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Le radici ideologiche del primo Sardismo: Enciclopedia del Sardismo
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E-book383 pagine5 ore

Le radici ideologiche del primo Sardismo: Enciclopedia del Sardismo

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Filosofia del diritto e storiografia idealistica. Le radici ideologiche del primo Sardismo rappresenta la sintesi di un percorso di studi ultratrentennale intorno alla scuola di Gioele Solari che, in concorso con gli altri filosofi del diritto Benvenuto Donati e Alessandro Levi, tutti docenti presso le Università isolane nel decennio 1912-1922, ha prodotto una serie di fondamentali studi innovativi sulla storia del pensiero filosofico e politico sardo ricostruito a partire dalle sue intersezioni con la più avanzata filosofia contemporanea (nella linea che va da Vico a Hegel), e con il più autorevole pensiero politico risorgimentale (Cattaneo e Mazzini su tutti). Per la prima volta uno studio sui fondamenti dell’ideologia politica sardista considera analiticamente il contributo delle Università isolane alla costruzione di una nuova mitopoiesi che parte dal recupero di una storia secolare dimenticata, e riporta al centro dell’attenzione figure fondamentali come Giovanni Battista Tuveri e Floriano Del Zio, valorizza le numerose figure dei Sardi del Risorgimento, e permette di riportare al centro della riflessione storico-politica temi desueti come il federalismo, la questione sarda e il recupero della storia nobilitante.
Nonostante la scuola solariana pretenda di far partire la soggettività storica della Sardegna dalla Modernità, e consideri la storia isolana premoderna come un deposito antistorico di arretratezza, il PSdAz, sorto a cavaliere degli “studi sardi” di Solari, Donati e Levi, ha il merito di elaborare in presa diretta il nuovo corso mitopoietico, ma secondo approcci assai più radicali e orientati a tradurre sul piano politico i dilemmi della antica questione sarda. Il primo sardismo riscopre infatti il pensiero federalista di Tuveri e Del Zio, e in luogo della storia contemporanea, valorizza le radici di lunga durata secondo percorsi secondo una linea che parte dall’esperienza giudicale e giunge sino all’epopea della civiltà nuragica.
LinguaItaliano
EditoreCondaghes
Data di uscita4 mag 2024
ISBN9788873567509
Le radici ideologiche del primo Sardismo: Enciclopedia del Sardismo

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    Le radici ideologiche del primo Sardismo - Alberto Contu

    sovraccoperta-su-sardismu-vol4

    Alberto Contu

    Le radici ideologiche del primo Sardismo

    Enciclopedia del Sardismo

    Volume IV

    1

    Condaghes

    Indice

    Volume IV – Filosofia del diritto e storiografia idealistica

    Introduzione

    Sardegna federale: Giovanni Battista Tuveri

    Sardegna hegeliana: Risorgimento e Federalismo euro-mediterraneo nel pensiero di Floriano Del Zio

    Benvenuto Donati: Filosofia del diritto e storiografia filosofica (1920-1922)

    Alessandro Levi: Filosofia del diritto e storiografia politica (1920-1923)

    L'Autore

    Colophon

    VOLUME IV

    Filosofia del diritto e storiografia idealistica

    Le radici ideologiche del primo Sardismo

    Introduzione

    L’interpretazione idealistica di Gioele Solari tra influenza sul primo sardismo e revisionismo storico

    La recente pubblicazione del volume di Christian Solinas, Fenomenologia del sardismo. Cento anni di ideologia e prassi politiche (Giappichelli, Torino 2022) rilancia il tema negletto dei fondamenti ideologici del sardismo. Si tratta di una questione ampiamente ignorata dagli storici e dai filosofi del diritto per un insieme di ragioni: i primi non amano dissertare intorno a categorie filosofiche quali per esempio l’idealismo sociale di Gioele Solari (docente di Filosofia del diritto a Cagliari nel triennio 1912-1915), le sue concezioni anti-giusnaturalistiche e organicistiche, la sua isolata visione filosofico-giuridica; i secondi, in apparenza direttamente chiamati in causa, non sono mai stati davvero interessati a dissertare intorno a una visione della Filosofia del diritto di marca idealistica e per giunta orientata a studiare il fenomeno giuridico-politico sotto la lente della storiografia, in quanto la loro concezione ha a che fare soprattutto con la filosofia analitica e con le logiche riduzionistiche della dottrina pura di Kelsen.

    La letteratura critica fiorita intorno agli «studi sardi» di Gioele Solari si è limitata a lavorare su due obiettivi di corto raggio: svelare le aporìe dell’idealismo sociale solariano riferito all’interpretazione della questione sarda nei termini di una apodittica arretratezza, e rimodulare le valutazioni di Solari su Giovanni Battista Tuveri, anche alla luce di nuovi documenti e di nuove proposte interpretative ostili all’immagine tranchant della Sardegna avvolta nelle tenebre del Medio Evo oscuro, e solo in pieno Ottocento finalmente ricongiunta alle correnti più avanzate della cultura europea, e in primo luogo al neo-idealismo.

    Appare evidente che un angolo visuale così angusto non potesse soddisfare l’analisi dell’influenza solariana nella Sardegna di primo Novecento. Infatti, è completamente mancato lo studio storiografico della presenza di Solari (e dei coevi filosofi del diritto docenti nelle Università isolane) nella formazione dell’ideologia politica sardista per ragioni e interessi che saranno evidenziati più oltre. Per ora è importante estendere l’angolo visuale all’intera «scuola» solariana, e precisamente ai filosofi del diritto Alessandro Levi e Benvenuto Donati, che si sono succeduti tra il 1920 e il 1922 nella cattedra cagliaritana che fu di Solari (mentre Donati, nel biennio 1921-1922 ha insegnato anche a Sassari), e hanno variamente proseguito su quel solco autorevole, rilanciando gli elementi più innovativi dell’idealismo storico e sociale che proprio negli anni del magistero solariano a Cagliari aveva finalmente trovato la sua definitiva fondazione.

    Anche in questo caso, a parte parentetiche e assai poco approfondite note di carattere generale, il ruolo degli «studi sardi» di Levi e Donati sono stati considerati solo in relazione alla loro sia pur limitata influenza presso la storiografia sulla Sardegna e sulla Questione Sarda, senza neppure sfiorare il tema storiografico della loro influenza nella formazione dell’ideologia politica sardista, che occupa necessariamente un ruolo di primo piano nella storia della Sardegna contemporanea.

    Del resto, gli stessi studi solariani considerati dagli storici isolani sono quelli più noti dedicati a Tuveri, mentre il fondamentale saggio sul filosofo hegeliano Floriano Del Zio, docente di Filosofia a Cagliari tra il 1862 e il 1865, meno spendibile per via del tema filosofico-teoretico trattato – l’introduzione dell’hegelismo in Sardegna – non ha avuto eguale manifestazione di interesse. A parte parentetiche citazioni, il saggio su Del Zio non ha ispirato alcuna riflessione ulteriore né alcuno studio, se si fa eccezione per i due lunghi saggi del sottoscritto sul filosofo hegeliano in Sardegna (1993), e sulla sua influenza nella formazione dell’ideologia sardista (1995).

    La lacuna storiografica è macroscopica. In questo contesto, lo scrivente risulta l’unico studioso che a) ha esteso l’analisi a tutti gli scritti solariani riconducibili al magistero cagliaritano (1913-1923); b) tra il 2003 e il 2004 ha approfondito con appositi saggi monografici tutti gli studi di Levi e Donati riconducibili al loro magistero a Cagliari e Sassari; c) ha ricollegato l’ingente mole degli «studi sardi» riconducibili alla «scuola» solariana (vale a dire un migliaio di pagine, molte delle quali sino a quel momento ignorate persino nell’ambito accademico italiano) all’ideologia politica del Partito Sardo d’Azione, costituitosi nel 1921, vale a dire nel crinale storico che ha registrato la massima diffusione del ricco patrimonio di studi prodotto dai filosofi del diritto nel decennio 1913-1923.

    Il tema dei fondamenti del sardismo non ha mai sfiorato gli storici isolani, i quali si sono limitati a proporre spunti storiografici privi di alcun serio approfondimento intorno agli elementi di innovazione che il sardismo ha imposto all’agenda politica e culturale. Eppure, una lettura anche superficiale dei classici del sardismo (Bellieni, Cao, Carta Raspi, Lussu, Pilia, Puggioni e tanti altri) dimostra in forma eloquente quanto il solco dell’idealismo solariano abbia influenzato in profondità non solo la storiografia isolana, ma ancor prima la cultura dei combattenti sardi (molti dei quali laureatisi nel decennio 1912-1922), poi confluiti nel neonato Partito Sardo d’Azione.

    Come ha ben sintetizzato Solinas, dall’analisi della letteratura sardista non si ha mai l’impressione di trovarsi dinanzi a citazioni parentetiche, occasionali o strumentali, bensì di una vera e propria ricezione filosofica-politica e storico-culturale di un corpus di pensiero che rifletteva su altri piani le esigenze fondative di un partito che si auto-rappresentava come la sola forza politica in grado di attualizzare ciò che la «scuola» idealistica aveva elaborato in termini innovativi. L’uso politico della storia da parte della cultura sardista va inteso come atto mitopoietico che trae dall’idealismo solariano tutti gli elementi idonei ad affrontare con nuove chiavi ermeneutiche la secolare e irrisolta Questione Sarda.

    I temi recepiti sono molteplici, ma raggruppabili in tre filoni:

    a) la riscoperta del pensiero federalista di Tuveri che, pur lasciato in ombra da Solari e Levi (per via della loro opzione unitaristico-risorgimentale orientata a magnificare il tema della grande Patria italiana entro cui doveva integrarsi la piccola patria sarda), ha costituito la risposta attuale alla sconfitta del pensiero federalista risorgimentale, al fallimento unionista della perfetta fusione, e alla riscoperta di una specialità complessiva della Sardegna e della Questione Sarda affrontabile solo fuori dagli schemi unitaristici mazziniani;

    b) la scoperta del federalismo mediterraneo rilanciato da Floriano Del Zio, e ampiamente utilizzato in tutto lo sviluppo del sardismo politico e del sardismo culturale fiorito negli anni Venti e Trenta, a cui si è affiancata una originale interpretazione del «destino» idealistico della Sardegna che, fuori dalle gabbie della filosofia hegeliana ostile a riconoscere il principio di autodeterminazione ai popoli senza storia e senza tradizione nazionale e statuale, addirittura rilancia il diritto della Sardegna ad una nuova soggettività nazionale nel quadro più ampio della dimensione euro-mediterranea;

    c) last but not least, la ricezione dell’invito solariano (e in misura meno approfondita, di Levi e Donati) a revisionare l’intera storiografia sulla Questione Sarda, e a riconoscere i punti di forza e le interconnessioni tra la Sardegna e le correnti progressive della filosofia europea: il sardismo culturale recepisce in tempo reale la nuova sfida identitaria, e nell’abbandonare le Storie ottocentesche di Manno e Siotto Pintor, estende ben oltre le indicazioni dei filosofi del diritto la portata davvero rivoluzionaria dell’approccio storiografico-idealistico, sino a sondare addirittura la continuità ideale e spirituale della storia contemporanea isolana con le più remote scaturigini dell’età nuragica (di cui la rivista Il Nuraghe, edita tra il 1923 e il 1929, e diretta dalla grande figura di Raimondo Carta Raspi, si farà per prima autorevole portavoce). Da quel momento i nuraghi, da mute parvenze e frammenti di rovine decontestualizzate, riflesso di un passato ancestrale e inintelligibile, si trasformano in elementi mitopoietici e fondativi, e poco importa se nella complessa elaborazione sardista la riscoperta mitico-simbolica dell’età dell’Oro nuragica abbia per decenni convissuto con una mitopoiesi modernista aderente alle indicazioni emerse dagli studi sardi dei filosofi del diritto di primo Novecento. Tutti i processi germinali, nel riscoprire selettivamente il passato in funzione del presente politico, elaborano fitte trame simboliche, e non è dato rilevare alcuna contraddizione se a volte l’enfasi è dedicata al passato remoto (con accenni di destorificazione tipici del mito politico), oppure al passato modernista (dove la storicità degli eventi celebrati dissimula il sottofondo mitico-simbolico che li sorregge).

    Oggi può apparire eccessiva l’enfasi sui fondamenti ideologici del sardismo, ma chi studiasse i testi sardisti delle origini non avrebbe alcun dubbio circa lo straordinario contributo delle Università isolane al rinnovamento culturale e politico della Sardegna. La storiografia idealistica degli anni Dieci e Venti consegna ai sardisti un potente strumento mitopoietico: disancorare l’immagine rétro dell’isola rispetto alle stereotipie della primitività e dell’arretratezza veicolate dalla letteratura di viaggio tra Settecento e primo Novecento (Sea and Sardinia di Lawrence incluso, edito non a caso nel 1921), dall’antropologia criminale tardo-positivistica e dalla stessa letteratura di matrice deleddiana.

    Nonostante le evidenti aporìe degli studi solariani, troppo orientati a confermare in toto il giudizio complessivo intorno all’arretratezza della Sardegna che solo in pieno Ottocento aveva il compito storico-idealistico di colmare un secolare gap rispetto alle più avanzate correnti filosofiche europee, il sardismo riscopre la soggettività storica, e con essa l’evidenza di trovarsi di fronte a una nuova storia progressiva in cui anche la Sardegna può e deve partecipare a suo modo. Da tale auto-riconoscimento identitario il sardismo può rivendicare il diritto di trasformare quella ritrovata soggettività in ambito politico: l’introduzione dell’hegelismo portatore di una missione isolana al centro del bacino euro-mediterraneo; la scoperta del pensiero federalista tuveriano come elemento per scardinare il modello unitaristico piemontesizzante; e infine, la costruzione della nuova storia isolana come storia nazionale che implica il diritto a una nuova soggettività politica, sono solo alcuni degli elementi fondativi che ispirano il nascente sardismo e s’innestano sul solco di una rinnovata coscienza nazionalitaria elevata finalmente a problema politico.

    Sullo sfondo, in coerenza con la fenomenologia mitopoietica di matrice politico-identitaria, resta l’invito dei filosofi del diritto a ritrovare le radici originarie dell’identità etnostorica isolana (senza che, tuttavia, emerga mai l’invito ad attualizzare sul piano politico i risultati del lavoro storiografico-filosofico). Del resto, se i filosofi del diritto erano di necessità orientati a non ricercare radici ancestrali, o in ogni caso fuori dal perimetro della Modernità progressiva, nella linea che va da Vico a Hegel, al contrario il sardismo culturale darà la stura al fiorire di un nuovo stile di pensiero, storiografico nella forma, ma decisamente politico nelle implicazioni. Infatti, se Solari e Levi limitano l’ingresso della Sardegna al fiume rivoluzionario della grande storia europea, e a quella parte della cultura risorgimentale di carattere progressivo, Donati si spinge sino a riconnettere la Sardegna alle scaturigini del vichismo, finendo così per retrodatare almeno al XVII secolo l’entrata dell’isola nella grande tradizione filosofica italiana ed europea. Tuttavia, un simile approccio non ha avuto in ambito sardista conseguenze necessariamente conformi, ma ha costituito solo un valido elemento simbolico utile a retrodatare la soggettività nobilitante della Sardegna ben oltre i riduttivi confini ancorati al mito fondativo delle trincee. Da quel momento, la germinale mitopoiesi sardista ha spinto lo sguardo oltre il mito angioiano, sino a riscoprire l’altro mito fondativo imperniato sulla riscoperta di Eleonora d’Arborea e il correlativo mito della storia giudicale come fase storica capace di testimoniare un glorioso passato di indipendenza. Si è trattato di una importante operazione significante, densa di implicazioni nobilitanti alla ricerca, per la prima volta nella Modernità, di un movimento in grado di capitalizzare in senso politico e mobilitante la nuova storiografia delle origini.

    Poco importa dissertare in astratto sulle aporìe della nuova storia che, soprattutto tramite Carta Raspi, si candidava a fornire al pensiero politico sardista nuovi elementi di legittimazione. Così come non è importante stabilire se questo grado di consapevolezza mitopoietica fosse diffusa, e in quale misura, all’interno della cultura sardista, e se il pensiero politico del sardismo sia stato capace di collegare organicamente il risveglio storiografico-nazionalitario ad un coerente indirizzo indipendentistico (quale certamente poteva dedursi dalla storia giudicale, e ancor prima dall’epopea degli Shardana). Si tratta di questioni legate al senno di poi, o se si preferisce di interpretazioni che pretenderebbero di retrodatare artificialmente la logica dell’ex post al passato, per misurarne la distanza dal presente e giudicare senza appello la storia passata.

    Quando si ha a che fare con i processi mitopoietici occorre andare al di là di facili schematismi, e valutare in che modo, per quali vie, e con quali simboli, i nuovi processi di auto-consapevolezza identitaria abbiano trovato con fatica una strada misurabile in un secolo di maturazioni, battute d’arresto, e ripensamenti complessivi attuati alla luce del principio del contesto. E non vi è dubbio, come è stato anche di recente documentato, che la ricchissima storia del sardismo è costellata di tappe, paradigmi e posizioni ideologiche diverse. Tuttavia, il primo sardismo, sia pure con tutti i limiti derivanti da una acerba metabolizzazione della filosofia della storia veicolata dai filosofi idealisti del diritto, ha strumentalmente recepito per grandi linee una interpretazione dei cicli vichiani che portava a legittimare il PSdAz come la forza politica destinata a ricevere l’eredità nobile della storia perduta da riattualizzare in senso politico.

    L’uso politico della storia determina sempre produttivi slittamenti rispetto al patrimonio culturale utilizzato in funzione di legittimazione. Il caso sardista è sotto molti aspetti esemplare. Lo scopo degli «studi sardi» di Solari è quello di dimostrare la validità del suo idealismo sociale a contrario, vale a dire esasperando i motivi di arretratezza della Sardegna, che in pieno Ottocento doveva risultare ancora immersa nel «Medio Evo oscuro». Per dare corpo ad una affermazione così impegnativa, Solari si trova perciò a dover ricostruire la figura di Tuveri come filosofo ancorato a dottrine gesuitiche, a citazioni bibliche, e soprattutto a utilizzare la dottrina dei monarcomachi medievali per giustificare il diritto di resistenza dei popoli alle oppressioni in mancanza di argomenti tratti dalla più avanzata filosofia europea.

    Senza entrare in dettagli, lo scrivente ha dimostrato che Tuveri in realtà utilizzasse proprio quelle argomentazioni e citazioni per combattere, sul loro terreno, le dottrine gesuitiche, e lo facesse con chiari intenti dissimulatori. Tuttavia, Solari ha la necessità di radicalizzare l’arretratezza isolana, e tramite una rigida e orientata interpretazione letterale intende dimostrare che persino l’intellettuale più avanzato della Sardegna ottocentesca rifletteva l’arretratezza complessiva dell’isola. Tuttavia, in contemporanea, il medesimo Solari non trovava contraddittorio documentare come Tuveri fosse portatore di un originale pensiero federalista, come le sue opere fossero conosciute presso l’intellettualità democratica italiana coeva, e come addirittura fosse uno dei più stretti collaboratori di Mazzini.

    L’immagine bifronte che Solari costruisce ad usum delphini non ha fatto presa sui maggiori protagonisti del primo sardismo, i quali hanno invece estrapolato la parte più moderna e innovativa del pensiero federalista tuveriano, e lo hanno per così dire incorporato nella dottrina politica sardista. In luogo della unitas multiplex (formula ricavata dalla recensione di Gentile agli studi tuveriani di Solari), che si limitava a correggere l’unionismo fusionista in un sistema regionalista, il primo sardismo, pur senza rinnegare le radici comuni con l’Italia dopo l’esperienza combattentistica, trova nella tradizione federalista ottocentesca l’elemento di novità che il nuovo partito sardo ha solo il compito di attualizzare. Così, anziché far confluire l’ideologia sardista all’interno del paradigma unionista mazziniano (che tra l’altro rappresenta il nucleo principale attorno a cui ruota Sardi del Risorgimento di Levi), il primo sardismo inaugura uno degli elementi di fondamentale innovazione del proprio statuto ideologico, e così facendo, senza derivarlo dai testi solariani, ma in qualche modo ben presente nel testo leviano, l’ideologia sardista si riconnetteva idealmente all’altro filone democratico risorgimentale di Cattaneo, che invece, e sia pure da una prospettiva nord-regionale, era approdato al federalismo definito come l’unica «teorica della libertà».

    Tuttavia, secondo le logiche delle conseguenze inintenzionali delle azioni intenzionali, Solari ha senza volerlo offerto alla nuova storia sardista gli elementi documentali per approdare al federalismo inteso quale soluzione più aderente alle condizioni strutturali della Questione Sarda e alla secolare (se non millenaria) specialità storico-culturale della Sardegna. E se il peso specifico di Tuveri nell’immaginario sardista ha determinato una scelta federale capace di non recidere le comuni radici tra la Sardegna e l’Italia, va anche considerata la circostanza minoritaria, ma densa di implicazioni a medio termine, della scoperta solariana di Del Zio. Anche qui, in coerenza con l’ideologia politica di Solari, l’introduzione dell’hegelismo professato dal filosofo di Melfi non è stata disegnata all’insegna del federalismo, ma dell’unitarismo policentrico. E tuttavia, ancora una volta, indirettamente Solari veicola nella cultura sarda di primo Novecento proprio il pensiero federalistico-mediterraneo presente nel pensiero di Del Zio citato nello studio solariano apparso significativamente nel 1920. E la ricezione sardista è avvenuta in tempo reale, e ha costituito uno dei leit motiven di uno sviluppo teorico durato per due decenni, complice anche la strumentalizzazione fascista intorno al tema dell’egemonia della Sardegna nel Mediterraneo, che però Del Zio prefigurava nei termini dell’armonia tra i popoli euro-mediterranei, con ciò violando uno dei cardini etico-statualistici della filosofia hegeliana del diritto, ostile a qualsiasi referente giuspubblicistico orientato alla forma federale.

    Infine, ancora Solari si fa a suo modo artefice della rinascita degli studi storiografici in Sardegna, ma all’interno di una visione essenzialmente modernista, secondo il classico topos filosofico-storico della necessaria inerenza della Sardegna al fiume della grande storia espressa dalla più avanzata filosofia europea, vale a dire l’hegelismo riletto da Solari secondo la visione dell’idealismo sociale, e dalla migliore tradizione della filosofia civile italiana (nella linea Vico-Romagnosi-Cattaneo, e per altri versi, anche nella linea Mazzini-Ferrari-Pisacane).

    Esiste poi un aspetto più metodologico che non contenutistico nel pensiero solariano recepito dal primo sardismo, e ha a che fare con l’apologia della filosofia del diritto come filosofia civile, perciò orientata in senso militante à la Cattaneo, e quindi ispiratrice di azioni di rinnovamento culturale, storico e, in qualche misura, anche politico. Del resto, è forse questo il lascito più importante che poteva influenzare l’anelito azionista del partito sardo: disporre di un pensiero filosofico che, germinato nelle aule universitarie, puntava decisamente gli sforzi verso il rinnovamento storiografico in funzione nobilitante che, a sua volta, doveva ispirare il rifiorimento dell’isola tramite una conseguente azione politica mobilitante. Donati e Levi, sotto questo profilo, hanno implicitamente confermato lo stretto nesso tra storiografia filosofico-politica e azione politica, e tuttavia il rapporto politica/cultura non si perverte in una visione strumentale degli studi storici, ma al contrario in una vocazione agli studi fondata sul rigore filologico, sulla serietà della ricerca documentaria e sulla ripulsa di qualsiasi troppo facile apodittica sintesi a priori strumentale alla legittimazione politica.

    In questa precisa prospettiva, l’uso politico della storia resta il codice ermeneutico fondamentale per comprendere in quali misure la tradizione filosofico-giuridica germinata nelle Università sarde tra gli anni Dieci e Venti sia stata poi recepita e tradotta sul piano dell’elaborazione politica sardista. A parte Egidio Pilia, dotato di una vasta cultura filosofica, e Camillo Bellieni, portatore di una vasta cultura storiografico-giuridica, assieme a figure del calibro di Umberto Cao e Emilio Lussu, imbevuti di cultura positivistico-giuridica, molti altri esponenti di spicco del sardismo non si sono distinti sul piano tecnico degli approfondimenti filosofico-politici, ma hanno elaborato un pensiero politico verticalizzato sul pensiero federalista ponendosi sul solco del complessivo rinnovamento culturale iniziato da Solari. Gli stessi studi storiografici promossi dalla rivista Il Nuraghe (e poi proseguita dalla rivista di orientamento sardofascista Mediterranea), se letti alla luce delle nuove acquisizioni, manifestano aporìe, fraintendimenti, lacune, ma tutto ciò nulla toglie alla straordinaria funzione nobilitante e poi mobilitante di cui il sardismo ha largamente beneficiato. Del resto, il consolidato sardismo politico non ha più bisogno di rivolgersi all’Accademia, dato che il solco solariano, ormai profondamente tracciato, resta la simbolica stella polare della nuova germinale coscienza nazionale sarda.

    La mitopoiesi non si confuta con le categorie storiografiche, dato che ha a che fare con l’assiologia politica. Si tratta di un altro caso esemplare di conseguenze inintenzionali di azioni intenzionali: l’idealismo di Solari veicola in Sardegna il pensiero di Tuveri e Del Zio, senza tuttavia enfatizzare il vero elemento di novità e di attualizzabilità di quelle esperienze storico-culturali, vale a dire il pensiero federalista, e tuttavia i sardisti degli anni Venti e Trenta fondano la originalità del pensiero sardista proprio sulla prospettiva del federalismo; i filosofi idealisti del diritto hanno in mente un orizzonte storiografico modernista, che al massimo spinge lo sguardo alle radici seicentesche della rinascita culturale isolana, e tuttavia il primo sardismo scopre sin dal 1923 le radici nuragiche come base mitico-politica per la fondazione della nuova identità mitopoietica che per la prima volta legge l’epopea degli Shardana in chiave politico-identitaria e mobilitante; Solari e Levi hanno in mente soprattutto l’ideale assorbente dell’unitarismo mazziniano, che prefigura il modello della unitas multiplex tra la grande Patria italiana e la piccola patria sarda, finalmente recuperata alla Modernità progressiva dopo secoli di servaggio medievale, e tuttavia il PSdAz volge lo sguardo a una visione federalista che non concerne solo il rapporto Sardegna/Italia, ma si estende al disegno di una più ampia e preveggente visione euro-mediterranea.

    Come sempre, ciò che conta non sono le radici ritrovate (o «inventate»), ma la funzione civile della filosofia capace di indirizzare le idee e le aspirazioni ideali in chiave politica. E se Solari e gli altri filosofi del diritto hanno avuto il merito storico di aver offerto una nuova autorevole chiave ermeneutica, il PSdAz ne sintetizza politicamente le potenzialità implicite in funzione della soluzione dei problemi atavici ricondotti alla formula tuveriana della Questione Sarda, la cui irriducibile diversità rispetto a qualsiasi realtà regionale italiana impone strumenti di azione politica, e assetti politico-istituzionali, assai diversi da quelli prefigurati dalla visione idealistica.

    Il quadro delineato dimostra come sia mancata una riflessione storiografica intorno al nesso tra Università e società politica, e quindi, di riflesso, tra filosofia civile e azione politica. Oltre a motivi più scopertamente ideologici, il silenzio della storiografia sul tema si ricollega ad un dato di fatto che sembra aver avuto un ruolo importante, relativo allo statuto disciplinare della Filosofia del diritto. Sino a che in Italia non si è prodotta la scissione accademica tra Giurisprudenza e Scienze politiche, la cultura «civile» si è avvalsa di indirizzi e accessioni di natura interdisciplinare (diritto pubblico e filosofia del diritto; storia delle dottrine politiche e filosofia politica; sociologia e psicologia giuridico-sociale; antropologia e storia del diritto), sia pure in un contesto non di rado sincretistico.

    Un esempio paradigmatico è offerto in proposito, tra le altre, dalla Rivista internazionale di filosofia del diritto, che al principio degli anni Venti costituisce il contenitore ideale di questa feconda interdisciplinarità lungo una complessa linea che si colloca tra la fine dell’Ottocento (durante la maturazione della crisi del positivismo) e i primi decenni del Novecento (con l’avvento dell’idealismo, e la sua successiva crisi determinata dal parallelo sviluppo della nuova scienza giuridica di matrice kelseniana e analitica). In questo contesto, gli indirizzi tradizionalmente confluiti nella filosofia del diritto hanno esercitato una profonda influenza culturale e civile ben al di fuori dei ristretti perimetri accademici. E l’osmosi tra Università e società civile trova il suo apice esemplare nel magistero solariano a Cagliari (1912-1915), con particolare riferimento alla risonanza anche giornalistica che ebbero la prima prolusione del 1913, Il valore della vita, e poi l’altra prolusione del 1914 per la inaugurazione dell’anno accademico, sul pensiero politico di Tuveri.

    Ma non si tratta solo di documentare la notorietà sociale dell’attività di Solari. Studi ultra-trentennali compiuti sull’influenza solariana nella cultura giuridica e politica isolana dimostrano ampiamente quanto profondo sia stato il ruolo degli «studi sardi» del filosofo bergamasco del diritto nella formazione dell’ideologia politica sardista e del nuovo corso storiografico fiorito già al principio degli anni Venti, e proseguito addirittura sino agli anni Ottanta. Il nascente PSdAz si trova di fronte a una sfida storica irripetibile, dopo una guerra mondiale sotto molti versi persino etnogenetica. La sfida che ruota sul sintagma tuveriano «Questione Sarda» presuppone una palingenesi, una nuova stagione di discontinuità, anzitutto giocata sulla necessità di trovare radici storiche nobilitanti in funzione mobilitante, e di rompere lo schema istituzionale unionista nella linea storica che va dalla perfetta fusione alla crisi del modello dell’unitas multiplex di matrice risorgimentale non calato nella concreta irriducibile diversità della Sardegna rispetto al continente italiano. Il passaggio al federalismo sul piano politico, e alla scoperta delle radici sul piano culturale, si sono rivelati elementi necessitati per sanare un secolare deficit di rappresentatività politica che, da quel momento, poteva trovare nella storia di lunga durata nuovi elementi di legittimazione. La perduta indipendenza, e l’epopea nuragica, assieme alla confusa ma presente consapevolezza che la Sardegna ha prodotto una storia e un pensiero filosofico di alto profilo, hanno costituito alcuni degli elementi che hanno poi fondato il diritto storico del PSdAz a rappresentare il destino della Sardegna nel segno del rifiorimento e della ritrovata identità etno-nazionale.

    Si tratta di temi che non appartengono a Solari, ma sono stati ricavati dalle sue stesse opere. Ciò implica che l’ideologia politica sardista si è sviluppata secondo due direttrici complementari: da una parte, la stessa natura speciale ed ellittica della Questione Sarda impone ad una forza politica isolana di massa come il PSdAz di elaborare una strategia di rottura rispetto al fallimentare modello unitaristico di matrice risorgimentale, e ciò ha comportato la necessità fondativa di avvalersi dei fondamenti politico-culturali che l’autorevolissima «scuola» di Solari offriva in tempo reale; dall’altra, il sardismo seleziona di tali preziosi e autorevoli materiali solo gli elementi coerenti con il nuovo processo mitopoietico, rigetta come non conformi tutti i giudizi solariani sul «Medio Evo oscuro» e sull’isolamento di Tuveri, e rilancia solo quel poco di filosofia della storia che serve per considerare il PSdAz come la forza destinata a far rifiorire la Sardegna, e in primis tramite la prospettiva federalista.

    L’autorevolezza di Solari, indiscussa per un settantennio, ha oscurato il ruolo assunto dai filoni complementari della filosofia idealistica in Sardegna – Levi e Donati in testa – e così si è persa un’importante occasione per studiare da vicino

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