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E-book104 pagine1 ora

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Info su questo ebook

H2O è una storia d’amore che si svolge in un paesino di provincia intorno a inattese e misteriose circostanze, dopo il viaggio di ritorno alle
origini della protagonista femminile. Sfondo costante della storia è il mare, il cui legame con il protagonista maschile ne ha, indirettamente,
condizionato le scelte.
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2022
ISBN9788893472203
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    Anteprima del libro

    H20 - Maria Antonella D'Agostino

    cover.jpg

    Maria Antonella D'Agostino

    H20

    Prima Edizione Ebook 2022 © R come Romance

    ISBN: 9788893472203

    Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione

    img1.png

    www.storieromantiche.it

    Edizioni del Loggione srl

    Via Piave 60

    41121 Modena – Italy

    romance@loggione.it

    http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it

    img2.jpg

    La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.

    Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.

    Maria Antonella D'Agostino

    H20

    Romanzo

    INDICE

    I

    II

     III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    Epilogo

    L’autrice

    Catalogo

    È perché restano incompiuti che certi amori sembrano eterni? Perché non hanno il tempo di essere intaccati dalle circostanze della vita? O perché sono semplicemente puri? Dunque, la domanda è quella di sempre: esiste l’amore vero? Personalmente non lo so, ma voglio crederci. Fa bene al cuore.

    I

    22 marzo 2019

    Una brezza leggera soffiava tra le fronde degli alberi. Il cielo era terso, di un azzurro quasi accecante. Lasciando liberi i capelli di scompigliarsi, abbassai sul naso gli occhiali da sole, a protezione dalla luce e dagli sguardi che si posavano pietosi su di me. Nel silenzio del tiepido pomeriggio primaverile le foglie fremevano di un gemito spettrale, accompagnando inconsapevolmente i miei pensieri, stridenti come il rumore graffiante della cazzuola che spianava la malta fresca sui mattoni forati.

    Elena era al mio fianco, con quell’innato istinto protettivo temprato da anni di esperienza materna, che tuttavia riservava con estrema naturalità anche alle sue più care amiche. E tra tutte, negli anni, io sono quella che ha conquistato il primo posto nel suo cuore. Non oso immaginare come avrei potuto reggere, senza il suo sostegno, al dolore che di colpo mi era piombato addosso.

    Franco, Giovanni e Rosaria erano lì, solo un passo dietro di noi. I loro sospiri, interrotti dalle lacrime mal trattenute, facevano accelerare i miei battiti in modo incontrollato. Lo so, quel dolore aveva colpito anche loro, ma in quegli attimi, lo ammetto, egoisticamente in cuor mio reclamavo per me sola il diritto di piangere.

    Qualche lacrima avrei potuto concederla soltanto ad Elena, a mio padre o a mia madre, per la legge di transitività che ci lega. Per il resto, quella sofferenza apparteneva soltanto a me, non potevo e non volevo dividerla con nessun altro.

    Dall’alto del piccolo cimitero si intravedeva il mare. Mi faceva male scorgere quella distesa placida e luminosa che continuava a luccicare laggiù, indifferente alla mia sventura. Non mi infondeva più tranquillità e gioia la sua vista, mi ricordava, invece, quel che avevo ormai perso, il bene più grande e bello della mia vita. Ciò nonostante il mio sguardo, ben nascosto sotto le lenti scure, non poteva fare a meno di scivolare lungo i pendii verdeggianti che scendevano a valle fino al mare, per tornare a posarsi sul grigio ruvido del cemento, e poi ancora e ancora giù, a immaginare le onde spumose, in un vortice che mi faceva girare la testa e mi spezzava il fiato.

    Lui lo amava così tanto che avrebbe voluto morire proprio lì, vicino al mare. Lo diceva sempre. E invece la sorte gli aveva riservato ben altra fine. Chi l’avrebbe mai detto, tutta la sua energia, la sua forza, la sua positività bruciate in un baleno. Un attimo, solo un attimo, un maledetto brevissimo attimo…

    D’improvviso mi sentii mancare. Elena mi sorresse appena in tempo. Qualcuno mi offrì un po’ d’acqua. Per fortuna mi ripresi velocemente, prima che il brusio concitato dei convenuti mi stordisse del tutto. Sospirai, poi mi voltai, imponendomi di non cercare altre inutili distrazioni. Ormai era quasi tutto finito. Sul cemento fresco stavano incidendo la data: 21 marzo 2019.

    II

    21 settembre 2019

    21 marzo… 21 marzo… Non fa che ronzarmi per la testa quella maledetta data! Dicono che il 21 è il numero della perfezione. Cosa c’è di perfetto in un lutto? Proprio il primo giorno di primavera. Ma che me ne faccio della primavera senza di lui? Non riuscivo a pensare ad altro.

    «Clara!»

    21 marzo… 21 marzo… Basta. Basta.

    «Ehi, Clara!»

    Dove… dove sono? Ahi, la mia testa. 21 marzo, continuava a rimbombarmi nel cervello, lo sentivo vibrare sulla pelle, mentre risuonava ovattata l’eco del mio nome. Da dove viene questa voce? Sono in bilico, sono sul ciglio di un precipizio? Le palpebre pesavano come due macigni e a malapena riuscivo a sollevarle per far filtrare la luce. Tutto girava intorno: i quadri, l’orologio, la damina carillon con il suo cesto di fiori. Oddio, che succede? Nella foschia lattiginosa che usurpava invadente i miei spazi, improvvisamente intravidi una figura di donna curva su di me. Di chi era quel paio d’occhi che, per uno strano effetto ottico, si avvicinavano e si allontanavano ritmicamente, creando una fastidiosissima sensazione di vertigine?

    Esitai ad alzarmi, sforzandomi di mettere a fuoco il viso tondo incorniciato dai lunghi capelli scuri. Ma certo… era Elena. Da dove è sbucata fuori? mi chiesi. Pareva quasi un miraggio che prendeva forma dal nulla. Continuava a ripetere il mio nome come un mantra, mentre mi scuoteva dolcemente la spalla destra.

    «Dove sono?» riuscii a malapena ad articolare. Con gli occhi appannati per lo stordimento, perlustrai la stanza. I muri si muovevano ancora, oscillavano fino quasi a cadermi addosso. Ohi la mia testa. Poi finalmente la strana danza cominciò a rallentare. Cercai di guardare fisso davanti a me. Se non blocco la testa finirò per vomitare, era l’unica cosa che riuscivo a pensare, mentre stringevo nuovamente le palpebre, portando le mani alla fronte per sostenere il capo.

    Elena, provvidenziale, mi porse un bicchier d’acqua; lo sorseggiai lentamente e gradualmente ripresi coscienza della realtà. Esplorando con la mano, mi accorsi di essere seduta sul piccolo divano anni ‘50 del soggiorno di mia nonna. Sapere di avere un sostegno stabile mi procurò sollievo. Com’era tranquillizzante la morbidezza del suo vellutino rosa.

    Con cautela sollevai lo sguardo. La damina carillon era lì sul mobile in noce chiaro, con il suo cesto in mano, immobile e silenziosa, con l’espressione fissa nel vuoto e, se non fosse stato per il suo abito elegante, l’avrei scambiata per la pastorella che cercava di fuggire con lo spazzacamino in quella bella storia che allietava la mia infanzia. La lancetta dei secondi girava regolarmente sul quadrante dell’orologio decorato a rose e oro, sospeso sulla porta; il portapenne in pelle color testa di moro faceva bella mostra di sé sulla piccola scrivania-porta pc, con la poltrona ordinatamente accostata. I quadri erano appesi al muro nella posizione di sempre, quegli strani vortici non li avevano spostati di un millimetro. Tutto era a posto, per fortuna. 21 marzo… sfumava in lontananza nella mia mente, mentre con lentezza mi tiravo su, cercando di tornare in me. Mi ritrovai stretta nel caloroso abbraccio di Elena. Com’è cara, non potetti fare a meno di pensare.

    «Stai bene, Clara? Come ti senti?»

     «Meglio, Elena. Grazie.»

    «Sei sicura? Sei piuttosto pallida. Non farmi preoccupare.»

    «Stai tranquilla, è tutto passato.»

    «Vuoi che ti prepari un tè? O qualcos’altro, scegli tu.»

    «No, no, grazie. È stato solo un giramento di testa. Sto bene

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