzato così tante volte da diventare una barzelletta. Ted lavorava per la Midland Railway Company e stava attualmente soffrendo per l’ennesima relazione potenzialmente disastrosa.

    Nettie si affrettò a scendere le scale e superò le stanze che una famiglia di attori occupava quand’era in città, come in quei giorni. La signora Fabron aveva una piccola parte nel Notre-Dame, or The Gypsy Girl of Paris all’Adelphi Theatre, il signor Fabron faceva da comparsa nello stesso spettacolo e la figlia, Amelie, era la sostituta della protagonista, Teresa Furtado, che impersonava Esmeralda. I Fabron avevano origini francesi, ma erano nati e cresciuti a Poplar. Adottavano un marcato accento francese ogni volta che uscivano dall’edificio, allo stesso modo in cui gli altri indossavano i loro soprabiti, ed evidentemente questa ostentazione rendeva bene nel mondo teatrale, visto che di rado rimanevano senza lavoro. Fortunatamente per Nettie, né la signora né la figlia sapevano cucire, così lei aveva il suo bel da fare nel rammendare i vestiti che indossavano dentro e fuori dal palco.

    Continuò a scendere le scale fino al piano terra, dove la malaticcia Josephine Lorimer viveva con il marito, un giornalista che era spesso via di casa e una giovane serva, Biddy, una bambina presa da un orfanotrofio. Nettie accelerò il passo: non voleva che Biddy la fermasse e, come sempre, le chiedesse aiuto per qualcosa; andava palesemente fuori di testa quando cercava di gestire la padrona malata, anche se di testa non ne aveva poi tanta, a sentire Robert, che la definiva una sempliciotta. Nettie sapeva che non era vero, ma quel giorno andava di fretta e voleva a tutti i costi evitare la padrona di casa, la signora Burton, che occupava il piano interrato come un enorme ragno rivestito di bambagia nera, in attesa che la preda cadesse nella sua tela. La signora Burton era una taccagna che sapeva come spremere fino all’ultimo penny da ogni situazione e i suoi compari erano figure losche che andavano e venivano con il buio. Si diceva inoltre che i suoi figli fossero violenti picchiatori che seminavano il terrore per le strade di Seven Dials e non solo. Era risaputo che erano disposti a entrare a far parte di qualsiasi gang pronta a pagare per i loro servizi. Era meglio non indisporre la donna per non provocare la collera della sua famigerata prole e dei loro amici, altrettanto violenti.

    Nettie sgattaiolò fuori dalla casa che dava sulla piazza di Covent Garden e St Paul’s, la chiesa degli attori e venne momentaneamente accecata dal sole che si rifletteva sui ciottoli bagnati. Aveva scampato un bell’acquazzone primaverile e mentre si incamminava lungo Southampton Street dovette scansare una grande pozzanghera. Sarebbe stato più veloce tagliare attraverso Seven Dials, ma era una zona malfamata anche di giorno; di sera nessuno con un po’ di sale in zucca si sarebbe avventurato tra gli stretti vicoli e i cortili che si irradiavano dalla meridiana del diciassettesimo secolo, nemmeno la polizia. Si fermò per contare le monete che le aveva dato il padre e decise che ne aveva abbastanza per il biglietto della carrozza fino a Tottenham Court Road, alla fine di Oxford Street; da lì doveva percorrere solo un breve tratto a piedi fino alla bottega d’arte a Rathbone Place. Doveva sbrigarsi: Violet Fabron si aspettava di avere il suo abito molto prima che si alzasse il sipario.

    Intravide una carrozza trainata da cavalli che si fermava sullo Strand, così sollevò l’orlo della gonna e corse. La strada era affollata da veicoli di ogni forma e grandezza e di passanti che gironzolavano sbadatamente, ma questo le permise di balzare sulla carrozza. Per fortuna trovò un posto a sedere. Un giorno, quando sarebbe stata ricca, avrebbe avuto una carrozza tutta sua e si sarebbe adagiata su cuscini di velluto, a guardare la gente che badava ai propri affari, ma per il momento doveva accontentarsi della rumorosa carrozza pubblica che sobbalzava sull’acciottolato e oscillava come una nave in un oceano in tempesta, fermandosi per far scendere i passeggeri e caricarne di nuovi. Il vapore si levava dai vestiti umidi e l’odore di lana bagnata e stivali fangosi si mescolava a quello del sudore di umani e cavalli. Nettie cercò di non pensare a quel fetore rancido e si appoggiò allo schienale, godendosi la libertà di potersi allontanare dal suo alloggio soffocante, anche solo per un’ora.

    Due ore dopo tornò a casa con i colori e due patate lesse comprate da un venditore ambulante a Covent Garden.

    Robert studiò l’esiguo resto che gli aveva appena dato.

    «Il costo dei colori non è aumentato, vero?»

    Nettie si tolse la cuffia e la posò su una sedia in salotto.

    «No, papà. Ho comprato le patate perché abbiamo bisogno di mangiare. Mi fa male lo stomaco dalla fame.»

    «Avresti comunque dovuto darmi più resto.»

    «Ho preso una tazza di caffè, papà. Non mi rimprovererai per questo, vero?»

    Robert scosse la testa.

    «No, certo che no. Anch’io ho fame. Grazie, cara.»

    Prese la patata e scomparve nel suo studio.

    Nettie sospirò di sollievo quando suo padre si richiuse la porta alle spalle. Estrasse dallo scialle il nuovo quaderno che aveva comprato a Oxford Street. Le era costato ogni penny guadagnato per aver rammendato uno strappo sulla migliore camicia del signor Fabron e ci aveva aggiunto altri tre penny presi dal gruzzolo che le aveva dato suo padre per i colori. Forse avrebbe dovuto comprarci del cibo, ma per lei erano soldi ben spesi; carta, pennino e inchiostro erano l’unico lusso che si concedeva. Scrivere un romanzo d’amore era molto più di un piacere peccaminoso; lavorava a quella storia da più di un anno e sperava di vederla pubblicata, un giorno. Ma non osava confessare la verità al padre: le avrebbe detto che stava sprecando tempo prezioso. Nessuno sano di mente sarebbe stato disposto a sborsare del denaro per un romanzo scritto da una ventunenne con poca esperienza sulla vita e sull’amore. Sapeva esattamente cosa pensava papà dei romanzi d’appendice e sarebbe stato mortificato se avesse saputo che la figlia aspirava a scrivere letteratura popolare. Era il suo segreto e non l’aveva detto a nessuno, nemmeno a Byron o Pip. Ted, poi, non sarebbe mai riuscito a mantenere un segreto, neanche se ne fosse andato della sua vita. Il povero Ted si stava ancora leccando le ferite dopo essere stato respinto dalla ragazza che lavorava nel panificio lì accanto; vestiva di nero e si era fatto crescere i capelli nella speranza di sembrare un poeta dal tragico passato. Nettie aveva incontrato solo una volta quella ragazza, Pearl Biggs e le era bastato per convincersi che per Ted era meglio rimanere scapolo piuttosto che legarsi a una donna del genere.

    Nettie nascose il quaderno nuovo, assieme ad altri due già completati, sotto ai cuscini del divano dove dormiva ogni notte. Era a metà del romanzo e i personaggi prendevano vita nella sua immaginazione mentre svolgeva le incombenze giornaliere. A volte si intrufolavano nei suoi pensieri quando meno se l’aspettava, ma di tanto in tanto si rifiutavano di cooperare e lei si ritrovava con la penna in mano e nulla da raccontare.

    Mise la patata su un piatto pulito e si sedette accanto alla finestra per godersi la polpa calda e burrosa e la buccia croccante, leccandosi le dita a ogni saporito morso. Dopo aver mangiato l’ultimo piccolo boccone si pulì le mani su un tovagliolo e si rimise a cucire. Si concentrò sul vestito della signora Fabron, cucendo piccoli punti per far sì che il rammendo fosse appena visibile. Una volta finito indossò gli abiti da passeggio e avvolse il vestito in un pezzo di mussolina. Aprì la porta dello studio del padre.

    «Vado al teatro, papà.»

    «Al teatro?»

    «Sì, papà. Ti ricordi? La signora Fabron ha bisogno del suo vestito per la recita di stasera.»

    «Oh, è vero. Sì, mi ricordo. Quella disgraziata pensa di saper recitare… ma ho visto cavalli esibirsi con più talento. Non metterci tanto, Nettie. Voglio che porti un messaggio a Duke. Dovrai usare tutte le tue astuzie femminili, perché non finirò questo quadro entro oggi. Può venire a vederlo, se vuole.»

    «Sì, papà. Farò prima che posso.»

    Ancora una volta Nettie si diresse al piano terra. Stava superando in punta di piedi la porta dei Lorimer quando Biddy la aprì e sbucò fuori.

    «Ti ho sentita arrivare. Mi serve una mano, Nettie. La signora Lorimer sta avendo uno dei suoi momenti di follia.»

    «Mi dispiace tanto, Biddy, ma vado di fretta.»

    L’altra le strinse il braccio

    «Oh, ti prego… non so cosa fare. Sta piangendo e lancia le cose. Ho tanta paura.»

    «Va bene, ma posso fermarmi solo un paio di minuti.»

    Nettie entrò nel corridoio buio e Biddy la superò di corsa per aprire la porta del salotto. Le tende erano tirate e il fuoco crepitava nel caminetto, viziando l’aria. Nella stanza aleggiava un odore di malattia. Gli occhi di Nettie impiegarono un momento per abituarsi all’oscurità, ma riusciva a vedere la figura di Josephine Lorimer prostrata su una chaise longue di fronte al fuoco. Teneva un braccio sollevato sul viso, l’altro penzolava oltre il divano. Dalle sue pallide labbra si levavano lamenti disumani.

    «Che succede, signora Lorimer?»

    Josephine scostò il braccio dal viso.

    «Chi è?»

    «Sono io, Nettie Carroll del piano di sopra. Biddy mi ha detto che si sente male…»

    «Sto molto male. Sto morendo e non importa a nessuno.»

    Nettie le posò la mano sulla fronte sudata, ma fredda.

    «Non mi sembra che abbia la febbre. Forse se si siede e cerca di stare calma si sentirà meglio.»

    «Come faccio a stare calma, tutta sola in questa stanza buia?»

    Biddy indietreggiò nell’ombra: «Sta morendo?».

    Nettie andò alla finestra e scostò le tende, concedendo a un pallido raggio di sole di filtrare attraverso i vetri sporchi.

    «La signora Lorimer starebbe meglio con una tazza di tè e qualcosa da mangiare, Biddy. Le hai preparato niente per pranzo?»

    «C’è della zuppa da basso, sui fornelli della vecchia strega, ma ho paura di andarci. Mi metterà in una pentola e mi cucinerà per cena.»

    Josephine sbuffò e voltò la testa: «Hai mai sentito una simile idiozia? E quella stupida ragazzina dovrebbe prendersi cura di me!».

    «Non sono stupida, signora» mormorò Biddy.

    «Vieni con me» le disse Nettie, sicura. «Scendiamo insieme. La signora Burton può anche essere una vecchia strega, ma non mangia le persone.»

    Biddy si ritrasse, ma un’occhiataccia severa da parte di Josephine la fece precipitare verso la porta. «Va bene, vado, ma tu devi venire con me, Nettie.»

    «Torneremo fra un secondo» Nettie abbassò la voce. «È solo una bambina… ha paura.»

    Le labbra di Josephine tremarono: «Ho bisogno di una come te, di una persona in gamba e premurosa, non di una stupida bambinetta».

    Nettie rinunciò a far ragionare l’irritabile paziente e seguì Biddy.

    La signora Burton stava mangiando avidamente un po’ di zuppa da una ciotola, con evidente goduria. Nettie sospettava che l’avesse presa dalla casseruola dei Lorimer, ma se avesse detto qualcosa avrebbe combinato solo guai. Biddy si teneva così stretta all’amica che avrebbe potuto essere scambiata per la sua ombra, ma la signora Burton era troppo impegnata a mangiare per fare storie. Nettie rimase stupita quando le permise di prendere la padella e andarsene senza chiederle altro se non il solito pegno di un penny per aver usato i fornelli.

    «Ecco, visto? Non è così male, dopo tutto…» disse Nettie mentre salivano le scale fino al piano terra.

    Con la padella calda avvolta nel grembiule, Biddy prestò attenzione a non versare nemmeno una goccia di zuppa.

    «Probabilmente la signora me la lancerà addosso… l’ultima volta ha fatto così. Mi sono rimasti pezzi di carota incastrati tra i capelli per giorni!»

    «Farò in modo che oggi si comporti meglio.»

    Nettie si sforzò di rimanere seria. Capiva la frustrazione di entrambe: Biddy era una ragazzina, presa dall’orfanotrofio perché rappresentava della manodopera a basso costo; Josephine era la moglie infelice di un marito noncurante che, per attirare l’attenzione, non aveva altro modo se non far leva sulla sua delicata costituzione. Nettie si rassegnò a farsi carico della situazione finché Josephine non avesse mangiato, si fosse sentita a suo agio e avesse cambiato umore, o almeno così sperava. Senza dubbio Biddy sarebbe migliorata radicalmente se qualcuno l’avesse presa sotto la sua ala, ma era improbabile che succedesse dai Lorimer.

    Josephine era grata per il cibo e la completa attenzione di Nettie, ma non lo diede a vedere. Si lamentò perché la zuppa era troppo calda e troppo salata. Mangiucchiò una fetta di pane e burro che la ragazza le aveva preparato e poi si accasciò sui cuscini, lamentandosi per il mal di testa.

    «Prendimi la medicina, ragazza» disse con voce flebile. «Mi serve il laudano. Sbrigati, stupida ragazzina!»

    Biddy si alzò in punta di piedi e afferrò la boccetta di vetro marrone in alto sulla mensola del camino. «Sto facendo più in fretta che posso.»

    «Ecco, vedi cosa mi tocca sopportare, Nettie?» Josephine allungò una mano. «Dammi la boccetta, ragazza e versami dell’acqua. Non troppa.»

    Nettie prese il laudano dalle mani di Biddy.

    «Gliel’ha prescritto il dottore, signora Lorimer?»

    «Pensa agli affari tuoi e dammelo.»

    «Ho un’idea migliore» rispose lei, dando uno sguardo fuori dalla finestra. «C’è il sole, perché non viene a fare una passeggiata con me? Devo consegnare questo vestito alla signora Fabron, al teatro. Non le andrebbe di vederli mentre fanno le prove?»

    Josephine si strinse le mani al petto: «È da più di un anno che non esco da questa stanza».

    «Ma riesce a camminare» disse decisa Nettie. «Non ha dolori.»

    «Mi fa male dappertutto e sono tanto stanca, ma non riesco a dormire la notte.»

    «Lo dice di continuo» aggiunse Biddy, annuendo vigorosamente. «Si lamenta sempre.»

    «Sta’ zitta» scattò Josephine. «Chi ti ha chiesto niente, ragazzina?»

    «L’Adelphi non è lontano. Perché non fa uno sforzo, signora Lorimer? Un po’ d’aria fresca le farà bene e magari si sentirà meglio. Potrebbe anche riuscire a vedere la signorina Furtado che recita, se è fortunata.»

    Josephine si mise a sedere. «Ho visto Teresa Furtado recitare al Drury Lane. Andavamo spesso a teatro, prima che mi ammalassi.»

    «Se Biddy va a prendere gli abiti da passeggio vedremo se riesce ad arrivare fin lì. Non lo saprà mai se non ci prova. La aiuteremo.»

    Impiegarono il doppio del tempo per arrivare al teatro, ma lei e Biddy riuscirono a convincere e a trascinare una riluttante Josephine Lorimer fino a destinazione. Una volta entrate sembrò accadere un piccolo miracolo e la donna all’improvviso divenne attenta e sorridente. Camminò senza aiuti fino al camerino che la signora Fabron divideva con i personaggi femminili minori e quando Amelie Fabron comparve e si offrì di accompagnarle all’auditorium per assistere alle prove Josephine accettò entusiasta. Aveva le guance arrossate e gli occhi accesi per l’emozione. Era un’altra persona quando si sedette in prima fila, guardando compiaciuta il palcoscenico.

    «Devo fare una commissione per mio padre» disse Nettie a bassa voce.

    «Sst!» Josephine si portò un dito alle labbra.

    Nettie sospirò e si voltò verso Biddy, che sembrava altrettanto entusiasta per le prove.

    «Ve la caverete, se vi lascio qui?»

    «La signorina Furtado non è bellissima?» sospirò Biddy con espressione sognante.

    Nettie capì che non avrebbe cavato un ragno dal buco e le lasciò estasiate, in un mondo tutto loro. Le sarebbe piaciuto rimanere, ma doveva trovare quanto prima Duke Dexter. Era stata una fortuna che la signora Burton per una volta fosse stata più interessata al suo pasto che a chiedere gli arretrati dell’affitto, ma quella situazione non sarebbe durata e i figli della signora usavano metodi di persuasione brutali e molto efficaci. Suo padre diceva sempre: «A cosa serve un artista con una mano rotta o senza dita?». Non erano ancora arrivati a quel punto, ma le cose potevano cambiare.

    La galleria di Dexter si trovava nell’elegante Dover Street, frequentata da gente ricca e famosa. Nettie esitò prima di entrare, lisciando il vestito raggrinzito e sistemandosi la cuffia. Le donne e gli uomini vestiti alla moda la guardavano con diffidenza mentre le passavano davanti e lei si sentiva sciatta e fuori luogo. Poi, con la coda dell’occhio, vide un uomo appostato accanto a un portone lungo la strada. Il malconcio cappello a cilindro e la giacca nera troppo larga avevano entrambi la tonalità verde data dall’usura e i capelli lisci gli arrivavano fino alle spalle. Osservò tutti quei dettagli per un breve momento, prima che l’uomo si ritraesse, ma il suo aspetto l’aveva turbata e la fervida immaginazione di Nettie decise che si trattava di una persona poco raccomandabile. Prese un bel respiro ed entrò nella galleria.

    Gli interni eleganti erano arredati con sedie antiche e tappeti persiani e le pareti erano abbellite da dipinti in cornici dorate. Ciotole di fiori primaverili profumavano l’aria e i clienti erano accolti da Pendleton, un uomo magro e calvo con addosso una redingote nera, pantaloni gessati ben stirati e una camicia bianchissima. La mancanza di capelli era compensata da dei baffi rossicci arricciati, le cui punte impomatate vibravano ogni volta che parlava. Nettie era affascinata da quei baffi, che sembravano godere di vita propria.

    «Come posso esserle d’aiuto, signorina Carroll?» Pendleton sollevò la mano per arricciare il baffo con un delicato movimento delle sue lunghe dita.

    Era una routine che ripetevano ogni volta che Nettie entrava nella galleria.

    «Vorrei vedere il signor Dexter per una questione d’affari.»

    Gli occhi color del tè dell’uomo incrociarono quelli di Nettie con un sorriso sdegnoso.

    «Oggi acquista o vende, signorina Carroll?»

    Fu tentata di dirgli di pensare agli affari suoi, ma non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Pendleton si trovava nel suo piccolo regno privato e, se lo voleva, poteva impedirle di vedere Dexter, anche se il datore di lavoro era effettivamente lì.

    «Signor Pendleton, ho qualcosa che interessa al signor Dexter.»

    «Vado a vedere se è in ufficio. Mi scusi, signorina.»

    Fece un inchino e si allontanò con un’andatura rilassata.

    Nettie si guardò intorno ansiosa. Era sempre più consapevole dei suoi abiti trasandati e dei suoi scarponcini malconci, così come era conscia degli sguardi incuriositi della clientela ben vestita che si aggirava nella galleria, osservando le opere d’arte esposte sui cavalletti o appese alle pareti.

    Pendleton riapparve dopo quella che sembrò un’eternità.

    «Il signor Dexter può concederle un paio di minuti, signorina Carroll.»

    «Grazie, conosco la strada…» esitò. «Forse non è niente, signor Pendleton, ma ho visto qualcuno dall’aria sospetta due porte più in là. Sembrava stesse guardando la galleria.»

    L’uomo si mise subito in allerta.

    «Me lo descriva, per favore.»

    Ascoltò con attenzione: «Wegg!» disse brusco. «Samson Wegg! È un detective privato, un informatore della polizia che cova da tempo rancore verso il signor Dexter. Gli stia alla larga, signorina. È un tipo poco raccomandabile.»

    «È improbabile che io parli con qualcuno come lui, signor Pendleton.»

    «E fa bene. Wegg porta guai, quindi le suggerisco di andarsene subito, signorina.»

    «Ma devo vedere il signor Dexter. Non gli ruberò molto tempo.»

    Superò Pendleton e si diresse verso una porta che dava sul seminterrato. Era lì che Duke Dexter conservava le opere di maggiore valore della sua collezione, oltre alle copie che vendeva ad appassionati d’arte che non potevano permettersi di comprare gli originali. Nettie percorse la stretta scala che portava a una stanza sotto il livello della strada. Il chiarore del giorno filtrava da una finestra a grata in alto sul muro, ma la maggior fonte di luce era un antico lampadario al centro del soffitto. Duke stava usando una lente d’ingrandimento per esaminare nel dettaglio un dipinto a olio.

    «Entra, Nettie, mia cara».

    Si voltò verso di lei rivolgendole il sorriso che gli aveva visto usare con i suoi ricchi mecenati quando voleva spillargli un bel po’ di soldi. Gli occhi scuri incastonati sotto alle sopracciglia arcuate gli conferivano un’aria cupa, che svaniva quando un lieve sorriso gli increspava le labbra. Era un bell’uomo che sapeva sfruttare il proprio aspetto a suo vantaggio quando si trattava di ammaliare probabili acquirenti, ma Nettie non riusciva a scrollarsi di dosso l’assillante sospetto che si prendesse segretamente gioco di lei e di suo padre.

    «È sempre un piacere vederti, mia cara, ma ho l’impressione che tu sia arrivata a mani vuote.»

    «Sa benissimo che non potevo portarmi appresso un dipinto a olio fresco, figuriamoci salire in una carrozza!»

    Lui posò la lente d’ingrandimento su un tavolo lì accanto e la guardò sorpreso.

    «Dovevate consegnarmi la tela tre settimane fa. Immagino sia per questo che Robert ti ha mandata a sfidare il leone nella sua tana. Altre scuse, vero?»

    Nettie inclinò la testa.

    «Non la vedo come un leone, Duke. Lei assomiglia più a una pantera che è meglio evitare, agile e pericolosa. Vorrei che mio padre non l’avesse mai conosciuta.»

    «Sono pericoloso solo con chi cerca di imbrogliarmi o farmi del male» avvicinò una sedia. «Non ti siedi?»

    «Grazie, preferisco stare in piedi» lo affrontò con sguardo di sfida. «Papà sta ancora lavorando al dipinto. Mi ha mandata a dirle che ci vorrà un altro paio di giorni.»

    «Tuo padre mi ha deluso parecchie volte. Non va bene.»

    «È un artista, ed è bravissimo. Troppo bravo per questo genere di cose e lei potrebbe aiutarlo di più, se solo volesse.»

    Duke la fissò e le sue sopracciglia arcuate si incontrarono sul setto nasale: «Non ho chiesto la tua opinione e non accetto critiche quando – a dirla tutta – ho salvato tuo padre dalla rovina più volte».

    «Allora perché non appende i suoi dipinti originali nella galleria? Perché lo incoraggia a fare copie?»

    «Se proprio vuoi saperlo tuo padre è un pittore mediocre, ma fa delle copie magnifiche. I clienti facoltosi sono disposti a pagare una fortuna per opere che credono originali. Loro sono felici e così ci guadagniamo tutti.»

    «Lo immaginavo. Prende quei soldi con l’inganno!» ribatté lei furiosa. «Dà a papà una piccola percentuale di quello che guadagna e lui non se ne rende conto, ma se lo scoprissero rischierebbe di finire in prigione! Sarebbe rovinato!»

    «Io ho i contatti e prima di tutto sono un uomo d’affari.»

    «Lei è un criminale e un truffatore.»

    «Oserei dire che hai ragione, ma Robert ormai c’è dentro fino al collo. O forse vuoi vedere tuo padre perdere tutto, inclusa la sua reputazione?»

    «No, certo che no» disse lei, arrabbiata. «Ma gli dirò cosa sta facendo.»

    Duke le si avvicinò tanto che Nettie poté percepire il calore del suo corpo. Il profumo di spezie, agrumi e virilità la stordì. Lui si sporse in avanti, i loro volti si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro.

    «Non puoi provare niente e io negherò tutto. Robert mi crederà, perché ha bisogno di me. O accetti la situazione e fai del tuo meglio per tenere tuo padre fuori dai guai o affronterai le conseguenze causate dalla sua debolezza. Spetta a te scegliere, Nettie. Cos’è che vuoi?»

    Lei guardò quei suoi occhi scuri e capì che per stavolta aveva vinto, ma non finiva lì.

    «Cosa vuole che faccia?»

    Duke si ritrasse, sorridente: «Così va meglio. Non è stato poi così difficile, no?».

    Prese la lente d’ingrandimento e si voltò per studiare il dipinto.

    «Di’ a Robert di portarmi il quadro quando è sicuro che passerà i controlli più scrupolosi. Ma lo voglio presto, altrimenti non se ne fa niente e troverò qualcuno che lavora più in fretta.»

    «Perché non glielo dice di persona?» lo affrontò Nettie con rabbia. «Potrebbe venire da noi e vedere a che punto è il quadro. Sa benissimo che ci vorranno settimane, se non mesi, perché si asciughi.»

    «È per questo che lo voglio, per metterlo al sicuro» si sporse verso di lei, riducendo gli occhi a due fessure. «Tuo padre è pagato per fare quello che dico io. Farebbe meglio a ricordarsene. E anche tu.»

    «Un giorno troverà pane per i suoi denti, Duke.»

    Nettie se ne andò senza attendere una risposta.

    Capitolo 2

    «Non prendertela, Nettie» disse Robert con calma quando lei finì di raccontargli la sua esperienza nella galleria d’arte. «Duke fa così con tutti. Di norma non vorrei avere a che fare con uno come lui, ma paga bene.»

    «È un criminale, papà. Sfrutta il tuo talento per i suoi scopi. Ti dà una miseria e lui intanto ci guadagna una fortuna. Non sono d’accordo con quello che fai.»

    Robert posò la tavolozza e sospirò.

    «Ti sbagli, mia cara. Duke ci ha salvati dal ricovero per i poveri e paga bene. Un giorno la Royal Academy accetterà uno dei miei quadri e allora non dovrò mai più fare copie.»

    Nettie sospirò e scosse la testa.

    «Conosci un certo Samson Wegg? Gironzolava fuori dalla galleria. Pendleton dice che è un informatore della polizia.»

    «Non lo conosco personalmente, Nettie. Duke ha dato fastidio a parecchia gente, in passato e mi sa che Wegg è uno di questi. Non c’entra niente con noi.»

    Nettie sapeva che era inutile discutere.

    «Ti lascio continuare, papà. Ma ricorda che Dexter ha fretta di ricevere il quadro.»

    «È quasi finito, vado al Lamb and Flag a bere qualcosa.»

    «Devi proprio, papà? Dobbiamo alla signora Burton l’affitto di tre settimane.»

    «Ho lavorato sodo, Nettie. Un boccale di birra non ci manderà in rovina!»

    La ragazza si trattenne dal dargli una rispostaccia. Non si poteva ragionare con papà quand’era di quell’umore.

    «Cosa vuoi per cena?»

    Robert si tolse il grembiule e prese giacca e cappello.

    «Non preoccuparti per me, cara. Prenderò qualcosa al locale. Dovresti avere abbastanza spiccioli avanzati dai soldi che ti ho dato per i colori per comprarti una torta.»

    Le stampò un bacio sulla guancia e uscì con andatura rilassata dalla stanza.

    Nettie lo fissò, scuotendo la testa. Duke Dexter era senza dubbio un criminale spietato che aveva portato suo padre a vivere una vita fuori dalle regole e papà era un inetto che si faceva beffare con facilità, ma anche lei doveva prendersi parte della colpa se non aveva cibo o soldi. Non avrebbe dovuto spendere così tanto per il quaderno e avrebbe potuto camminare da Piccadilly, per non pagare il biglietto della carrozza. Ancora una volta sarebbe andata a letto senza cena, a meno che non ci fossero buone notizie dalla casa editrice. Erano passate settimane da quando aveva consegnato il manoscritto del suo primo romanzo, Il dilemma di Arabella, un racconto gotico intriso di passione e vendetta, che sperava fosse buono come I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe o Frankenstein di Mary Shelley. Ora aveva cambiato stile rispetto a quando aveva scritto le avventure di Arabella, ma se l’editore avesse trovato buona la sua storia avrebbe goduto di una certa indipendenza e avrebbe fatto in modo che il padre si sganciasse da Duke. Non le restava altro da fare se non infilarsi cuffia e scialle e uscire di nuovo, anche se stavolta si trattava di una commissione per se stessa. Si avviò alla volta di Soho e della piccola casa editrice che era la sua ultima spiaggia. Tutte le maggiori case editrici avevano rifiutato il suo manoscritto, ma Dorning and Lacey doveva ancora risponderle.

    Uscì dall’ufficio in Frith Street con il manoscritto infilato sotto allo scialle. L’impiegato al bancone era stato comprensivo, ma era palesemente abituato ad avere a che fare con autori delusi. La lettera di rifiuto era simile alle altre che aveva ricevuto in merito ai precedenti tentativi di proporre un romanzo e le lasciava poca speranza di vedere il suo lavoro pubblicato. Aveva cominciato a piovere e anche se probabilmente era solo uno dei tipici acquazzoni del mese di aprile fu abbastanza forte da inzupparla in

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