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Il gioco del barone
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E-book250 pagine6 ore

Il gioco del barone

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1803
Per salvare l'eredità di famiglia, il Barone Rafe Densmore deve riuscire a ottenere il pericoloso registro di una cortigiana, in cui viene descritto come suo padre abbia tradito il proprio Paese, e l'unico modo per impadronirsene è giocando a carte. Lungo la strada verso il suo obiettivo, incrocia per caso una donna bellissima, Cornelia Trofton, Contessa de Vane. Nelle sale da gioco di Parigi, e non solo, i due formano una coppia invincibile finché Rafe lascia Cornelia senza una parola e lei è costretta a sposare un uomo più anziano. Rientrata a Londra il loro destino li farà incontrare ancora, e di nuovo lei dovrà rispondere alla richiesta d'aiuto dell'irresistibile Rafe.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2021
ISBN9788830529205
Il gioco del barone

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    Il gioco del barone - Georgie Lee

    Copertina. «Il gioco del barone» di Lee Georgie

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Courtesan’s Book Of Secrets

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2014 Georgie Reinstein

    Traduzione di Elena Rossi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-920-5

    Frontespizio. «Il gioco del barone» di Lee Georgie

    1

    Discorso di Lord Twickenham alla Camera dei Pari sull’atto d’accusa per tradimento nei confronti dei lord corrotti dai francesi durante la rivolta americana dell’8 luglio 1783.

    Nel corso della rivolta americana, Mrs. Ross ha indotto aristocratici d’alto rango a rivelare ai Francesi segreti del gabinetto di Sua Maestà. Il mio stesso fratello morì in seguito al loro tradimento. Quanti altri uomini d’onore morirono per questo?

    Mrs. Ross se n’è andata, insieme alle prove dei suoi crimini, ma i traditori sono ancora tra noi. Signori, auspico il giorno in cui le prove della loro infamia verranno alla luce ed essi dovranno rispondere a questo atto d’accusa. Se pensano che il tempo possa cancellare la loro colpa, si sbagliano di grosso.

    Grazie a questo atto d’accusa, se emergeranno le prove della loro colpa, anche se Dio li avesse già sradicati da questa terra, essi verranno giudicati colpevoli di alto tradimento. I loro titoli e le loro terre torneranno alla Corona e i loro eredi porteranno il peso della disgrazia dei loro padri.

    Londra, luglio 1803

    Rafe Densmore, quinto Barone di Densmore, salì gli scalini di pietra della casa di città di Mrs. Ross, vicino a Gracechurch Street. Batté le nocche sul portone, facendo ondeggiare alla brezza il nastro nero appeso al batacchio di bronzo. Lo guardò, aggrottando la fronte, chiedendosi se l’improvvisa dipartita dell’anziana cortigiana sarebbe tornata a suo vantaggio o a suo danno. Era viva e in buona salute quando aveva vergato la lettera che teneva in tasca, convocandolo a quella porta ora listata a lutto.

    Vecchia megera!

    Spostò il peso sui piedi e, all’interno dello stivale, l’alluce incontrò il buco che si stava aprendo nella calza.

    Forse avrebbe potuto chiedere a Mrs. Linton, la sua affittacamere, di rammendargliela. Ma se la sua abilità con l’ago era pari a quella con cui preparava i miseri pasti che si degnava di portargli, avrebbe fatto meglio a provvedere da solo. Si chiese se quei pasti fossero l’espressione delle abilità culinarie della donna, o una vendetta per gli arretrati che le doveva.

    Il cavallo di una carrozza in attesa nitrì, senza per questo disturbare il conducente che fumava una lunga pipa, appoggiato al veicolo. Una spirale di fumo gli avvolse il capo, prima che il vento lo spostasse sul robusto cavallo grigio.

    Rafe li osservò entrambi. Chiunque avesse assunto quell’uomo e il suo misero animale doveva trovarsi ancora all’interno ed era ora che concludesse i suoi affari. Non aveva fatto tutta quella fatica per raggiungere Mrs. Ross, o per raccogliere il denaro necessario a soddisfare le sue richieste, solo per essere bloccato sulla soglia dalla visita di un perditempo.

    Stava per bussare di nuovo, quando il chiavistello cigolò e la porta si aprì davanti a un vecchio maggiordomo. Rafe l’oltrepassò e si ritrovò nell’angusto ingresso, la gola stretta per la polvere che copriva ogni superficie. Un ragno scomparve dietro un dipinto scuro. In confronto a quella casa, persino il suo alloggio attuale sembrava opulento.

    «Lord Densmore. Sono venuto per vedere Mr. Nettles» dichiarò. «Mi sta aspettando.»

    «Sì, certo. Da questa parte, milord.» Il maggiordomo trascinò i piedi nel corridoio.

    Rafe lo seguì prima che qualcosa, intravisto con la coda dell’occhio, lo bloccasse davanti alla porta del soggiorno.

    Una donna alta, vestita di seta nera, era in piedi accanto al camino spento. Non si mosse, né gli rivolse un saluto, ma rimase in silenzio sotto il velo scuro che le copriva il viso. Un lento sorriso distese le labbra di Rafe e per un momento la sua ansia di mettere le mani sul registro si placò. Nonostante il suo silenzio, qualcosa in quella donna lo attirava, inducendolo ad avvicinarsi alla porta. La lieve tensione delle sue spalle, tuttavia, lo fece fermare. L’abito, scuro e sottile come fumo, frusciò intorno alle sue curve. Stringeva al petto un libro. Il volume di cuoio copriva la pienezza dei seni, a eccezione della sommità, appena visibile sotto il corpetto di pizzo nero.

    «Buongiorno.» Rafe si tolse il cappello e fece un profondo inchino, notando i pochi petali bianchi sparsi sul tappeto sbiadito ai suoi piedi, probabilmente i resti del funerale. Mrs. Ross era solita definirsi una reclusa, ma, a quanto pareva, non era stata del tutto priva di amici che piangessero la sua morte.

    E che incantevole amica! Rafe si raddrizzò, ammirando la statura della donna. Sentì il sangue riscaldarsi al pensiero di accogliere quella creatura statuaria nell’incavo del proprio corpo e sfiorare con le labbra il punto del collo accarezzato dal corto velo. Quella donna era dell’altezza giusta per lui, si trovò a pensare, proprio come un tempo lo era stata Cornelia.

    Strinse la mano a pugno mentre il ricordo pungente del tradimento raffreddava il suo ardore. Rilassò le dita e si sforzò di continuare a sorridere. Perché diavolo gli era venuta in mente Cornelia? Aveva lasciato quella parte della sua vita in Francia dove, con un po’ di fortuna, sarebbe rimasta.

    Si concentrò sul volto della donna, cercando di intravedere i lineamenti sotto lo spessore del velo. Nulla era visibile, c’era soltanto da augurarsi che il volto fosse attraente come prometteva la figura nell’abito avvolgente in stile francese.

    «Se non vi dispiace, milord» lo sollecitò il maggiordomo.

    Rafe accarezzò la donna con un ultimo sguardo, rivolgendole a malincuore un cenno d’addio prima di seguire il domestico in una stanza sul retro della casa.

    Raggiunsero la fine del corridoio e il domestico aprì la porta di uno studio con gli scaffali vuoti e incurvati ricoperti di polvere. Un uomo rotondo, con gli occhiali, sedeva a una scrivania, intento a sfogliare pile di carte ingiallite. Si alzò, vedendo entrare Rafe, e un largo sorriso si dipinse sul volto paffuto.

    «Mr. Nettles, Lord Densmore desidera vedervi» annunciò il maggiordomo.

    «Lord Densmore, quale piacere.» Qualche filo gli pendeva dal polsino, mentre indicava a Rafe la sedia davanti alla scrivania. «Accomodatevi, prego.»

    «Mi dispiace di essere arrivato più tardi di quanto vi avessi preannunciato, ma sono stato trattenuto da alcuni affari in Francia.» Ho rischiato di lasciarci la pelle. Se non fosse intervenuta una piccola vincita al gioco, ignorava cosa ne sarebbe stato, di lui. «Sono addolorato per la scomparsa di Mrs. Ross.»

    «Già, povera donna. Per la prima volta, dopo più di vent’anni, mette piede fuori di casa, e viene investita da una carrozza sfuggita al controllo! Una terribile fatalità.» L’avvocato scosse il capo mentre sedeva, facendo scricchiolare la sedia sotto il suo peso. «Suppongo che abbia avuto ragione a starsene nascosta per così tanti anni.»

    «Parrebbe proprio di sì.» Se solo la carrozza avesse fatto fuori quella maledetta ricattatrice prima che inviasse la lettera, aggiunse fra sé. Ma allora chissà in quali mani sarebbe finito il registro. Così, almeno, c’era la possibilità di comprare tutto quel marciume, non solo la pagina con il nome di suo padre e la prova del suo tradimento. «Mrs. Ross mi ha scritto mentre mi trovavo a Parigi, offrendo di vendermi un certo libro.»

    «Sì, ne sono al corrente. Non è una lettura molto interessante. Non ci sono altro che elenchi di nobili, con delle cifre accanto ai nomi. Probabilmente uomini che pagavano per la sua compagnia quando era giovane. Secondo il maggiordomo, era una vera bellezza a quei tempi.» L’uomo ridacchiò, facendo rimbalzare il ventre sotto il gilè pieno di grinze. Poi le guance gli cascarono, dandogli l’aspetto di un segugio in attesa del comando del padrone. «Perché lo volete?»

    «Ho i miei motivi.» Rafe non entrò nei particolari, non volendo svelare la vera natura del registro.

    «Già, immagino.» La maschera di innocenza si incrinò, ricordando a Rafe un giocatore d’azzardo che aveva battuto in Francia, abile a ingannare quasi quanto lui. Poi l’avvocato si sfregò il mento. «È un peccato che non siate arrivato qualche minuto prima.»

    Rafe sentì la paura strisciare lungo la spina dorsale, facendogli abbandonare ogni pensiero sul gioco e su quanto poteva sapere quell’ometto pingue. Impadronirsi del libro era stato il suo primo pensiero sin da quando era sbarcato a Dover. Aveva setacciato Wealthstone in cerca di tutto quello che si poteva vendere, per ottenerlo. Il raffinato servizio di cucchiai d’argento che aveva scoperto in soffitta, incastrato nella sua scatola di legno tra due bauli e in qualche modo sfuggito a suo padre, era stato alienato proprio quel mattino.

    Si sporse sulla sedia, puntando le mani sui braccioli. «Che intendete dire?»

    «Pare che non siate l’unico a cui Mrs. Ross abbia scritto a proposito del registro. A giudicare dalle sue carte, si è trovata in difficoltà per un certo periodo e ha dovuto vendere alcuni dei suoi averi. Ci sono ancora dei debiti e io avrò il mio da fare a saldarli, con quel poco di valore che è rimasto.» Prese in ogni mano un foglio spiegazzato e lo sventolò in aria. «Sarebbe tutto più facile da esaminare, se Mrs. Ross non avesse cambiato il suo cognome in Taylor, per poi tornare a Ross. Sarebbe stato meglio che avesse deciso chi voleva essere.»

    «E il libro?» Rafe era in tensione, ansioso di chiudere la faccenda.

    «Una giovane signora è venuta poco prima di voi, una contessa francese, anche se non sembra francese. L’ho venduto a lei.»

    «Diavolo!» Rafe si alzò di scatto e corse alla porta. L’aprì e si precipitò giù dalle scale, sollevando mulinelli di polvere al suo passaggio. Quando raggiunse il soggiorno, vi trovò solo i fiori appassiti. «Maledizione!»

    «Lord Densmore.» L’avvocato lo seguì nel corridoio, mentre correva alla porta e la spalancava. Fuori tutto era come prima, a eccezione della carrozza, che si stava allontanando. Un volto familiare si voltò a guardare Rafe attraverso il finestrino posteriore, prima che il veicolo girasse l’angolo e sparisse nel traffico di Gracechurch Street.

    Cornelia, la Comtesse de Vane!

    Che cosa diavolo ci fa, qui? Rafe batté il pugno contro lo stipite, conficcandosi una scheggia sotto pelle. Avrebbe dovuto trovarsi in Francia, a marcire con quello storpio dell’anziano marito a Château de Vane, contando l’argenteria o dando ordini alla servitù, non a rubargli il registro sotto il naso.

    «Lord Densmore, sono davvero desolato per l’inconveniente.» L’avvocato ansimava, alle sue spalle. «Se avessi saputo che quel libro era così importante, per voi...»

    Rafe alzò una mano per metterlo a tacere; non era dell’umore giusto per mostrarsi educato. «Grazie, Mr. Nettles, ma non ho più bisogno dei vostri servigi» lo liquidò, prima di precipitarsi in strada, sbattendo il portone. Si incamminò in mezzo al trambusto di Gracechurch Street, con l’alluce che ormai era scivolato nel buco della calza. Se non fosse stato per la folla, si sarebbe tolto lo stivale e avrebbe buttato la calza nel canale di scolo. Invece poteva solo continuare a camminare, la lana che lo irritava a ogni passo, proprio come il ricordo di Cornelia che lo guardava dal finestrino della carrozza.

    Oltrepassò un carretto carico di mele e ne prese una dal mucchio senza che il venditore se ne accorgesse. Che cosa ci fa, qui?, continuò a chiedersi, rigirandosi il frutto tra le dita.

    Era poco probabile che avesse convinto il marito a lasciare la sua terra natia, dopo tutto quello che aveva fatto per riconquistare la dimora dei suoi antenati. Significava che il vecchio aveva tirato le cuoia in un impeto d’ardore per la giovane sposa, o che Cornelia aveva trascorso il suo tempo al castello tramando per liberarsi di lui, proprio come si era liberata di Rafe.

    Strinse la mela e sentì pungere la scheggia sotto pelle. Se non gli ci fosse voluto tanto a mettere insieme il denaro per acquistare la pagina del registro, avrebbe potuto batterla sul tempo.

    Adesso era lei ad avere in mano quel libro, insieme alla possibilità di distruggere lui e sua madre.

    Addentò la mela e imprecò, sputando il boccone marcio e gettando il frutto sotto le ruote di una carrozza di passaggio.

    Accidenti alla sfortuna! Niente stava andando come aveva previsto.

    Cornelia si adagiò contro i cuscini e liberò un lungo sospiro, sollevata come se fosse uscita vittoriosa da un duello.

    Strinse le dita intorno al registro, facendo scricchiolare leggermente il cuoio. Se si fosse attardata anche di pochi minuti, quel mattino, o fosse andata a piedi anziché prendere una carrozza, sarebbe stato Rafe a metterci le mani sopra. Allora tutti i suoi piani per proteggere Andrew, il suo fratellastro, sarebbero andati in fumo.

    Allentò la presa sul libro e chiuse gli occhi, sforzandosi di vedere i capelli scuri e scompigliati di Andrew, di ricordare il calore della piccola mano nella sua quando esploravano il fiume dietro Hatton Place e la voce ruggente e impastata dal padre veniva coperta dal rumore dell’acqua sulle rocce. Invece un’altra immagine si ostinava a tornarle alla mente.

    Rafe.

    La sua voce profonda l’aveva riportata indietro di due anni, quando avevano passato la prima notte insieme nella minuscola stanza di Covent Garden. Lo vide chinarsi su di lei, sdraiata sul letto; la camicia aperta sul collo e i pantaloni che gli fasciavano i fianchi le avevano fatto accelerare il battito come quando le aveva sorriso dal corridoio di Mrs. Ross.

    Solo che quel giorno non era stato il desiderio a farle accelerare il polso, ma la paura. Se l’avesse riconosciuta attraverso il velo, o avesse notato il registro che teneva stretto come uno scudo, chi poteva dire come avrebbe reagito? Per fortuna pensieri più carnali l’avevano distratto, impedendogli di vedere ciò che aveva davanti.

    Aprì gli occhi e si spostò sul sedile consunto, irritata dal modo in cui il proprio corpo traditore si scaldava al ricordo dei suoi occhi scuri che l’accarezzavano, come una sottoveste impalpabile. Si passò le dita sul collo; a un tratto il tessuto leggero che le copriva il seno sembrava pesante come lana. Dopo le mani ceree del conte, il tocco delicato di Rafe sarebbe stato un sollievo.

    Il vuoto si infiltrò sotto il desiderio. Si strofinò la guancia, quasi sentisse ancora lo sfregamento della camicia di Rafe, quando l’aveva stretta tra le braccia nel loro appartamento di Parigi, due mesi prima. Era stata terrorizzata, quella notte; si era aggrappata a lui mentre gli riferiva le voci sentite sugli inglesi arrestati dopo la dichiarazione di guerra. Temeva per lui e per il loro futuro. Come donna, lei era libera di andarsene, ma Rafe rischiava di essere catturato e abbandonato in qualche prigione infestata dalle malattie.

    Era quello che si meritava.

    Si strinse le mani, tendendo la pelle dei guanti neri sulle nocche. Come un’ingenua, si era fidata di lui, lasciando che uscisse per giocarsi a carte quel che restava del loro denaro, credendo alla sua promessa che sarebbe tornato con una cifra sufficiente a pagare il loro ritorno a casa. Invece lui era fuggito come un codardo, mettendosi in salvo e abbandonandola al proprio destino.

    Batté il pugno contro i cuscini logori. Come aveva potuto essere così crudele?

    La carrozza prese una curva stretta e Cornelia si aggrappò alla cinghia sopra la portiera. Nel cigolio delle ruote poteva quasi sentire Fanny, la sua matrigna, che rideva della sua sventura. Grazie al cielo suo padre non l’avrebbe mai saputo. Quando la lettera di Fanny l’aveva finalmente raggiunta, non aveva versato neppure una lacrima. Non riusciva a piangere l’uomo che non aveva mai provato niente per lei.

    Fuori del finestrino, la cupola di St. Paul si innalzava sopra gli edifici più bassi, al termine del lungo viale. Quella vista familiare attenuò la collera e il dolore. Troppe volte, durante il breve soggiorno a Château de Vane, aveva temuto di non rivederla mai più. Durante le interminabili ore trascorse girovagando per i corridoi bui, aveva cercato di convincersi che sposare il conte era stata una grande vittoria. Come poteva sapere che era il peggior ciarlatano che avesse mai incontrato a un tavolo da gioco?

    La carrozza urtò contro un sasso e Cornelia strinse al petto il registro per evitare che le scivolasse dal grembo. Quando il veicolo tornò a stabilizzarsi, aprì la copertina in cuoio e sfogliò le pagine ingiallite dal tempo. Il passato non aveva più importanza. Tra le sue mani c’era un futuro migliore, più sicuro, per lei e per Andrew. Con il denaro che il registro le avrebbe procurato avrebbe potuto pagargli gli studi e impedire che Fanny mettesse in atto la sua minaccia di mandarlo da suo fratello nelle Indie occidentali.

    Chiuse il libro, sapendo che non era solo il futuro di Andrew che teneva in mano, ma anche il destino dell’intera eredità di Rafe.

    Il sapore aspro della vendetta le riempì la bocca, seguito da una fitta di senso di colpa. Passò le dita sulla prima lista di nomi, chiedendosi a quale pagina avrebbe trovato quello del padre di Rafe.

    Verrà a cercarlo.

    Chiuse il libro con un colpo secco, arricciando il naso per la polvere che uscì dalle pagine. Lascia che venga, lascia che provi a portartelo via, con tutti i suoi giochetti d’astuzia. L’avrebbe ascoltato, facendoglielo pendere davanti agli occhi come un osso davanti a un cane. Poi se lo sarebbe ripreso, lasciandolo a torcersi le mani per la frustrazione.

    Era esattamente ciò che meritava.

    Rafe passò attraverso l’arcata di mattoni pericolante che immetteva nello stretto vicolo pieno di assordanti grida maschili. Il rumore lo attirò lungo la strada tortuosa come il profumo di un dolce attirava un bambino. Superò l’ultimo angolo e si ritrovò in un cortile. Una folla che incitava e gridava frasi beffarde circondava due uomini che si prendevano a pugni. Erano a torso nudo e le ampie schiene erano segnate da tagli e lividi scuri; a ogni colpo il sangue e il sudore schizzavano nella polvere.

    Rafe sorrise, sentendo vibrare l’eccitazione della folla, che scioglieva la tensione rimasta dall’avventura mattutina in Gracechurch Street. Aveva trascorso l’ultima ora a camminare per le strade, riflettendo sulle possibilità che gli restavano, ben poche in realtà. Cornelia era in possesso del registro e non c’era modo di mettere insieme abbastanza denaro da convincerla a separarsene. Aveva più debiti di quanto si curasse di ricordare con diversi usurai, tra cui Mr. Smith. Era già un miracolo che quello scarafaggio non fosse emerso dall’ombra per chiedere il rimborso, dato che il debito risaliva almeno a un anno prima. Rafe non avrebbe avuto bisogno di ricorrere a quel topo di fogna, se non gli fosse servito il denaro necessario a impedire che sua madre morisse di

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