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Il grande libro dei serial killer
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E-book748 pagine10 ore

Il grande libro dei serial killer

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Info su questo ebook

Quiz e curiosità inquietanti sugli assassini più spietati di tutti i tempi

Prefazione di Roberta Bruzzone

I serial killer suscitano un interesse diffuso, e le loro storie hanno un’enorme risonanza mediatica. Sono sempre di più i documentari, i film, i libri, le serie tv e i podcast che hanno come protagonisti assassini spietati e perversi, che con i loro crimini hanno seminato terrore e disperazione, commettendo omicidi rimasti impressi nell’immaginario collettivo per la loro atroce brutalità. Molti dei loro nomi o soprannomi bastano a evocare nella memoria di ciascuno omicidi efferati e terrificanti scene del crimine. Ma quali sono le caratteristiche fondamentali dei serial killer? Che cosa accomuna la loro psicologia? Quali sono le loro motivazioni? E in cosa si differenziano dallo stereotipo hollywoodiano attraverso cui siamo abituati a conoscerli? Andando oltre i falsi miti, questo libro affronta i dubbi e le curiosità più comuni sul fenomeno degli omicidi seriali. Le domande e risposte di Ruben De Luca, uno dei più noti criminologi in Europa, offrono al lettore la possibilità di avvicinarsi in modo più consapevole e scientifico allo studio di questi feroci criminali.

Qual è la differenza tra uno psicopatico e un sociopatico?
Chi è stato il più giovane serial killer?
Con quale soprannome è noto Jeffrey Dahmer?

Tutto quello che hai sempre voluto sapere sui serial killer ma non hai mai osato chiedere in 270 domande, risposte e 250 quiz
Ruben De Luca
Psicologo, criminologo, scrittore, è autore di circa 100 pubblicazioni di criminologia, in particolare sull’omicidio seriale, di cui è considerato uno dei massimi esperti a livello europeo. Nel 2001 ha creato ESKIDAB, la Banca Dati dei Serial Killer in Europa, un archivio in costante aggiornamento sugli assassini seriali identificati in Europa. Formatore presso master e corsi di specializzazione in tutta Italia, consulente e opinionista di programmi RAI, dal 2009 si dedica anche allo studio dello stalking e alla realizzazione di corsi rivolti alle donne per la prevenzione del femminicidio. Tra le sue pubblicazioni più importanti: Anatomia del serial killer 2000 (2001); Omicida e Artista: le due facce del serial killer (2006); Amare uno stalker. Guida pratica per prevenire il femminicidio (2015) e, con la Newton Compton, Serial killer (2021) e Il grande libro dei serial killer (2023).
LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2023
ISBN9788822776747
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    Anteprima del libro

    Il grande libro dei serial killer - Ruben De Luca

    EN.jpg

    Indice

    Prefazione

    Introduzione

    1. Serial killer: quali sono i concetti fondamentali?

    2. Donne serial killer: qual è il loro profilo?

    3. Le età dell’omicidio: quali sono i serial killer più giovani e i più vecchi?

    4. Disturbi di personalità: chi sono gli psicopatici?

    5. La genesi dei mostri: in quali famiglie crescono?

    6. Fantasie sessuali: quali sono i serial killer più perversi della storia?

    7. Le vittime: chi sono?

    8. Moventi: perché uccidono?

    9. Modus operandi e firma: come uccidono?

    10. Il lavoro: cosa fanno i serial killer nel tempo libero?

    11. Profiling e investigazione: come si cattura un serial killer?

    12. Confessioni, processo e sentenza: è possibile curare un serial killer?

    13. Serial killer e cinema: ci sono differenze tra gli assassini reali e quelli della fiction?

    14. Serial killer e arte: perché gli assassini sono attratti dal mondo della creatività?

    15. La ricerca della fama e le groupie: perché i serial killer sono diventati icone pop e perché le donne s’innamorano di loro?

    Schede di approfondimento & curiosità

    Quiz sui serial killer

    Risposte esatte

    Riferimenti bibliografici

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    668

    Prima edizione ebook: agosto 2023

    © 2023 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    Copertina © Sebastiano Barcaroli

    ISBN 978-88-227-7674-7

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma

    Ruben De Luca

    Il grande libro dei serial killer

    Quiz e curiosità inquietanti sugli assassini più spietati di tutti i tempi

    Prefazione di Roberta Bruzzone
    OMINO.jpg

    Newton Compton editori

    A Valentina,

    Unico Mio Grande Amore,

    Che mi ha Conquistato,

    Che mi Ispira ogni giorno,

    Che mi Completa, rendendomi un uomo migliore.

    PREFAZIONE

    Due anni fa, ho scritto la Prefazione per il libro del collega e amico Ruben De Luca, dedicato all’omicidio seriale in Europa, e mai avrei pensato di trovarmi a scriverne un’altra, per un nuovo libro, a distanza di così poco tempo. E non perché ci sia qualcosa di strano a scrivere un libro sullo stesso argomento dopo un paio d’anni, ma perché quello del 2021 è un manuale documentatissimo, basato su un lavoro di ricerca durato più di vent’anni, che scandaglia in maniera esaustiva la mente dei serial killer: non sembrava che ci fosse bisogno, a così stretto giro di posta, di un altro volume sullo stesso soggetto.

    E, invece, questo libro riesce nell’impresa di parlare di serial killer in un modo del tutto nuovo, almeno per quanto riguarda il contesto italiano. Innanzitutto, è la formula a essere davvero originale, perché il libro è costruito seguendo lo schema dei trivia book: domande e risposte, mescolando l’approfondimento scientifico con le spiegazioni più semplici, le curiosità da libro dei Guinness con i risultati degli studi più recenti sulla genesi dei serial killer.

    La parola trivia trae origine dal latino trivium, che significava tre vie e indicava qualcosa di banale, cioè di noto a tutti: nell’antica Roma, faceva riferimento a un luogo dove tre strade si incontravano e che costituiva un punto di riferimento per tutti i cittadini. Nel programma di studi di base nel Medioevo, le triviali erano le tre arti liberali inferiori, cioè la Grammatica, la Logica e la Retorica, che rappresentavano le materie d’insegnamento fondamentali, propedeutiche a quelle che avrebbero garantito un’istruzione superiore, ovvero il punto di partenza imprescindibile per chi volesse proseguire il percorso formativo.

    L’associazione dell’espressione trivia book ai quiz deriva, invece, dagli anni Sessanta del secolo scorso, quando gli studenti universitari cominciarono a scambiarsi, in via informale, domande e risposte sulla cultura popolare della loro gioventù, che doveva essere, appunto, nota a tutti. La prima forma di tale gioco venne chiamato Trivia, definizione che comparve in una colonna del «Columbia Daily Spectator» (il giornale degli studenti della Columbia University), pubblicato il 5 febbraio 1965. L’uso del termine trivia al plurale si è poi allargato, arrivando a includere concetti riferiti al sapere della gente comune.

    Esistono trivia book su tantissimi argomenti e il loro scopo è quello di saggiare il livello di conoscenza su una determinata materia fornendo, al tempo stesso, un modo leggero per imparare nuovi fatti. Questi libri si occupano degli argomenti più disparati, dalla storia alla scienza, dalla cultura pop agli sport. Sono perfetti per passare una serata di svago fra amici e in famiglia o per testare le proprie competenze in solitaria, e sono strutturati in domande con risposte a scelta multipla, affermazioni con opzioni di scelta vero o falso, oppure frasi da completare riempiendo gli spazi vuoti. I trivia book sono anche graduati in vari livelli di difficoltà, e quindi vanno bene tanto per principianti quanto per lettori esperti, per adulti ma anche per bambini: sono libri che permettono di espandere le proprie conoscenze, garantendo una buona dose di divertimento.

    Negli Stati Uniti e in Inghilterra, sono stati pubblicati diversi trivia book sui serial killer, in Italia questo è il primo, e chi meglio di Ruben De Luca, con la sua conoscenza enciclopedica della materia, poteva scriverlo?

    Nel volume di due anni fa, l’obiettivo era puntato sull’Europa, questa volta il bersaglio è molto più grande. Oltre a numerosi serial killer dagli Stati Uniti, ecco un’ampia raccolta di casi da Canada, Brasile, India, Cina, Giappone, Sudafrica, dai paesi arabi e da quelli del Nord Africa, oltre a casi poco pubblicizzati avvenuti in Italia, in un vorticoso giro del mondo dove gli aneddoti e i racconti bizzarri si mescolano alla trattazione più seria.

    Uno dei serial killer più citati in assoluto nei trivia book anglosassoni è Edward Theodore Gein, nominato quasi sempre, in maniera informale, come Ed Gein. La sua figura è entrata nell’immaginario collettivo grazie ad alcuni prodotti d’intrattenimento ispirati alla sua vicenda, come il libro Psycho dello scrittore Robert Bloch e l’omonimo film di Alfred Hitchcock, oltre a Il silenzio degli innocenti, Non aprite quella porta e altre pellicole meno famose, diventando negli anni uno dei soggetti preferiti del marketing incentrato sui serial killer. Eppure, da un punto di vista strettamente numerico, Ed Gein non è stato certo uno degli assassini seriali più prolifici, anzi, le vittime accertate erano solo due, anche se è stato sospettato di almeno altri tre delitti. Ma il fascino perverso emanato dalla sua figura deriva dal contorno più che dagli omicidi: squartava i cadaveri, compiva atti di necrofilia, dissotterrava corpi dal cimitero di Plainfield e utilizzava pezzi di essi per fabbricare oggetti di arredamento. Quando la polizia fece irruzione nel suo appartamento, fra i tanti macabri reperti, trovò: un cestino fatto di pelle umana, un corsetto realizzato con un torace femminile scuoiato dalle spalle alla vita, una cintura fatta di capezzoli umani, calotte craniche trasformate in scodelle, una colonna vertebrale usata come lampada.

    Gein era cresciuto sviluppando un rapporto morboso con la madre Augusta, una fanatica religiosa che seguiva il luteranesimo e che crebbe Edward e il fratello minore Henry in una condizione di isolamento quasi assoluto, trasmettendo loro alcuni messaggi distorti: il mondo era un luogo di perdizione e immoralità; tutte le donne (tranne lei) erano prostitute al servizio del demonio; il sesso era una cosa sporca se non veniva praticato al solo fine di procreare. A entrambi i figli fece promettere che sarebbero rimasti vergini, promessa che Henry infranse, ma che invece l’esile, timido ed effeminato Edward mantenne per tutta la vita.

    Dopo la morte del padre e del fratello minore, Edward rimase a vivere con la madre finché, il 29 dicembre 1945, Augusta morì per un ictus e lui rimase a vivere nell’isolata fattoria di Plainfield in cui era nato e dalla quale non si era mai spostato. Da quel momento, il fragile equilibrio psichico di Ed Gein si spezzò e lui si lasciò andare alla realizzazione delle sue fantasie necrofile e di depezzamento, culminate nei due omicidi accertati del 1954 e 1957. Quando venne arrestato, confessò di aver provato il desiderio di cambiare sesso dopo la morte della madre e l’unica stanza mantenuta pulita e in ordine nella fattoria era proprio la camera da letto di Augusta, a conferma del rapporto morboso che li univa.

    Giudicato mentalmente instabile e incapace di sostenere un processo, Edward Gein fu rinchiuso prima in un ospedale statale, poi in un manicomio criminale. Morì per insufficienza respiratoria dovuta a un tumore il 26 luglio 1984 e, laddove finì la sua vita, si consolidò la sua leggenda, che già lo aveva trasformato nel modello preferito per tanti serial killer cinematografici e lo aveva reso una citazione d’obbligo in tante opere d’arte concettuale e in diverse canzoni, spesso senza che ci fosse realmente un riferimento alla sua vita o ai suoi crimini. Da appassionata di musica rock quale sono, mi piace citare i seguenti brani; Ed Gein dei Macabre incluso nell’album Grim Reality del 1987; Dead Skin Mask degli Slayer incluso nell’album Seasons in the Abyss del 1990; Ed Gein dei The Ziggens nell’album Rusty Never Sleeps del 1992; Plainfield (Ed Gein) dei Church of Misery incluso nell’album Taste the Pain del 1997; Nothing to Gein dei Mudvayne presente nell’album L.D. 50 del 2000.

    E, per finire, mi voglio soffermare su un capitolo in particolare, quello dedicato alla psicopatia e ai disturbi di personalità negli assassini seriali. Di solito, il termine psicopatico è accostato a qualche tipo di comportamento criminale, come se tutti i soggetti con questa patologia avessero a che fare con la giustizia. Purtroppo non è così, nel senso che ci sono moltissimi psicopatici nascosti tra la gente comune, tra i conoscenti, gli amici e i parenti che consideriamo normali, soggetti pericolosi in grado di manipolare e distruggere la vita di altre persone con estrema disinvoltura senza, di fatto, commettere alcun reato.

    Non tutti i serial killer sono affetti da questo disturbo della personalità, ma a chiunque nella vita è capitato, o capiterà, di incrociare la propria strada con uno psicopatico, per cui un capitolo dedicato è particolarmente utile non solo per comprendere meglio il modo di agire degli assassini seriali, ma soprattutto per avere qualche strumento in più per conoscere meglio come si manifesta la psicopatia, le cause genetiche e quelle ambientali che la originano, allo scopo di poterla riconoscere nelle persone che entrano a far parte della nostra vita quotidiana, il tutto grazie a una panoramica aggiornata degli studi in materia.

    Troppo spesso si notano anche persone che si definiscono esperti fare confusione nell’uso di termini quali psicopatia, sociopatia, disturbo antisociale della personalità, diagnosi che hanno degli evidenti elementi in comune, ma anche marcate differenze. Dopo aver letto le domande e le risposte che compongono il capitolo, non avrete più alcun dubbio sul modo corretto di utilizzarli e su come si manifestino realmente i disturbi collegati alle suddette etichette. La ciliegina sulla torta è presente nella sezione dedicata alle schede di approfondimento, dove è riportata integralmente la classificazione dei disturbi di personalità operata nel DSM-5-TR, l’ultimissima versione del Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, pubblicata nel 2022.

    Come il precedente libro di Ruben, anche questo è un testo che non può assolutamente mancare nella biblioteca di uno studioso di Criminologia Investigativa.

    Roberta Bruzzone

    Psicologa Forense e Criminologa Investigativa

    Presidente Accademia Internazionale delle Scienze Forensi

    www.accademiascienzeforensi.it

    INTRODUZIONE

    Che senso ha parlare di serial killer nel 2023?

    Sfogliando le pagine dei quotidiani, sembra proprio che gli assassini seriali siano quasi estinti.

    Guardando i telegiornali, si ha la percezione che non ci sia più spazio per questi enigmatici personaggi.

    Eppure, al terzo posto tra le serie più viste del 2022 su Netflix, si piazza quella dedicata a Jeffrey Dahmer, il Mostro di Milwaukee, un serial killer americano che uccise diciassette persone tra il 1978 e il 1991 e che continua a esercitare il suo fascino morboso, nonostante siano trascorsi più di trent’anni dalla fine dei suoi macabri rituali.

    Qual è la spiegazione per questa apparente contraddizione?

    Che, nonostante l’attenzione dei mass media contemporanei si sia focalizzata negli ultimi anni su altri temi – femminicidio, Covid-19, crisi economica, guerra Russia-Ucraina – la curiosità del pubblico per il mistero che si cela dietro la figura del serial killer è sempre viva e palpitante.

    Il libro che avete tra le mani è diverso da qualsiasi altro testo che tratti l’omicidio seriale, ed è molto differente anche dalle mie precedenti pubblicazioni sull’argomento: nonostante la tematica sia tutt’altro che leggera, questo volume è ponderoso ma, al tempo stesso, agile, divertente (per quanto sia possibile divertirsi leggendo di omicidi, psicopatici e torturatori…), pieno di curiosità, citazioni, aneddoti, spigolature e quiz, una lettura adatta anche ai non addetti ai lavori e a chi sia semplicemente intrigato dalla personalità di queste figure che hanno colonizzato i palinsesti delle piattaforme di streaming.

    Chi sono i serial killer, come pensano, come e chi uccidono, come fare a catturarli, che succede dopo la cattura (quello che, di solito, non vi fanno vedere nelle serie tipo Criminal Minds…), chi sono le groupies e tanto, ma tanto, altro ancora. Il tutto – comprese le teorie sul come si diventa un assassino seriale e le ricerche scientifiche sull’origine genetica o ambientale della psicopatia – aggiornato agli ultimi studi del 2023 e organizzato in un trivia book, una forma di libro molto in voga nel mondo anglosassone, ma poco praticata qui da noi. Il trivia book è un libro che affronta un determinato argomento sotto forma di domande e risposte, quiz, curiosità e aneddotica varia. Ed è esattamente quello che ho fatto qui: ogni capitolo è strutturato in domande e risposte, per cui potete iniziare a leggerlo da qualsiasi punto e trovare la risposta a quella che è la domanda che v’incuriosisce o solletica la vostra fantasia. In totale, troverete 270 domande con le relative risposte, alcune più sintetiche, altre dei veri e propri mini trattati.

    La seconda parte del libro è una raccolta di schede di approfondimento, ben nove, dove potete trovare curiosità assortite – come i segni zodiacali dei serial killer e i soprannomi assegnati loro dalla stampa o dalla polizia – ma anche approfondimenti scientifici, come i dati pubblici della Banca dati mondiale dei serial killer, la classificazione dei disturbi di personalità del DSM-5-TR e la classificazione degli assassini secondo i ventidue gradini della Scala del male.

    Poi, la chicca finale: 250 quiz, con risposte a scelta multipla, per testare la vostra conoscenza sui serial killer, da fare prima, durante o dopo aver letto il testo. E, una volta risposto a tutti i quiz, potrete verificare quanto ne sapete sul serio dell’argomento.

    In questo libro troverete tutto, ma proprio tutto, quello che volete sapere sull’omicidio seriale. C’è una cosa però che non troverete, ed è una scelta voluta e ben ponderata: non leggerete quasi niente sui casi irrisolti, quelli nei quali i mass media hanno affibbiato un soprannome allo sconosciuto responsabile di una serie di omicidi, tipo il Mostro di Firenze, il Killer dello Zodiaco, il Macellaio di Mons e tanti altri. Non ho trattato questi casi perché, di fatto, non abbiamo alcuna certezza sul fatto se gli assassini coinvolti in ogni serie siano uno, due, tre o cento, come ben rappresentato dal caso del Mostro di Firenze, in cui prima si è teorizzato che l’assassino fosse il solo Pietro Pacciani, poi si è passati alla teoria dei compagni di merende, poi a quella dei mandanti che commissionavano i delitti per conto di una misteriosa setta esoterica… e poi, a colpi di sentenze processuali contraddittorie, si è tornati alla casella di partenza, senza essere certi di chi sia stato, realmente, l’assassino attivo nella campagna fiorentina. Fino a quando non abbiamo un’identificazione sicura (e, probabilmente, in questi casi non avremo mai la prova schiacciante che inchioderà il vero colpevole), non facciamo altro che navigare nel mare delle speculazioni, delle ipotesi e delle teorie più bizzarre: basti pensare che, dopo più di un secolo, continuano a spuntare fuori nomi di nuovi sospettati da associare all’identità di Jack lo Squartatore.

    Un altro caso in cui si può dire tutto e il suo contrario è quello del Killer dello Zodiaco, un misterioso e inafferrabile assassino attivo nella California settentrionale alla fine degli anni Sessanta. Il 6 ottobre 2021, i Case Breakers, una squadra indipendente di quaranta ex investigatori, ufficiali di intelligence militare e giornalisti, ha dichiarato di aver identificato Zodiac nella persona di Gary Francis Poste, un ex militare, veterano dell’aviazione americana, che, pare, fosse il leader di una gang criminale attiva nello stesso periodo e nella stessa zona del killer. La notizia è stata rilanciata il 18 maggio 2023 e il gruppo investigativo sostiene che l’FBI avrebbe confermato che Poste e Zodiac erano la stessa persona, grazie a una traccia di DNA che darebbe una corrispondenza parziale. Dal canto suo, l’FBI afferma che il caso è ancora aperto e diversi esperti che studiano i delitti di Zodiac da più di venticinque anni affermano, senza mezzi termini, che la teoria è una bufala. In aggiunta, Gary Francis Poste è morto nel 2018 e non può dire la sua. In cinquant’anni e passa, chiunque sia transitato, anche solo di passaggio, nella zona della baia di San Francisco e nella contea di Napa è stato sospettato di essere il Killer dello Zodiaco, per cui parlare di casi come questo significa soltanto infilarsi in una ridda di congetture senza capo né coda.

    E quindi, badiamo ai fatti e, senza ulteriori indugi, partiamo per questo viaggio in giro per il mondo, in cui risponderò a tutto quello che avreste voluto chiedere sui serial killer, ma non avete mai osato domandare.

    1. SERIAL KILLER: QUALI SONO I CONCETTI FONDAMENTALI?

    I serial killer sono sempre esistiti, da molto prima che a qualcuno venisse in mente di coniare il termine.

    Se ci fermiamo un attimo a riflettere, risulta evidente come l’omicidio seriale sia una attività praticata da sempre dagli esseri umani, perché unisce l’atto di uccidere (la prima, e la più usata, modalità di risoluzione dei conflitti appresa dall’uomo) alla tendenza innata a ripetere i comportamenti che procurano piacere e gratificazione.

    L’uomo è per natura un essere abitudinario, che ha bisogno di sicurezza e familiarità per vivere bene. Noi tutti, i cosiddetti normali, continuiamo ad andare nello stesso ristorante se ci siamo trovati bene la prima volta, guardiamo i sequel, i prequel, gli spin-off dei film che ci hanno appassionato, andiamo in vacanza nello stesso luogo che ci ha regalato sensazioni di felicità. Alcuni individui provano un piacere e una sensazione di benessere speciali quando uccidono per la prima volta, ed è normale che uccidano ancora, in quanto esseri umani istintivamente portati alla ripetizione di schemi e azioni connotati in maniera positiva.

    Oggi siamo abituati a sentir parlare di serial killer, grazie all’abbondanza di libri, film e serie TV dedicati, ma in realtà questo tipo di criminale viene studiato come entità a sé stante solo dall’inizio degli anni Ottanta del XX secolo. Prima, esisteva solo un enorme contenitore onnicomprensivo che andava sotto il nome di omicidio multiplo e che riuniva, indistintamente, tutti quei casi in cui un assassino uccideva più di una vittima. Dai primi studi pionieristici condotti dall’FBI, anche la letteratura scientifica internazionale sull’argomento si è moltiplicata e diversificata, con l’obiettivo di trovare il maggior numero possibile di elementi che consentano di decifrare la contorta e sfaccettata personalità dell’assassino seriale. Gli studiosi contemporanei fanno notare come la maggior parte delle considerazioni originarie dell’FBI, basate su campioni di osservazione particolarmente ristretti, non sia più da considerarsi valida, perché la realtà oggettiva è molto più complessa e articolata.

    1. Chi ha coniato il termine serial killer?

    La credenza comune è che sia stato Robert Ressler, agente speciale dell’FBI, a usare il termine per la prima volta, durante una lezione accademica alla fine degli anni Settanta.

    In realtà non è così. Il primo uso dell’espressione in lingua inglese risale al 1950, all’interno di un libro: The Complete Detective. The Life and Strange and Exciting Cases of Raymond Schindler, Master Detective, scritto da Rupert Hughes. Il capitolo 2 è intitolato The serial murderer e racconta il caso di Arthur Warren Waite, che avvelenò due persone nel 1916. Due anni prima, nel 1948, lo storico Robert Eisler usò il termine serial killings durante una conferenza tenuta presso la Royal Society of Medicine di Londra, a proposito degli omicidi seriali rappresentati nei tradizionali spettacoli inglesi Punch & Judy (spettacoli di marionette per bambini).

    A Berlino, nel 1930, il famoso poliziotto tedesco Ernst August Ferdinand Gennat utilizza il termine Serienmörder (che, in inglese, viene tradotto come serial murderer o, appunto, serial killer) all’interno di un articolo dal titolo Die Düsseldor fer Sexualverbrechen che parla di Peter Kürten, il Mostro di Düsseldorf. Negli anni Venti e Trenta, in Germania si erano verificati diversi casi di omicidio seriale che avevano suscitato molto interesse nella popolazione e anche tra gli esperti in criminologia e investigazione.

    Ma il primo uso del termine risale ad ancora prima.

    Nel 1927, uno sconosciuto giornalista olandese scrisse la recensione del film The Coming of Amos, uscito nel 1925, per il giornale «Algemeen Handelsblad». Il film narra la storia di un pastore di pecore australiano che s’innamora di una principessa russa i cui ammiratori vengono uccisi.

    Nell’articolo, l’assassino viene definito un seriemoordenaar, cioè proprio un serial killer.

    2. Qual è la definizione classica di serial killer usata dall’FBI?

    Alla fine degli anni Settanta, gli agenti speciali Robert Ressler e John Douglas, in forza al Dipartimento di Scienze Comportamentali dell’FBI con sede a Quantico, in Virginia, condussero una serie di interviste con trentasei criminali sessuali rinchiusi nelle prigioni degli Stati Uniti: l’obiettivo era entrare nelle loro menti e comprenderne il modo di pensare e di agire.

    Da questo innovativo studio sul campo, nel 1979 originò la definizione di tre tipologie di assassini multipli:

    Mass Murderer ("assassino di massa"): uccide quattro o più vittime nello stesso luogo e in un unico evento; di solito, il soggetto non conosce le proprie vittime e la scelta è generalmente casuale;

    Spree Killer ("assassino compulsivo"): uccide due o più vittime in luoghi diversi e in uno spazio di tempo molto breve; questi delitti, spesso, hanno un’unica causa scatenante e sono tra loro concatenati in un certo periodo; anche in questo caso, il soggetto non conosce le vittime e, dato che non nasconde le tracce, viene catturato facilmente;

    Serial Killer ("assassino seriale"): uccide tre o più vittime in luoghi diversi e con un periodo di intervallo emotivo (cooling-off time) fra un omicidio e l’altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di una vittima; può colpire a caso oppure scegliere accuratamente la vittima; spesso, ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato.

    Negli anni successivi, è apparso in maniera sempre più evidente che le definizioni dell’FBI si basavano su un campione troppo ristretto (scelto senza rispettare le regole della casualità, ma solo in base alla partecipazione volontaria dei singoli criminali) e che solo venticinque degli intervistati erano effettivamente assassini seriali. Le interviste si basavano su questionari non strutturati e non è mai stata presentata un’analisi dettagliata del materiale impiegato, né tantomeno i nomi di tutti gli assassini coinvolti nel progetto: Ressler e colleghi si sono limitati a mostrare alcune tabelle riassuntive con le risposte dei soggetti.

    3. Qual è la definizione di serial killer più accreditata oggi?

    Nel 2005, si è svolto in Texas il primo simposio multidisciplinare dedicato all’omicidio seriale, al quale hanno partecipato 135 esperti provenienti da dieci paesi (Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Germania, Olanda, Russia, Svezia, Sudafrica, Ghana). Al termine dei lavori, è stata elaborata una nuova definizione di serial killer che ha sostituito ufficialmente quella ormai datata dell’FBI, per cui «l’omicidio seriale è l’uccisione illegale di due o più vittime da parte di uno stesso aggressore (o più aggressori) in eventi separati». La conseguenza di questa definizione estremamente generica (che, ad esempio, non prende in considerazione lo stato mentale dell’assassino) è che sono chiamati serial killer praticamente tutti i soggetti che commettono due o più omicidi con qualsiasi intervallo temporale, indipendentemente dalla motivazione che li spinga a uccidere.

    4. Qual è la mia definizione di serial killer?

    Nel 2021, ho elaborato una nuova definizione di assassino seriale, partendo da quella che avevo creato nella mia tesi di laurea in Psicologia del 1996, rielaborata in un mio libro del 2001 e confrontandola con quella un po’ troppo generica del simposio internazionale del 2005. Vi sono arrivato dopo aver studiato più di cinquemila casi di serial killer di tutto il mondo:

    L’assassino seriale è un soggetto che mette in atto due o più azioni omicide separate tra loro (nello stesso luogo o in luoghi diversi), oppure esercita un’influenza psicologica che spinge altre persone a uccidere al posto suo.

    Il soggetto deve mostrare una chiara volontà di uccidere ripetutamente, indipendente dal risultato (morte o sopravvivenza delle vittime), a condizione che almeno un’azione abbia esito letale.

    L’intervallo che separa le azioni omicide può variare da un giorno a interi anni e le vittime di ogni singolo evento possono essere più di una (omicidi di massa all’interno della serie).

    Di solito, il serial killer è un predatore solitario, ma può agire anche in coppia o in gruppo:

    – nelle coppie, va verificata la presenza di un’effettiva pulsione omicida in entrambi i soggetti e la loro partecipazione attiva agli omicidi, o se uno dei due non abbia solo un ruolo accessorio e obbedisca perché obbligato, affetto da una malattia mentale, o per immaturità anagrafica o intellettiva;

    – nei gruppi, solo alcuni membri hanno un ruolo attivo negli omicidi, per cui non sono tutti classificabili come assassini seriali e il coinvolgimento effettivo va valutato caso per caso.

    Le motivazioni superficiali che spingono a uccidere sono varie, ma esiste un’unica motivazione psicopatologica profonda valida per tutti: il bisogno di esercitare potere e controllo su altri esseri umani per ottenere una gratificazione personale.

    Esistono serial killer nascosti tra sicari mafiosi, terroristi e soldati (se uccidono per sadismo personale, indipendentemente dagli ordini ricevuti).

    5. È possibile definire serial killer anche un soggetto che non commette due omicidi?

    La risposta è: sì.

    L’uso dell’espressione azioni omicide nella mia definizione non è casuale: per classificare un soggetto come serial killer, è importante l’intenzione e non il risultato pratico, cioè se le vittime rimangano in vita o meno, perché la loro sopravvivenza può dipendere da un caso fortuito, da un intervento esterno o dalla particolare robustezza della loro costituzione: se l’aggressore attacca due vittime, in due episodi separati, con una chiara volontà di uccidere ripetutamente, e almeno una delle azioni ha esito letale, è un serial killer a tutti gli effetti.

    Il 2 ottobre 2010, l’ungherese Jozsef Eberling uccide una prostituta a Lakitelek, picchiandola brutalmente e seppellendo il cadavere nella foresta. Quasi due anni dopo, il 21 agosto 2012, afferra un coltello e pugnala un’altra prostituta con numerosi fendenti, soprattutto alla schiena e al collo. Eberling crede che sia morta e se ne va senza seppellirla. Invece, la ragazza riprende conoscenza e, nonostante perda molto sangue da uno degli squarci al collo, riesce a tenere una mano premuta sulla ferita e a trascinarsi fino a una fattoria: ricoverata in ospedale, si salva, dopo aver trascorso diversi giorni sospesa fra la vita e la morte. Il fatto che la seconda vittima di Eberling sia sopravvissuta è stato un evento casuale: la volontà di uccidere era evidente e fa del colpevole un serial killer a tutti gli effetti.

    6. Perché c’è la percezione che i serial killer stiano scomparendo?

    Il periodo compreso fra il 1970 e il 2000 è stato definito l’età d’oro dei serial killer perché, in quegli anni, si sono verificati tutti i casi più famosi di omicidio seriale. Ted Bundy, John Wayne Gacy, Jeffrey Dahmer, Aileen Wuornos, Andrej Čikatilo, Peter Sutcliffe, il Mostro di Firenze, Donato Bilancia: sono tutti nomi entrati nell’immaginario collettivo negli ultimi trent’anni del XX secolo.

    Lo studio specifico di questo tipo di crimine era solo agli inizi, e quindi i serial killer riuscivano spesso a uccidere un numero in doppia cifra di vittime prima di essere catturati: quando venivano scoperti, i mass media ne parlavano per giorni o settimane, evidenziando tutti i particolari più morbosi e sensazionali. Oggi non è più così e la percezione del pubblico è che l’omicidio seriale sia in via d’estinzione per una serie di motivi:

    – all’inizio del xxi secolo, si è verificato l’attacco alle Torri Gemelle e il terrorismo è diventato l’argomento più gettonato dai media. Poi, il focus si è allargato all’emergenza della violenza contro le donne, portando una valanga di articoli e servizi giornalistici su stalking e femminicidio. Negli ultimi anni, non si è parlato quasi di altro che di Coronavirus e pandemia. E adesso, la guerra Russia-Ucraina;

    – la tipologia di serial killer che ha sempre attirato l’attenzione morbosa dei media e del pubblico è quella del maniaco sessuale che agisce le sue perversioni sulle vittime (sadismo, necrofilia, feticismo, mutilazioni). Quando vengono scoperti assassini seriali la cui motivazione principale non è il sesso, i mezzi d’informazione se ne occupano a malapena e il pubblico non si appassiona al caso;

    – i progressi tecnologici e investigativi contemporanei hanno reso più efficace l’intervento di contrasto delle forze dell’ordine e, di conseguenza, più difficile per gli assassini prolungare le serie. L’analisi del DNA è diventata una procedura standard per tutti i casi di omicidio negli Stati Uniti e viene utilizzata anche in molti altri paesi del mondo. Le videocamere di sorveglianza sono molto più diffuse nelle città e quindi è diventato complicato, per un serial killer, non essere visto;

    – un’altra conseguenza del miglioramento delle tecniche d’indagine è che diversi soggetti con la struttura mentale di un serial killer vengono arrestati dopo aver commesso un solo omicidio e, quindi, s’interrompe sul nascere la possibilità di diventare un seriale (almeno finché il soggetto non viene scarcerato dopo aver scontato la prima condanna);

    – sono scomparse (o sono drasticamente diminuite) alcune categorie vittimologiche comuni negli ultimi decenni del secolo scorso, ad esempio gli autostoppisti: negli anni successivi alla rivoluzione culturale del 1968, soprattutto negli Stati Uniti, molti giovani avevano preso l’abitudine di usare l’autostop per spostarsi su grandi distanze, diventando bersagli ottimali per assassini seriali dotati di un mezzo di locomozione proprio; la maggiore diffidenza dei ragazzi di oggi e il miglioramento e la diffusione più capillare dei mezzi di trasporto pubblici o condivisi hanno fatto diminuire gli autostoppisti. Un discorso analogo vale per i bambini, categoria vittimologica d’elezione per gli assassini pedofili: in passato, i bambini avevano l’abitudine di giocare per strada senza essere sorvegliati dai genitori, adesso la diffidenza è aumentata in maniera esponenziale e i bambini preferiscono restare chiusi in casa e giocare online, quindi è più difficile, per un predatore, poterli catturare.

    7. Gli assassini di massa hanno preso il posto dei serial killer?

    La risposta è: sì, secondo la sensazione del pubblico; no, nella realtà.

    La percezione è proprio questa: recentemente, alcuni esperti hanno teorizzato che gli assassini di massa siano diventati i nuovi serial killer, in termini di attenzione dei mass media e interesse del pubblico; è probabile che alcuni di essi, trent’anni fa, avrebbero scelto una carriera da assassini seriali e viceversa.

    Quel che è vero è che, a partire dagli anni Novanta, in concomitanza con l’apparente diminuzione dei serial killer, c’è stato un progressivo aumento degli assassini di massa che, in alcuni casi, avevano un profilo di personalità sovrapponibile a quello dei seriali. Le indagini sul background dei responsabili del massacro di Columbine del 1999 hanno portato gli esperti dell’FBI, e altri consulenti, a concludere che Eric Harris, uno dei due colpevoli, era il tipo di psicopatico che sarebbe potuto diventare facilmente un serial killer.

    In realtà, si tratta di impressioni e sensazioni, perché i due fenomeni non sono correlati e l’apparente diminuzione dei serial killer non trova un riscontro effettivo nei numeri. Gli assassini di massa commettono la strage con un’unica motivazione: quella di vendicarsi contro la società che ritengono in qualche modo responsabile di un torto percepito. A differenza dei serial killer, le loro azioni sono permeate da un senso di autodistruzione perché sanno che, nella maggioranza dei casi, saranno uccisi durante la strage, o quantomeno verranno arrestati.

    8. Oggi, ha ancora senso parlare di spree killer?

    La maggior parte dei ricercatori contemporanei ritiene che ci sia una scarsa differenziazione psicologica fra spree killer e serial killer e, da quando l’FBI ha organizzato il simposio internazionale nel 2005, il termine è caduto in disuso, perché la definizione di spree killer non risulta di nessuna utilità investigativa. Gli assassini multipli adesso sono classificati solo come serial, oppure come mass.

    La definizione di serial killer del 2005 non utilizza più come criterio distintivo la quantificazione del «periodo di raffreddamento emotivo» (cooling-off time), ma parla genericamente di «eventi separati», quindi rimangono valide le distinzioni tra chi uccide più vittime in un unico evento e spazio, o in una continuità temporale e di luoghi (mass murderer), e chi uccide, appunto, in eventi separati (serial killer).

    Alcuni criminologi, invece, ritengono che abbia ancora senso parlare di spree killer, ma in un’ottica contemporanea, ovvero dopo aver revisionato la definizione. Safarik e Ramsland (2020) li definiscono come «quei soggetti che uccidono due o più vittime in un unico evento che si svolge in due o più luoghi diversi». Essendo considerato un unico evento nel quale gli omicidi sono collegati fra loro, non c’è un periodo di raffreddamento emotivo. Fondamentalmente, gli spree killer stanno in movimento, uccidendo lungo il percorso, finché l’onda non finisce con il suicidio, la cattura o lo scontro a fuoco con la polizia. Questi assassini cercano di rimanere in vita più a lungo rispetto ai mass killer, ma non occultano la loro identità come i serial killer.

    9. Esiste una classificazione dei moventi degli spree killer?

    Sì. Esiste, è una sola e, comunque, va ricordato che né l’FBI né altre agenzie di controllo la considerano una classificazione utile ai fini investigativi, ma soltanto un esercizio accademico.

    Safarik e Ramsland (2020) considerano sette motivazioni per gli spree killer:

    Rabbia/Vendetta. Alcuni assassini che covano un rancore o cercano vendetta sanno esattamente chi vogliono uccidere (vittime selezionate), altri hanno un bisogno generalizzato di punire la società o una determinata istituzione (vittime opportunistiche); altri ancora scelgono come bersaglio specifico una o più vittime, ma poi estendono la furia omicida su vittime casuali o opportunistiche (vittime miste). Con rare eccezioni, questi spree killer agiscono da soli e sono quasi sempre maschi.

    Esecutori di una Missione. Questi assassini sono convinti di avere una missione da svolgere: a volte, la missione è dettata da un disturbo psichiatrico, che si manifesta attraverso allucinazioni e deliri (missione psicotica); in altri casi, si tratta di un crimine d’odio o di una volontà di incutere terrore (missione razionale). Nella maggior parte dei casi, lo spree killer è un solitario, ma ci possono essere anche casi di assassini che agiscono in coppia o in gruppo.

    Disperazione. Questa motivazione è tipica dei soggetti che sentono di non avere niente da perdere e corrisponde a una specie di suicidio allargato. Sentono la frenesia di spostarsi e uccidere finché non verranno fermati o, più probabilmente, uccisi loro stessi. Le vittime sono più spesso scelte casualmente che selezionate, ma alcuni uccidono anche un membro della famiglia o qualcuno contro il quale hanno motivi di rancore. Spesso rubano i mezzi di trasporto delle vittime, invadono case o compiono rapine armate per procurarsi dei mezzi di sostentamento.

    Malattia mentale. A differenza dei soggetti che pensano di avere una missione da compiere e che possono essere psicotici, questi assassini non hanno un obiettivo preciso e la maggior parte di essi agiscono per reazione, piuttosto che pianificare con attenzione. Sono sempre assassini solitari e, nella quasi totalità dei casi, maschi.

    Rapina/Eccitazione. Queste motivazioni si presentano insieme il più delle volte: quando il movente primario è l’eccitazione, il furto può essere sporadico o premeditato. In molti casi, la violenza è eccessiva e gratuita e, spesso, gli omicidi sono commessi da una coppia o da un gruppo, e sono presenti più donne rispetto alle altre categorie (ma non agiscono mai da sole, sempre insieme a un uomo). Il tasso dei suicidi degli assassini è molto più basso rispetto agli altri moventi.

    Spostamento in luoghi ravvicinati. Gli assassini si spostano quasi sempre a piedi e impiegano più energia per localizzare le vittime, rispetto ad altre categorie. In questa categoria, ci sono gli assassini che si spostano da un edificio a un altro adiacente, che salgono e scendono fra i piani di uno stesso edificio o fra strade in uno stesso quartiere. Gli omicidi possono iniziare all’esterno e proseguire in uno spazio chiuso. Il tipo di movimento, di solito, è più accentuato rispetto al mass killer che, generalmente, si sposta in un solo piano di un edificio ritornando anche più volte in uno stesso ambiente.

    Moventi misti. In questa categoria, rientrano gli assassini che uccidono le vittime per due o più motivazioni. Ci sono serial killer che intraprendono un’azione spree o mass killer che scelgono delle vittime poco prima o subito dopo la carneficina principale.

    10. Quali sono i quattro tipi classici di serial killer?

    Nei primi decenni di studio dell’omicidio seriale, c’era una sola classificazione dei serial killer che veniva usata praticamente da tutti gli esperti del settore, quella creata da Holmes e De Burger (1988) che li suddivideva in quattro tipologie:

    Il visionario: uccide per obbedire agli ordini ricevuti da voci – di solito, di Dio o del Diavolo – che gli dicono di fare qualcosa (allucinazioni uditive) o da visioni che assolvono lo stesso compito (allucinazioni visive). I soggetti che soffrono di allucinazioni visive sono convinti di essere posseduti da una specie di demone soprannaturale e la maggior parte di essi mostra un quadro patologico piuttosto grave, nel quale le diagnosi più comuni sono schizofrenia di tipo paranoide oppure disturbo allucinatorio paranoide.

    Un classico esempio di visionario era Richard Trenton Chase, conosciuto anche come il Vampiro di Sacramento: soffriva di psicosi ed era convinto che il suo sangue si stesse lentamente trasformando in polvere e che l’unico modo per reintegrarlo fosse consumare il sangue delle vittime; per questo motivo, uccise tredici persone tra il 1977 e il 1978.

    Il missionario: è convinto di dover portare a termine una specie di missione divina per ripulire il mondo da persone considerate indesiderabili (prostitute, vagabondi, spacciatori di droga, ecc.). Generalmente, questo soggetto non soffre di una psicosi, ma è condizionato da convinzioni personali sostenute da false percezioni di tipo paranoide; non prova rimorso per le sue azioni, in quanto è convinto che sta eseguendo un compito che gli è stato assegnato direttamente da Dio per migliorare la società.

    Un esempio di missionario era Peter Sutcliffe, conosciuto anche come lo Squartatore dello Yorkshire: una volta venne deriso da una prostituta e così, tra il 1975 e il 1980, aggredì e uccise tredici di esse, tentando di assassinarne altre sette nella parte settentrionale dell’Inghilterra. Quando venne arrestato, disse che stava «semplicemente ripulendo le strade». In realtà, Sutcliffe mostrò anche alcuni comportamenti tipici del visionario, perché disse che udiva una voce proveniente da Dio che gli ordinava di uccidere.

    L’edonista: prova un particolare piacere nell’atto di uccidere, che gli fornisce una sensazione di soddisfazione descrivibile come un orgasmo emotivo, simile a quello sperimentato dal giocatore d’azzardo che scommette e aspetta i risultati o alla sensazione di eccitazione provata dalle persone che intraprendono attività rischiose per sperimentare emozioni forti.

    L’edonista può essere suddiviso in ulteriori tre sottocategorie:

         – Assassino per piacere (lust killer): uccide per raggiungere una gratificazione sessuale.

         – Assassino per eccitazione (thrill killer): uccide per ottenere una scarica di adrenalina.

         – Assassino per benessere (comfort killer): uccide per un motivo economico o per altri guadagni materiali.

    Edmund Emil Kemper è il classico esempio di lust killer. Tra il 1972 e il 1973, diede un passaggio a sei ragazze che facevano l’autostop nei dintorni di Santa Cruz, in California, le strangolò e le fece a pezzi. Ogni omicidio gli procurò una gratificazione sessuale, piacere che derivava non tanto dalle uccisioni quanto dai successivi atti di mutilazione e di necrofilia.

    Le donne serial killer, di solito, rientrano nella categoria di comfort killer e forse la più famosa di tutte è stata Dorothea Puente, la proprietaria di una pensione a Sacramento (California) che drogava e uccideva gli anziani inquilini: l’obiettivo della donna era impadronirsi degli assegni previdenziali delle vittime. Ha compiuto nove omicidi ed è stata condannata a morte.

    Un caso molto interessante è quello dell’inglese Harold Shipman, un medico della mutua rivelatosi uno dei peggiori serial killer di sempre, perché i suoi numerosi omicidi (più di duecentocinquanta accertati) sembrano rientrare in tutte e tre le sottocategorie dell’edonista. Shipman otteneva gratificazione sessuale e una grande dose di eccitazione quando uccideva e, in alcuni casi, ha falsificato i testamenti delle vittime per includere sé stesso come beneficiario.

    Il cercatore di potere/controllo: l’obiettivo principale è quello di esercitare il controllo assoluto su un’altra persona, per decidere se deve vivere o morire e sentirsi simile a Dio. In questo caso, l’eventuale stupro, sodomizzazione e/o mutilazione del corpo della vittima non ha una reale motivazione di tipo erotico e il sesso viene utilizzato soprattutto come strumento per dimostrare il proprio potere sulla vittima.

    Alcuni degli assassini seriali più prolifici di tutti i tempi rientrano in questa categoria, che è quella più frequente. L’esempio più famoso è sicuramente l’americano Ted Bundy, che aveva un’autentica ossessione per il controllo su ogni aspetto della vita delle vittime: le manipolava, le aggrediva brutalmente, le violentava e scaricava i cadaveri in luoghi isolati. A volte, tornava sulle scene dei crimini dopo gli omicidi e violava nuovamente i corpi delle vittime.

    Altri famosi serial killer di questa categoria sono John Wayne Gacy, Dennis Rader, Gary Ridgway, David Parker Ray, James DeAngelo (tutti attivi negli Stati Uniti), Ian Brady (Inghilterra) e Andrej Čikatilo (Russia).

    11. La classificazione di Holmes e De Burger è ancora valida oggi?

    Sì, ma solo da un punto di vista accademico.

    Sul versante investigativo, non ha alcuna utilità pratica e non è esaustiva di tutta la casistica.

    Una revisione critica di questa classificazione ha evidenziato quattro problemi che la rendono inadatta a descrivere il fenomeno in epoca contemporanea:

    – non vengono forniti i dati del campione di riferimento usato per creare la classificazione, un errore comune alla maggior parte degli studi effettuati sull’omicidio seriale;

    – le diverse tipologie non si escludono a vicenda (soprattutto il visionario e il missionario) e uno stesso soggetto può rientrare in più categorie;

    – i moventi proposti non sono esaustivi di tutta la realtà casistica;

    – questa classificazione non tiene conto di tutte le interazioni fra assassino, vittime e ambiente, e non sembra abbastanza flessibile da permettere l’inserimento di un serial killer che può avere motivi diversi per vittime differenti o cambiare motivazione durante la serie omicidiaria.

    12. Qual è il primo serial killer registrato dalla storia?

    Nell’antica Cina del II secolo a.C., il principe Liu Pengli trucidò barbaramente decine di uomini, donne e bambini.

    Liu Pengli (di cui non si conosce la data di nascita), membro della famiglia imperiale della dinastia Han, aveva quattro fratelli e governò sul principato di Jidong a partire dal 144 a.C., un’epoca tumultuosa di ribellioni e macchinazioni politiche, in seguito alla quale suo padre, l’amato fratello minore dell’imperatore Jing, fu bandito.

    Pengli era un sadico che amava dare la caccia ad altri esseri umani per sport. Poco dopo aver assunto il potere a Jidong, radunò una banda di schiavi e giovani criminali, che di notte terrorizzava chiunque incontrasse sulla sua strada. Il popolo della regione viveva nella paura perché, per puro svago, Liu assassinava i sudditi, derubandoli dei loro averi, e andò avanti così per ventitré anni.

    Alla fine, il figlio di una delle vittime si rivolse all’unica persona che avesse l’autorità necessaria per intervenire, l’imperatore Jing, zio di Liu, che mise fine ai suoi crimini. Le indagini accertarono che gli omicidi compiuti dal principe erano stati almeno cento.

    Pressato dai membri della corte, che chiedevano l’esecuzione di Liu Pengli, l’imperatore riconobbe la gravità dei suoi crimini, ma esitava a condannare a morte il suo stesso nipote. Decise perciò di privare l’assassino del titolo reale, confinandolo in un’altra provincia; da quel momento, non si sono più avute sue notizie. La sua morte è stata registrata nel 115 a.C.

    13. Chi è il primo serial killer in epoca contemporanea?

    Non esiste una concordanza fra tutti gli studiosi su quale sia il primo serial killer dell’era contemporanea ma, considerando che si tratta dell’epoca che inizia con la Rivoluzione industriale (1760) o con la Rivoluzione francese (1789), il candidato più probabile (quello sulle cui macabre imprese esiste la documentazione più attendibile) è Martin Dumollard, un contadino francese originario di Dagneux, che ha commesso diversi omicidi nelle zone di Ain e Rhone.

    Dumollard nacque nel 1810 e restò orfano nel 1814. Il padre era un criminale di origine ungherese che venne arrestato e giustiziato mediante smembramento, esecuzione a cui il piccolo Martin assistette insieme alla madre. Dopo essersi trasferito nella zona di Montluel, sposò Marie-Anne Martinet che, in seguito, lo aiutò negli omicidi. Tra il 1855 e il 1861, attirò ragazze giovani offrendosi di farle lavorare come cameriere in cambio di un lauto compenso: al processo, furono provate dodici aggressioni, culminate in tre omicidi con relativo furto dei beni delle vittime. Il 26 maggio 1861, una ragazza riuscì a scappare e sporse denuncia contro Dumollard. Arrestato e processato velocemente, era sospettato di più di seicento aggressioni ed è possibile che gli omicidi fossero più dei tre per i quali erano state raccolte prove certe. L’uomo venne condannato a morte e giustiziato nella pubblica piazza di Montluel, mentre la moglie, ritenuta sua complice, fu condannata a vent’anni di lavori forzati.

    14. I serial killer sono tutti maschi bianchi, concentrati soprattutto negli Stati Uniti, e le donne sono una rarità statistica?

    Assolutamente no.

    Nel periodo di picco dell’omicidio seriale (anni Settanta-Novanta del XX secolo), il profilo demografico tipico del serial killer era: single, maschio bianco, solitario, disadattato, con un lavoro modesto, di età compresa fra i venti e i trent’anni, che aveva coltivato a lungo fantasie sessuali devianti finché, a un certo punto, non lo soddisfacevano più e un evento stressante nella vita fungeva da detonatore spingendolo a uccidere. Oggi, solo il 12,5% dei serial killer americani corrispondono a questo profilo.

    Quasi tutti gli assassini seriali cinematografici sono maschi bianchi: Monster (2003) è l’unica pellicola di successo in cui la protagonista, Aileen Wuornos, è una donna serial killer (interpretata da Charlize Theron). Esistono altri film incentrati sulle vicende di un’assassina seriale – o di un serial killer di colore, o di una coppia di assassini –, ma hanno avuto scarsa risonanza mediatica e bassa visibilità.

    Nella realtà, esistono assassini seriali di tutte le razze, bianchi, neri, asiatici, ispanici: forse, l’unico che manca è un serial killer eschimese. E, di sicuro, ci sono molte più assassine di quelle elencate nelle statistiche internazionali, che commettono sempre l’errore di sottovalutarne il numero.

    15. Qual è stato il serial killer più feroce della storia?

    È molto difficile stabilire un simile primato, perché tanti serial killer mostrano un elevato grado di sadismo e brutalità durante gli omicidi, ma uno dei principali candidati è di sicuro Donald Pee Wee Gaskins, un assassino seriale americano riconosciuto colpevole di quindici omicidi accertati, ma che ne ha confessati ben centodieci in un’autobiografia da lui scritta mentre si trovava in carcere.

    Accoltellamenti, soffocamenti, mutilazioni, violenze sessuali, persino episodi di cannibalismo: queste azioni fanno parte del modus operandi di Donald Gaskins, eppure il suo nome non rientra nell’elenco dei serial killer più famosi di sempre, anzi, il suo caso è poco noto a chiunque non sia un esperto del settore. L’uomo, il numero delle cui vittime è ancora oggi incerto, ha ucciso ininterrottamente tra il 1969 e il 1975 (anche se il suo primo omicidio risale al 1953, mentre era in riformatorio, e l’ultimo al 1982, quando era già in carcere). Quando è stato arrestato, Gaskins non ha mai manifestato segni di pentimento per le sue azioni e, poco prima che venisse eseguita la condanna a morte, ha dichiarato di essere deluso per non essere diventato celebre come assassino seriale. In effetti, oggi abbondano le serie TV e i documentari ispirati o dedicati a famosi serial killer americani, ma la vita di Gaskins continua a essere ignota ai più.

    Donald Gaskins nasce nel 1933 nella contea di Florence, nella zona rurale della Carolina del Sud. È l’ultimo di tanti figli illegittimi e viene cresciuto da una serie di patrigni che lo tormentano con calci, pugni e violenze di ogni tipo per tutta l’infanzia. Quando compie dieci anni, la madre sposa uno dei tanti amanti che lo brutalizza come i precedenti. In età precoce, in lui compaiono diversi segni di sadismo: a cinque anni, durante una festa di carnevale, sperimenta un’erezione mentre vede un serpente uccidere un topo avvolgendolo nelle sue spire. A furia di subire soprusi, in lui cresce un sentimento sempre più intenso di rabbia verso il mondo e, in particolare, verso le donne.

    Da adolescente, crea una baby gang insieme a due coetanei, con i quali compie diverse azioni criminali, soprattutto furti, finché non decidono di commettere la prima violenza sessuale, ai danni di una bambina di tredici anni che stuprano per un intero pomeriggio. Dopo una rapina con tentato omicidio, Gaskins viene rinchiuso in riformatorio, dove viene violentato e sodomizzato a più riprese dagli altri ragazzi e dalle guardie. Tornato in libertà, si sposa e diventa padre di una figlia; trova anche un lavoro stabile, ma la fase di serenità dura pochissimo. Gaskins manifesta violente tendenze piromani e la rabbia che prova verso il mondo cresce prepotente: un giorno, aggredisce una ragazza che lo ha canzonato per il suo aspetto fisico, fratturandole il cranio con un martello. Condannato a cinque anni di carcere, viene picchiato e abusato sistematicamente, ma, questa volta, decide di ribellarsi e di uccidere un criminale importante per guadagnare il rispetto degli altri detenuti. Nel 1953, taglia la gola al bersaglio designato.

    Tornato in libertà, nel 1963 viene condannato a sei anni di carcere per la violenza su una bambina di dodici anni. Rilasciato nel 1969, decide di far seguire agli stupri gli omicidi, in modo da evitare di essere denunciato dalle vittime: la prima a essere torturata, violentata e ammazzata è una giovane autostoppista, il cui cadavere, poi, getta nella palude per evitare che venga ritrovato.

    Fino al 1975, Pee Wee uccide donne e uomini senza che nessuno sospetti di lui. Nella sua autobiografia, scritta in carcere, Gaskins divide gli «omicidi degli autostoppisti» dalle uccisioni di persone a lui legate da rapporto di frequentazione e parentela. Nel 1973, commette un triplice omicidio particolarmente brutale: stupra e uccide una ventitreenne all’ottavo mese di gravidanza e la prima figlia di lei, che ha due anni.

    Gaskins si diverte ad ammazzare e prova piacere a torturare e praticare atti di cannibalismo. Il bisogno di uccidere diventa irrefrenabile e nel 1975 lo spinge a commettere degli errori che causeranno la sua cattura. Arrestato il 14 novembre, Donald Gaskins viene processato per gli otto omicidi confessati in prima battuta e condannato a morte. La Corte Suprema però dichiara incostituzionale la sedia elettrica e la sentenza viene commutata in ergastolo. Nel 1982, uccide un detenuto mentre si trova rinchiuso nel blocco di massima sicurezza e, a seguito di quest’ultimo omicidio, è condannato di nuovo a morte, e questa volta la sentenza viene eseguita, il 6 settembre 1991.

    Nella sua autobiografia, Gaskins non mostra mai segni di rimorso o pentimento, ma anzi una grande soddisfazione per aver condotto quella che lui chiama «un’esistenza libera»: «Non devo chiedere scusa a nessuno per quello che ho fatto nella mia vita. Ho sempre avuto le mie ragioni per ogni cosa che ho fatto».

    16. Quali sono i venticinque serial killer più letali della storia?

    È difficile sapere con esattezza il numero di vittime uccise da ogni assassino seriale.

    Esistono le false confessioni, le confessioni mancate, i casi avvenuti in secoli lontani nei quali non c’era alcuna certezza sulla veridicità dei fatti narrati, come quelli di Gilles de Rais ed Erzsébet Báthory.

    Nella classifica all time, stando a quanto sappiamo, il serial killer più prolifico sarebbe il tedesco Peter Niers (scritto anche Nirsch), con 544 vittime (donne). Tra il 1570 e il 1581, si narra che abbia ucciso donne incinte e, contemporaneamente, i bambini che portavano in grembo squartandone il ventre; in molti casi, avrebbe mangiato il cuore delle vittime. Dopo essere stato arrestato e sottoposto a un processo sommario, gli furono rotte braccia e gambe, versato addosso olio bollente e il suo corpo fu squartato. La confessione è stata ottenuta con la tortura, quindi non c’è certezza del computo totale delle vittime.

    In realtà, non si può attribuire un numero esatto a nessun assassino seriale, per cui la classifica è stilata prendendo come riferimento il numero di vittime accertate (il primo numero) e indicando quelle possibili o probabili (il secondo).

    Sulla base delle stime effettuate nella letteratura scientifica e non dal 1801 in poi, ecco la graduatoria dei venticinque serial killer che hanno ucciso il maggior numero di vittime:

    Harold Shipman (Inghilterra), 345-508 vittime. Soprannominato il Dottor Morte, era un medico della mutua che, tra il 1971 e il 1998, commetteva gli omicidi iniettando diamorfina nei pazienti e poi falsificava le cartelle cliniche. Si è suicidato, impiccandosi in prigione prima del processo.

    – Amelia Dyer (Inghilterra), 200-400 vittime. Era una baby farmer che, nell’Inghilterra vittoriana, si faceva pagare da genitori che volevano disfarsi di figli indesiderati e li uccideva, lasciandoli morire di fame o soffocandoli. Si sa che ha commesso l’ultimo omicidio nel 1896, ma non quando abbia iniziato a uccidere.

    Licinio Tedeschi (Italia), 150 vittime. Un partigiano – nome di battaglia: Drago – i cui omicidi sono stati tenuti nascosti dal Partito comunista reggiano dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ha ucciso preti, medici, carabinieri, donne presunte spie, ex fascisti, professionisti, facoltosi imprenditori non fascisti e partigiani tra il 1943 e il 1946, nella zona di Reggio Emilia; era a capo di uno squadrone della morte e gli sono stati attribuiti trentanove omicidi compiuti prima del 25 aprile 1945 e centoundici nell’immediato dopoguerra.

    Luis Garavito (Colombia), 138-300+ vittime. Conosciuto come la Bestia, ha ucciso tra il 1992 e il 1999 in Colombia, Ecuador e Venezuela. Adescava senzatetto promettendo denaro e, spesso, li torturava prima di ucciderli.

    Pedro Alonso López (Colombia), 110-300+ vittime. Conosciuto come il Mostro delle Ande, ha ucciso tra il 1969 e il 1979 in Colombia, Perù ed Ecuador. Catturato e poi liberato su cauzione, ha fatto perdere le sue tracce.

    Abel Danos (Francia), 110+ vittime. Tra il 1941 e il 1944, era uno dei carnefici facenti parte della Gestapo francese e ciò gli permise di sfogare i suoi istinti sadici, assassinando impunemente decine di ebrei e chiunque gli capitasse a tiro. Tra il 1946 e il 1948 fece parte di una banda di criminali e commise numerosi omicidi, tra cui quello di almeno quattro poliziotti. Processato nel 1951, venne giustiziato l’anno seguente.

    Miyuki Ishikawa (Giappone), 103-169+ vittime. Lavorava come ostetrica nel reparto maternità di un ospedale dove, tra il 1943 e il 1948, uccise i bambini nati da genitori che non volevano prendersi cura di loro, mentre

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