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King's Heaven
King's Heaven
King's Heaven
E-book311 pagine3 ore

King's Heaven

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Info su questo ebook

Evander King sembrerebbe l’uomo perfetto: si prende cura della sua famiglia e di se stesso, ha un lavoro sicuro e remunerativo, è passionale, mette l’anima in tutto ciò che fa ed è una calamita naturale per la seduzione.
Ma tutto ciò che brilla non è necessariamente oro, ed Evander King è tutto tranne che perfetto.
Una parte di sé gli è stata portata via e da allora vive con un milione di maschere diverse: dolce, sensibile, misterioso, tenebroso, inquietante, maniacale... luce e ombra che si alternano senza un minimo di equilibrio, che lo portano alla pazzia e a perdere la ragione.
La ragazza per cui è impazzito si chiama Allison Trice.
Lei non si ricorda di lui, ma lui sa benissimo chi è lei e non si fermerà davanti a nulla pur di riaverla: quando i ricordi riaffiorano, tanti desideri messi a tacere si riaccendono.
È l’ultimo anno di università per Allison ed è anche l’ultima possibilità per Evander di rivendicare ciò che è suo.

Ecco alcune recensioni su Wattpad:
"Questa storia mi sta piacendo davvero tanto, mi stai facendo provare molte emozioni e amo davvero il tuo modo di scrivere!"
"Ho letto tantissimi libri e storie ma nessuna, e  ripeto nessuna, mi ha fatto provare emozioni così  forti come stai facendo con la tua storia.  È bellissima. Hai un dono."
"Il tuo modo di scrivere è impressionante.  Devo dire che sei bravissima, le frasi che scrivi sono profonde e piene di significato."
"Sono commossa, giuro. Questo libro è una meraviglia."
"L'amore che unisce i due personaggi va ben oltre. Non può  essere spiegato a parole, ma tu l'hai fatto talmente bene da farmi arrivare all'01:21 a piangere nel mio letto. Grazie."
"Wow,  storia semplicemente STUPENDA!"
"Che storia meravigliosa. Questo libro mi ha catturato  fin dal primo capitolo, complimenti!"
"Stupenda storia piena di emozioni e sentimenti  veri, complimenti! "
"Bellissimo! Bravissima! Stupendo! Ho amato il modo in cui hai descritto i personaggi. Hai reso ogni singolo personaggio interessante e non banale!"
"Bravissima! Ho amato molto la tua storia dall'inizio alla fine, sei riuscita a lasciarmi senza fiato!"
"Hai dato vita ad un capolavoro! Questo libro mi ha toccato il cuore, sei veramente bravissima  a scrivere!"
"Sei una fantastica  autrice. Il libro mi ha toccato nel fondo dell'anima."
"Piango. Amo te. Amo questa storia. Amo i protagonisti.  Amo i personaggi  secondari. Amo il tuo modo di scrivere. Ho vissuto questa storia, è una delle migliori che abbia mai letto."
"Per come la penso io si potrebbe farne un film! Bravissima!"
"Bellissimo! Sei stata una piacevole scoperta e continuerò di certo a leggere le tue storie!"
"Wow. Solo wow.  È  una storia bellissima e l'ultimo capitolo mi ha letteralmente  lasciata in una fontana di lacrime."
"Mi mancherà  questa storia."
"Meraviglioso... non posso negarlo, sto piangendo!"
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita13 feb 2017
ISBN9788894839050
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    Anteprima del libro

    King's Heaven - J.H. Halen

    2004

    PROLOGO

    21 Marzo 2007, Vancouver, Canada

    «Ti prego, Alli, ti prego...»

    Teneva la sua testa sul proprio grembo mentre sentiva in lontananza le sirene dell’ambulanza e delle macchine della polizia.

    Nonostante non piovesse, sul viso della ragazza cadevano gocce d’acqua. Solo qualche momento dopo capì che erano le sue lacrime.

    Se n’era andata?

    Le sue labbra erano violacee, le guance senza colore e il corpo senza calore. Era così fredda da poter imitare la morte in persona. Era così ferma da raggelargli il sangue nelle vene.

    Non appena arrivarono i soccorsi venne allontanato da lei e accompagnato a una macchina della polizia.

    L’ultima scena che vide fu lei, sopra una barella con un’infermiera che le teneva la mano, mentre veniva caricata sull’ambulanza, la sua moto, distrutta e il camion che li aveva deviati sull’asfalto ancora incredibilmente ghiacciato...

    6 ore prima, Bellingham, Washington

    Evander King afferrò il suo casco nero, prima di prenderne un altro e montare in sella alla sua nuova moto Harley-Davidson. Si guardò allo specchietto e sorrise compiaciuto, prima di infilare la testa nel casco: era un bel ragazzo, con i lineamenti marcati, occhi azzurri tendenti a un grigio brillante, capelli bruni con un effetto spettinato come al solito e un sorriso smagliante da far sciogliere ogni singola ragazza o ragazzo che lo guardasse.

    Accese i motori e sfrecciò verso l’autostrada, voglioso di raggiungere Allison. Il giorno prima si erano trasferiti e lui non aveva potuto fare molto se non promettere alle lacrime che scorrevano sul viso di Allison, che il giorno dopo stesso sarebbe venuto a trovarla.

    E infatti eccolo lì, a correre a una velocità inaudita verso Vancouver. Distava solo un paio di ore...

    ***

    Giunto all’indirizzo, indicato su un messaggio al cellulare, era ormai notte. Notò immediatamente una minuscola figura, con gli occhiali al viso e le lacrime sulle guance, con la testa abbassata, sedere distrattamente sul portico della casetta illuminata solo da una lampada da parete.

    «Ehi, splendore...»

    Non appena Evander si fece sentire, lei alzò lo sguardo da terra e lo fissò, quasi non volesse credere alla sua presenza.

    «...cosa ci fa una stella in Terra? Dovresti brillare nel cielo...» continuò lui, facendo un sorriso da cascamorto esperto.

    Non appena Allison si alzò, mostrando il suo corpo esile ricoperto da una felpa più pesante di lei, Evander allargò le braccia.

    Quando la ritrovò nel suo abbraccio, sentì quanto debole e piccola fosse, e di quanto gli fosse mancato sentirla così fragile a contatto con lui.

    Era la sua piccola da proteggere.

    Era sua, e di nessun altro, così come lui era solo suo.

    La strinse delicatamente, baciandole le guance e asciugando le sue lacrime con le labbra.

    «Pensavo che... tu mi avresti dimenticata...» disse lei in un sussurro, mentre si accucciava con le braccia contro di lui.

    «Ci vedremo più spesso di quanto immagini Allison, ricordati che i miei hanno una villa qui a Vancouver. Non essere così melodrammatica!» controbatté lui, ghignando divertito alla sua reazione così adorabile.

    Dimenticare lei? MAI.

    «Vuoi fare un giro? Ho una bimba da presentarti...» propose lui, indicando con la testa la moto parcheggiata nel vialetto. Quando un sorriso spuntò sulle labbra della ragazza, Evander le afferrò la mano e le dette il casco di riserva che aveva.

    Poi saltò in groppa alla moto e l’aiutò a salire dietro di lui.

    «Tieniti forte piccola!» le consigliò lui, prima di accendere il motore e partire, diretto verso l’autostrada. Menomale che aveva cambiato le ruote con quelle da ghiaccio...

    Giunti a un’autostrada deserta gridò, mentre sentiva il vento sbattere contro il suo petto. Quando udì anche la flebile voce di Allison innalzarsi per gridare, rise.

    Adorava sentirla così libera, senza il pregiudizio continuo dei suoi genitori.

    Subito dopo notò che Allison si era tolta il casco, liberando i capelli lunghi da scompigliare al vento che sferzava contro di loro.

    Evander si girò verso lei, senza abbassare la velocità.

    «Rimettiti il casco, Allison!» le gridò, improvvisamente preoccupato.

    «Solo due minuti, ti prego!» supplicò lei, agitando la testa, sollevata.

    «Allison, muoviti, rimettitelo!»

    «Ok... EVANDER ATTENTO!»

    ...

    Evander tossì, aprendo leggermente gli occhi e notando che il parabrezza del suo casco era in frantumi.

    Non appena riuscì a mettere a fuoco lo scenario in cui si trovava, si ridestò cercando di alzarsi di scatto.

    Davanti a lui c’era un camion in fiamme e la sua moto distrutta, ma soprattutto… il casco di Allison era lontano da… lei.

    «Allison!» gridò mentre si alzava, si toglieva il casco e raggiungeva il corpo della ragazza. Mentre sentiva il camionista scendere a fatica e chiamare il pronto soccorso, Evander alzò la testa di Allison sul suo grembo e le accarezzò il viso, mentre iniziò a piangere, disperato.

    «Ti prego, Alli, ti prego...»

    Capitolo 1

    7 anni dopo

    Allison

    Era l’ultimo anno.

    L’università ormai era come un gioco: studiavi, ti presentavi, e se avevi studiato bene, oppure se avevi un professore dalla tua parte, passavi con tutti i crediti meritati. Altrimenti no.

    Dopo le varie lezioni, entrai nell’aula 369, dove nella targhetta accanto alla porta era inciso il cognome del mio nuovo professore di Storia dell’Arte per quest’ultimo anno.

    PROFESSOR KING.

    Evander King.

    Il solo nome mi dette i brividi alla schiena. Nell’aula non c’era ancora nessuno, così mi accomodai su uno dei pochi banchi presenti.

    Non dovevamo essere molti quell’anno, in pochi erano interessati a prendere Storia dell’Arte.

    Tirai fuori il mio quaderno da schizzi e iniziai a tracciare il volto di un uomo sul foglio con una matita accuratamente temperata.

    Era sempre la stessa storia, lo stesso uomo. Per anni era stato così, e non capivo seriamente chi fosse.

    Quando Lisa Donnel e Patrick O’Neill, amici che conoscevo sin dal primo anno di università, fecero il loro ingresso, mi salutarono, sedendosi uno da una parte e uno dall’altra.

    Lisa era una ragazza alta, non particolarmente magra come una top model, ma con le curve al posto giusto, i capelli rossi e gli occhi sempre pesantemente truccati di nero.

    Patrick invece era il classico ragazzo della porta accanto: non palestrato, con portamento e occhiali da nerd, scotchati al centro; in poche parole un bel bocconcino normale.

    «Guarda guarda chi si vede! Ritornata dall’oblio… Allison Trice!» annunciò con fare da finto sorpreso Patrick, ridendo come un imbecille insieme a Lisa, che da due anni pendeva dalle sue labbra come una schiava si inchina al suo dominatore.

    Sorrisi e chiusi il quaderno guardandoli.

    «Voi non siete ancora finiti a letto, vero?» domandai, velenosa come una vipera, con un sorriso provocatorio dipinto sulla bocca.

    Sapevo che c’era del feeling tra di loro.

    Lisa si ricompose, arrossendo e mimetizzandosi con i suoi capelli, e Patrick finse di prendere qualcosa dalla borsa a tracolla improvvisamente silenzioso.

    Mi siete mancati, ragazzi pensai ridacchiando e riportai il mio sguardo sul quaderno, riaprendolo per continuare il disegno.

    «Buongiorno.»

    Un tono duro e autoritario attirò la mia attenzione, costringendomi a cercare con gli occhi il proprietario di quella voce.

    Incontrai uno sguardo intenso, azzurro tendente al grigio, che mi fissava. No, fissava il mio quaderno.

    Più precisamente...il disegno.

    «Spero che durante la lezione non continui questo scarabocchio, signorina...?»

    Rimasi un attimo impietrita: quell’uomo che stavo guardando assomigliava terribilmente all’uomo dei miei disegni...

    «Ha intenzione di rispondermi oppure no?»

    «Ehm, Trice. Allison Trice» mormorai imbarazzata, ricomponendomi, abbassando lo sguardo e strappando il foglio per nasconderlo in fondo al quaderno. Ma cosa mi prendeva?

    Quando riportai lo sguardo su di lui, vidi le sue labbra dischiudersi. Erano delle belle labbra sottili... quasi familiari.

    «Bene, Signorina Trice» disse allontanandosi e sistemandosi dietro la cattedra, appoggiando i libri che teneva in mano e la ventiquattrore. «Io sono il Professor King, Evander King, e penso che non ci sia bisogno che io lo scriva da qualche parte per mostrarvi lo spelling.»

    La sua figura era imponente, eccessivamente attraente, tanto che le altre ragazze, oltre a me e a Lisa, si sostenevano il viso sognante con la mano e il gomito appoggiato al banco.

    «Quest’anno sostituirò il Prof. Johnson. Il mio metodo di insegnamento è molto rigido, complesso, e chi riuscirà a seguirmi arriverà a fine anno, chi non riuscirà... immagino sappiate cosa succederà. Il programma è suddiviso in tre esami: Arte Gotica e Rinascimentale, Arte Barocca e Neoclassica, Pop Art e Arte Contemporanea. Studieremo e analizzeremo nel dettaglio la vita degli artisti, i loro lavori. La parte più bella sarà lo stage lavorativo in Europa, riservato ai più idonei.

    Oggi, iniziamo con l’Arte Gotica. Prendete appunti e, mi raccomando, seguitemi.»

    Il professore estrasse dalla ventiquattrore un computer e lo collegò al proiettore. Spense la luce e si avvicinò, con un telecomandino in mano, alle immagini proiettate.

    Il suo viso illuminato era così bello.

    Non riuscii a distogliere lo sguardo da lui. Ero come stregata dalla sua presenza, e di tutto ciò che stava dicendo non capii nulla.

    Lui, era come...

    Oh, smettila, Allison! È solo il tuo professore!

    «Signorina Trice, sta ascoltando?» mi riprese lui, notando la mia disattenzione.

    «Sì! Sì!» balbettai, imbarazzata per essermi fatta beccare.

    Guarda cos’hai combinato, cretina!

    «Bene, le nostre ore sono finite. Arrivederci e buono studio» disse lui, spegnendo il proiettore e accendendo la luce. Mentre gli altri si preparavano, io seguii ogni suo singolo movimento. Quando si voltò verso me aveva uno sguardo strano, quasi confuso. Abbassai gli occhi, mentre dentro avevo la confusione più totale, e iniziai a mettere nella borsa il libro, poi mi alzai e feci per dirigermi verso la porta.

    Prima di uscire completamente, mi girai un’ ultima volta per guardarlo e ancora incontrai i suoi occhi. Perché mi stava guardando?

    Sussultai leggermente a quella strana sensazione e accelerai il passo.

    Basta, Alli! Smettila! È solo il tuo professore!

    Finite le lezioni, tornai a casa, se casa quello stanzino si poteva chiamare. Era un piccolo appartamento monolocale in un vicolo stretto, fuori dal campus universitario, il che stava solo a significare che non partecipavo alla vita universitaria. Venivo mantenuta da mio padre che pagava mensilmente l’affitto e annualmente i miei studi. E, come se non bastasse tutto ciò che faceva per me, mi aveva fornito una carta di credito collegata al suo conto corrente per acquisti... che non facevo quasi mai.

    Appoggiai la borsa sul tavolino e accesi il riscaldamento. Presi una tazza e versai dentro del tè caldo, riscaldato sul momento nel microonde.

    Quando fui pronta, mi sistemai sul letto, dopo essermi cambiata con il pigiama, con la tazza del tè in una mano e una matita e il quaderno degli schizzi nell’altra. Lo aprii sul disegno dell’uomo fatto in classe e con la matita lo corressi, invecchiandolo leggermente e ritoccando così soltanto alcune parti. Era incredibile quanto ora il disegno sembrasse proprio il ritratto del Prof. King.

    Sospirai, improvvisamente nervosa per la mattina successiva. Non volevo rivederlo, dopo la figura che mi aveva fatto fare quel giorno...

    Spensi l’abat-jour e poggiai il quaderno, la matita e la tazza vuota sul comodino; mi coprii fino al mento con il piumone. Settembre stava per finire, ancora un paio di giorni.

    Capitolo 2

    Evander

    Congratulazioni, Evander, hai vinto la cattedra come professore di Storia dell’Arte!, era uno dei miei tanti pensieri

    Forse non dovrei nemmeno pensarci più a lei. Sono passati 7 anni, era uno dei più ricorrenti, insieme a Cazzo, Evander, fatti una vita! Ma quale vita?.

    La mia era finita il giorno in cui suo padre mi disse: Non avvicinarti più a lei. Sei già fortunato. Potrei denunciarti per pedofilia!

    Pedofilia. Avevo 23 anni e lei 16. Legalmente non si potevano superare due anni di differenza... tra un maggiorenne e un minorenne. Ma noi? Tra di noi c’era la differenza di quasi un decennio. E nonostante tutto io l’amavo. Era il mio piccolo, fragile e innocente angelo. Casta e anche pura perché, per quanto io la amassi, non riuscivo né a baciarle le labbra né a pensare a lei in modo... volgare.

    Ma ora che la ritrovavo davanti a me? Bellissima. Era ancora più bella di quando aveva 16 anni. Non pensavo fosse possibile.

    Oh, Allison...

    «Buongiorno» dissi, fissando lei e ignorando il resto della classe appena entrato nell’aula.

    Si ricorderà di me? Dio mio, fa che si ricordi di me...

    Un disegno attirò la mia attenzione e spostai così il mio sguardo sul suo quaderno. Quel viso... mi stava disegnando? Cosa significava? Forse mi sto sbagliando, forse non è lei... Sarà solo una coincidenza. Una sosia?

    Ad Allison non piaceva Vancouver, figuriamoci. Avrà 23 anni. Sarà andata via, magari a New York.

    «Spero che durante la lezione non continui questo scarabocchio, Signorina...?» le chiesi, guardandola negli occhi.

    Deve essere lei, nessun’altra ragazza potrebbe mai avere i suoi stessi occhi. È lei, me lo sento! Perché non mi risponde?

    Corrugai la fronte e continuai a guardarla. Era muta? Magari stava cercando nella sua memoria la mia esistenza.

    «Ha intenzione di rispondermi oppure no?» domandai con un tono irritato, più di quanto volessi farle sentire. Ero stato troppo duro...

    «Ehm...Trice. Allison Trice.»

    Allison! Lo sapevo!

    Volevo abbracciarla, dirle che non l’avevo mai dimenticata… ma... lei...

    La rabbia e la frustrazione si riversarono dentro di me in un sol secondo, costringendomi a essere più maligno, facendomi corrugare la fronte in uno sguardo assassino.

    «Bene, signorina Trice» la mia voce era uno sputo velenoso, quanto la mela di Biancaneve, quanto... la morte, e per la prima volta da quando ero entrato nella classe, alzai lo sguardo per vedere gli altri studenti che avrei dovuto guidare verso la fine dell’anno. Mi girai e camminai velocemente verso la cattedra, arrabbiato con me stesso per essere stato tanto debole a poter credere che lei… mi ricordasse.

    Poggiai la ventiquattrore e la borsa sulla cattedra ed estrassi dalla prima il mio portatile per collegarlo al proiettore e iniziare subito la lezione. Non volevo perdere altro tempo. Era tutto finito.

    «Io sono il Professor King, Evander King, e penso che non ci sia bisogno che io lo scriva da qualche parte per mostrarvi lo spelling. Quest’anno sostituirò il Prof. Johnson. Il mio metodo di insegnamento è molto rigido, complesso, e chi riuscirà a seguirmi arriverà a fine anno, chi non riuscirà... immagino sappiate cosa succederà. Il programma è suddiviso in tre esami: Arte Gotica e Rinascimentale, Arte Barocca e Neoclassica, Pop Art e Arte Contemporanea. Studieremo e analizzeremo nel dettaglio la vita degli artisti, i loro lavori. La parte più bella sarà l’esposizione e la vendita dei vostri lavori alla fine dell’anno.

    Oggi, iniziamo con l’Arte Gotica. Prendete appunti e, mi raccomando, seguitemi.»

    Lanciai uno sguardo verso Allison, che ancora mi fissava stranita. Ma che cosa le prendeva? Non pensavo fosse così... malefica!

    Sentii il mio cuore spezzarsi in milioni di pezzi, e i pezzi spezzarsi in altri milioni di pezzi.

    Iniziai a parlare della nascita della Pittura Gotica, commentando le immagini più importanti proiettati dal proiettore, ossia tutte quante.

    Nel mentre sentivo sospiri patetici e vedevo occhi sognanti sul viso delle altre ragazze presenti. Stavano ascoltando oppure no? Cosa dovevo mettermi addosso per farmi ascoltare? Affari loro, impareranno agli esami cosa significa lasciarsi distrarre. Patetiche oche giulive.

    Allison compresa.

    «Signorina Trice, sta ascoltando?» le domandai, puntando il mio sguardo freddo fisso su di lei. Il suo improvviso sussulto mi fece capire che in fondo stava ascoltando.

    Oh mio Dio, Evander, smettila di fare lo stronzo e comincia a comportati come un vero professore quale sei!

    «Sì! Sì!» balbettò lei, portandosi in posizione retta e composta sulla sedia, quasi impaurita da quell’improvviso richiamo.

    Sospirai e ripresi a spiegare, puntando con la mano alcuni dipinti, utilizzando un tono severo, duro e quasi spaventoso.

    Addosso sentivo il suo sguardo, i suoi occhi bellissimi ma traditori che non mi riconoscevano, e mi sentivo vulnerabile e nudo al suo giudizio.

    «Bene, la nostra ora è finita. Arrivederci e buono studio» annunciai, finite le prime ore, con la voce stanca e i nervi a pezzi.

    Spensi il proiettore e accesi la luce. Prima di prendere il portatile, mi sedetti alla cattedra e compilai il mio registro personale, con la mano leggermente tremante per tutte le emozioni subite in così poco tempo. Erano quasi tutti presenti, fortunatamente per loro: non avrei ripetuto nulla, nemmeno sotto pagamento, a quelli assenti. Erano adulti e all’ultimo anno, che si prendessero le loro responsabilità!

    Mi inumidii il labbro inferiore prima di morderlo e alzare il mio sguardo verso Allison.

    Nonostante il mio umore, volevo ammirarla come facevo in passato. Volevo recuperare il tempo perduto, e con mia grande sorpresa incrociai il suo sguardo prima di vederlo sparire oltre la porta dell’aula...

    Sospirai e mi presi il viso tra le mani, con la voglia di urlare e sfogare tutti i sentimenti repressi dentro di me, ignorando gli Arrivederci delle oche giulive che sicuramente volevano sorridermi e guardarmi con sguardi espliciti. Non era la prima volta, ero consapevole di quell’effetto.

    Consapevolezza che avevo usato a mio favore per tanto tempo.

    Uscii fuori dall’istituto, salii sulla mia macchina, una Range Rover nera come una notte senza stelle, e sfrecciai verso la villetta che apparteneva alla mia famiglia da 10 generazioni. Ero rimasto solo, con i parenti lontani e, come unica compagnia, una donna ogni tanto...

    Parcheggiai nel vialetto e prima di scendere colpii, con la mano chiusa in un pugno, il volante. Allison...

    Afferrai la ventiquattrore e scesi dalla macchina, sbattendo la portiera con violenza e premendo la chiave con altrettanta forza. Mi incamminai verso la porta di casa, salendo i pochi scalini che mi separavano da essa, ed entrai senza pensare ad altro se non a lei.

    Il mio angelo...

    Mi chiusi dentro e lanciai la borsa lontano da me, mentre tiravo fuori dalla ventiquattrore il portatile.

    Cercai il suo nome, su Facebook, e non faticai a trovarla.

    Eccola lì, ferma in una foto dove il suo sorriso importava e brillava più di qualsiasi altra notizia pubblicata sulla sua bacheca.

    Chiusi il portatile e lo poggiai sul tavolo, prima di recarmi verso il bagno per una doccia… fredda.

    Mi liberai velocemente dei vestiti, aprii il getto d’acqua gelata e mi misi sotto, subendone il colpo ghiacciato contro la mia pelle. Strofinai la spugna con cosi tanta forza sul mio corpo che non mi sarei sorpreso se in quel momento avesse preso fuoco sotto l’acqua.

    ...Allison...

    Ancora!

    Lanciai la spugna contro il vetro della doccia e scivolai con la schiena lungo il muro freddo mentre con le mani stringevo con forza i capelli bagnati.

    Esci dalla mia testa! Esci!

    Mi dispiace così tanto… avrei dovuto rallentare...

    Basta! Smettila! Smettila!

    Dentro la mia testa le immagini di lei si muovevano lentamente, torturandomi e prosciugando le mie forze.

    Devo chiederti scusa...

    Il giorno dopo mi alzai presto, dopo una nottata passata a prepararmi un discorso di scuse sincere. Lo dovevo a lei, lo dovevo a me, lo dovevo a entrambi...

    Mi vestii velocemente e presi tutto prima di salire in macchina, accendere i motori e partire per l’università.

    Arrivai all’istituto mezz’ora in anticipo e prima di entrare nella mia aula, Ingrid Hoverton, la professoressa di Architettura, mi bloccò, chiamandomi.

    Sospirai lentamente e appena mi girai finsi il mio miglior sorriso per salutarla.

    «Professoressa Hoverton, buongiorno!» Inutile dire che lei era stata anche la MIA professoressa, prima di diventare la mia collega.

    «Cosa vedono i miei occhi... King che arriva in anticipo! Deve essere l’influenza del potere a guidarti così presto verso le tue stesse lezioni» disse lei, corrugando la fronte già abbastanza rugosa.

    Non era una donna alta, anzi era piuttosto bassa, ma ciò non la bloccava a sembrare una vipera velenosa.

    Si nota che ho un particolare feeling per lei?

    Scrutai i suoi occhi, piccoli, verdi e maligni, che non poterono fare a meno di ricordarmi perché alle sue lezioni arrivavo sempre in ritardo, oppure non ci andavo mai.

    «Deve essere proprio quello, ora mi scusi, ma devo preparare il proiettore per i miei studenti. Con permesso, le auguro una buona giornata» la liquidai, sorridendo falsamente, mentre mi giravo ed entravo nella classe, chiudendomi la porta dietro.

    Capitolo 3

    Allison

    Il giorno seguente mi svegliai con il buon umore. Era incredibile. Non mi svegliavo in quel modo da molto tempo.

    La luce del sole penetrava nella stanza e i raggi rigeneravano il mio animo. Mi strinsi di più nel piumino prima di prendere coraggio e scoprirmi del tutto, per poi pentirmene subito dopo che l’aria fredda ebbe lambito il mio corpo congelandolo.

    Stupida, chi vuoi prendere in giro? Ricopriti, veloce!

    Nonostante la mia vocina interiore mi stesse maledicendo, mi alzai

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