Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato
1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato
1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato
E-book1.070 pagine10 ore

1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

È vero che i vichinghi portavano le corna sull’elmo? Il generale Cambronne a Waterloo apostrofò realmente gli inglesi gridando loro merde? Nel 1410 i polacchi sconfissero i cavalieri teutonici a Tannenberg o a Grunwald? Gli indiani d’America avevano davvero la pelle rossa? Gli spartani della battaglia delle Termopili erano veramente solo trecento? Hitler era tedesco o austriaco?… Millenni di storia sono stati tramandati e interpretati spesso attraverso i filtri che le esigenze politiche e culturali dei popoli predominanti e dei loro leader imponevano. Questo lavoro intende fare chiarezza sui tanti luoghi comuni e sugli episodi riportati nel corso dei secoli con inesattezza, e si propone inoltre di raccontare i fatti meno noti, che sono stati comunque decisivi nello sviluppo di eventi storici poi diventati famosi. Un viaggio dai tempi biblici ai nostri giorni, dai conquistadores ai due conflitti mondiali, dalle giungle africane alle foreste canadesi, dai celeberrimi monumenti di Roma a quelli per sempre perduti.

Armi e uniformi • Complotti, casus belli e diplomazia • Curiosità e storie di popoli • Disastri, malattie e calamità • Donne nella storia • Guerre, battaglie, stermini e persecuzioni • Luoghi comuni e frasi famose • Miti, leggende e religioni • Personaggi • Sport, spettacolo e cultura • Storie di uomini e soldati • Usi, costumi e simboli • Viaggi, scoperte e invenzioni…
Marco Lucchetti
è nato a Roma. Laureato in Giurisprudenza, è ufficiale della riserva e Benemerito dell’ordine dei Cavalieri di Vittorio Veneto. Appassionato di storia militare e uniformologia, è anche scultore e pittore di figurini storici e titolare di una ditta produttrice di soldatini da collezione. Consulente per numerosi scrittori, collabora con «Focus Wars». Per la Newton Compton ha scritto 101 storie su Mussolini che non ti hanno mai raccontato, La battaglia dei tre imperatori e 1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato.
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2014
ISBN9788854173736
1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato

Leggi altro di Marco Lucchetti

Autori correlati

Correlato a 1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Storia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su 1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato - Marco Lucchetti

    es

    279

    Prima edizione ebook: dicembre 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7373-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Marco Lucchetti

    1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato

    omino

    Newton Compton editori

    A Laura, compagna della mia vita

    Introduzione

    I vichinghi portavano le corna sull’elmo? Il generale Cambronne a Waterloo apostrofò realmente gli inglesi gridando loro «Merde!»? Nel 1410 i polacchi sconfissero i cavalieri teutonici a Tannenberg o a Grunwald? Il maresciallo Montgomery ha inventato l’omonimo capo d’abbigliamento? Gli spartani alla battaglia delle Termopili erano veramente solo trecento?

    Millenni di storia ci sono stati tramandati attraverso racconti, saghe, libri e immagini, interpretati e trasformati secondo le convenienze del tempo e le esigenze politiche e culturali dei popoli e dei loro leader. Molti episodi sono semplicemente poco conosciuti, perché ricordati solo in ambiti specifici o perché ritenuti di contorno ad avvenimenti più importanti. Questo lavoro, data l’immensità della materia trattata, in pratica la storia dell’uomo, non ha certo pretese di essere esaustivo, perché non basterebbe un volume per racchiudere dieci, centomila cose della storia che non ti hanno mai raccontato. Si propone solo di fare chiarezza su alcuni luoghi comuni e sugli episodi riportati con inesattezza, oltre che raccontare gli accadimenti meno conosciuti che comunque sono stati decisivi nello sviluppo di fatti storici poi diventati famosi.

    Un viaggio dai templi biblici ai nostri giorni, dalle piramidi azteche alla muraglia cinese, dalle giungle africane alle foreste canadesi, dai monumenti di Roma alle meraviglie dei Moghul. Un racconto di uomini e di donne straordinari, di usi e di costumi, di armi e di vestiti, di tragedie e di vittorie, di sport e di invenzioni, cercando di inserire nelle brevi voci più informazioni possibili per dare al lettore un’idea chiara dell’episodio. Più che un saggio di storia generale, vuole essere uno stimolo per approfondire gli argomenti trattati e per comprendere che nella storia, intesa nel suo senso più generale, le cose non accadono casualmente, ma che ogni invenzione, scoperta o decisione nascono dalla necessità contingente e dall’esperienza acquisita. La scelta degli episodi narrati è chiaramente soggettiva, frutto della conoscenza e dei ricordi di chi scrive uniti al bagaglio di studi accumulato nel corso di una vita. Un lavoro iniziato con timore e finito di slancio. Ora che il lavoro è concluso, sfoglio gli appunti rimasti e mi dico: «Questo forse sarebbe stato più interessante!», ma così facendo non avrei mai terminato. Mi sono divertito e spero che sarà così anche per voi.

    Armi e uniformi

    9

    1. Il bastone del comando

    Il bastone, come simbolo di comando, è antico nel tempo e trova le sue origini fin dai faraoni egizi, che venivano sempre rappresentati con in mano lo scettro. I re di tutti i tempi hanno seguito il loro esempio, riducendone la lunghezza per questioni pratiche.

    Anche papi, cardinali e vescovi hanno il loro pastorale, così come i centurioni romani avevano il vitis, il bastone di legno di vite, e i sergenti inglesi, lo stick.

    Nel Medioevo i condottieri portavano un corto bastone, che usavano come arma, ma anche come simbolo del loro grado, usanza che fu poi tramandata ai comandanti in capo, i marescialli, degli eserciti europei moderni.

    Il più famoso di questi bastoni è sicuramente quello che veniva consegnato ai Marescialli di Francia, rivestito di velluto blu e cosparso di gigli d’oro.

    Fu istituito all’inizio del xvii secolo dal re Enrico ii, sospeso nel periodo della rivoluzione (1789-1804) e ripristinato da Napoleone Bonaparte che, bonariamente, sosteneva come «nello zaino di ogni soldato francese c’è potenzialmente un bastone da maresciallo». Tra gigli e stelle d’oro, che venivano applicati durante i periodi repubblicani, il bastone fu assegnato fin dopo la prima guerra mondiale.

    2. Cani da guerra

    Già 3000 anni prima della nascita di Cristo, in Egitto, Nord Africa, Persia, Mesopotamia e Asia, venivano usati cani addestrati al combattimento. Nell’antichità venivano utilizzati a branchi contro la fanteria e la cavalleria, protetti da armature di cuoio rinforzate da lamelle metalliche. Alessandro Magno (356-323 a.C.) fece incrociare il cane da guerra gigante dell’Epiro con il piccolo mastino indiano, creando il molosso, animale dal muso largo e corto, adatto alla caccia di tigri, leoni, elefanti e uomini in battaglia. Questo cane fu usato dai romani durante la conquista della Britannia e nei giochi circensi e da lui discende il mastino napoletano.

    I cani più feroci furono probabilmente quelli spagnoli, incroci fra mastini e levrieri, alimentati con carne umana e utilizzati dai conquistadores contro gli indios nelle Americhe, i cui discendenti, i cani Cuban Bloodhound, vennero impiegati dall’esercito americano in Florida, contro le tribù seminole, nella prima metà del xix secolo.

    Durante la seconda guerra punica i cartaginesi fecero uso di cani da guerra guidati da veterani vestiti con pelli di leone, alla maniera del semidio Ercole, venerato dai fenici con il nome di Melqart.

    3. Carri da guerra

    Durante la metà del 1600 a.C., il faraone Kamose della xvii dinastia riconquistò il potere occupando la capitale Menfi e cacciando gli invasori hyksos. L’arma vincente si rivelò essere il carro da guerra con le ruote a raggi, una evoluzione di quello con cui gli hyksos avevano conquistato l’Egitto qualche decennio prima. Gli hyksos, un antico popolo di stirpe semitica proveniente dalla Mesopotamia, intorno al 1700 a.C. penetrò nel Basso Egitto, occupando il paese nel giro di pochi anni. I loro guerrieri si rivelarono imbattibili perché facevano uso, oltre che di asce, corazze, elmi di bronzo e archi a lunga gittata, di carri da guerra a ruote piene trainati da cavalli, animali ancora sconosciuti in Egitto. Preso il potere e spostata la capitale da Menfi ad Alvaris, sul delta del Nilo, fondarono le loro dinastie in contrapposizione a quelle egizie del Sud. Una volta sconfitti, scomparvero dallo scenario della storia senza lasciare più traccia.

    4. Tre file di remi

    La trireme fu un tipo di nave da guerra usata nell’antichità, mossa, oltre che dalle vele, anche dai remi, che spuntavano dai fianchi numerosi e tutti azionati da schiavi incatenati ad essi. La trireme era la spina dorsale della flotta romana: veloce e maneggevole, era lunga fino a 40 metri, imbarcava una centuria di fanti di Marina e poteva avere fino a duecento rematori. Le navi venivano identificate, e chiamate, in funzione del numero dei rematori e non necessariamente dalle file di remi: la trireme, per esempio, non aveva sempre tre file di remi per parte, come si è comunemente tenuti a pensare, ma poteva invece avere una sola fila di remi azionati ognuno da tre rematori, o avere due file di remi, uno mosso da un rematore e l’altro da due. La quinquereme, la nave da guerra più grande usata dai romani e dai cartaginesi, aveva di solito tre file di remi, uno con un rematore e due con due rematori ciascuno, per un totale di cinque uomini per ogni ordine di remi.

    5. Lo scudo rotondo

    Gli opliti erano i guerrieri pesanti dell’antica Grecia e combattevano armati di lancia e di uno scudo rotondo da cui prendevano il nome, l’hoplon. Lo scudo, noto anche come cavo o argivo, era a forma di disco concavo composto da un’anima in legno ricoperta di bronzo, la cui superficie anteriore era decorata da un simbolo (episéma) che indicava la città-stato di appartenenza. Pesante 8 chili, con il suo metro circa di diametro, da un lato copriva più della metà del corpo del guerriero e dall’altro delimitava lo spazio che l’oplita doveva occupare sul campo di battaglia, dando così un preciso punto di riferimento per l’allineamento delle linee della falange oplitica. L’hoplon presentava due impugnature: un passante centrale attraverso il quale veniva fatto passare il braccio fino al gomito e una maniglia quasi al bordo dello scudo che veniva afferrata dalla mano del guerriero. Un intreccio di corda lungo il bordo interno permetteva poi di agganciare lo scudo al corpo quando non era imbracciato.

    6. La sella romana

    Ai tempi dei romani le staffe non erano ancora state inventate, ma, contrariamente a quanto si può credere, la loro mancanza non era un impedimento, soprattutto per quei popoli, come i numidi, che a cavallo passavano l’intera vita. La cavalleria romana faceva uso di una particolare sella a quattro corni (scordiscum), costituita da un telaio di legno rinforzato con profili di bronzo e rivestito di cuoio. La presenza dei quattro corni, i due davanti inclinati verso l’esterno, a contatto con le cosce del cavaliere, e i due dietro verticali e all’altezza delle reni, aveva lo scopo di consolidare l’equilibrio del soldato e di impedirgli di scivolare dal dorso del cavallo a seguito di urti o di movimenti improvvisi. La sella veniva appoggiata sulla gualdrappa (tapetum) e assicurata con una serie di cinghie ventrali e pettorali. La sella appare rappresentata per la prima volta sui bassorilievi del mausoleo di Glanum in Provenza, fine i secolo a.C., e rimarrà invariata fino all’introduzione delle staffe, nel vii secolo d.C.

    7. I soldati di Roma

    I soldati di fanteria romana erano inquadrati in unità militari che si chiamavano legioni ed erano perciò chiamati legionari. Il loro aspetto ci è stato tramandato e descritto attraverso quadri, dipinti, illustrazioni, fumetti, film e telefilm, ma quasi sempre in maniera errata. La storia dell’esercito romano attraversa circa 1500 anni e non è possibile quindi che i suoi uomini abbiano indossato in tutto questo tempo sempre lo stesso tipo di armatura, la lorica segmentata. Parliamo di quella armatura composta di fasce metalliche portata insieme all’elmetto con lo scopettone in testa. La segmentata, in realtà, fu usata solo dall’inizio del i secolo d.C. alla metà del iii, qualcosa più di duecento anni. I romani, quindi, indossarono altri tipi di elmi e armature, secondo il periodo storico: dalla corazza oplitica alla cotta di maglia ad anelli (lorica hamata), dalla armatura a scaglie (lorica plumata) a quella di cuoio, da quella lamellare (lorica squamata) a quella di lino (linotorax).

    8. Chi ha inventato la cravatta?

    Scoprire l’origine del nome cravatta è particolarmente difficile, anche se sembra derivi dal francese cravatte e si ispirerebbe al termine slavo hrvat, che significa croato. I soldati del Royal-Cravate, reggimento francese di cavalleria ai tempi di Luigi xiv, di origine croata, erano soliti portarla al collo come una sciarpa, che in origine fu chiamata sciarpa croatta, poi abbreviato in croatta e crovatta. La cravatta, anche se con un altro nome, era già in uso nei tempi antichi: i legionari romani indossavano un pezzo di stoffa avvolto intorno al collo chiamato focale, che serviva non solo per proteggerli dal freddo, ma anche dai colpi di lancia o di spada durante il combattimento e per attutire lo sfregamento della corazza sul collo. Anche i mongoli ne facevano uso, ma per trascinare per il collo i prigionieri legati alle loro selle.

    9. Mettetevi la maglia… di ferro

    La cotta di maglia è un tipo di armatura composta da anelli di ferro agganciati fra di loro a formare una veste metallica. È, per intenderci, la protezione che siamo soliti vedere indossata dai cavalieri medievali, ma le sue origini sono molto più antiche. Furono i celti a inventarla, nel iv secolo a.C., ma sono stati i romani a renderla famosa quando divenne l’armatura standard dei legionari a partire dalle guerre puniche. La cotta di maglia, chiamata in latino lorica hamata, era, nei primi secoli, senza maniche e lunga fino a metà coscia: solo a partire dalla fine del iii secolo d.C. furono realizzate maglie di ferro con maniche complete e lunghe fino al ginocchio. Questo tipo di armatura, pur pesante, permetteva una certa libertà di movimento ed era adatta anche per soldati che combattevano a cavallo. Veniva portata sopra un corpetto, di solito in cuoio o in stoffa imbottita, chiamato subarmalis, e aveva il vantaggio di potere essere indossata senza l’aiuto di un’altra persona.

    10. Come i romani: rozzi e micidiali

    Verso la fine del ii secolo a.C. il console Gaio Mario intraprese un programma di riforme dell’esercito romano. Con la riforma mariana, l’arma standard di tutti i legionari divenne, il pilum, un giavellotto pesante. Era soprattutto un’arma da lancio realizzata per trapassare agevolmente qualsiasi tipo di scudo. L’impugnatura era in legno, mentre il resto era in ferro, la cui lunghezza di circa 50-70 centimetri permetteva alla punta, a forma triangolare, di raggiungere il corpo del nemico dopo avere perforato lo scudo. Anche nel caso in cui il pilum non fosse riuscito a colpire l’avversario, il contrappeso che si trovava nel punto di incastro tra l’asta e la punta in ferro provocava la rottura del ribattino in legno che teneva bloccate le due componenti dell’arma, causando la rotazione della parte in ferro, che, piegandosi, ne impediva l’estrazione dallo scudo ed il suo riutilizzo da parte del nemico.

    11. A cavalcare senza staffa erano buoni tutti

    Montare a cavallo senza staffe, se non impensabile, sembra sicuramente difficile, specialmente se a cavallo ci si deve combattere e quindi in sella bisogna tenersi con le gambe, perché le mani sono impegnate nell’uso delle armi, soprattutto dell’arco. Ecco perché nei film e nelle ricostruzioni iconografiche dei nostri tempi un cavaliere viene sempre rappresentato assicurato alle staffe, indipendentemente dal periodo storico cui si riferisce. Ma in realtà le staffe furono inventate intorno al ii secolo d.C., probabilmente in India e la loro diffusione in Europa avvenne solo nell’Alto Medioevo ad opera degli avari, un popolo della steppa che occupava l’attuale Ungheria tra il vii e l’viii secolo d.C. Questo vuol dire che tutti i popoli antichi, babilonesi, assiri, egizi, greci, persiani, romani, unni, goti, vandali, solo per citarne alcuni, montavano e combattevano a cavallo senza le staffe, usando solo la loro abilità equestre e selle apposite. Inutile ricordare che la staffa in campo militare costituisce probabilmente la più importante innovazione nell’ambito della cavalleria, perché garantisce, oltre a permettere un gran numero di movimenti, una maggiore stabilità e la possibilità di caricare il nemico al galoppo e colpirlo con tutta la propria forza senza essere disarcionati durante l’impatto.

    12. Colpire lontano

    L’arco fu sicuramente l’arma offensiva più devastante sia nell’antichità che nel Medioevo. Ne esistevano di due tipi: il long bow, o arco lungo, e l’arco riflesso. Noto anche come arco gallese, l’arco lungo è originario delle zone più settentrionali dell’Europa occidentale. Fornito di flettenti molto lunghi ha la parte centrale, riser, costituita dalla sola impugnatura e veniva originariamente fabbricato con un unico ramo di legno, solitamente di tasso. Scaricato dalla corda, assume la forma di un’asta alta e dritta. L’arco riflesso, diffusissimo in Oriente ha un’impugnatura del tipo di quella dell’arco lungo, con cui condivide anche la sezione dei flettenti, che però sono più corti e composti da lamine di corno, legno e tendine animale, il tutto resinato. La forma permette di caricare i flettenti maggiormente rispetto all’arco tradizionale in legno, dando più forza di penetrazione alla freccia.

    Una volta scaricato dalla corda, assume una caratteristica forma a C. Le corde degli archi erano costituite da fibre naturali, come lino, tendini e crini di cavallo intrecciati. L’arco usato dagli arabi era un’evoluzione del vecchio arco composito unno: si trattava di un modello più duro da tirare, ma più efficace, più piccolo e facile da usare a cavallo.

    13. Il vestito tutto di ferro

    Alcuni storici sostengono che fu il Medioevo la vera età del ferro, perché, a partire dall’xi secolo l’Europa conobbe una straordinaria ripresa della metallurgia. Lo sviluppo demografico spinse la gente a dissodare nuove terre, provocando una massiccia richiesta di attrezzi da lavoro e, allo stesso tempo, le continue guerre necessitavano di armi sempre più numerose e sofisticate. Il fabbro fu così sostituito da una bottega di armaioli, ognuno dei quali si specializzava nella costruzione di usberghi, elmi, spade e lance. Nel xv secolo Milano poteva considerarsi la capitale europea delle armi: la bottega artigiana fece posto a vere e proprie officine, che facevano uso dell’energia idraulica e del maglio. La fabbricazione di una armatura completa richiedeva centinaia di ore di lavoro e un sistema di produzione perfettamente organizzato. I laboratori erano specializzati per rispondere alle varie esigenze dei clienti, perché non solo si fabbricavano armature di serie con due o tre taglie standard, ma anche su misura, arricchite da decorazioni che ne aumentavano ulteriormente i già esosi prezzi. Nella seconda metà del xiv secolo l’evoluzione dell’armamento del cavaliere raggiunse il suo apice con l’arrivo dell’armatura completa, detta all’italiana, che lo copriva da capo a piedi come un guscio metallico. Apparsa per la prima volta in Italia settentrionale, tale armatura era il frutto della più avanzata tecnologia dell’epoca, spesso vera e propria opera d’arte, oggetto che solo i ricchi potevano permettersi, così pregiata e dai costi paragonabili a quelli di una Ferrari dei giorni d’oggi.

    14. I cinesi hanno inventato tutto, anche le bombe a mano

    La bomba a mano originariamente era chiamata granata per la sua somiglianza con il frutto del melograno (in latino punicum granatum), una sfera ripiena di grani. I cinesi, che inventarono la polvere da sparo, realizzarono anche la prima granata durante la dinastia Song (960-1279 d.C.), mettendo la polvere nera magica dentro contenitori di metallo o di ceramica e sparandoli dai cannoni. L’effetto era più scenico che reale, ma colpì i viaggiatori occidentali che importarono i primi ordigni esplosivi in Europa verso la fine del xv secolo. Le prime bombe a mano non erano altro che piccole palle di cannone in ghisa piene di esplosivo e fatte detonare dall’accensione di una miccia. Per lanciarle nei campi di battaglia furono addestrati soldati di una certa statura, chiamati granatieri. La bomba a mano non si rivelò efficace e così i granatieri mantennero il loro nome, continuando però a combattere con il fucile, come normali soldati ma un po’ più alti. Fu con le guerre moderne che la granata ebbe la sua consacrazione, diventando il micidiale ordigno che oggi conosciamo.

    15. Il cavallo medievale

    Durante il Medioevo la cavalleria dominava i campi di battaglia, ciò nonostante il suo sviluppo fu lento: i cavalli tradizionali erano inadatti a sopportare il peso del cavaliere completamente armato e lo sforzo del combattimento d’urto. Inoltre, i cavalli non erano abbastanza numerosi, dal momento che un solo cavaliere doveva averne a disposizione non meno di tre: il destriero, il palafreno e il ronzino. Il primo era il cavallo da combattimento, robusto per sopportare il peso del cavaliere in armatura e per caricare anche più volte nel corso della mischia; era addestrato a obbedire con prontezza al cavaliere anche nel caos della battaglia. Il palafreno, meno robusto ma più agile del destriero, era usato per la caccia e per i tornei. Veniva selezionato per le sue doti di velocità e resistenza. Per ultimo veniva il ronzino, cavallo meno costoso e meno addestrato, usato per gli spostamenti e montato anche dagli scudieri. Nella seconda metà del xv secolo anche il destriero, come il cavaliere, era completamente rivestito da una armatura metallica fatta di grandi piastre posizionate intorno al corpo dell’animale. La testa del cavallo era protetta da una testiera anatomica che ricopriva le parti superiore e laterali del muso, di solito con uno spuntone fissato tra le due fessure che, proteggendo gli occhi, lasciavano una scarsa visuale all’animale. Il collo era chiuso nella sua parte superiore da una serie di fasce metalliche fissate tra di loro da rivetti e nella parte inferiore da un camaglio di ferro: un vero e proprio, lento, carro armato ante litteram.

    16. L’arma vietata da Dio

    La balestra fu una delle armi più in uso fra le fanterie medievali e trovò la sua maggiore diffusione in Italia. I balestrieri italiani, chiamati tutti indistintamente genovesi, perché i primi mercenari provenivano dalla città ligure, ne fecero uso in tutta Europa fino alla metà del xvi secolo, quando l’arma fu sostituita da quelle da fuoco. La balestra fu il più devastante marchingegno che un armato medievale potesse portare in battaglia, per la potenza della penetrazione della sua freccia contro le armature dei cavalieri e per la distanza che poteva raggiungere. Fu ritenuta così micidiale e talmente disumana, ammesso che si possa trovare un’arma umana, che papa Innocenzo ii, durante il Concilio lateranense del 1139, ne vietò l’uso tra gli eserciti cristiani, mentre si poté continuare a impiegarla contro i musulmani e gli altri infedeli. Il divieto, naturalmente, non fu rispettato dagli eserciti europei che continuarono a fare grande uso dell’arma, perché l’addestramento cui necessitava un soldato per diventare un buon balestriere non era lungo come quello che serviva per gli arcieri, costretti a esercitarsi fin da bambini e a possedere una robusta costituzione fisica. A causa della balestra i cavalieri, sino a quel momento dominatori dei campi di battaglia, si scoprirono più vulnerabili e furono costretti a rinforzare le proprie difese e quelle delle cavalcature, diventando così ancora più lenti a causa del peso dell’armatura.

    17. Opere d’arte in battaglia

    Il palvese o pavese era un grande scudo che, nel corso delle battaglie o degli assedi, proteggeva i balestrieri durante le fasi di caricamento e di tiro. Questo enorme scudo, che poteva coprire quasi interamente una figura umana in posizione eretta, era, di solito, appoggiato ad un palo o a due paletti piantati sul terreno o retto da un fante, che lo trasportava anche sul campo di battaglia e durante la marcia: a causa della specializzazione del suo ruolo, era chiamato pavesario o palvesario. Esistevano anche tipi di pavese leggermente più piccoli, che potevano essere portati a tracolla direttamente dal balestriere e posizionati dallo stesso sul campo di battaglia. Il nome derivava dal francese pavais o pavache, perché si riteneva che tale scudo fosse stato realizzato per la prima volta a Pavia, verso la fine del xiii secolo. Comunemente costruito con assi di legno incollato, rinforzato da bordi in ferro, la sua parte esterna, rivestita di tela, era colorata con gli stemmi cittadini, i santi protettori o con le araldiche del nobile cui i balestrieri erano alle dipendenze. Durante il xiv ed il xv secolo si diffuse il vezzo di farli dipingere da famosi artisti, come fossero dei veri e propri quadri. Chiaramente la qualità del dipinto dipendeva dalla disponibilità economica del comandante o del balestriere.

    18. Botte da orbi

    Stabilire con esattezza quale fosse il numero delle perdite in una battaglia medievale era quasi impossibile: i documenti dell’epoca, ancorché redatti con la massima precisione, si sono conservati raramente e, comunque, i cronisti spesso esageravano a scopi propagandistici, a volte in modo grossolano quando, addirittura, riportavano un numero di vittime superiore al totale dei presenti. Certo è che, al di là dei numeri delle vittime, le armi medievali nei combattimenti corpo a corpo causavano orribili ferite. Dai resti di ossa umane ritrovati sepolti nei pressi di campi di battaglia, risultano tibie incise e sminuzzate, perché le gambe erano particolarmente esposte ai colpi di taglio mentre il soldato era impegnato a difendersi la testa e il tronco. Anche i crani e i camagli sono stati trovati perforati e spezzati e le teste risultano spaccate fino ai denti o bucate dai quadrelli delle balestre. Asce e alabarde provocavano fratture e lacerazioni, fracassando teste e staccando gli arti o infierendo spaventose ferite che portavano alla morte per dissanguamento. Le frecce penetravano in profondità, spingendo nelle ferite frammenti di tessuto infetto e ruggine che provocavano quasi sempre la cancrena. Senza contare che i medici erano quello che erano…

    19. Emuli di Robin Hood

    Ancora oggi non si sa se Robin Hood, l’infallibile arciere inglese che rubava ai ricchi per donare ai poveri sia realmente vissuto o sia invece un parto della fantasia popolare. È certo però che, a partire dalla battaglia di Halidon Hill, 1333, vinta dagli inglesi sugli scozzesi (che furono massacrati dalle frecce senza neanche riuscire a venire a contatto con gli avversari), per quasi duecento anni, gli arcieri inglesi (longbowmen) dominarono i campi di battaglia del Medioevo. La loro arma era il famoso arco lungo gallese (longbow), che all’epoca era semplicemente chiamato grande arco o arco da guerra. Di facile fabbricazione, non essendo un arco composito, ma ottenuto da un ramo di olmo o di tasso, fu il fedele compagno di ogni maschio inglese, indipendentemente dall’età, dall’estrazione sociale e dall’attività del suo possessore. Anzi fu fatto obbligo a tutta la popolazione maschile di esercitarsi fin dalla tenera età e di costruire ed immagazzinare milioni di frecce durante i periodi di pace. La robusta costituzione fisica media degli inglesi ed il lungo e duro esercizio la rendevano un’arma micidiale, non solo per quanto riguardava la precisione del singolo tiro, ma anche, e soprattutto, per l’enorme quantità di frecce che potevano essere scoccate contemporaneamente addosso al nemico. È provato che un bravo arciere potesse tirare tra le dieci e le quindici frecce al minuto con estrema precisione: i 5000 arcieri presenti ad Azincourt, che costituivano circa i tre quarti dell’esercito inglese, rovesciarono quindi tra le 50.000 e le 60.000 frecce al minuto sui francesi continuando questo ritmo per almeno una decina di minuti!

    20. La moda maschile ha un’origine popolare

    Il xiv secolo fu sicuramente duro per le popolazioni europee, che passarono dalle carestie del 1315-17 alla peste nera del 1347-50. I francesi poi se la passarono ancora peggio, perché il loro paese, a partire dagli anni ’30 di quel secolo, fu sconvolto da quella che passerà alla storia come la guerra dei cento anni. Le iniziali sconfitte francesi a opera degli inglesi spinsero i contadini, ormai ridotti alla fame, a insorgere spontaneamente contro il primo nemico che gli si presentava davanti e che riteneva responsabile della situazione e cioè il castello del signore locale, l’ufficio tributario o del registro e qualsiasi esponente della corona. Era il maggio del 1358 e i massacri indiscriminati insanguinarono le campagne di Francia, seguiti da altrettanto violente ritorsioni. Queste rivolte presero il nome di jacquerie, da Jacques Bonhomme, il soprannome che i nobili davano ai contadini. L’indumento che questi indossavano era di solito un vestito corto e semplice, chiuso al petto da pochi bottoni, che fu appunto chiamato jacque e da cui, in italiano, deriva il termine giacca.

    21. La palla di cannone

    Che il film o lo sceneggiato sia ambientato nel tardo Medioevo, nel Seicento o nel xix secolo, ogni volta che viene sparato un colpo di cannone, i risultati sono devastanti a causa della micidiale esplosione del proiettile. In realtà, fino alla guerra civile americana (1861-65), la stragrande maggioranza dei colpi sparati dalle artiglierie, erano costituiti da palle prive di carica esplosiva che, quindi, non potevano deflagrare. Le palle di cannone erano fuse in leghe di ferro, dal diametro leggermente minore di quello del calibro dell’arma. Una volta sparata, era come una palla da bowling, che travolgeva tutto quello che incontrava, spezzando e devastando ogni ostacolo, fossero scafi di navi, mura di castelli o esseri umani. Se il terreno era duro, la palla rimbalzava, aumentando la sua micidiale efficacia e, naturalmente, poteva essere recuperata e riutilizzata. Con l’impiego dell’artiglieria a canna rigata, la palla di cannone fu sostituita da granate esplosive.

    22. Quando nacque l’uniforme?

    Riconoscere il nemico sul campo di battaglia è essenziale, ma non è sempre stato facile, perché nell’antichità e nel Medioevo, nonostante quello che ci appare nei film, i soldati di uno stesso schieramento non indossavano uniformi uguali, né per colore né per foggia. Nella seconda metà del Quattrocento, il duca di Borgogna Carlo il Temerario, per distinguere i propri uomini dai nemici, fece distribuire ai fanti una fascia blu e bianca e ai cavalieri una croce di Sant’Andrea rossa. Ancora agli inizi del Seicento si usavano come segni distintivi un nastro, una fascia, una piuma sul cappello, uguali nella foggia e nella forma per ogni esercito. I soldati asburgici, sia austriaci che spagnoli, scelsero il rosso, gli svedesi il giallo, i francesi il blu e gli olandesi l’arancione. Ma i primi a indossare vere e proprie uniformi furono gli uomini del New Model Army, l’esercito parlamentare organizzato da Oliver Cromwell durante la guerra civile inglese (1642-51). Pare infatti che fin dal 1645 quelle truppe portassero una giubba rossa, che però, quando logora, veniva sostituita con quello che si trovava sul campo di battaglia, al momento di depredare i caduti.

    23. A che servivano i risvolti alle maniche?

    A partire dalla seconda metà del 1500, si cominciarono a portare dei bottoni cuciti sulle maniche delle giacche. La loro utilità non è molto chiara, ma dal secolo successivo, le giacche militari, e in seguito quelle civili, appaiono tutte dotate di ampi risvolti alle maniche, fissati con grossi bottoni dorati o argentati. La loro funzionalità consisteva sia nel facilitare il procedimento di ricarica dell’archibugio, e poi del fucile, che risultava ostacolato dalle maniche lunghe, sia nel proteggere le mani dal freddo d’inverno, sbottonandoli e abbassandoli. Quando alla fine del xviii secolo il taglio delle uniformi divenne più attillato, i risvolti rimasero, perché erano diventati le mostre (da cui in seguito le mostrine) che distinguevano i reggimenti a seconda del loro colore e del numero di bottoni.

    24. Il cappello a tricorno lo portava… don Abbondio

    Il tricorno deriva dal cappello a due risvolti in uso presso il clero spagnolo nel xvi secolo e adottato dagli ecclesiastici in Francia e in Italia nel Seicento. Solo alla fine del secolo i civili cominciarono a indossarlo, arrotolando i tre lati del grande cappello a falde piumato. All’inizio del xviii secolo divenne il copricapo militare più diffuso e preferito dai soldati, perché potevano caricare il fucile senza che l’asticella sbattesse contro le falde del cappello. Era anche pratico quando pioveva, perché le parti ritorte della tesa facevano da grondaia, indirizzando l’acqua piovana lontana dal viso. La sua fabbricazione era lunghissima e difficile, e le materie prime (pelo di castoro, di coniglio e di lepre) assai costose. Fu portato in Francia fino alla rivoluzione del 1789 e nel resto d’Europa sino alla fine del secolo. Copricapo prettamente maschile, le donne lo indossavano solo con il costume da caccia e da amazzone, piumato e ornato di fiocchi o orlato da galloni, come quello maschile.

    25. La mitra non la indossavano solo i vescovi

    La mitra o mitria è un copricapo di origine ecclesiastica, usato dai vescovi della Chiesa cattolica e di alcune confessioni cristiane durante le celebrazioni liturgiche. Di forma conica, all’inizio del xvii secolo fu adottato dai granatieri come berretto al posto del tricorno, perché non intralciava i movimenti di lancio della granata, allora simile a una piccola palla da cannone con combustione a miccia. Divenne in breve il principale elemento distintivo dei granatieri, che nel Settecento – oltre a essere molto alti, e la mitra esaltava ancora di più la loro statura – componevano la compagnia di élite del reggimento. Posizionati come ultima compagnia di destra del reggimento, erano immediatamente riconoscibili come punto di riferimento dello schieramento. Secondo gli eserciti, la mitra poteva essere di stoffa semirigida decorata a cucito o composta da una piastra anteriore metallica scolpita e sbalzata. In alcune nazioni, come l’Austria e la Francia, i granatieri indossavano il colbacco di pelo al posto della mitra.

    26. I dragoni dei Savoia

    I dragoni sono una specialità della cavalleria la cui origine risale agli archibugieri a cavallo italiani. I primi reggimenti furono costituiti infatti da Carlo Emanuele ii, re di Sardegna, nel 1668 e presero il nome dallo stendardo del corpo, su cui era anticamente rappresentato un drago. La specialità era una via di mezzo tra la cavalleria pesante e quella leggera e si diffuse rapidamente in tutti gli eserciti europei. I dragoni facevano uso di fucile e pistole e, per non dovere rinfoderare la sciabola ogni volta che sparavano, la tenevano agganciata al polso con un cordone provvisto di nappina e legato all’estremità della coccia dell’arma. Quando impugnavano la pistola o il fucile, lasciavano cadere la spada, che rimaneva legata al polso e poteva essere immediatamente recuperata. Il cordone prese il nome di dragona e il suo uso si è perso con il tempo, ma è rimasta fino ad oggi come ornamento delle sciabole di ufficiali e sottufficiali in tutti gli eserciti del mondo.

    27. Il velluto a coste è nato in Francia o in Inghilterra?

    In inglese velluto a coste si dice cord, che non vuol dire corda, ma deriva invece dal francese cord du roy (tessuto del re), da cour du roi, corte del re, perché era il tessuto che veniva utilizzato per gli abiti da caccia dei domestici reali. Ma contrariamente al suo nome di origine francese, il velluto a coste è nato in Inghilterra, perché fu creato nel xviii secolo nella città di Manchester e fu a lungo chiamato con il nome della città. Tessuto resistente e caldo, ma allo stesso tempo economico, era usato dai ceti più bassi e utilizzato per produrre le uniformi scolastiche. Nell’Ottocento il suo impiego fu allargato all’esercito, che lo trovò molto comodo soprattutto nelle campagne coloniali e i pantaloni di velluto a coste divennero un must tra gli ufficiali inglesi, soprattutto nei teatri africani e indiani. La prima industria di velluto a coste, o velluto di trama, di alta qualità fu aperta in Italia nel 1880 dal duca Visconti di Modrone.

    28. Guerra batteriologica?

    Nel maggio del 1763 un’ampia confederazione di tribù pellirosse originarie della regione dei Grandi Laghi, insoddisfatta delle politiche britanniche attuate dopo la vittoria inglese nella guerra franco-indiana (1754-63), si ribellò agli inglesi e attaccò numerosi insediamenti di coloni e forti militari devastandoli. La guerra, che prese il nome dal capo ottawa Pontiac, fu brutale e sanguinosa, contraddistinta dalla tortura e dall’uccisione di prigionieri e civili. Durante l’assedio di Forte Pitt, nel quale si erano rifugiati i coloni della Pennsylvania occidentale, scoppiò un’epidemia di vaiolo che mieté numerose vittime fra i bianchi. Alcuni ufficiali ebbero la crudelissima idea di fornire coperte infette ai nativi per diffondere anche fra di loro il contagio: l’operazione ebbe successo e l’epidemia si diffuse fra uomini, donne e bambini, che furono falcidiati dal vaiolo. Anzi, visto il grande successo dell’espediente, fu replicato spesso nella storia del genocidio degli indiani. Nonostante questo, le razzie continuarono e gli inglesi furono costretti a fare intervenire l’esercito regolare. Nel 1766 a Forte Ontario fu firmata la pace che prevedeva la divisione territoriale tra coloni e nativi americani: questi ultimi si ritirarono in una ampia zona interdetta agli inglesi, che andava dagli Allegani al Mississippi e dalla Florida al Quebec.

    29. Il Tarleton

    Durante la guerra d’indipendenza americana (1775-83) fu introdotto uno speciale copricapo di cuoio con visiera sormontato da una cresta piumata, chiamato Tarleton helmet.

    Il copricapo fu ideato dall’inglese Banastre Tarleton (1754-1833), che durante il conflitto fu a capo di una legione di lealisti composta da fanti e cavalieri. Il copricapo, oltre che da lui, fu indossato dalle sue truppe e, fino al 1812, divenne il cappello d’ordinanza dei reggimenti dragoni leggeri dell’esercito britannico. Tarleton, che in seguito si dedicò alla politica, è il cattivo che nel film Il patriota, di Mel Gibson, fa bruciare una chiesa piena di uomini, donne e bambini, ma l’episodio è completamente inventato. Tarleton, pur applicando nei confronti degli americani una tattica terroristica che prevedeva la distruzione di abitazioni e raccolti, non compì mai massacri di civili e, in molti casi, liberò gli schiavi neri, anche se non per umanità ma nella speranza che si rivoltassero contro i loro vecchi padroni.

    30. Sulla prima bandiera usa c’era… quella inglese

    La prima bandiera degli Stati Uniti d’America, usata ufficiosamente dal 1775 al 1777, era costituita da sette strisce rosse e sei strisce bianche e una piccola Union Jack (la bandiera britannica) posta nell’angolo superiore sinistro: era conosciuta come bandiera continentale. Nel 1777, in piena guerra d’indipendenza americana, la Union Jack fu sostituita da tredici stelle bianche a cinque punte cucite in cerchio su fondo blu.

    I colori rosso, bianco e blu erano gli stessi della bandiera britannica, mentre le stelle e le strisce ricordavano le tredici colonie americane unite in difesa delle proprie libertà contro la Corona inglese. La leggenda, da tutti accettata, narra che fu Betsy Ross di Filadelfia a cucire la prima bandiera a stelle e strisce e a donarla al generale George Washington, comandante in capo dell’esercito continentale e futuro primo presidente degli Stati Uniti.

    L’immediato successo che ebbe la bandiera non si è attenuato neanche ai nostri giorni, rendendola uno dei simboli più conosciuti e usati anche nel marketing (la troviamo rappresentata su qualsiasi tipo di prodotto, dagli indumenti agli orologi, dalle scarpe alle ceramiche…), uso che fu lo stesso governo americano a incoraggiare già a partire dal xix secolo.

    31. Corpi cammellati

    Nelle zone desertiche dell’Africa e dell’Asia, oltre ai cavalli, gli eserciti hanno spesso impiegato i dromedari non solo come animali da trasporto, ma come cavalcature per reparti specializzati. Queste unità sono chiamate truppe cammellate e combattono a piedi, usando il dromedario come mezzo di trasporto. Erano già presenti nell’esercito romano fin dall’inizio del ii secolo d.C., ai tempi dell’imperatore Traiano. Arabi, turchi e cinesi ne fecero largo uso per la facilità nel reperire l’animale ma, a partire dalla fine del xviii secolo, con l’inizio della colonizzazione del continente africano, anche gli europei crearono i loro reparti cammellati. Napoleone costituì nel 1799, durante la campagna d’Egitto, le regiment des Dromedaires, gli italiani formarono con gli indigeni locali gruppi cammellati in Etiopia e Somalia e i reparti Sahariani e Meharisti in Libia, tra il 1900 e il 1943. I tedeschi ne crearono uno in Namibia, all’inizio del xx secolo, mentre gli inglesi, oltre al famoso Camel Corps in Sudan nel 1884-85, costituirono il Somaliland Camel Corps in Africa, l’Imperial Camel Corps in Palestina, durante la prima guerra mondiale, e impiegarono alcuni reparti dell’Indian Army, come il Bikaner Camel Corps. Anche gli americani addestrarono un piccolo squadrone di soldati su dromedari per combattere gli indiani apache nelle zone desertiche dell’Arizona e del Nuovo Messico, ma con scarso successo.

    32. Madama la ghigliottina

    Joseph-Ignace Guillotin, medico francese, diede il nome alla ghigliottina, ma non l’inventò. Nel 1789, durante la rivoluzione francese, fu lui, membro dell’Assemblea nazionale, a suggerire l’uso di una macchina a lama efficace per le esecuzioni e così propose l’uso della sua ghigliottina. In realtà la macchina non era altro che il perfezionamento di uno strumento già esistente e ben noto da secoli in Scozia e in Inghilterra. Descritta nelle fonti britanniche fin dal Duecento, la ghigliottina nordica è nota nella versione detta patibolo di Halifax o in quella conosciuta come Scottish maiden.

    33. Prendere la mira

    Durante le guerre napoleoniche (1796-1815) caricare e sparare con il fucile non era un’operazione semplice. Innanzi tutto al fante si consigliava di mirare più in basso del dovuto, in quanto il forte rinculo del fucile, dovuto alla sua potenza, faceva immancabilmente alzare la canna nel momento dello sparo.

    Il caricamento dell’arma richiedeva venti operazioni ben precise e la cadenza di tiro era perciò molto bassa: solo i veterani più esperti riuscivano a sparare quattro-cinque colpi al minuto, contro i due delle reclute. Poteva poi capitare che qualche colpo non partisse e nel fragore della battaglia, non accorgendosi dell’accaduto, il militare caricasse due volte l’arma, oppure che i più inesperti, nella fretta, dopo aver infilato la palla, dimenticassero di estrarre la bacchetta dalla canna, sparandola, con la conseguenza di non potere più ricaricare il fucile. Un soldato maldestro, o poco intenzionato ad assorbire il forte rinculo del fucile, poteva poi rovesciare la maggior parte della polvere da sparo a terra, diminuendo così la potenza del colpo.

    Le esercitazioni di tiro delle truppe erano rarissime, in parte per risparmiare munizioni e in parte per evitare inutili perdite di vite umane, il cui sacrificio era più utile sul campo di battaglia, dal momento che non era raro che le canne potessero scoppiare uccidendo il tiratore.

    34. Lo spencer passa di moda e si regala all’esercito

    Alla fine del xviii secolo si diffuse in Inghilterra una giacca da uomo di lana a doppio petto, corta alla vita e senza code. Fu chiamata spencer, dal nome del suo inventore George John Spencer, secondo duca di Spencer (1758-1834).

    Il successo fu immediato in tutta Europa e persino le donne se ne appropriarono come capo di abbigliamento alla moda, fondamentale per il nuovo stile che si stava diffondendo agli inizi del 1800, il Regency (1790-1820). Il gentil sesso lo indossava come un cardigan, di velluto in inverno e di cotone in estate, lungo appena sotto il seno.

    Quando lo spencer passò di moda tra i civili, fu adottato dall’esercito inglese come giacca da mensa (mess jacket) e, appena un poco più lunga, come giubba di servizio per la bassa uniforme degli ufficiali.

    Oggi il termine spencer viene ancora usato in sartoria come sinonimo di giacca corta.

    35. I razzi del sultano

    Durante le guerre napoleoniche (1796-1815), gli inglesi fecero uso come artiglieria dei razzi Congreve, dal nome del suo inventore, che esordirono con successo durante un attacco navale alla città di Boulogne, nel 1806. Il primo vero bombardamento avvenne l’anno dopo, quando Copenaghen fu investita da 40.000 razzi che produssero danni terribili alla città. I razzi furono concepiti da Congreve a Mysore, dopo la conquista della città da parte degli inglesi avvenuta nel 1799. Non erano altro che l’evoluzione di quelli creati dal sultano Hyder Ali, padre del più noto Tipu, con i quali armò il proprio esercito organizzando un corpo di 1200 artiglieri specializzati. I razzi, chiamati Mysore, i primi missili balistici con carcassa di ferro utilizzati con successo in campo militare, erano riempiti di lame appuntite, compivano lunghe traiettorie a diversi metri di altezza dal suolo e ottenevano effetti devastanti sui nemici. Furono impiegati con successo anche da Tipu nelle guerre anglo-mysore, anche se nel 1799, durante l’assedio di Seringapatan, un colpo di cannone britannico colpì il deposito dei razzi e fece saltare in aria il forte del sultano, ponendo termine al conflitto.

    36. La manica alla Raglan nacque grazie a una ferita di guerra

    Il 18 giugno 1815, giorno della battaglia di Waterloo, il tenente colonnello Fitzroy James Henry Somerset, uno degli aiutanti di campo di lord Wellington, fu gravemente ferito al braccio destro, che, per salvargli la vita, gli fu amputato. Il giovane lord era un tipo non dotato di una mente brillante, ma estremamente coraggioso: appena subito dopo l’intervento chiese che gli fosse restituito il moncherino per potere recuperare l’anello regalatogli dalla moglie. La menomazione non gli impedì di proseguire nella sua brillante carriera militare e politica che, tra infinite onorificenze, lo portò, con il grado di generale, ad assumere il comando delle truppe britanniche durante la guerra di Crimea (1853-55). Lord Raglan, questo era il titolo di cui ormai si fregiava, rivelò in questo frangente tutti i suoi limiti strategici e caratteriali e tra vittorie sofferte e incidenti di percorso, si spense al fronte a causa della dissenteria e dello stato depressivo in cui era precipitato. Il suo nome è comunque passato alla storia nel campo della moda, perché, per nascondere meglio la mutilazione del braccio destro, si faceva confezionare dei cappotti la cui manica si attaccava direttamente al collo del capo di vestiario con una cucitura diagonale che va direttamente dall’ascella alla clavicola. Questo tipo di manica si chiama ancora oggi alla raglan e fa bella mostra di sé su cappotti, impermeabili e magliette.

    37. Vestiti di polvere

    Il color kaki (khaki in inglese) è il colore tipico delle uniformi estive in molte forze armate del mondo e ci fa venire in mente i soldati che negli ultimi due secoli hanno combattuto nei deserti africani o nelle giungle asiatiche. Il nome deriva dal persiano khak, che significa polvere o terra e il tessuto che ne prende il nome ha dato origine a una delle prime uniformi mimetiche della storia. Le prime truppe a indossare l’uniforme kaki furono i reparti indiani al servizio dell’esercito inglese, probabilmente il Corpo delle Guide britannico che prestava servizio nel 1846 sul confine del Punjab. L’utilizzo ufficiale si ebbe durante la campagna di Abissinia del 1867-68, quando le truppe inglesi al comando di Sir Robert Napier, partite dall’India, indossavano l’uniforme kaki, ma già negli anni precedenti, soprattutto durante il grande ammutinamento indiano del 1857-58, i britannici tingevano le loro uniformi bianche in grandi pentoloni pieni di tè per rendersi meno visibili ai cecchini nemici. Il successo fu immediato e da allora tutte le truppe degli imperi coloniali del xix secolo furono vestite in color kaki.

    38. Arrivano le camicie rosse

    Il 13 giugno 1849 il Magazzino generale della Repubblica romana forniva ai due capi-sarti della Legione italiana 3126 metri di panno rosso garance e due settimane dopo le bluse volute da Giuseppe Garibaldi erano pronte. Il 28 giugno i garibaldini tornarono sul Gianicolo, per l’ultima battaglia, con la loro nuova uniforme. La camicia rossa, che aveva reso famoso Garibaldi a Montevideo fin dal 1843, quando aveva costituito la Legione italiana per difendere la Repubblica uruguayana, era stata distribuita a tutti i volontari: si trattava di una casacca a forma di blusa, del tipo usato dagli operai e dagli artigiani, di panno resistente con colletto rialzato o alla coreana. Con l’uniforme era stato distribuito anche il nuovo copricapo, un panama di paglia intrecciata, che si rivelò troppo delicato, obbligando quasi tutti i volontari a continuare ad indossare il cappello alla calabrese con le piume. Anche gli ufficiali adottarono la tunica rossa, dotata di distintivi di grado d’argento ai paramani. Un buon numero di questi uomini seguì Garibaldi nella lunga marcia attraverso l’Italia centrale per sfuggire a tutti i tentativi di cattura da parte di quattro eserciti nemici. Cominciava così anche in Europa l’epopea della camicia rossa.

    39. Il cappello dei marinai era di paglia

    Pessima protezione dalle pallottole, ma ottima per sole, il cappello di paglia, dalla seconda metà del xix secolo fino all’inizio del xx, fu usato come copricapo da fatica dai marinai appartenenti alle flotte delle potenze occidentali, soprattutto nei climi caldi. Ogni nazione aveva la sua foggia e quella più simile alla classica paglietta, anche se più grande, era quella dei marinai inglesi, abbellita da un nastro di seta blu scura con il nome della nave, cucito intorno al cupolino. La Regia Marina italiana impiegò un copricapo confezionato con treccia di paglia cucita a maglia, di colore naturale, di forma tronco conico e a larga tesa, chiamato cappello di palma. La falda era circolare e piegata verso l’alto, a mo’ di sombrero messicano. Attorno alla base del cupolino, munito di sottogola di tessuto nero, vi era un nastro di seta nero lungo un metro e largo 35 millimetri, che per i sottufficiali era bordato per tutta la lunghezza da due strisce dorate larghe 2 millimetri. Quando i marinai erano a bordo portavano un nastro con il nome della nave, quando invece erano a terra ne portavano uno con la scritta Reale marineria italiana, sostituita dopo il 1873 da Regia Marina e da due stellette, una per ciascuna estremità. Il cappello di paglia veniva usato a terra dai marinai impiegati come truppe da sbarco, e, data la sua comodità e la mancanza di materiale adeguato per il primo contingente italiano inviato in Africa orientale, fu adottato come cappello da fatica anche dalla fanteria.

    40. Il cardigan è roba da conti

    Bello, alto, prestante, ma allo stesso tempo arrogante, ignorante e ottuso: era il tenente generale James Thomas Brudenell, settimo conte di Cardigan che il 25 ottobre 1854 galoppava alla testa della brigata leggera di cavalleria che andava incontro alla morte nella vallata di Balaklava, in Crimea. Nella sua vita era stato accusato a volte di vigliaccheria, massima infamia nella società inglese dell’epoca, ma quel giorno aveva ubbidito all’ordine di caricare contro i cannoni russi senza battere ciglio, commentando sottovoce: «Qui finisce l’ultimo dei Brudenell». In realtà Cardigan fu uno dei sopravvissuti: una volta penetrata la linea dei cannoni, come avesse svolto il suo compitino, fece dietrofront e tornò al trotto verso le linee inglesi lasciando ai suoi uomini il compito di sbrigarsela da soli. Che fosse un superbo egocentrico era risaputo e la truppa certamente non lo amava, dal momento che, mentre gli uomini della sua brigata erano costretti a sopportare i disagi del clima russo accampati nelle loro scomode tende, il conte dormiva nel suo yacht giunto appositamente dall’Inghilterra e ancorato nella baia di Balaklava. Quando la sera saliva a bordo, prima di godersi i confort dell’imbarcazione, si toglieva la giacca dell’uniforme e indossava un maglione di lana che si apriva sul davanti tramite bottoni, come fosse una giacca. Questo capo di abbigliamento da lui ideato è divenuto famoso con il nome di cardigan.

    41. Fasce mollettiere: per i romani funzionavano da calzettoni

    Nella seconda metà del xix secolo, con l’introduzione delle uniformi da campagna di color kaki o verde, molti eserciti adottarono le fasce mollettiere, che venivano arrotolate e fissate intorno alle gambe al di sotto del ginocchio e al posto delle ghette. La loro funzione era quella di tenere più caldi gli arti inferiori e di limitare l’usura dei calzoni, impedendo che l’orlo svolazzasse e intralciasse il movimento del soldato. Non erano però molto comode, non solo perché erano lunghe da fissare, ma anche perché tendevano a sciogliersi con una certa facilità. Il loro impiego in realtà è lontano nel tempo: erano usate già nell’antica Roma, come protezione del piede e delle gambe dal freddo. Potevano essere portate anche fin sopra al ginocchio e, nate come un indumento civile, furono introdotte nell’esercito romano del tardo impero a partire dal iii secolo d.C.

    42. La cintura di Sam Browne

    Durante il grande ammutinamento il capitano inglese Sam Browne era di servizio in India nel 2° reggimento di cavalleria irregolare del Punjab. Il 31 agosto 1858 durante la battaglia di Seerporah caricò un cannone e ricevette due sciabolate dagli artiglieri nemici. Sopravvissuto alle ferite, ma con la perdita del braccio sinistro, quando rientrò in servizio, per ovviare alla sua menomazione, inventò un nuovo tipo di cinturone da portare in vita, sorretto da una cinghia passante a cavallo della spalla che facilitava l’estrazione, con la mano rimanente, della pistola dalla fondina e della sciabola dal fodero. La cintura, chiamata Sam Browne, era talmente funzionale che fu adottata da tutti gli eserciti ed è ancora in uso in molti corpi militari e di polizia. Browne continuò la sua carriera nell’esercito fino a raggiungere il grado di generale, ottenendo la Victoria Cross, massima onorificenza militare inglese, e venendo insignito dell’Ordine del Bagno e dell’Ordine della Stella dell’India.

    43. La prima guerra moderna

    La guerra civile americana, combattuta tra il 1861 e il 1865, può essere considerata la prima guerra moderna, almeno per quel che riguarda le armi in essa impiegate. I due eserciti contrapposti, quello unionista e quello confederato, fecero largo uso, per la prima volta, di cannoni a retrocarica e con canna rigata, che sparavano proiettili esplosivi, di fucili a ripetizione (l’Henry, progenitore del famoso Winchester) e di revolver del tipo Colt. Furono impiegati per la prima volta la mitragliatrice, la torpedine e il siluro, nonché un sommergibile tascabile che, nella sua prima e unica missione, affondò una fregata nordista. La guerra vide anche il primo scontro della storia tra navi corazzate a vapore, il Monitor nordista e la Virginia sudista, battaglia che si risolse in un nulla di fatto, perché i colpi rimbalzavano sulle corazze delle navi, senza fare danni. Largo uso fu fatto dei treni, non solo per il trasporto di truppe e materiali, ma anche per il bombardamento, con la creazione di convogli blindati e l’uso di artiglierie montate su vagoni ferroviari. Solo le tattiche rimasero quelle delle guerre napoleoniche, a scapito degli eserciti che, dovendo affrontare i nuovi micidiali armamenti, subirono perdite pesantissime.

    44. Le parole nel fucile

    Il geografo, esploratore e militare italiano Romolo Gessi (1831-81), era destinato fin dalla nascita a una vita avventurosa, avendo visto la luce su una nave diretta a Costantinopoli, nel tratto di mare tra Ravenna e Malta. Figlio di Marco, avvocato e console inglese nell’impero ottomano, e dell’armena Elisabetta Clarabett, trascorse la sua infanzia tra la Turchia e i Balcani. Conosceva sette lingue, frequentò l’accademia militare in Austria e poi in Germania, sposò una violinista rumena, ebbe sette figli e adottò una bambina pigmea. Durante la guerra di Crimea divenne amico di Charles Gordon, futuro eroe di Khartoum, che lo convinse a seguirlo in Sudan nel 1873, dove ottenne il titolo di governatore (pascià) della regione del Bahr-al-Ghazal. Nel 1878 ricevette l’ordine di sconfiggere i mercanti di schiavi arabi nel Darfur, ma durante la campagna si trovò assediato con alcune migliaia di uomini nel villaggio dei Dem Idris. Dopo alcuni mesi la situazione si fece disperata, per la mancanza di cibo, di acqua e di… carta per le munizioni! Gessi trovò tra i suoi bagagli il dizionario della lingua italiana del Tommaseo e fece usare le pagine come carta per realizzare le cartucce. Poi ordinò l’attacco per rompere l’assedio. Al termine della vittoriosa battaglia, Romolo Gessi raccolse una cartuccia non sparata, la scartò e lesse le parole stampate del dizionario: «Destino – il susseguirsi degli eventi, ciò che accade imprevedibilmente e ingiustificatamente…».

    45. Il basco lo portavano i contadini

    Il basco è un copricapo di panno, sfornito di falde e di visiera, portato alle sue origini dai contadini dei Paesi Baschi, da cui prende il nome, e poi diffusosi nel bacino del Mediterraneo come cappello comune della classe operaia. Oggi è un berretto prettamente militare, utilizzato per la prima volta nel 1888 dagli Chasseurs Alpins, in pratica gli alpini francesi. Si diffuse a partire dalla guerra civile spagnola (1936-39), quando fu utilizzato dagli anarchici italiani che combattevano tra le file repubblicane, e poi dai carristi e paracadutisti inglesi, durante la seconda guerra mondiale. Al termine del conflitto divenne un copricapo regolamentare presso la quasi totalità degli eserciti mondiali. Due figure storiche hanno legato la loro immagine al basco: il rivoluzionario argentino Ernesto Che Guevara (1928-67), che lo portava nero con la stella rossa sul davanti, e il leader socialista italiano Piero Nenni (1891-1980), che raramente se ne separava.

    46. Pallottole Dum-dum fuorilegge

    I proiettili a espansione sono progettati affinché si espandano all’interno del bersaglio, aumentando l’entità del danno e delle ferite. Erano conosciuti anche come Dum-dum bullet, perché la prima fabbrica in cui furono prodotti in serie nel xix secolo si trovava nell’arsenale inglese di Dum-dum, vicino a Calcutta, in India. Questo tipo di proiettili fu usato dagli inglesi durante le loro guerre coloniali perché si rivelava più adatto a fermare e rendere inoffensivo l’impeto di guerrieri feroci o fanatici come gli zulu o i mahdisti: naturalmente furono subito copiati dalle altre potenze europee e dagli americani. La Convenzione dell’Aia del 1889 mise fuori legge le Dum-dum, perché le ferite che procuravano erano difficili da rimarginare e portavano quasi sempre a una lenta agonia. Ma, anche se vietato, il loro impiego non è mai cessato del tutto.

    47. Muli a stelle e strisce

    Prima dell’avvento dei veicoli a motore, gli

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1