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La Luce nel Cuore
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E-book181 pagine2 ore

La Luce nel Cuore

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Info su questo ebook

"Può nascere l'amore dal più traumatico degli eventi?
Può nascere l'amore contro tutto e tutti?
Può nascere l'amore tra due persone che la vita ha indirizzato verso direzioni opposte?
È quello che accade ad Anna, quarantaquattro anni, tre figli, un matrimonio con un uomo violento alle spalle, e Marco, trentaquattro anni, neurochirurgo di fama, avviato verso un futuro di successi.
Basterà un incrocio di sguardi, uno solo, per far risplendere la luce.
Sì, una luce abbagliante, inarrestabile, avvolgente.
La luce del cuore…"
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2017
ISBN9788892690295
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    Anteprima del libro

    La Luce nel Cuore - Estella Rose Spark

    dell'autrice.

    Anna.

    L’acqua continua a scorrere nel lavandino mentre con lo spazzolino cerco di togliere le macchie di caffè dagli incisivi.

    «Mauro, sbrigati!», chiamo per l’ennesima volta quel testone di mio figlio.

    Ogni mattina è la stessa storia, ci vogliono le cannonate per svegliarlo.

    «Mauro!», tuono ancora.

    Ed ecco che, all’improvviso, la porta del bagno si apre, facendo comparire un altissimo e ben piazzato diciottenne, tutto muscoli e dall’aria assonnata. Mio figlio, appunto.

    «Finalmente», lo guardo attraverso lo specchio continuando con lo spazzolino, «su, avanti, va a fare colazione, che siamo già in ritardo…»

    «Prima fammi pisciare…», ribatte lui avvicinandosi al water.

    E, continuando a sbadigliare, si libera.

    Io, frattanto, appoggio lo spazzolino sul lavandino, mi risciacquo i denti.

    Poi, accigliata, mi volto verso di lui: «Dove sei stato ieri sera? Ho controllato a mezzanotte e non eri ancora tornato…»

    «In giro…», ribatte lui con sufficienza.

    «Ah, in giro?»

    «Sì, in giro…», fa un altro sbadiglio.

    Mi dà ai nervi quando fa così; avrei voglia di strozzarlo.

    Ma non ho tempo di andare dietro alle sue cazzate.

    «Lavati le mani prima di uscire», gli dico risciacquando lo spazzolino, «e tira lo sciacquone…»

    E, dopo un’ultima occhiataccia, esco.

    Pochi secondi dopo sono già in cucina dove, seduti intorno al tavolo, ci sono gli altri miei due tesori: già, Sonia, il mio bellissimo e dolcissimo angelo di quindici anni, come al solito già pronta, e Rossano, la mia piccola peste di cinque, con ancora il pigiamino.

    Mi avvicino sorridente: «Avete già finito?»

    «Sì», ricambia Sonia prendendo il suo piatto e la sua tazza per poi sciacquarli nel lavello.

    Io, intanto, prendo a stringermi il birbante: «E tu, mostriciattolo, hai mangiato i corn flakes?», me lo solletico scherzosa.

    «Sì, li ho mangiati tutti…»

    «Tutti, tutti?»

    «Tutti, tutti, tutti…», mi canzona lui.

    E lo bacio.

    «Su, avanti, va a cambiarti, che fra poco dobbiamo andare», gli do un’ultima carezza.

    E lui mi salta giù dalle braccia, si fionda verso la porta.

    Lo guardo divertita fin quando non sparisce.

    Poi mi avvicino a Sonia, intenta a lavare gli altri piatti: ormai non è più una ragazzina, ha la linea di una donna, una bellissima e slanciata donna bruna di un metro e settanta.

    Una visione che mi inquieta ogni giorno di più, visto il mondo là fuori.

    Per fortuna, il mio piccolo angelo non mi ha mai dato preoccupazioni; avessi avuto io tanta assennatezza alla sua età…

    La abbraccio da dietro: «Il mio piccolo fiore…», sorrido accarezzandola, «che ne dici, lo facciamo un provino da modella, eh?»

    «E dai, mamma…», si mette a ridere.

    Ma ecco, che proprio in quel momento, arriva il bello di notte.

    «Era ora…», lo squadro mentre si siede dietro al tavolo a petto nudo.

    Si versa del caffè nella tazza: «Mi hai preparato il frullato proteico?», guarda la sorella.

    «Sì, è in frigo».

    «Vammelo a prendere…», dice con tono perentorio.

    Tono che mi fa subito imbestialire: «Cosa significa vammelo a prendere?», lo fulmino, «Cos’hai trovato, una serva? Vedi di cambiare tono con tua sorella…»

    «Sì, sì, ho capito… vado io», mi stoppa lui alzandosi.

    «No, tu non hai capito niente, ragazzino. E non voltarmi le spalle mentre ti parlo. Qui, in questa casa, certe cose non voglio né vederle, né sentirle…»

    «Ma chi cazzo ci vuole stare in questa casa…», brontola lui aprendo nervosamente lo sportello del frigorifero, «il tempo di diplomarmi e mi levo subito dalle palle».

    «E levati dalle palle, moccioso», ribatto sempre più infastidita, «la porta la sai dov’è. Poi voglio vedere chi te la paga la palestra e gli allenamenti. Così impari cos’è la vita».

    E rincarerei ancora la dose se Sonia non intervenisse: «Dai, mamma, lascialo stare. Non ha fatto niente».

    «Appunto, non fa mai niente, basta vedere la sua stanza: un porcile. Dà solo ordini, il principino».

    Ma lui non mi degna della minima considerazione e, bevendo la sua sbobba proteica, se ne va nell’altra stanza.

    «Ehi, non ho ancora finito con te!», gli vado dietro.

    Ma lui, per tutta risposta, mi chiude la porta in faccia.

    Mi passo le dita sulla fronte: Dio, che nervi…

    Meglio lasciare stare, va...

    Ci manca solo che cominci a mettere a soqquadro tutto quanto. Con la forza e gli ormoni che si ritrova...

    L’ultima volta che ha litigato con Sandro stava quasi per sradicare un muro.

    Già, Sandro, quella bella merdina del padre.

    Stamattina ancora non me l’ha mandato il solito messaggio condito con: Troia, puttana, succhiacazzi.

    Sì, da quando ho ottenuto il divorzio, sei mesi fa, non fa altro che dare di matto.

    Ma non potevo certo tenermi un soggetto del genere: l’ho sopportato per quasi vent’anni, comprese botte, tradimenti, l’ho fatto solo per il bene dei ragazzi.

    Speravo tanto che cambiasse.

    E invece non ha fatto altro che incattivirsi, peggiorare, mi trattava peggio di una pezza da piedi.

    Da quando aveva perso il lavoro poi.

    Non potevo più sopportare i pianti di Rossano, le paure di Sonia, la rabbia, ancora presente, di Mauro.

    E quando quella sera, due anni fa, ha tentato di picchiarmi, solo perché, a suo dire, la salsa sugli spaghetti era troppo cruda, con Mauro che, per reazione, gli ha rovesciato il tavolo in faccia… ho capito che dovevo chiuderla lì.

    Non avrei mai pensato di chiamare la polizia, di farlo arrestare. Ma vederlo confrontarsi con il figlio, sfidarlo a prendersi a pugni… mi ha fatto ribollire l’anima.

    E se non fosse stato per Elvira, la mia vicina di casa e amica, e per suo marito Claudio, medico al Niguarda, che mi ha aiutato con avvocati e tribunale, non so nemmeno cos’avrei fatto.

    E ora ho la normalità, una vita più o meno felice con i miei figli, scaramucce a parte, un lavoro che mi gratifica.

    Già, sono l’assistente del professor Luigi Vizenti, docente universitario in pensione e fervido appassionato di restauro di chiese antiche. È stato Claudio a presentarmelo, parlandogli della situazione con il mio ex, della mia necessità di lavorare, dell’affitto da pagare.

    E il professor Vizenti è stato subito squisito, mi ha assunta in un attimo, anche se come referenze potevo vantare solo la mia ormai vetusta laurea in Beni Artistici e Archeologici. E poi è così dolce con i miei ragazzi, non manca mai di regali, consigli.

    Mi ricorda tanto papà, mancato ormai da più di vent’anni.

    E da allora, da sei mesi, la mia vita va avanti così, tra figli e vecchie chiese impolverate…

    Do un’ultima occhiata a quella porta sbarrata.

    Poi, cercando di scacciare quei pensieri, ritorno in cucina.

    «Ma che cos’ha quello schizzato?», chiedo a Sonia riguardo al macho.

    Lei abbassa gli occhi: «Non so se faccio bene a dirtelo, mamma…»

    «Dirmi cosa?»

    «Ecco», tentenna, «l’altro ieri si è lasciato con Angela».

    Già, Angela, la coetanea con cui usciva da qualche mese.

    «Ah… ecco perché fa così. Ha il cuoricino infranto, il tesorino», sospiro.

    «Però, non dirgli niente, mamma, sennò si arrabbia con me», si raccomanda Sonia.

    «Già, gli rovineremmo la reputazione da macho», sorrido, «comunque, sta tranquilla amore, terrò la bocca chiusa».

    «In ogni caso digli di sbrigarsi», la lascio, «io aiuto Rossano a vestirsi».

    Dieci minuti dopo siamo in macchina, diretti verso la scuola.

    Stamattina il traffico è più infernale del solito, molto peggio degli altri Lunedì.

    Per fortuna via Larga da ampio sfogo alle mie capacità di pilotaggio permettendomi di svincolare tra tram, motorini, altre auto. Anche se, a dire il vero, la mia vecchia utilitaria non sembra tanto d’accordo, viste le numerose bottarelle.

    E, finalmente, dopo altri cinque minuti di strombazzamenti, arriviamo davanti all’istituto comprensivo.

    Come al solito, ad attenderci di fronte all’ingresso, troviamo il professor Vizenti, poggiato al cofano della sua Mercedes.

    Io subito parcheggio nel primo buco libero, invito i ragazzi a scendere.

    E Sonia e Rossano gli vanno subito incontro festanti.

    Lui se li stringe, se li accarezza paterno: «I miei piccoli angeli».

    È stato dolce con loro fin dall’inizio, li tratta quasi come nipoti.

    Dopodiché gli vedo aprire lo sportello posteriore della Mercedes, prendere qualcosa.

    E, tempo qualche secondo, tira fuori un sacchetto e un vecchio libro.

     «Queste sono le paste per il mio piccolo golosone», porge il sacchetto a Rossano.

    «E questo», passa il libro a Sonia, «è Ragione e Sentimento, un regalo per la mia piccola secchiona. Ricordi, te l’avevo promesso. È una delle prime edizioni originali. Mi raccomando, trattamelo bene».

    Inutile dire che lei non riesce a trattenere l’entusiasmo: «Grazie, professore, grazie. È un regalo bellissimo», se lo stringe felice.

    Io, frattanto, mi avvicino insieme a Mauro: «No, professore, non doveva. Quel libro varrà una fortuna», sbuffo.

    «Sciocchezze», sorride lui, «almeno così non starà in un vecchio scaffale ad ammuffire».

    «E tu sempre in forma, eh, marcantonio?», si rivolge a Mauro.

    «Professore…», risponde lui freddo.

    Già, non si sono mai presi. D’altronde Vizenti rappresenta tutto ciò che Mauro non sopporta: scuola, libri…

    «Beh, ora andate…», li sprono, «è quasi ora».

    E Mauro, protettivo come al solito, fa cenno ai due di seguirlo.

    «Mamma, questo portalo a casa», mi passa il libro Sonia, «non vorrei che si rovinasse».

    «Sì, non preoccuparti, tesoro…», sorrido, «ci penso io».

    E dopo un ultimo caloroso abbraccio, segue Mauro e Rossano.

    «Che ragazzi splendidi», sorride Vizenti osservandoli varcare il cancello, «devi essere veramente orgogliosa di loro».

    «Già, non so neanche come siano venuti su così bene. Con una svampita come me».

    Lui ammicca: «Non dire sciocchezze, Anna. Sei una delle persone più intelligenti e affascinanti che abbia mai conosciuto. Eh…se solo avessi vent’anni di meno…»

    Io rido: «Andiamo, professore, cosa direbbe la signora Rosa?»

    Già la signora Rosa, la sua acidissima consorte, pur di nobilissime origini: sì, vanta discendenze con i Medici, gli Sforza, ne va orgogliosissima. L’ho conosciuta qualche mese fa, quando Vizenti mi ha portata nella loro villa, vicino Monza, dopo una giornata passata a girovagare tra le chiesette dell’hinterland.

    Mi ha guardata subito come un’aliena: già, lei, una donna d’altri tempi, con davanti una terrona come me, in minigonna per giunta. È stato tutto un susseguirsi di allusioni e battutine. Non ho visto l’ora di uscire da lì.

    Secondo me, sotto sotto, pensa che me la faccia con il marito.

    Anche perché Vizenti, sotto quell’aria rassicurante, nasconde un passato da rubacuori. Si dice che abbia avuto più donne di 007…

    Non nascondo di provare una certa attrazione per lui: sì, nonostante abbia passato la settantina, conserva ancora molto fascino, con i suoi occhi azzurri, il suo metro e novanta. E poi i suoi modi, così galanti.

    Se solo avessi conosciuto un uomo come lui prima di Sandro…

    In ogni caso è stato sempre irreprensibile: mai una battuta fuori posto, un’occhiata di troppo. Un vero e proprio gentiluomo.

    «Allora, sei pronta per un’altra giornata di fatiche?», sorride.

    «Dove mi porta oggi?»

    «Ho individuato il rudere di una vecchia chiesa bizantina. Si trova nella campagna pavese, dovrebbe risalire al tempo di Leone l’Isaurico. Se è ciò che credo, dovremmo trovarvi un’importante iscrizione contro gli iconoclasti…»

    «Sembra eccitante…», sorrido canzonatoria.

    «Hai sempre voglia di scherzare, eh? Forza, andiamo…»

    E, continuando a sorridere, faccio per aprire lo sportello del passeggero.

    Ma lui mi blocca: «No, Anna, guida tu. Oggi ho voglia di godermi il paesaggio…»

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