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Dieci giorni col milionario: Harmony Destiny
Dieci giorni col milionario: Harmony Destiny
Dieci giorni col milionario: Harmony Destiny
E-book162 pagine2 ore

Dieci giorni col milionario: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Quando Sarah Daltrey va a conoscere Aiden Langford con un bimbo in braccio, non ci vuole molto all'uomo per capire che si tratta di suo figlio. Il problema è imparare a occuparsene, e per quello chiede a Sarah, che se ne è presa cura nell'ultimo periodo, di insegnarglielo: dieci giorni con loro, poi sarà libera...



Aiden e Sarah, però, non hanno messo in conto la reciproca attrazione che presto sfocia in passione travolgente. Sebbene il legame tra i due sia intenso, il passato e le paure che si porta dietro sembrano insormontabili. Riuscirà Sarah a insegnare all'affascinante milionario oltre alla dedizione per il figlio anche la capacità di lasciarsi andare all'amore?
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2018
ISBN9788858982679
Dieci giorni col milionario: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Dieci giorni col milionario - Karen Booth

    successivo.

    1

    L'atrio della sede centrale della LangTel di Manhattan era un vero e proprio santuario dell'ordine e del silenzio. Non era certo il posto adatto in cui portare un bambino capriccioso. Eppure era proprio ciò che aveva fatto Sarah Daltrey. Pavimenti di marmo, soffitti altissimi e vetrate enormi facevano da cassa di risonanza a qualsiasi rumore, e ancor di più agli strilli del piccolo Oliver.

    Sarah gli posò un bacio sulla fronte, stringendolo a sé mentre andava avanti e indietro nella minuscola area di attesa. La LangTel occupava un edificio enorme, che prendeva quasi un isolato, ma era stata decisamente parca nella scelta degli spazi per chi osava entrare non invitato. Due sedie e un tappeto erano sistemati di fronte a un gruppo di ascensori sorvegliati a vista. Era chiaro che nessuno sarebbe dovuto stare in quell'area a lungo.

    Oliver continuò a piangere e infine le affondò il faccino nel collo. Povero tesoro, lui non aveva alcuna colpa. Non aveva chiesto lui di imbarcarsi in un viaggio in treno di quattro ore. Non aveva chiesto lui di infilarsi in un gelido edificio nel bel mezzo del suo riposino. E soprattutto, non aveva chiesto lui di perdere la mamma tre settimane prima, né aveva chiesto di avere un padre che rifiutava di riconoscere la sua esistenza.

    Sarah estrasse il cellulare e compose il numero che aveva memorizzato ma che non intendeva aggiungere ai suoi contatti. Non appena il padre di Oliver avesse accettato le sue responsabilità, avrebbe dimenticato quella serie di numeri che portavano a un ufficio da qualche parte in quell'edificio, probabilmente all'ultimo piano. Non ci sarebbe stato motivo di mantenere i rapporti con Aiden Langford. Il loro era un legame temporaneo, sebbene di importanza capitale.

    Lei aveva il figlio di quell'uomo, che quest'ultimo avrebbe preso in custodia, anche se il solo pensiero la devastava.

    «Sì, pronto. Sono Sarah Daltrey. Vorrei parlare con Aiden Langford. Sì, ho già chiamato.»

    Una delle guardie di turno nell'atrio le lanciò un'occhiataccia. Contemporaneamente, la donna dall'altra parte del telefono espresse lo stesso sdegno con un tono sprezzante. «Senta, le ho già detto che il signor Langford non la conosce e la prega di smettere di chiamare.»

    «Non smetterò finché non acconsentirà a parlarmi.»

    «Forse potrei aiutarla io.»

    «No, è impossibile. Si tratta di una questione personale e il signor Langford dovrebbe essere felice che io non ne condivida i dettagli con la sua segretaria. Gli ho spiegato tutto nella e-mail che gli ho inviato.» O meglio, nelle sette e-mail. «Se solo potessi rubare cinque minuti del suo tempo, risolveremmo rapidamente la situazione.» Cinque minuti era una bugia. Avrebbe avuto bisogno di almeno un'ora per illustrare a Langford le abitudini di Oliver, ciò che gli piaceva e ciò che detestava, e per assicurarsi che quell'uomo avesse compreso ogni dettaglio.

    «Il signor Langford è molto impegnato. Non posso passargli le chiamate di chiunque affermi di avere bisogno di lui.»

    «Senta, ho appena trascorso quattro ore su un treno da Boston a New York e sono qui, nell'atrio, con in braccio un bambino di dieci mesi che ha disperatamente bisogno di dormire. Non me ne andrò finché non gli avrò parlato. Se necessario, sono pronta a dormire qui.»

    «Potrei farla scortare fuori dalla sicurezza, signorina Daltrey, ma sono sicura che non le piacerebbe.»

    «Non sarebbe imbarazzante per la LangTel se un addetto alla sicurezza buttasse fuori dal palazzo una donna urlante e scalciante con un bambino piccolo in braccio?»

    Il silenzio della segretaria disse più di mille parole. «Resti in linea. Vedo quello che posso fare.»

    Sarah non nutriva molte speranze ma, dopotutto, aveva forse altra scelta? «Certo. Aspetto.»

    In quel momento, una donna statuaria con lucenti capelli castani, fasciata in un elegante abito grigio e con décolleté nere, emerse dalla porta girevole. Se non fosse stato per la pancia prominente, Sarah forse non l'avrebbe nemmeno notata. L'agente addetto alla sicurezza le andò subito incontro, liberandola dalla pila di carta che teneva tra le braccia. «Buongiorno, signora Langford. Le chiamo l'ascensore.»

    Anna Langford. Sarah la riconobbe, grazie alle ricerche che aveva svolto sulla famiglia Langford nel tentativo di trovare il modo per avvicinare Aiden. Anna e il fratello Adam erano i due amministratori delegati della LangTel e lei era la sorella minore di Aiden.

    A Oliver cadde la tartaruga di peluche, il suo giocattolo preferito, e lanciò uno strillo acuto. Sarah, imbarazzata, si chinò e si allungò sul tappeto per recuperare il pupazzo, mentre come un giocoliere teneva il telefono tra l'orecchio e la spalla.

    Anna si fermò di colpo e girò la testa, posando lo sguardo su Sarah e Oliver.

    Fantastico. Adesso sì che verremo buttati fuori a calci nel sedere.

    Anna aggrottò la fronte e si avvicinò ma quando si tolse gli occhiali, i suoi occhi rivelarono solo comprensione e simpatia. «Oh, no. Cosa è successo?»

    Sicura di venire relegata nella terra delle orribili melodie d'attesa, Sarah interruppe la telefonata e infilò il cellulare nella borsa dei pannolini. «Mi scusi. A quest'ora di solito dorme. È stanco.» Quando si rialzò davanti ad Anna, desiderò avere uno sgabello. Anna era alta e portava anche i tacchi, mentre Sarah era l'esatto opposto e inoltre indossava un paio di sandali dal tacco basso.

    Anna scosse la testa. «Ma figurati. Questo bimbo è adorabile. Ha illuminato la mia giornata.» Accarezzò la manina paffuta di Oliver e sorrise. Il piccolo reagì stringendole il dito, la testa sulla spalla di Sarah. «Scusa, non mi sono presentata. Sono Anna Langford.»

    «Piacere. Sarah Daltrey. Lui è Oliver.» Sarah guardò il bambino sorridere timidamente ad Anna. Era un piccolino così dolce e affettuoso. Dirgli addio le avrebbe spezzato il cuore, soprattutto dopo tre settimane trascorse sempre insieme, ma non poteva sottrarsi al suo dovere. E poi aveva messo fine alla sua carriera di tata e occuparsi di un bambino che non era suo, indipendentemente dalle circostanze, era come fare un balzo nel passato.

    Gli occhi di Anna non si staccarono da Oliver. «Piacere di conoscervi. Il mio piccolo arriverà tra sei settimane. A metà giugno. Non vedo l'ora.» Osservò il viso del bambino. «Tuo figlio ha degli occhi incredibili. Sono di un azzurro così intenso da sembrare blu.»

    E sono tali e quali a quelli di tuo fratello.

    Sarah si schiarì la gola.

    «Tecnicamente non è mio figlio. Sono la sua tutrice legale. Sono qui per consegnarlo a suo padre.»

    Un'espressione confusa si dipinse sul viso di Anna. «Alla LangTel? Il padre lavora qui?»

    Sarah si era ripromessa di mantenere la massima discrezione per il bene di tutti, e soprattutto di Oliver, ma quella sarebbe potuta essere la sua occasione per arrivare ad Aiden. La segretaria era un vicolo cieco. «Sono venuta per incontrare Aiden Langford. È tuo fratello, giusto? Ho bisogno di parlargli di Oliver, ma lui rifiuta le mie chiamate.»

    «Oh.» Un guizzo di sorpresa illuminò gli occhi di Anna, che sfrecciarono da Oliver a Sarah. «Oh. Wow.» Si sfregò la tempia con la punta delle dita. «Questo non mi sembra il posto migliore per parlare di questioni simili. Forse dovresti salire con me.»

    La segretaria di Aiden compose il numero dell'interno del suo capo. «Signor Langford? Sua sorella desidera vederla. Non è sola.»

    Non è sola? «La faccia passare.» Aiden mise da parte il resoconto che stava controllando.

    Anna entrò accompagnata da una bionda che lui non conosceva. E che bionda! Labbra piene, grandi occhi azzurri e un delizioso abitino nero che seguiva le morbide curve. L'incarnazione della femminilità! I loro sguardi s'incontrarono e Aiden notò una spruzzata di lentiggini sulle guance. I suoi gusti in fatto di donne erano ampi e vari, e doveva ammettere che quella donna li soddisfaceva tutti. Purtroppo, c'era però un dettaglio in lei che non la rendeva il suo tipo: il bambino addormentato tra le sue braccia. Lui evitava qualsiasi coinvolgimento emotivo e le mamme non figuravano nella lista delle donne con cui uscire.

    «Aiden, ti presento Sarah Daltrey» disse Anna.

    Quel nome, insieme al piccolo addormentato, spense qualsiasi pensiero lussurioso.

    «Lei è quella che continua a telefonare. Ha appena chiamato dall'ingresso. Come accidenti ha fatto ad arrivare a mia sorella?»

    Anna lo invitò ad abbassare la voce. «Il piccolo dorme.»

    Il piccolo. Il suo cervello partì in quarta. Aveva letto le e-mail di Sarah. Be', almeno una delle tante. E gli era bastato per decidere di non parlarle. Non era la prima volta che cercavano di appioppargli una falsa paternità. Possedere una considerevole fortuna e appartenere a una ricca famiglia ti trasformava spesso in un bersaglio. «Così non va.» L'istinto gli diceva che era tutto sbagliato. «Signorina Daltrey, non so che cosa lei voglia, ma ora chiamo la sicurezza.» Allungò la mano verso il telefono, Anna, però, lo bloccò.

    «Aiden, no. Ascoltala, per piacere. È importante.»

    «Non so che cosa ti abbia raccontato, ma sono tutte menzogne.» Sentiva la rabbia crescere in lui.

    «Le chiedo solo cinque minuti del suo tempo, signor Langford.» Sarah parlò con voce pacata e misurata. Non sembrava una squilibrata. Ma un bambino? Oh, no. «Se non mi crederà, non ci sarà bisogno che chiami la sicurezza. Me ne andrò da sola.»

    Anna fissò il fratello con espressione implorante.

    Davanti a due donne che non avevano nessuna intenzione di mollare, gli restava forse un'altra scelta? «Se servirà per mettere fine a questa farsa, allora va bene. Cinque minuti e non un minuto di più.»

    «Io vi lascio.» Anna si fermò sulla porta e girandosi disse a Sarah: «Quando hai finito, vieni nel mio ufficio. Vorrei che mi dessi il titolo di quel libro contenente i consigli su come fare addormentare un bambino di notte, di cui mi hai accennato in ascensore».

    Sarah annuì e sorrise come se lei e Anna fossero state grandi amiche. Che cosa stava per cadergli addosso? «Sì, volentieri. Grazie mille per il tuo aiuto.» Il clic della porta che si chiudeva annunciò che erano rimasti soli, e un silenzio soffocante piombò nella stanza. Sarah si schiarì la gola e si avvicinò, la testa del bimbo ancora posata sulla spalla. «Le sarei grata se potessi sedermi. È piccolo, ma pesa.»

    «Oh, mi scusi. Ma certo.» Aiden le indicò una poltroncina di fronte a lui, dall'altro lato della scrivania. Non sapeva bene come comportarsi, se alzarsi in piedi, restare seduto, incrociare le braccia. Sembrava tutto sbagliato e così, alla fine, si sistemò meglio sulla sedia.

    «Bene, non intendo farle perdere tempo, pertanto andrò dritta al punto» esordì Sarah. «La madre di Oliver era la mia migliore amica fin dai tempi del liceo. Si chiamava Gail Thompson. Le dice niente? Mi ha detto di averla conosciuta all'Hotel Crowne Lotus a Bangkok.»

    Le spalle di Aiden s'irrigidirono. Quei dettagli non erano stati inseriti nelle e-mail di Sarah. Lei si era limitata a spiegare di essere la tutrice del bambino. Per quanto ne sapeva, nessuno era a conoscenza della sua breve storia con Gail. Si erano incontrati nel bar dell'albergo e avevano trascorso insieme tre giorni prima che lei tornasse negli Stati Uniti. Da allora non l'aveva più sentita. Si agitò sulla sedia. Aveva già capito dove voleva parare Sarah. Lo stomaco gli si chiuse.

    «Nove mesi dopo il vostro idillio in Thailandia» proseguì Sarah, «è nato Oliver. E otto mesi dopo la sua nascita, Gail mi ha chiamato per informarmi che aveva un cancro. All'ultimo stadio. Io ero l'unica a cui potesse affidare il bambino. Non aveva fratelli e i genitori erano morti quando lei era al liceo. Lei sapeva che avevo fatto la tata per anni e pertanto la sua scelta

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