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Un eroe per due: Harmony Bianca
Un eroe per due: Harmony Bianca
Un eroe per due: Harmony Bianca
E-book157 pagine2 ore

Un eroe per due: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Rachel: Quello di cui non avevo bisogno nella mia vita era di un altro eroe. Ben ha tutte le carte in regola per essere considerato l'uomo perfetto: è generoso, sexy e ha instaurato un rapporto meraviglioso con mio figlio. Ma io non riesco a lasciarmi andare e l'unica cosa che posso fare è interrompere questa relazione prima che sia troppo tardi.

Ben: Rachel è una donna meravigliosa e lei e Riley potrebbero diventare la famiglia che non ho potuto avere. Tuttavia il ricordo di mia moglie e di come l'ho persa mi fa capire che non sono fatto per essere un marito e un padre, proprio come non ero tagliato per essere un bravo medico. Adesso che l'ho capito devo trovare il coraggio di arrivare fino in fondo.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2019
ISBN9788858994870
Un eroe per due: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Un eroe per due - Sue Mackay

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Every Boy’s Dream Dad

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2012 Sue MacKay

    Traduzione di Rita Orrico

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-487-0

    1

    Toc, toc. Bang. Bang.

    Rachel fece una smorfia quando i colpi alla porta d’ingresso divennero più forti. Facevano il paio col martellare nelle sue tempie. «Non adesso, per favore. Per oggi ho avuto la mia razione quotidiana di visitatori.»

    C’era stato un flusso continuo di persone del luogo fin da quella mattina all’alba, che alle Isole Cook arrivava incredibilmente presto. Quando bussarono di nuovo, lei sospirò. Chiunque fosse, era evidente che non le aveva letto nel pensiero.

    Perciò spalancò la porta senza nemmeno sorridere. «Sì?»

    La luce intensa della lampadina sulla porta la costrinse a sbattere le palpebre più volte. Ma non fu per colpa della luce se le si chiuse la gola e il velo di sudore che l’aveva tormentata tutto il giorno si seccò all’improvviso.

    Sulla soglia di casa sua c’era un gigante. Nulla di nuovo, Rachel era abituata agli uomini alti. Allora perché aveva il battito accelerato e la gola secca? Lascia stare, Rachel, si disse. Non aveva alcun desiderio di frequentare qualcuno nel prossimo futuro: la sua nuova vita non includeva la ricerca dell’anima gemella. O di un compagno di giochi. Un nuovo inizio per lei significava trovare la pace e il perdono, dimenticare la disperazione che l’aveva accompagnata come un’ombra per quasi due anni.

    Ma quest’uomo aveva davvero un corpo da schianto. Si sarebbe dovuto abbassare per passare dalla sua porta. Non che lei intendesse farlo entrare, quella notte o in futuro. Tentò di deglutire ma non ci riuscì.

    «Si è tagliata» esordì lui con una voce profonda che la scosse. «E ha un occhio nero.»

    «Cosa?» Finalmente Rachel prese nota della donna minuta in braccio all’uomo. Il sangue scorreva lungo il suo fianco e gocciolava sul gradino.

    «Lei è la dottoressa Simmonds, no?» continuò lui nello stesso tono secco.

    No, pensò lei. Al momento era solo una madre stanca con un bambino stravolto dal trasloco e che era appena riuscita a mettere a dormire. Il giorno dopo si sarebbe trasformata nel dottore che tutti aspettavano. «Deve portarla in ospedale.»

    «Lei è più vicina.»

    Come sapeva chi era? Rachel era a Rarotonga da due soli giorni! Subito però ripensò agli abitanti del luogo che erano accorsi a farle visita e darle il benvenuto: era ovvio che le voci girassero in fretta in una comunità così piccola. Rachel era così sfinita che il cervello non le funzionava a dovere. Il suo visitatore era fermo sulla porta, in attesa che lei si occupasse della donna ferita. I suoi occhi erano scurissimi e lo sguardo intenso, sebbene non amichevole.

    Rassegnata al fatto che le due persone non sarebbero scomparse, lei si fece da parte e le lasciò entrare. Oltretutto, era un medico e non poteva rifiutarsi di aiutare una persona malata o ferita. «La porti in soggiorno.»

    «Sì, dottore» replicò lui. Senza fatica apparente trasportò la donna all’interno e con gentilezza la depositò sul divano.

    Rachel accese la luce centrale e sospirò. Visto lo scarso uso che aveva fatto di quella stanza, non aveva affatto pensato a comprare una lampadina un po’ più potente. Il lampadario illuminava a stento la figura sul divano. Lei s’inginocchiò davanti alla paziente e parlò con voce dolce. «Sono Rachel Simmonds, il nuovo dottore.»

    La donna aprì un occhio solo, poiché l’altro era chiuso dal gonfiore e studiò Rachel con curiosità. Poi riabbassò la palpebra, ma non prima che Rachel notasse la sofferenza in quella grande iride marrone. Sulla guancia aveva una serie di profondi graffi.

    «Lei sa che cosa è successo?» domandò all’uomo.

    «È frastornata. È possibile che abbia anche perso i sensi.»

    Il suo accento era simile a quello degli altri abitanti dell’isola, ma non così l’aspetto. La sua pelle era abbronzata, più che naturalmente scura. «Da dove viene?» gli chiese Rachel.

    Lui sospirò, chiaramente esasperato. «Dalla porta accanto.»

    Dunque non era un tipo amichevole. Un fatto strano da quelle parti, ma chi era lei per criticare? Di recente nemmeno lei era stata particolarmente socievole. Solo allora registrò le parole: lui era il suo vicino di casa. Era probabile che si sarebbero incontrati spesso. Quel pensiero le trasmise una rara scarica di eccitazione, che Rachel si affrettò a mettere a tacere. Perché mai doveva incontrarlo? Lui aveva di certo una sua vita, che forse includeva una moglie e dei figli.

    Scuotendo la testa, tornò a rivolgere la sua attenzione alla paziente. «Che cosa crede che abbia causato le ferite? L’ha visto succedere?» domandò.

    «L’ho trovata distesa in cucina quando sono rientrato a casa. Sembra che sia scivolata. Stava lavando il pavimento.»

    Wow, non era certo un tipo di molte parole. Rachel si raddrizzò e lo guardò dritto negli occhi. «Quindi non è la sua compagna?»

    Lui scosse la testa. «È la mia governante.»

    Perciò non era sposato. Oppure lo era, ma sua moglie non si occupava delle pulizie. Ancora una volta, fu percorsa da un brivido d’interesse al pensiero che lui fosse single. E, ancora una volta, si rimproverò per quelle fantasie inopportune. «Ho bisogno del mio kit medico» mormorò.

    Solo allora si accorse dello stemma della polizia ricamato sulla manica della camicia blu di lui. Quella sera il suo cervello era davvero incapace di funzionare. Era in grado di occuparsi di una paziente? «Lei è un poliziotto.»

    Lui sollevò le sopracciglia, come a dire: «Come mai ci hai messo tanto?». Tuttavia, non disse nulla.

    «Papà?»

    Rachel si voltò di scatto nell’udire la voce speranzosa del figlio. Il cuore le balzò in gola, come tutte le volte che il bambino commetteva quell’errore. Ogni volta le toccava deluderlo di nuovo. Quando sarebbe finita? Quando avrebbe capito che il suo papà non sarebbe più tornato? Era stato proprio quel desiderio irrealizzabile del figlio a indurla a trasferirsi dall’altra parte del globo. «Riley, tesoro, dovresti essere a letto.»

    «Papà» ripeté il bambino, sollevando lo sguardo sull’uomo altissimo che con la sua presenza dominava la stanza. Non lo si poteva biasimare per quell’errore: la luce del soggiorno era fioca e il padre di Riley era stato altissimo anche lui, coi capelli corti e scuri e la divisa da poliziotto.

    «No, tesoro, non è papà» lo contraddisse Rachel, prendendolo in braccio. Negli occhi del suo bambino lesse incertezza, speranza e confusione. Quella vista le spezzò il cuore e riaccese il risentimento che provava ancora nei confronti del suo ex marito per essere morto. Se Jamie fosse entrato in casa in quel momento, l’avrebbe ucciso lei stessa.

    Riley le circondò il collo con le braccia esili. «Sono stanco, mamma.»

    «Ti rimetto a letto.» Le toccava rileggergli la sua storia preferita per indurlo ad addormentarsi in quella nuova casa, in un nuovo paese così lontano da tutto ciò che gli era familiare.

    Spostò lo sguardo sulla donna stesa sul divano, con gli occhi ancora chiusi. Le sue ferite non sanguinavano più, quindi non c’era nulla di davvero urgente, ma la poveretta aveva comunque bisogno di assistenza e cure.

    «Posso metterlo a letto io» si offrì l’uomo, cogliendola alla sprovvista.

    «Non è a suo agio con gli sconosciuti» obiettò lei. Non lo era più dalla morte del padre. I colleghi poliziotti di Jamie erano stati pieni di attenzioni per il figlio dell’eroe, ma Riley ormai associava gli sconosciuti gentili con la scomparsa del padre.

    «Riley» mormorò lui con voce improvvisamente dolce, «vuoi che ti legga una storia?»

    Ancora in braccio alla madre, il bambino sollevò la testa e annuì. Rachel guardò sbalordita prima il figlio, poi l’uomo che in pochi secondi era riuscito in una vera e propria impresa. «Chi è lei?» sussurrò.

    «Ben Armstrong, agente anziano del dipartimento di polizia delle Isole Cook» si presentò lui.

    Adesso l’accento le fu chiaro. Kiwi. Come la sua migliore amica Lissie, che le aveva fatto ottenere il lavoro di ostetrica all’ospedale locale dove una specialista del settore non c’era mai stata. La stessa Lissie che l’aveva convinta a prendere in affitto quella casa, convinta com’era che lei e Riley dovessero dare una svolta alla loro vita lontano dal grande, vuoto appartamento di Londra.

    Ben Armstrong tese la mano a Riley, che spostò il suo peso tra le braccia della madre per incontrare il suo nuovo amico.

    Sbalordita, Rachel lasciò andare il figlio e con voce rotta dall’emozione mormorò: «Seconda porta sulla destra».

    Guardò le grandi mani di Ben raccogliere con infinita gentilezza il bambino, e il suo corpo, a digiuno di tenerezze, fu attraversato da una fitta d’invidia. Non le sarebbe dispiaciuto essere quella che veniva stretta contro quel torace poderoso.

    «Ha un libro?» domandò lui.

    In qualche modo lei riuscì a comprendere la domanda e a dare una risposta sensata. «Sul comodino.»

    Riley non disse una parola e lei pensò che il suo silenzio non sarebbe durato: ben presto il bambino si sarebbe reso conto di ciò che stava accadendo e l’avrebbe chiamata. Perciò si affrettò a raccogliere la borsa e raggiunse la paziente.

    Ben soffocò l’impulso di passarsi le dita sotto il colletto aperto della camicia. La dottoressa Simmonds era una donna a dir poco notevole.

    O lo sarebbe stata se lui avesse avuto la benché minima intenzione di conoscerla meglio. Cosa che non era. Tuttavia, non poteva negare che lei era uno schianto: alta e snella, quasi magra, aveva un incarnato delicato come la porcellana. Almeno finché non apriva bocca e dimostrava di essere una donna risoluta. Una combinazione stuzzicante che l’aveva colpito subito, come lo sguardo di quegli occhi azzurri gli aveva mozzato il fiato, lasciandolo in preda a un calore che non aveva nulla a che vedere con la temperatura dell’aria.

    Il viso dalle proporzioni squisite, occhi grandi carichi di tristezza, capelli castani ricci legati senza troppa cura con un nastro dorato: tutto contribuiva a fare di lei una donna bellissima. E poi aveva un delizioso accento britannico... Senza dubbio Rachel Simmonds faceva girare molte teste.

    Ma Ben si disse che la sua sarebbe rimasta ben salda sul collo. Era riuscito a evitare ogni genere di coinvolgimento sentimentale fin da quella terribile notte che aveva sconvolto il suo mondo. Si abbandonò volentieri all’agonia del ricordo, perché l’aiutava a restare concentrato, a rispettare la promessa che aveva fatto a se stesso.

    «Mi leggi la mia storia preferita?» Il bambino si divincolò per essere messo giù.

    Ben depositò Riley sul letto. «Certo. Qual è?»

    «Quella» rispose lui, indicando il libro in cima alla pila sul comodino. «È la storia di una capra dispettosa che mangia i vestiti stesi ad asciugare.»

    Ben prese nota delle fotografie sul muro, la palla da calcio in un angolo, i pupazzi di peluche sulla mensola. Anche lui avrebbe potuto avere un bambino con una stanza del genere se a lui e Catrina fosse stato concesso più tempo. Se lei non si fosse messa alla guida quella notte. Se lui fosse riuscito a salvarla.

    Ben chiuse gli occhi, ben sapendo che ripercorrere quel sentiero era non solo inutile, ma terribile. Si sforzò

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