La Nuova Era
Di Aldo Parisi
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Anteprima del libro
La Nuova Era - Aldo Parisi
ALDO PARISI
LA NUOVA ERA
romanzo
Ai miei cari
e
alla fantasia
che vive in noi tutti
Scopri i personaggi sul sito
http://nuovaeraromanzo.altervista.org/
Edizione I - dicembre 2015
© Copyright 2015 Aldo Parisi
Immagine di copertina sotto licenza CC BY 4.0
Proprietà di NASA Goddard Space Flight Center
(https://www.flickr.com/photos/gsfc/)
Immagine modificata dall’autore
Strada senza Ritorno
Scegli!
La voce rimbalzava da un lobo all'altro del cervello. Si
aggrappava alla carne, alle viscere e alle ossa del cranio,
mentre lunghe e dinoccolate dita mi stringevano ancora la gola
e mi impedivano di respirare. Emisi un lungo respiro e mi
massaggiai la base del collo. Non erano più lì, ma stringevano
ancora.
La strada serpeggiava tra i marmi delle Alpi Apuane e il
ciglio era talmente vicino che potevo vedere le ombre degli
alberi invadere l'oscurità davanti alla luce dei fanali. La Golf di
Dino correva tra curve a gomito e strapiombi di centinaia di
metri, lassù, dove la riviera apuana si congiungeva con le
montagne della Garfagnana.
Ancora non mi capacitavo di quello a cui avevo assistito a
chilometri di distanza da lì. Erano passati pochi battiti di cuore,
ma avevo elaborato millenni di tempo da quello che avevo
avuto il coraggio di fare. Avevo preso una decisione che mi
aveva portato sull'orlo di un baratro senza fine.
Avevo ucciso.
Lo avevo ucciso.
Era stata quella la mia scelta.
Avevo ucciso il mio amico Giulio.
Lui non era più lui, era diventato qualcun altro.
Era qualcos'altro.
Mi aveva seguito, mi aveva affrontato, mi aveva implorato di
porre fine alle sue sofferenze. Mi ero macchiato di un delitto,
gli avevo trafitto il cervello e lo avevo lasciato inerme nel
mezzo di un parco cittadino nel centro di Massa.
Gli avevo dato una seconda morte.
Scegli!
Avevo scelto di uccidere un vampiro. Un amico tramutato da
quell'essere che ora stava accanto a me, con lo sguardo puntato
sulla strada e la mente impegnata a cercare la mia giusta
punizione. Il nocchiere della notte sfidava la strada a velocità
decisamente sostenuta per i miei gusti. Se ci fossimo scontrati
con un'altra auto o avessimo falciato un animale selvatico, le
mie ossa si sarebbero sbriciolate all'impatto, mentre lui si
sarebbe rialzato, mi avrebbe guardato con sufficienza, mentre i
suoi organi vitali si sarebbero risanati e le ossa rinsaldate.
L'auto derapò alla curva a gomito della Campareccia, la
preferita dai motard della domenica. Un suono secco mi
abbracciò da dietro. Mi voltai verso il posteriore dell'auto. Dal
parabrezza, due occhi di luce ci stavano seguendo a brevissima
distanza.
Un'altra curva e un altro colpo.
Il sedile posteriore occultava la causa di quel rumore. Dietro
la seduta, nel bagagliaio, celato ad occhi indiscreti, il cadavere
di Giulio sbatteva ad ogni curva.
Uccidimi, se puoi.
mi aveva implorato.
Mi misi le mani sul volto. Lui aveva voluto morire. Non
voleva più vivere quella vita senza vita. Lui, mi aveva preso la
mano con il punteruolo e, lui, mi aveva aiutato ad ucciderlo.
Lui aveva raggiunto la sua pace e io avevo perso la mia.
Ormai è fatta.
uscì dal nocchiere.
Mi aveva chiesto di porre fine a...a…
abbozzai, ma un
groppo in gola prima e Dino, poi, mi impedirono di continuare.
"Giulio non era all'altezza. Lui non sarebbe mai diventato
uno di noi. Nuccio non capisce che la trasformazione è un
processo delicato e che non può prendere con sé persone a cui è
legato da amicizia." aggiunse.
Il nocchiere non aveva distolto lo sguardo nemmeno per un
secondo se non quando, nominando suo figlio, buttò gli occhi
nello specchietto retrovisore.
Sul rettilineo della strada provinciale di Antona la Golf
raggiunse gli ottanta chilometri orari. Un'altra curva a gomito
comparve all'improvviso e l'auto sbandò pericolosamente verso
sinistra. Tentai di tenermi e le cinture mi aiutarono a non
sbattere contro il vampiro.
Il corpo di Giulio sbatté ancora più violentemente.
Tu non trovi?
domandò, riprendendo l'auto.
Mi voltai verso Nuccio, alla guida della Panda bianca di
Giulio. Teneva la strada, nonostante la velocità. Dino ingranò
la quarta sul rettilineo finale che giungeva al Pian della Fioba.
Merda, stava per raggiungere i cento chilometri all'ora.
Mi strinsi alla maniglia della portiera e mi irrigidii per lo
spavento.
Allora?
mi ripropose.
Lo fissai e lui mi contraccambiò con un sorriso imperlato
dalle sue zanne.
Hai ragione
abbozzai con titubanza.
Ti trovo agitato, caro mio
E lo credo
con un filo di voce.
Avevi fatto una scelta, ragazzo. Perché l'hai ucciso?
. Il
ricordo di quel Scegli!
mi entrò nella carne. Avevo scelto di
non svelare l'altro mondo. Il loro mondo. Avevo promesso che
mai avrei rivelato la loro esistenza.
Nuccio mi aveva trovato con il cadavere della sua creatura e
mi aveva giurato odio. Un odio trasformato in una maschera di
grinze e denti sporgenti, di occhi scavati e imperlati di rosso.
Se non era per Dino, per suo padre, il Vate di Massa, a quell'ora
il mio collo sarebbe stato spezzato e prosciugato dalla vendetta
di Nuccio.
Che cosa avete intenzione di farmi?
domandai al nocchiere.
La sensazione di morte scorreva nelle mie vene più veloce
del sangue. Mi trovavo a più di dieci chilometri da casa, stavo
raggiungendo il Passo del Vestito e ci stavo andando con due
vampiri.
Non male come serata, bravo Simone. Non era meglio una
partita alla Playstation? Ma no, dovevi per forza uccidere
Giulio, cazzo!
Hai fatto qualcosa che a Nuccio non è piaciuta per nulla
e
questo lo avevo capito.
"E' stato più forte di me. Volevo aiutare Giulio. Non ne
poteva più di quella situazione. Voi l'avete ridotto a qualcosa
di... di... non riuscivo a definire la sua esistenza
Perché?
Perché non potevate lasciarlo morto dopo quello che faceste al
market? Perché non lasciarlo riposare in pace come il
magistrato? Perché? una lacrima si buttò sul sedile
Perché?"
ripetei mentre altre lacrime seguirono la prima.
Dino distolse l'attenzione dalla strada e la gettò su di me.
"Il nostro codice ti dovrebbe riservare la sua stessa sorte. E
Nuccio dovrebbe esserne l'esecutore" tagliò corto.
Eh, giusto! Avevo rotto il primo balocco di suo figlio e lui
voleva farmi fare la sua stessa fine. Grazie. Bell'amico.
Però...
sospese il discorso e con un dito mi prese una
lacrima. Se la portò alla bocca e chiuse per un secondo gli
occhi. Quando li riaprì l'iride era mutata. Due sfere gialle mi
fissavano con insistenza.
"Però ammiro le persone come te. Sei così... ecco sì, umano.
Troppo umano, forse"
Dino inchiodò all’altezza dell’orto botanico del Parco delle
Apuane e per poco non sbattei contro il parabrezza anteriore.
Attutii il colpo con le mani. Le cinture avevano fatto una bella
cilecca, questa volta. Nuccio arrivò lungo e ci evitò con una
secca sgommata.
Guardai Dino chiedendomi se non fosse completamente
pazzo. Per tutta risposta mi sorrise con i suoi bianchissimi
denti.
"Non so ancora cosa ti distingua dal resto del genere umano,
ma ho deciso di risparmiarti".
Il suo caro figlio me l'aveva giurata e forse nemmeno Dino,
in un qualche giorno nel futuro, avrebbe potuto impedirgli di
terminare il lavoro che aveva intenzione di compiere fino a
pochi minuti prima. Dino mi aveva gettato un’ancora di
salvataggio e questa cosa mi stava decisamente bene.
Non pensare a mio figlio. Non ti verrà tolto un capello.
mi
rassicurò, poi ingranò la marcia e partì di scatto.
Per tutto il rimanente tragitto evitò qualsiasi contatto fisico e
verbale. Furono cinque minuti interminabili nei quali gli unici
rumori furono quelli del povero Giulio che, come in un
frullatore, continuava a sbattere ovunque nel bagagliaio. Poi la
testa dell'amico smise di emettere rumori.
Forza, dammi una mano
mi ordinò il vampiro appena
fermò l’auto.
Fuori, le stelle brillavano alte nel cielo. L'orsa maggiore,
l'unica che conoscevo perfettamente, assisteva alla nostra losca
occupazione. Ci vide aprire il bagagliaio della Golf, prendere il
cadavere di Giulio e adagiarlo sull’asfalto. In quota, il freddo
era pungente, nonostante l'estate fosse al proprio culmine. Mi
strinsi nelle spalle ed infilai le mani nelle tasche del giubbotto.
Era ancora lì.
Estrassi il punteruolo. Sull’aculeo in acciaio il sangue si era
rappreso diventando di un rosso scuro. La mano era ancora
macchiata del suo sangue e il calore di quell'oggetto era uguale
al corpo di Giulio.
Farai meglio ad abituarti
mi gelò Dino.
Cosa voleva dire? Che sarei diventato come loro, prima o
poi? O cosa? Forse un assassino? Forse un cacciatore?
Dino chiuse il bagagliaio, mentre mi affrettavo a rimettere a
posto l'arma. Nuccio aveva sistemato la Panda con il muso
verso il burrone. Si accostò e si mise a fissarmi in silenzio con
gli occhi ancora iniettati di sangue. Scappai dal suo sguardo
assetato di vendetta e mi limitai al silenzio.
Dino scostò il figlio con un brusco spintone e mi invitò ad
aiutarlo. Presi l'amico per le gambe, mentre Dino lo prese per
le braccia. Lo sistemammo alla guida della Panda, mentre
Nuccio seguiva tutto con distacco. L'amico, ormai decisamente
ex, aveva una voglia matta di strapparmi tutte le membra. Era
lampante come innegabile era che i vampiri esistessero. Dino
mi venne in soccorso.
Guai a te se vengo a sapere che hai fatto qualcosa a Simone
lo minacciò. In quel momento non erano più padre e figlio, ma
maestro e servo della notte.
Nuccio risparmiò il fiato di una risposta, mentre suo padre
terminò il quadro del suicidio. Mise le mani di Giulio sul
volante, adagiò il capo dell'amico sul poggiatesta, inserì le
cinture di sicurezza. Poi raggiunse il guardrail e fissò il vuoto.
Laggiù, nascoste tra le tenebre della notte, il tenue bianco del
marmo risaltava nell'oscurità come un campo di neve. Sarebbe
stato un lungo volo. Ed un'incredibile fulgore di fiamme.
Immaginai male.
Dino sferrò un primo calcio al guardrail che si ammaccò. Al
secondo calcio, il guardrail si incrinò. Il vampiro raggiunse poi
l'auto, la avviò e si allontanò come una saetta. La Panda
assunse subito velocità, sbatté violentemente contro il guardrail
e si impennò in aria. Vidi per l'ultima volta il corpo inerme di
Giulio sbattere contro il parabrezza, prima che l'auto si
inabissasse nel vuoto. La Panda rotolò con abbondante fracasso
e ricadde con la pancia all'aria. Non esplose.
Ora possiamo andare
disse Dino.
Rimontammo in silenzio sulla Golf. Dino e Nuccio si
sistemarono davanti, mentre io preferii accomodarmi sui sedili
posteriori.
"Domani mattina, vieni al mini market. Devo parlarti a
quattrocchi." mi ordinò Dino.
Non ebbi il coraggio di rispondergli. Mi aveva salvato la vita
e ormai dipendevo da lui.
Sul volto di Nuccio si disegnò un punto interrogativo.
La notte era passata troppo in fretta e la curiosità di quello
che Dino voleva dirmi mi aveva impedito di addormentarmi.
Mi ero girato e rigirato nel letto, tra migliaia di immagini di
vampiri, di Giulio sgozzato, e poi, poi di lui, il gigante
Pantagruel. Il famelico ubriacone che mi aveva svelato il
mondo di Dino e Nuccio. Pensavo fosse lui il vampiro e invece
era soltanto un loro schiavo. E quelle mani dinoccolate mi
stringevano ancora il collo, come se fosse lì. Invece era passato
già un anno da quella terribile rivelazione e una notte dalla
morte di Giulio. Ciononostante i loro fantasmi diafani
animavano ogni notte i miei sogni.
Il negozio nel campeggio era quasi vuoto. Soltanto due
ragazze si stavano servendo di tè ai banconi frigo. Dino era
impegnato a parlare con la moglie alla cassa. Immagini del
passato si rincorsero nella mia mente e rividi la signora Matilde
mentre affettava la gamba del magistrato Giusti, mentre Nuccio
si beveva l'amico e mentre il gigante Pantagruel, insieme a
Nuccio, mi afferrava e mi imponeva una risposta.
E ora scegli!
La mia mente fuggì verso Lena, la mia ragazza di quell'estate
che se ne era andata subito dopo il mio incontro fatale con
Pantagruel, Dino e vampiri belli. Lei era stata un'ancora di
salvezza in quei giorni di sangue, un'ancora alla quale mi ero
aggrappato. Non le dissi mai nulla, solo per salvarla. E poi,
come capitava con le anime gemelle, conosciute e consumate
nell'estate della gioventù, era tornata in Olanda. Non l'avrei mai
più rivista. Un capitolo della mia vita si era chiuso con la scelta
che fui costretto ad assumermi. E sapevo che, da quel
momento, tutto sarebbe cambiato, sapevo che qualcosa in me si
era incrinato. E ne ebbi la conferma poco dopo.
Voglio che tu partecipi ad una riunione. Domani sera
mi
propose Dino, puntando l'accento sul voglio come un obbligo.
Quale riunione?
domandai con curiosità.
Una volta al mese, noi ci riuniamo per discutere
Noi?
E mi parve che quella riunione non fosse altro che un solenne
banchetto nei miei confronti.
Venite, amici, stasera ho da offrirvi un sangue novello. Venti
anni di sapore dolce, fragrante e rinvigorente. Venite a bere
quel sfottuto ragazzino che ci ha scoperti. Venite ad assaggiare
il giovane Simone. E' come un novello Sangiovese!
Discutiamo solamente delle nostre faccende
continuò, ma
la mia mente galoppava sfrenata.
Oh, sì certo, come succhiare di qui, come succhiare di là,
mostrare i più bei canini della provincia, banchettare con fiumi
di sangue, abbandonarsi ad orge di carne ed umori corporei!
Dino lesse la mia perplessità nascosta tra le supposizioni che
nella mia mente ormai si erano aggrappate come sanguisughe.
"Ti chiedo di venire, perché almeno così capirai che non
siamo quello che tu hai visto quella notte. Siamo stai costretti.
Sia Giulio, che il magistrato Giusti avevano capito chi eravamo
e non potevamo permetterci che la cosa divenisse di pubblico
dominio. La nostra razza sarebbe stata cacciata, si sarebbero
avviati dei meccanismi che tu non conosci e saremmo dovuti
sparire per un po'. E questa cosa, in alto, molto in alto, non
sarebbe stata ben vista da qualcuno.".
Perché io non ho fatto la stessa fine, mi domandai. Forse
perché tenni bene serrata la bocca?
Ci sarà anche Nuccio, la signora Matilde e... lui?
chiesi.
Dino titubò un attimo.
Lui? Ah sì
Mi massaggiai la base del collo e accennai di sì.
"No, la riunione è riservata ai soli maestri capo famiglia della
zona.".
Quanti sono?
La mia curiosità lo stava infastidendo. Comunque decise di
rispondermi.
"Dodici. La riunione si terrà alle otto di sera. Ti ricordi dove
abito?" sorrise lisciandosi i baffi.
"Sì, sono venuto una volta. Abitate al terzo piano del palazzo
di fronte alla chiesa di San Sebastiano, vero?"
Bene, puoi andare. Non farmi il bidone. Te ne pentiresti
minacciò.
Era una fresca mattina d'estate. La sera avrei finalmente
avuto svelato il mistero di Dino e della sua famiglia di vampiri.
Con lo scooter avevo percorso a tutta velocità la via dei Carri
che univa Altagnana, dove abitavo, alla strada provinciale per
Canevara. Un paio di chilometri dopo inchiodai lo scooter. Le
ruote fischiarono e sbandai pericolosamente. Un solerte autista
mi manifestò la sua opinione su quel gesto e mi salutò con un
caloroso Vaffanculo!
. La locandina de La Nazione
annunciava a caratteri cubitali "Muore giovane sull'Appennino.
E' giallo"
Merda!
imprecai. Mi aspettavo prima o poi il ritrovamento
del corpo di Giulio, ma non mi sarei aspettato l'apertura di
un’inchiesta giornalistica.
Comprai il giornale e mi misi a leggere l'articolo. La foto
sorridente dell'amico era accostata ad un'altra dell'auto in
fiamme. Giulio era stato trovato il giorno prima dagli operai
della cava in cui era finita la Panda. Il giornalista faceva il suo
sporco lavoro insinuando nel lettore il mistero e facendo notare
che l'auto non era esplosa subito, ma solamente la mattina, alle
prime luci dell'alba. Gli operai avevano chiamato il 112 e il
carabiniere di turno aveva ordinato loro di non toccare nulla e
di attendere la squadra per le indagini. Il giornalista descrisse
minutamente che l'auto aveva perso poca benzina e che il sole
non era stato così caldo da poter accendere una scintilla, che
fece poi deflagrare l'auto, prima dell'arrivo dei carabinieri. Per
poco non ci rimise le penne un certo Giovanni Calaiò,
marmista di quarant'anni. Il giornalista si soffermò poi sulla
macabra descrizione del corpo reso irriconoscibile dalla
combustione. Mi augurai che i genitori di Giulio non
leggessero mai quell'articolo. Infine l'articolo si concludeva
con testuali parole "Le prove di un eventuale omicidio sono
andate completamente in fumo come un tizzone spento".
Quindi, concludeva, il caso era stato archiviato con un bel non
luogo a procedere da parte dei carabinieri. Feci un sospiro di
sollievo. La formula canonica di chiusura dell’articolo era
dedicata al funerale, alle tre del pomeriggio alla chiesa dei
Servi di Maria di Marina di Massa.
Accartocciai il giornale e me ne tornai al paese. Non avevo
più voglia di andarmene a giro e non volevo mancare all'ultimo
saluto del mio amico.
Il saluto dell'assassino.
La folla si era radunata silenziosamente davanti alla chiesa,
almeno mezz'ora prima dell'arrivo del feretro. Circa trecento
persone erano convenute per la funzione d'addio. A decine
furono gli amici e i conoscenti che salutarono con un applauso
l'arrivo del carro funebre.
Decisi di rimanere fuori dalla chiesa, nel parco antistante, in
disparte. Mi sentivo fuori dal contesto, in colpa per tutto, solo
perché io conoscevo la verità. Avevo paura di incrociare gli
sguardi sofferenti dei parenti, del padre e della madre. Non
sapevo come avrei reagito. Di una cosa ero certo però. Avrei
tenuto gli occhi fissi a terra. Mi vergognavo di essere vivo. Mi
vergognavo di avere avuto una fortuna che Giulio non aveva
neppure avuto il modo di sperimentare.
Raggiunsi il resto degli amici. Marco, Diego e Daniele
parlottavano a bassa voce vicino ad una quercia.
Ciao ragazzi. Come va?
salutai.
Bene. E tu?
contraccambiò Diego.
Il feretro era appena entrato e la folla sciamava composta
dentro la chiesa. Tra loro non c'era traccia né di Nuccio né di
Dino.
Che brutta storia.
dissi senza rispondere all'amico.
Già, davvero un brutto incidente
Marco si prese una sigaretta. Era la prima volta che lo vedevo
fumare.
Quand'è che hai iniziato?
indicai la sigaretta.
Un mese fa. Il nervosismo fa brutti scherzi.
mi rispose
senza entrare nel merito della questione.
Marco stava passando un periodo negativo. I suoi genitori si
erano separati e lui era andato a vivere con la madre. Visto poi
che la sfortuna ci vedeva benissimo, aveva perso il lavoro da
fornaio. Diego gli aveva offerto un posto come autista nella
ditta in cui lavorava, ma Marco si era preso tempo.
Me ne dai una?
domandai.
Hai deciso di ucciderti anche tu?
intervenne Daniele. Lui
era il salutista del gruppo. Non l'avevo mai visto né bere né
fumare.
"Al cimitero ci devi andare dopo una malattia o per
vecchiaia, non dopo un incidente" rispose.
Il silenzio calò.
E poi...
Marco soppesò ancora quelle parole scindendo col
pensiero una nuvola di fumo espulsa dai polmoni "...sapete che
Giulio aveva preso una brutta piega?"
No. Che vuoi dire?
domandai incuriosito.
Diego anticipò Marco.
"Dicevano che fosse entrato in un brutto giro. Droga, soldi
sporchi e perfino omicidi"
Non ci credo
abbozzai sottovoce. In realtà pensavo a
quanto fossero crudeli le dicerie di provincia.
Le nostre parole giunsero ad un uomo panciuto sui
sessant'anni che ci guardò con disprezzo. La sua espressione
diceva chiaramente "Nemmeno ad un funerale questi ragazzi
sono capaci di fare silenzio. E perlopiù infangando la memoria
di un loro amico"
"Non usciva di casa, se non di notte. Nessuno lo vedeva più.
Vagava per la città fino all'alba e poi scompariva.