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Charlie Chan e il pappagallo cinese
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E-book320 pagine4 ore

Charlie Chan e il pappagallo cinese

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Info su questo ebook

Sally Jordan non ha più un soldo. Non le resta che una possibilità per uscire dai guai: vendere il suo filo di perle ed entrare così in possesso di trecentomila dollari. Charlie Chan, sergente investigativo della polizia di Honolulu, viene incaricato di portare la preziosissima collana a San Francisco, dove l’attende un potenziale acquirente. Un affare da nulla, sembrerebbe. Ma appena Charlie Chan giunge a San Francisco la faccenda si complica: ad attenderlo solo un misterioso invito a recarsi per la consegna in un ranch sperduto nel deserto. È solo l’inizio di una lunga storia.


E. Derr Biggers

Earl Derr Biggers nacque a Warren, nell’Ohio, il 26 agosto del 1884. Laureatosi ad Harvard nel 1907, cominciò a lavorare come giornalista e critico teatrale. Creatore del famoso detective Charlie Chan, tradotto in molte lingue, è considerato uno dei più popolari autori americani di romanzi polizieschi. Morì a Pasadena, in California, il 5 aprile del 1933.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854141223
Charlie Chan e il pappagallo cinese
Autore

Earl Derr Biggers

Earl Derr Biggers (1884-1933) was an American novelist and playwright. Born in Ohio, Biggers went on to graduate from Harvard University, where he was a member of The Harvard Lampoon, a humor publication for undergraduates. Following a brief career as a journalist, most significantly for Cleveland-based newspaper The Plain Dealer, Biggers turned to fiction, writing novels and plays for a popular audience. Many of his works have been adapted into film and theater productions, including the novel Seven Keys to Baldpate (1913), which was made into a Broadway stage play the same year it was published. Towards the end of his career, he produced a highly popular series of novels centered on Honolulu police detective Charlie Chan. Beginning with The House Without a Key (1925), Biggers intended his character as an alternative to Yellow Peril stereotypes prominent in the early twentieth century. His series of Charlie Chan novels inspired dozens of films in the United States and China, and has been recognized as an imperfect attempt to use popular media to depict Chinese Americans in a positive light.

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    The book is an interesting mystery with some romantic elements though no character is especially likeable. It was interesting to see how the gold bug infected all the characters and then to watch them work at cross purposes.

Anteprima del libro

Charlie Chan e il pappagallo cinese - Earl Derr Biggers

industriale

1. Le perle Phillimore

Alexander Eden passò dalla strada nebbiosa all’immenso negozio marmoreo dove la ditta Meek & Eden offriva i suoi prodotti. Da dietro le vetrinette splendenti di pietre preziose o illuminate dall’argento, dal platino, dall’oro, quaranta azzimati commessi si misero immediatamente sull’attenti, con giacche impeccabili che mai avevano conosciuto piega, garofano rosa all’occhiello sinistro, fresco e perfetto come fosse cresciuto lì.

Eden accennò affabilmente a destra e a manca e andò per la sua strada, ticchettando allegramente sul pavimento incontaminato. Era un ometto dall’aria immacolata, capelli grigi, occhio vivido, pronto, e i modi autoritari adatti alla sua posizione. Infatti il clan dei Meek aveva debitamente ereditato la terra, ceduto tale eredità e raggiunto i suoi maggiori, lasciando Alexander Eden titolare unico della gioielleria più rinomata a ovest delle Montagne Rocciose. Arrivato nel retro del negozio, il Nostro salì una breve scala per raggiungere gli uffici nel mezzanino dove egli trascorreva le giornate. In anticamera incontrò la sua segretaria. – Buon giorno, signorina Chase! – esclamò.

La ragazza rispose con un sorriso. L’occhio di Eden, addestrato alla bellezza dalla lunga esperienza nel mercato dei preziosi, non aveva sbagliato scegliendo la signorina Chase. Aveva i capelli biondo cenere e gli occhi viola; i suoi modi erano squisiti, come il taglio del suo vestito. Bob Eden, erede riluttante di tanta perfezione, era stato udito affermare che entrare nell’ufficio di suo padre era come partecipare a un tè nel salotto più raffinato.

Alexander Eden lanciò un’occhiata all’orologio. – Tra dieci minuti aspetto una visitatrice – annunciò – la signora Jordan di Honolulu. Quando arriva, la faccia entrare subito.

– Sì, signor Eden – replicò la ragazza.

L’uomo passò nell’ufficio privato dove appese cappello, soprabito e bastone. La posta del mattino lo attendeva sulla grande scrivania lucente. La scorse distrattamente, col pensiero altrove. Dopo un attimo si avvicinò alla finestra e restò lì a fissare la facciata del palazzo di fronte.

Era ancora presto. Nelle strade persisteva la nebbia che la notte prima aveva fasciato San Francisco. Fissando nella grigia opacità, Eden scorse una scena, una scena incongruamente colorata, luminosa e vivida. I suoi pensieri avevano percorso a ritroso il lungo corridoio degli anni e nella scena che vedeva con la mente si muoveva lui stesso, diciassettenne snello e bruno.

Una notte di Honolulu, quarant’anni prima, della gaia e felice Honolulu della monarchia. La banda di Berger suonava dietro un banco di felci del grande soggiorno dei Phillimore e il giovane Alec Eden e Sally Phillimore danzavano insieme. Il giovanotto inciampava di tanto in tanto nel passo non ancora perfezionato del nuovissimo two-step, di recente introdotto nelle Hawaii da un nuovo complesso del Nipsic. Ma forse a confonderlo non era solo la sua scarsa conoscenza del two-step, poiché sapeva di stringere tra la braccia la beniamina delle isole.

Sono rari ma ci sono quelli che la fortuna favorisce fuor di ogni ragione, e Sally Phillimore era una di quelli. Oltre e al di là della sua bellezza, la quale sarebbe comunque bastata, alla semplice società di Honolulu lei pareva l’erede di ogni tempo. Le fortune dei Phillimore erano al massimo, le navi dei Phillimore percorrevano i sette mari, su migliaia di acri Phillimore la canna da zucchero si preparava a un aureo, dolcissimo raccolto. Abbassando lo sguardo, Alec Eden vide, attorno alla candida gola della fanciulla, il simbolo della sua posizione e della sua fortuna, la famosa collana di perle che Marc Phillimore aveva portato da Londra e per la quale aveva pagato una somma che aveva lasciato Honolulu senza fiato.

Eden, della stimata ditta Meek & Eden, continuò a fissare nella nebbia. Era una delizia rivivere quella notte hawaiana, carica di magia e del profumo di fiori esotici, riudire le risate leggere, il mormorio lontano delle onde, il risuonare sommesso della musica isolana. Aveva il ricordo offuscato degli occhi blu di Sally che lo guardavano scintillando, e un ricordo assai più vivido (poiché aveva ormai quasi sessant’anni ed era un uomo d’affari) delle grosse perle luminose che le ricadevano sul petto con un caldo riflesso... Oh, beh... Si strinse nelle spalle. Era successo quarant’anni prima e ne era passata di acqua sotto i ponti. Sally si era sposata con Fred Jordan, per esempio, e qualche anno dopo aveva avuto un figlio, Victor. Eden sorrise, arcigno. Che scarsa perspicacia aveva dimostrato Sally dandogli quel nome! Andò alla scrivania e si sedette. Senza dubbio dovevano ringraziare qualche scappata di Victor, se erano costretti a mettere in piedi la scena che sarebbe avvenuta tra poco in quell’ufficio di Post Street. Sì, doveva essere così. Victor che spiava tra le quinte, pronto a calare l’ultimo sipario sul dramma delle perle Phillimore.

Qualche minuto dopo era immerso nell’esame della corrispondenza, quando la segretaria apri la porta e annunciò: – È arrivata la signora Jordan.

Eden si alzò. Sally Jordan gli veniva incontro camminando sul tappeto cinese. Vivace e brillante come sempre, aveva decisamente vinto la sua battaglia col tempo. – Alec, amico mio carissimo!

Lui le prese entrambe le mani fragili. – Sally! Sono felicissimo di vederti. Qua. – Avvicinò una grande poltrona di cuoio alla scrivania. – Ti spetta il posto d’onore. Sempre.

Lei sorrise e sedette. Eden tornò al suo posto dall’altra parte della scrivania. Raccolse un tagliacarte e lo fece dondolare; per un uomo della sua padronanza, appariva assai a disagio... –Ah... ehm... da quant’è che sei in città?

– Due settimane, credo... Sì, due settimane lunedì scorso.

– Non hai mantenuto la promessa, Sally, non me l’hai fatto sapere.

– Ma sono stata così indaffarata. Victor è sempre tanto premuroso con me.

– Ah, già, Victor. Immagino stia bene. – Eden guardò altrove, da qualche parte fuori dalla finestra. – La nebbia se ne sta andando, vero? Dopo tutto, la giornata sarà bella.

– Caro, vecchio Alec. – Sally scosse il capo. – Inutile tirarla per le lunghe, non serve a gran che. Arriviamo al punto. È come ti ho detto l’altro giorno al telefono. Ho deciso di vendere le perle Phillimore.

Lui annuì. – Perché no? A che ti servono, comunque?

– Già. È perfettamente vero... non fanno più per me. Io credo che occorra portare ciò che ci si addice e quelle perle splendide sono per la giovinezza. Ma non è per questo che le vendo. Se potessi me le terrei. Ma non posso. Non... non ho più un quattrino, Alec. Lui guardò di nuovo fuori dalla finestra. – Non pare assurdo? – riprese lei. – Tutte le navi Phillimore... le terre Phillimore... svanite nell’aria. La grande casa sulla spiaggia... ipotecata. Vedi... Victor... ha fatto degli investimenti sfortunati...

– Capisco – disse Eden, piano.

– Oh, lo so che cosa pensi, Alec. Victor è un ragazzaccio. Sciocco, sbadato... forse peggio. Ma è tutto quello che mi è rimasto, da quando se ne è andato Fred. Vedi, gli rimango accanto.

– Da donna leale quale sei – commentò lui, sorridendo. – No, non pensavo male di Victor. Anch’io... anch’io ho un figlio.

– Scusami, avrei dovuto domandartelo prima. Come sta Bob?

– Bene, immagino. Può darsi che arrivi prima che tu vada via... se gli è successo di fare colazione in orario.

– Lavora con te?

Eden scrollò le spalle. – Non precisamente. Ha finito l’università da tre anni. Uno l’ha passato nei Mari del sud, uno in Europa e il terzo... da quanto mi pare di aver capito... nella sala carte del suo club. Sembra però che la carriera lo prooccupi. L’ultima che gli ho sentito dire era che voleva occuparsi di giornali. Ha un amico nell’editoria. – Il gioielliere indicò l’ufficio. – Questo genere di cose, quelle a cui ho dedicato la mia vita, lo annoiano.

– Povero Alec – disse Sally Jordan con dolcezza. – La nuova generazione è così difficile da capire. Ma... sono venuta a parlare dei miei guai. Sono rovinata. Quelle perle sono l’unica cosa che mi sia rimasta al mondo.

– Beh... valgono molto.

– Abbastanza da tirar fuori Victor dal pasticcio in cui si è messo. Abbastanza per me, per gli anni che mi rimangono da vivere. Papà le aveva pagate novantamila dollari. A quel tempo era una fortuna, ma oggi...

– Oggi... sembra che tu non ti renda conto, Sally. Dagli anni ’80 le perle hanno subito una grande rivalutazione, come ogni altra cosa, del resto. Oggi quel filo vale attorno ai trecentomila dollari.

La donna rimase senza fiato. – Non è possibile. Ne sei sicuro? Non hai mai visto la collana...

– Ah! Mi chiedevo se te ne ricordassi – scherzò lui – ma pare di no. Ci stavo pensando poco prima che tu arrivassi... pensavo a una notte di quarant’anni fa. Ero venuto a trovare mio zio che stava sull’isola e avevo diciassette anni. Sono venuto al tuo ballo e tu mi hai insegnato il two-step. Portavi le perle. Una delle notti memorabili della mia vita.

– E della mia – sottolineò lei. – Adesso ricordo. Papà mi aveva appena portato la collana da Londra e la indossavo per la prima volta. Quarant’anni fa... ah, Alec, torniamo subito al presente. A volte fa male ricordare. – Restò in silenzio per un momento. – Trecentomila hai detto?

– Non ti garantisco di riuscire a ottenere tutta la somma. Ho detto che la collana li vale, ma non è sempre facile trovare il compratore che fa comodo a noi. La persona che ho in mente...

– Oh, hai trovato qualcuno...

– Beh... sì... certo. Però non vuole pagare più di duecentoventimila. È ovvio che se hai fretta di vendere...

– Sì. Chi è questo re Mida?

– Madden. P.J. Madden.

– Non quello di Wall Street? Il Tuffatore?

– Sì. Lo conosci?

– Solo dai giornali. È famoso, ma non l’ho mai visto.

Eden aggrottò la fronte – Curioso. Sembra che lui conosca te. Avevo sentito dire che era in città e quando tu mi hai telefonato mi sono recato al suo albergo. Ha ammesso di essere alla ricerca di un filo di perle da regalare a sua figlia, ma da principio è stato un po’ freddino. Quando ho menzionato le perle Phillimore si è messo a ridere. Le perle di Sally Phillimore ha detto. Le prendo. E io: Trecentomila. Duecentoventi e non un soldo di più ha risposto lui. E mi ha fissato con quegli occhi che ha... era come contrattare con quel tizio lì – concluse, indicando un piccolo Budda di bronzo sul suo tavolo.

Sally Jordan sembrava perplessa. – Ma, Alec, non può conoscermi. Non capisco proprio. Comunque, mi offre una fortuna e ne ho maledettamente bisogno. Ti prego, concludi con lui prima che lasci la città.

La porta si aprì di nuovo, spinta dalla segretaria. – C’è il signor Madden di New York – disse la ragazza.

– Sì, lo vediamo subito. – Eden si rivolse alla sua vecchia amica. – Gli ho chiesto di venire qui per incontrarti. Ti prego di non dimostrarti troppo ansiosa. Potremmo ricavarne qualcosa di più, anche se ne dubito. È un duro, Sally, un uomo duro. Le storie che i giornali scrivono di lui sono fin troppo vere.

Si interruppe bruscamente perché il duro di cui parlava stava posando i piedi sul suo tappeto. P.J. in persona, il grande Madden, l’eroe di mille battaglie a Wall Street. Un metro e ottanta e più, una torre di granito in completo grigio. Gli occhi azzurri e gelidi spazzavano la stanza come una tempesta artica.

– Ah, signor Madden, si accomodi – invitò Eden, alzandosi. Madden avanzò ancora nella stanza, seguito da una fanciulla alta e languida avvolta in pellicce costose, e da un giovanotto magro, dall’aria pignola e in completo blu.

– Signora Jordan, le presento il signor Madden di cui stavamo parlando – disse Eden.

– Signora Jordan – fece Madden, inchinandosi appena. Aveva trattato tante tonnellate di ferro che un po’ glien’era rimasto nella voce. – Ho portato con me mia figlia Evelyn e il mio segretario, Martin Thorn.

– Lietissimo – rispose Eden. Rimase un istante a guardare quel gruppo interessante che aveva invaso il suo ufficio: il finanziere famoso, freddo, competente, consapevole del proprio potere; la ragazza snella, sdegnosa, sulla quale si diceva che Madden riversasse tutto l’affetto dei suoi ultimi anni; il segretario magro, cupo, che restava ossequiosamente sullo sfondo, ma per qualche motivo meno irrilevante di quanto avrebbe dovuto essere. – Non volete accomodarvi? – proseguì il gioielliere e sistemò le sedie. Madden tirò la sua vicino alla scrivania; l’atmosfera pareva saturata dalla sua personalità; l’uomo faceva sembrare gli altri di qualche misura inferiori.

– È inutile fare troppi preamboli – disse il milionario. – Siamo venuti per vedere le perle.

Eden sussultò. – Mio caro signore, temo di averle dato l’impressione sbagliata. In questo momento le perle non sono a San Francisco.

Madden lo fissò. – Ma quando mi ha detto di venir qui per incontrare la proprietaria...

– Mi spiace, intendevo solo quello.

Sally Jordan gli diede una mano. – Vede, signor Madden, quando sono venuta qui da Honolulu non avevo intenzione di vendere le perle. Ho preso la decisione in seguito ad alcuni eventi, dopo essere arrivata in città. Le ho mandate a prendere, però.

Parlò la ragazza. Aveva tolto la pelliccia e appariva bella, a modo suo, ma fredda e dura come il padre e, in quel momento, indicibilmente annoiata. – Io ero convinta che le perle fossero qui, naturalmente, altrimenti non sarei venuta.

– Beh, non ti sei fatta male – scattò suo padre. – Signora Jordan, allora ha mandato a prendere la collana?

– Sì. Se tutto va bene, partirà stanotte da Honolulu. Dovrebbe essere qui tra sei giorni.

– Non va affatto bene. Mia figlia parte stasera per Denver. Domattina io parto per il Sud e tra una settimana ci dobbiamo ritrovare a Eldorado per recarci insieme verso l’Est. Non c’è niente che quadra.

– Farò consegnare la collana ovunque lei voglia – suggerì Eden.

– Sì... ne sono sicuro – considerò Madden. Si rivolse alla signora Jordan. – È lo stesso filo di perle che lei portava al vecchio Palace Hotel nel 1889? – domandò.

Lei lo guardò, sorpresa. – Lo stesso – rispose.

– E ancora più bello di allora, scommetto – aggiunse Eden. – Lo sa, signor Madden, che c’è una vecchia superstizione nel commercio dei preziosi? Si dice che le perle assumano la personalità di chi le porta e che si spengano o acquistino luce secondo l’umore di chi adornano. Se è vero, in tutti questi anni il filo è diventato bellissimo.

– Sciocchezze – commentò villanamente Madden. – Oh, scusate... non volevo dire che la signora non sia affascinante. Ma non ho simpatia per le sciocche banalità del commercio... né del suo, né di qualunque altro. Beh, io ho molto da fare. Comprerò le perle al prezzo che ho detto.

Eden scosse il capo. – Come le ho detto, valgono almeno trecentomila dollari.

– Non per me. Duecentoventi... venti adesso come caparra e il saldo a trenta giorni dalla consegna. Prendere o lasciare.

Si alzò e fissò il gioielliere. Eden era piuttosto abile a contrattare, ma davanti a quella Rocca di Gibilterra pareva che tutte le sue capacità fossero svanite. Guardò la sua vecchia amica con aria disorientata.

– Va bene, Alec – disse la signora Jordan. – Accetto.

– Molto bene – sospirò Eden. – Ma lei fa un grosso affare, signor Madden.

– Lo faccio sempre, se non compro – rispose Madden. Tolse di tasca il libretto degli assegni. – Ventimila adesso, come d’accordo.

Il segretario parlò per la prima volta; aveva una voce sottile e fredda, fastidiosamente educata. – Dice che le perle arriveranno tra sei giorni?

– Sei, più o meno – rispose la signora Jordan.

– Ah, bene. – Nella voce gli si insinuò una nota suadente. – Per quale via?

– Un corriere privato – rispose secco Eden. Osservava Martin Thorn: un giovanotto pallido, fronte alta, occhi verde chiaro che di tanto in tanto si fissavano, sconcertati; e mani lunghe, pallide, adunche. Non gli sarebbe piaciuto averlo attorno, rifletté. – Un corriere privato – ripeté.

– Naturalmente – disse Thorn. Madden aveva compilato e deposto l’assegno sulla scrivania del gioielliere. – Pensavo, capo... solo un suggerimento – continuò Thorn.

– Se la signorina Evelyn andrà a passare il resto dell’inverno a Pasadena, vorrà avere la collana là. Noi resteremo qui per i prossimi sei giorni e mi pare...

– Chi è che compra la collana? – tagliò corto Madden. – Non mi piace che vada avanti e indietro per il paese. Troppo rischioso, con tutti questi ladri.

– Ma, papà – si intromise la ragazza – è vero che mi piacerebbe portarla quest’inverno...

Tacque subito. Da cremisi, Madden era diventato porpora e agitava la testa. Era un’abitudine bizarra che aveva quando veniva contrariato, dicevano i giornali. – La collana verrà consegnata a me a New York – puntualizzò a Eden, ignorando la figlia e Thorn. – Resterò nel Sud per qualche tempo... ho un posticino a Pasadena e un ranch nel deserto, a quattro chilometri da Eldorado. È un po’ che non ci vado e, se non li tengo d’occhio, i custodi fanno i comodi loro. Le telegraferò appena tornerò a New York e allora mi consegnerete la collana nel mio ufficio. Entro trenta giorni riceverete il mio assegno a saldo.

– Per me va bene – disse Eden. – Se aspettate un attimo faccio preparare il contratto di vendita con tutti i dettagli. Gli affari sono affari, come tutti comprenderete.

– Naturalmente – fu d’accordo Madden. Il gioielliere uscì.

Evelyn Madden si alzò. – Ti aspetto giù, papà. Voglio dare un’occhiata alla collezione di giade. – Si rivolse alla signora Jordan. – Lo sa? Le giade migliori si trovano a San Francisco.

– Ma sicuro – rispose sorridendo la donna. Si alzò e prese le mani della ragazza. – Lei ha un collo molto bello, mia cara. Lo stavo dicendo poco prima che lei arrivasse... le perle Phillimore hanno bisogno di giovinezza. Bene, ora ce l’hanno. Spero che le porterà per molti anni felici.

– Oh... caspita, grazie – rispose la ragazza, e uscì.

Madden lanciò un’occhiata al segretario. – Mi aspetti in auto – ordinò. Rimasto solo con la signora Jordan, le sorrise compunto.

– Lei non mi ha mai visto prima, vero? – domandò.

– Mi dispiace, ma non ricordo.

– No, immagino di no. Ma io l’ho vista. Oh, molti anni fa e ormai non mi importa di parlare di queste cose. Voglio che sappia che sarà una grande soddisfazione per me possedere quella collana e che finalmente sono riuscito a sanare una ferita vecchia e profonda.

Sally Jordan spalancò gli occhi. – Non capisco – disse.

– No, non può. Negli anni ’80, lei veniva con la sua famiglia dalle Isole e si fermava al Palace Hotel. Io... io ero uno dei fattorini dell’albergo. L’ho vista spesso là... e una volta portava la famosa collana. Pensavo che lei fosse la ragazza più bella del mondo... oh, ma a che serve... ormai siamo tutti e due... ehm...

– Ormai siamo tutti e due vecchi – concluse la donna con dolcezza.

– Sì, è così. Io la veneravo, ma ero... un fattorino... il suo sguardo mi trapassava, non mi vedeva neanche, facevo parte dell’arredamento dell’albergo. Glielo confesso, feriva il mio orgoglio; come le ho detto, è stata una ferita profonda. Ho giurato che avrei avuto successo, perfino allora lo sapevo, e che le avrei chiesto di sposarmi. Adesso ci possiamo sorridere. Non ha funzionato... sa, succede che anche qualche mio progetto non funzioni. Però oggi possiedo le sue perle: avvolgeranno il collo di mia figlia. Era la seconda cosa migliore che potessi fare: non l’ho sposata, ma l’ho comprata. Si è chiusa un’antica ferita del mio orgoglio.

Lei lo guardò e scosse il capo. Una volta si sarebbe offesa, ma non ora. – Lei è un uomo strano – disse.

– Sono quello che sono. Glielo dovevo dire, altrimenti il trionfo non sarebbe stato completo.

Eden rientrò. – Ecco, signor Madden, se vuole firmare qui... grazie.

– Riceverà un telegramma – fece Madden. – A New York, si ricordi, e in nessun altro posto. Buon giorno. – Tese la mano alla signora Jordan.

Lei la prese, sorridendo. – Arrivederci. Lei non è più trasparente, ormai. La vedo.

– E cosa vede?

– Un uomo terribilmente vanitoso, ma simpatico.

– Grazie. Se lo ricordi. Addio.

E se ne andò. Eden si abbandonò su una poltrona. – Bene, anche questa è fatta. È riuscito a esaurirmi. Avrei voluto ottenere una cifra più alta, ma non c’era speranza. Avrei dovuto immaginare che quello vince sempre.

– Sì – commentò la signora Jordan – vince sempre.

– Non volevo che tu dicessi al suo segretario chi avrebbe portato le perle, ma a me lo puoi dire.

– Come? Oh, ma certo! Le porterà Charlie.

– Charlie?

– Il sergente investigatore Charlie Chan, della polizia di Honolulu. Secoli fa, nella grande casa sulla spiaggia, era il nostro capo cameriere.

– Chan. È cinese?

– Sì. Charlie ci ha lasciato per arruolarsi nella polizia e ha fatto carriera. Aveva sempre desiderato venire nel continente e allora ho sistemato tutto, licenza, certificato di nazionalità, quanto serviva. È in arrivo con le perle. Dove avrei potuto trovare un corriere migliore? Gli affiderei la mia vita... no, non è più un bene tanto prezioso. Gli affiderei la vita di chi più amo al mondo.

– Hai detto che parte stasera?

– Col President Pierce. Dovrebbe arrivare giovedì prossimo, nel tardo pomeriggio.

La porta si aprì e sulla soglia apparve un giovanotto di bell’aspetto. Aveva il viso magro e abbronzato, i modi tranquilli e sicuri, e il suo sorriso aveva riempito i sogni a occhi aperti della signorina Chase nell’ufficio esterno. – Oh, scusa papà, sei occupato. Oh, ma perbacco, guarda chi c’è qui!

– Bob! – gridò la signora Jordan. – Ah, briccone! Speravo proprio di vederti. Come stai?

– Splendidamente. E lei, e suo figlio?

– Bene. Però hai impiegato troppo a far colazione, ti sei perduto una bella ragazza.

– No che non l’ho perduta. Non l’ho perduta se intende Evelyn Madden. L’ho vista qui sotto quando sono arrivato. Parlava con uno dei granduchi in esilio che impieghiamo per accogliere i clienti. Non mi sono fermato... è ormai storia vecchia. Per tutta la settimana non ho fatto altro che incontrarla.

– Mi è sembrata molto affascinante.

– È un iceberg. B-r-r. Quando ci si avvicina, si sente spirare la tramontana. Credo che le venga spontaneo. Per le scale ho incontrato il grande P.J. in persona.

– Che sciocchezza. Non hai mai sperimentato su di lei il tuo sorriso?

– Ci ho provato. Badi bene, niente di speciale. La solita roba. Ma, senti, senti, non vorrà coinvolgermi in quella vecchia istituzione superata che si chiama matrimonio?

– Ti farebbe bene. Farebbe bene a tutti i giovanotti.

– Per che cosa?

– Come incentivo. Qualcosa che spinga a ottenere il meglio dalla vita.

Bob Eden rise. – Mi ascolti, cara signora. Quando la nebbia arriva a folate dal Golden Gate e in O’Farrel Street si accendono i fanali... ebbene, desidero che nessun incentivo mi intralci il passo. Poi, le ragazze non sono più quelle di una volta.

– Figuriamoci! Sono assai più carine. Sono i giovanotti di adesso che sono sciocchi. Alec, io vado.

– Ti farò avere mie notizie giovedì – disse Eden senior. – Comunque, mi dispiace di non aver potuto ottenere di più.

– È già tanto così – ribattè lei. – Ne sono contenta. – Le si riempirono gli occhi di lacrime. – Il mio caro papà si sta ancora prendendo cura di me – aggiunse, e uscì in tutta fretta.

Eden si rivolse al figlio. – A quanto pare non hai ancora cominciato a lavorare per il giornale.

– Ancora no. – Il ragazzo si accese una sigaretta. – Tutti gli editori mi vogliono, naturalmente, mi danno la caccia. Ma me li sono scrollati di dosso.

– Beh, tienili lontani ancora un po’. Mi serve che tu sia libero

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