Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Floruska Kutrievich
Floruska Kutrievich
Floruska Kutrievich
E-book222 pagine3 ore

Floruska Kutrievich

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

** A causa dei temi trattati, si sconsiglia la lettura ai minori di sedici anni **
Floruska è una bellissima ragazza rumena con il futuro davanti. E un futuro brillante, visti i successi a scuola e nelle discipline musicali. Il suo sogno, infatti, è di studiare al Conservatorio di Milano. I genitori non sono sorpresi quando Masha, la responsabile giovani della scuola che frequenta Floruska, li informa che la giovane è stata selezionata per studiare proprio al Conservatorio milanese.
Sembra l’inizio di un sogno, ma si sa, spesso i sogni non sono che pallide cartine di tornasole dietro cui si celano gli orrori più indicibili.
E l’orrore precipita nella vita di Floruska, e in quella dell’amica Mihaela, allorquando le due giovani, accompagnate da Franco, arrivano a Timisoara: da lì dovrebbero spostarsi finalmente in Italia, ma il destino ha per loro in serbo qualcos’altro, qualcosa che solo una mente distorta e malata può concepire.
Tratto da una storia vera, Floruska Kutrievich analizza con fredda lucidità una piaga che da sempre attanaglia una miriade di Stati: la tratta delle persone e la prostituzione. Floruska e Mihaela sono intrappolate nella tela di qualcosa di più grande di quanto potessero immaginare, e impedire.
La soluzione è una sola: resistere.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita20 gen 2022
ISBN9791254580882
Floruska Kutrievich

Correlato a Floruska Kutrievich

Titoli di questa serie (36)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Floruska Kutrievich

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Floruska Kutrievich - Massimiliano Conte

    1.png
    Collana Policromia

    Massimiliano Conte

    Floruska Kutrievich

    Pubblicato da © Pubme – Collana Policromia

    Immagine di copertina: Alexander Krivitskiy/Unsplash

    Tutti i diritti riservati

    ISBN:

    Questo libro contiene materiale coperto da copyright e non può essere copiato, trasferito, riprodotto, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’autore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941).

    A mia moglie Mariagrazia

    LIBRO PRIMO

    PARTE PRIMA

    Floruska Kutrievich

    Capitolo I

    Stanchi passi si trascinavano lungo via 704. Piano, avanzava una triste figura, avvolta in un giubbino primaverile, verde e con una toppa sul gomito sinistro. Con le mani villose in tasca, i capelli unti e gli occhi arrossati e bassi, sospirava sommessamente.

    Un crepitio, che proveniva dalle montagne a nord, raggiunse i pensieri dell’uomo, che si fermò. Alzò gli occhi lucidi verso il grigio cielo montuoso.

    Una brezza russa, fresca e frizzante, sospingeva possenti nubi cariche di temporali. In poco tempo, quel che di azzurro restava nel cielo venne inesorabilmente sopraffatto dal grigiore implacabile della natura irritata.

    L’uomo se ne stava lì, immerso nei suoi pensieri bui. Osservava i nuvoloni occupare il cielo del suo piccolo paese, accalcandosi gli uni sugli altri e compattandosi sempre più minacciosamente. La brezza iniziava ad alitare più forte, portando tutto il gelo siberiano sulle terre rumene, sferzando alberi, uomini e cose.

    E poi venne la pioggia.

    La nostra storia inizia nella cittadina di Cugir, ubicata nel distretto di Alba, incardinata nella regione della Transilvania, nello Stato della Romania.

    In questa regione, che ha dato i natali al mito di Vlad III di Valacchia, gli scavi archeologici effettuati nell’area hanno datato le prime popolazioni autoctone intorno al III secolo a.C., mentre il primo documento ufficiale della nascita della città riporta l’anno 1493. All’epoca, la cittadina era conosciuta con il nome di Villa Kudzur. Odiernamente, Cugir è popolata da 26.146 abitanti, si estende per 354,10 metri quadri e ha un’altitudine sopra il livello del mare di 438 metri. A sud della città scorre il fiume Râul Mare, che bagna la cittadina e rifornisce di acqua dolce i pochi campi che sorgono a sud. Il paese è servito da una rete stradale molto semplice, che consente un rapido movimento fra le case e i palazzi.

    I lunghi viali, con gli spartitraffico al centro, sono spesso alberati e le strade del centro storico sono ciottolate. Ai lati di queste vie di comunicazione si stagliano alti i palazzi popolari. In queste grandi costruzioni, dall’aspetto malato, trovano ricovero tante famiglie di estrazione sociale povera. La classe operaia, se non addirittura il proletariato, vive in questi piccoli alloggi malandati. La povertà dilaga in quasi tutto il Paese e Cugir non è l’isola felice nel mare della tristezza e dell’abbandono. Possiamo certamente definirla una vittima della mareggiata di miseria che dilaga in Romania. Ciò, però, non impedisce agli abitanti di essere ospitali e ben visti nella regione.

    Per fortuna di una piccola cerchia di abitanti di Cugir, esiste un piccolo porto di salvezza. Esso fornisce sostentamento a circa trecento padri di famiglia. Si trova sulla strada Doinei, dove ha sede un’importante, seppur piccola, fabbrica di armi. Solo nel 2012, la fabbrica ebbe un fatturato di circa tre milioni di dollari. Gli stipendi dei dipendenti sono sempre stati bassi e nella media della Romania, ma almeno il posto di lavoro è considerato sicuro e stabile. La fabbrica, però, non è certo conosciuta per il salario che passa ai suoi dipendenti. A Cugir i cittadini sanno molto di quella costruzione. La fabbrica vinse un importante appalto di forniture di armi con la Giordania: i formidabili AK-47, nuovi di zecca. In una sola notte e senza aumentare le assunzioni, la fabbrica riuscì a soddisfare la richiesta del compratore. All’arrivo delle armi in Giordania, sia la Romania sia la fabbrica persero qualcosa: la prima la credibilità mentre la seconda, di riflesso, la licenza per commerciare ed esportare all’estero le armi. Il concetto di nuovo di zecca giordano non fu soddisfatto dagli AK-47 ricevuti. La vox populi in merito alla vicenda trovò subito una spiegazione. Sembrerebbe che gli AK-47 fossero stati forniti dallo Stato alla fabbrica con l’ordine di ridipingerli e riassemblarli. Il governo aveva prelevato dalle armerie del proprio esercito tutti i fucili d’assalto vecchi, malandati e arrugginiti dell’epoca di Ceausescu, spediti in fabbrica e rivenduti ai giordani. Come siano andate realmente le cose non c’è dato saperlo. I trecento dipendenti si guardarono bene dal fornire qualsivoglia pettegolezzo. Nessuno voleva perdere il posto di lavoro.

    Fra questi operai, vi era anche Valentin Kutrievich, padre di Floruska. La famiglia di Valentin abitava a quattrocento metri, sempre sulla strada Doinei, in un palazzo di vecchia costruzione.

    Flora, come veniva chiamata dai suoi amici, abitava al terzo piano di questo palazzo. Quasi diciottenne, con il volto dai lineamenti delicati, gli occhi celesti e i capelli biondi, faceva perdere la testa anche al più ferreo degli uomini e provocava vere e proprie tempeste ormonali nei giovani coetanei di Cugir. Quando sorrideva, le labbra sottili e rosa non riuscivano a nascondere la dentatura perfetta. Le sopracciglia fini disegnavano un’ala di gabbiano, un tocco prettamente femminile su un volto che esprimeva bellezza e dolcezza. La piccola donna non poteva certo permettersi un’estetista.

    La vanità, che come la curiosità è donna, aveva spinto le ragazze ad aiutarsi nella pulizia del viso e nei disegni delle sopracciglia. Non che da sole non fossero capaci. Tutte avevano un piccolo specchio e le più fortunate una pinzetta nuova di fabbrica. La spiegazione stava nel fatto che la mano di una compagna vinceva la paura del dolore: meglio uno strappo veloce e preciso di una mano esterna a un dolore acuto e lento di quello propinato dalla propria.

    Flora aveva iniziato a maturare molto presto. Un corpo perfetto, alto un metro e ottanta, sosteneva due seni sodi e dalla terza abbondante. Le lunghe cosce, magre e affusolate, davano slancio alla ragazza, mentre la lunga coda di cavallo bionda le ricadeva sulla schiena, fin quasi a toccare il sedere scolpito e armonioso con il resto delle forme. Si rendeva conto che i ragazzi le giravano intorno, chi con un sogno, chi con un desiderio e chi con pretese di serietà. Sembrava che su qualsiasi persona ella posasse l’azzurro sguardo provocasse un’attrazione fuori del comune. Alcuni giuravano di essersi innamorati solamente guardandola.

    Flora, però, non aveva tempo per un fidanzato. La sua ambizione la proteggeva da vizi e distrazioni. A quindici anni, Valentin le aveva regalato un flauto dolce. Suonandolo, Flora aveva capito il suo futuro. Desiderava diventare una musicista e, dopo un anno esatto, era venuta a conoscenza del Conservatorio Giuseppe Verdi, a Milano. Da quel giorno, aveva identificato l’Italia come la vetta da raggiungere. Ma, come tutte le grandi imprese di conquista delle montagne più alte del mondo, anche questa presentava i suoi pericoli. Innumerevoli crepacci e il rischio di cadere a ogni momento accompagnavano Flora nel veloce scorrere della vita. Doveva assolutamente imparare l’italiano e conseguire la maturità. Ella, infatti, frequentava l’ultimo anno del Colegiul Natiunal, a Cugir.

    Per sua fortuna, i genitori riuscivano a lavorare. Anche la madre Angela contribuiva al bilancio familiare, lavorando come insegnante di doposcuola. La medaglia, però, ha sempre due facce. Il denaro non era molto e quello che c’era serviva per il fabbisogno della casa e della famiglia.

    Flora sapeva che i suoi conservavano del denaro, ma non aveva mai chiesto nulla in proposito. Tutto quello che sapeva proveniva dalla mamma Angela.

    «Floruska, bambina mia! Tutto devi solo studiare. Al resto, ci penseremo noi genitori.»

    Immersa nei libri tutto il giorno, la diligente Flora studiava per raggiungere un risultato. Ma nonostante la rassicurazione della madre circa il suo futuro, cercava di rendersi utile con un piccolo lavoretto. Anche le ragazze più serie e diligenti ai doveri hanno bisogno di vivere la propria vita, e per concedersi qualche svago aveva trovato un lavoretto al mercato di Cugir presso la bancarella dello zio Clement. Guadagnava cinque lei ogni sabato mattina e li utilizzava per togliersi i suoi sfizi. Non che amasse la vita mondana. Le sue uniche uscite erano il sabato sera in pizzeria con le amiche oppure il venerdì sera al bar cioccolateria in piazza a Cugir. Il resto delle giornate le trascorreva fra i libri di italiano, i libri del Colegiul e gli spartiti di musica.

    L’uomo che abbiamo conosciuto all’inizio della nostra storia, oramai sotto una pioggia fredda e incalzante, altri non era che Valentin. Il turno di notte era terminato e stava rincasando, quando un pensiero lo fece fermare a pensare.

    Quella notte, nella fabbrica di armi, un suo amico aveva saputo di essere stato licenziato. Sembrava avesse preso la notizia con filosofia. Nessuno si era preoccupato, se non fosse che, con una calma disarmante, freddo e impassibile, l’uomo era poi andato nella stanza delle prove a fuoco delle armi, aveva preso una pistola calibro .45, se l’aveva messa in bocca e aveva premuto il grilletto, rinnegando il sacro dono della vita.

    Capitolo II

    A Cugir la vita scorreva tranquilla, seppur ricca di eventi. Nel maggio del 2002, Flora era intenta a preparare la tesina finale. L’esame non la spaventava, almeno per il momento.

    Ogni giorno seguiva le lezioni a scuola. Condivideva molto tempo libero con le sue amiche. Come ogni ragazza di diciassette anni, Flora aveva una compagnia di amici con cui usciva, si svagava e studiava. La vita sociale più intensa, però, girava intorno a poche amiche. Preferiva avere poche amicizie ma sincere. Aveva trovato in queste due coetanee tutto quello che cercava.

    La sua amica di infanzia era Mirta. Una ragazza dal viso dolce ma paffuto, con le forme abbondanti. Le due ragazze sapevano tutto l’una dell’altra. Mirta aveva altre ambizioni, rispetto a Flora. Amava scrivere. Da quindicenne, aveva vinto il premio Poesia della Scuola, e a sedici anni aveva pubblicato un piccolo romanzo a puntate sul giornale di Cugir. I suoi genitori stavano mettendo il denaro da parte per iscriverla a una scuola d’arte. Facevano di tutto per coltivare il suo sogno e cercavano di non farle mancare nulla. Mirta, al contrario di Flora, non aveva tanto successo con i ragazzi. Si rendeva conto di essere sovrappeso, ma non faceva nulla per cambiare il proprio aspetto. La bellezza, si sa, sta negli occhi di chi guarda e molto spesso può avere diverse forme e diversi aspetti. Mirta apparteneva a queste forme, si amava per come era e le occasioni per avvicinare i ragazzi non le mancavano mai.

    Guardata bene, infatti, Mirta aveva una sua bellezza. Gli occhi erano nocciola e intensi, con labbra rosse e carnose. Le guance paffute ne risaltavano la sporgenza. Il naso, aquilino, dava un tocco di femminilità particolare al viso e nel suo complesso, insieme ai lunghi capelli castani legati sempre con una coda di cavallo, le conferiva un’aria intelligente.

    Ogni mattina, alle sette e mezza precise, Mirta passava a prendere Flora da casa, per andare a scuola. Arrivata in via Doinei, la ragazza vide Valentin rincasare dal turno di notte alla fabbrica di armi.

    «Buongiorno, signor Kutrievich.»

    L’uomo le stanco. «Salve, Mirta. Vieni, sali.»

    Mirta imboccò le scale sporche e non fece caso a una nuova macchia di umidità che incrociò sul muro del primo piano. Quando si vive in un posto simile e ci si abitua ad avere per coinquilini ragni e muffa, una macchia non è certo un evento straordinario degno di considerazione. Giunti al terzo piano, Valentin aprì la porta malandata che cigolò sotto il suo stesso peso.

    «Prego, entra pure.» Accompagnò la voce con un gesto della mano.

    Flora era appena uscita dal bagno. Indossò lo zaino logoro, comprato al mercato di terza mano, e corse ad abbracciare il padre. «Ciao, pa’! Come è andata? Ti sei portato un’ospite stamattina!» E strizzò l’occhio all’amica.

    Valentin si strinse nelle spalle, diede un bacio alla figlia, salutò Mirta e si diresse verso la camera da letto. Non era certo il caso di far iniziare la giornata alla figlia parlando di una morte.

    «Andiamo?» domandò Flora all’amica.

    Mirta sorrise divertita e uscirono di casa. La giovane si richiuse la porta alle spalle e insieme all’amica imboccò le scale.

    «Hai studiato?» chiese Mirta.

    «Certo! Voglio un ottimo voto finale. E poi, storia è facile da ricordare! Tu come sei messa?»

    Mirta strabuzzò gli occhi e arricciò le labbra, mentre i loro passi rimbombavano nella scala vuota. «I propositi erano buoni ma… sono finita a comporre una poesia. Speriamo non chiami proprio me, oggi.»

    Flora lanciò un’occhiata di affettuoso rimprovero all’amica mentre uscivano in strada. Respirò l’aria primaverile di maggio. Un caldo sole prometteva una giornata estiva e colorata, riscaldando l’aria profumata di alberi in fiore.

    «Passiamo da Mihaela?» domandò Mirta.

    Flora annuì, soprappensiero.

    «Andiamo, allora. O faremo tardissimo!»

    Mihaela abitava a un isolato da strada Doinei, precisamente in strada Serero. Era la fotocopia di Flora a colori scuri. Capelli lunghi e neri e occhi di egual colore. Una bellezza sconvolgente, anche se inquietante. Gli occhi neri, infatti, avevano il potere di mettere a disagio qualsiasi persona che si imbattesse nel suo sguardo. I ragazzi vivevano in una sorta di sottomissione tutte le volte che Mihaela li osservava. Il viso era delicato ma la mandibola era leggermente spigolosa. Le labbra sottili, come quelle di Flora, davano il tocco finale a quella bellezza temuta da molti.

    Mihaela sapeva che ogni giorno, alle sette e quarantacinque, doveva farsi trovare in strada. E ogni giorno, Flora e Mirta sapevano che non avrebbero visto l’amica prima delle sette e cinquantacinque.

    Quella mattina non era certo l’eccezione alla regola. Alla consueta ora, il portone si aprì con un lamentoso cigolio.

    «Buongiorno, ragazze!»

    Mirta si imbronciò. «Sei in ritardo!»

    «… e faremo tardi a scuola» le fece eco Flora.

    Negli occhi neri di Mihaela passò un lampo di divertimento che si concluse in un suo gesto tipico: fece spallucce, sorrise e abbracciò le amiche.

    «Flora, oggi pomeriggio riusciamo a trovare un’ora per il flauto? Vorrei farti ascoltare una cosa.»

    Mihaela amava molto la musica, esattamente come Flora. I suoi genitori, però, non potevano permettersi, con i mezzi ordinari, il sogno che coltivava Flora. Il conservatorio era per Mihaela una meta impossibile da raggiungere: il denaro che i genitori guadagnavano bastava a malapena per vivere.

    Studiavano musica e Flora aveva insegnato all’amica a suonare il flauto che le aveva regalato il padre due anni prima. Si trovavano spesso nell’appartamento di Flora a suonare e a fantasticare. Anche Mirta, con l’immancabile quaderno, si univa spesso alla compagnia. Il suono del flauto la ispirava. Scriveva spesso poesie, sulla scia musicale e delicata delle note che Flora riusciva a comporre con lo strumento.

    Capitolo III

    Flora e Mihaela, pur essendo simili nell’aspetto, si differenziavano per un importante particolare. Mentre la primavera risvegliava in Flora sentimenti e attrazioni per l’universo maschile, a Mihaela faceva l’effetto opposto. Non che non fosse in grado di non amare. Semplicemente, le sue attenzioni erano rivolte a Flora.

    In un pomeriggio di fine aprile, con la primavera alle porte, i fiori intorno alle montagne di Cugir erano sbocciati. Il profumo inebriava la città e il colore che conferivano a quelle rocce ricoperte di terra disegnava una vera e propria cartolina. Iniziavano le calde giornate primaverili, quelle stesse giornate che accarezzano l’anima, intorpidiscono la mente e rendono tutti più pigri. Quel calore, ancora non del tutto ottenebrante come quello estivo, risvegliava negli animali la voglia di giocare e correre. Il cinguettio degli uccelli faceva spesso da cornice agli escursionisti e ai contadini nei campi. Il dolce calore riscaldava il corpo e toglieva l’umido delle piogge di marzo e il freddo dei mesi invernali.

    Flora e Mihaela stavano insieme su uno di questi prati in fiore. Erano le tre del pomeriggio. Ormai la scuola era entrata nel ciclo finale che ogni studente guarda giungere con timore reverenziale ma anche con intrepida felicità. La paura dell’ignoto, di che cosa fare dopo, era spesso travolta dalla felicità della liberazione di un peso. Il mondo degli adulti si stava avvicinando e con esso l’ora di assumersi le responsabilità che ne derivavano. Il vero cruccio per ogni studente di quel periodo e che aveva a cuore il suo futuro era l’esame di maturità di giugno. Gruppi di studenti giravano per i parchi, per i campi o nelle biblioteche alla ricerca di un posto dove studiare e parlare di scuola. Le informazioni si rincorrevano, spesso contrastanti, sui temi e sulle domande. Tutti avevano sentito dire da qualcuno che sarebbe uscita una certa traccia, ma nessuno aveva informazioni attendibili.

    Stesa su un asciugamano logoro, Mihaela prendeva il sole con gli occhi chiusi e le orecchie ben tese. Amava sentire Flora suonare. Le trasmetteva una passione, una voglia di eguagliarla, ma le comunicava anche amore e voglia di vivere. Nelle strofe più lunghe, la giovane

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1