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Lola
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E-book422 pagine6 ore

Lola

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Info su questo ebook

Esplosivo come Uomini che odiano le donne
Geniale come Breaking Bad

Un grande thriller

La Crenshaw Six è una gang di Los Angeles in forte ascesa, recentemente coinvolta in una guerra tra cartelli della droga rivali. Sembra che i componenti della Crenshaw Six siano guidati da un uomo di nome Garcia… nessuno sospetta che il vero leader della banda (e la loro arma segreta) è la fidanzata di Garcia, una giovane e brillante donna di nome Lola. Lola ha imparato a recitare il ruolo della fidanzata sottomessa, e nell’ambiente maschilista dove si muove si sente costantemente sottovalutata. Ma in verità lei è molto, molto più intelligente – e per molti versi più feroce e spietata – di qualsiasi uomo, e dato che la banda è sempre più coinvolta in situazioni ad alto rischio di violenza e brutali tradimenti, le sue abilità e la sua possibile leadership diventano l’unica speranza di sopravvivenza. Lola segna l’esordio di una nuova eccezionale scrittrice di thriller, e la nascita di un personaggio come non se n’erano ancora visti nel mondo della narrativa contemporanea.

Tra Millennium Trilogy e Breaking Bad

Una pericolosa gang
Una ragazza che diventerà presto leader

Lola è un personaggio inedito nella narrativa contemporanea

«Incredibile… Questo potente romanzo è al tempo stesso un thriller costruito con intelligenza, una riflessione sui meccanismi di violenza e dipendenza e sull’atteggiamento di fronte alle donne in posizioni di potere. Il tutto narrato con una scrittura originale e suggestiva e un forte senso della trama. Melissa Scrivner Love ha creato un’antieroina realistica e convincente che suscita timore, rispetto e adorazione in egual misura.»
Publishers Weekly

«Il personaggio di Lola è modellato alla perfezione. Un thriller pieno di grinta e di ritmo, sullo sfondo di una commovente storia di assoluzione.»
Booklist

«È arrivata la perfetta erede di Lisbeth Salander e Walter White.»
Kirkus Reviews

«Lola è una storia cruda, buia e claustrofobica, ma anche potente e commovente. La prosa è superlativa e il ritmo incalzante. Era molto tempo che non entravo così dentro la psicologia del personaggio di un romanzo.»
Gilly Macmillan, autrice dei bestseller 9 giorni e La ragazza perfetta

«Non ho mai letto niente di simile: Lola è un romanzo magico. Il mio telefono è pieno zeppo di screenshot di frasi bellissime e intense. Melissa Scrivner Love è piena di talento e stile. Un libro indimenticabile.»
Caroline Kepnes

«Quello di Melissa Scrivner Love è un esordio eccezionale che mi ha trascinata dentro la storia andando dritto al cuore. Mi sono innamorata della feroce bellezza della protagonista, così spietata e determinata, ma anche della sua capacità di essere profondamente fedele. Non perdetevi questa giostra di emozioni.»
Joshilyn Jackson, autrice bestseller del New York Times
Melissa Scrivner Love
Nasce da un padre poliziotto e una madre stenografa in tribunale. Dopo aver conseguito un master in Letteratura inglese alla New York University, si è trasferita a Los Angeles, dove ha vissuto per oltre un decennio. Durante questo periodo, ha scritto per diversi programmi televisivi di successo. Nel 2014 lei e suo marito, un commediografo losangelino, hanno avuto la loro primogenita. Lola è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2017
ISBN9788822705020
Lola
Autore

Melissa Scrivner Love

Melissa Scrivner Love was born to a police officer father and a court stenographer mother. After earning a master's degree in English Literature from New York University, Melissa moved to Los Angeles, where she has lived for over a decade. She is an Edgar Award-nominated screenwriter who has written for television shows, among them Life, CSI: Miami and Person of Interest. Lola is her first novel.

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    Anteprima del libro

    Lola - Melissa Scrivner Love

    1487

    Titolo originale: Lola

    Copyright © 2017 by Melissa Scrivner Love

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Marco Bisanti

    Prima edizione ebook: aprile 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0502-0

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Melissa Scrivner Love

    Lola

    Newton Compton editori

    Indice

    Uno. Fuoco

    Due. Svolta

    Tre. Investimento

    Quattro. Fratello

    Cinque. Dio ride

    Sei. La ragazza di Darrel

    Sette. Frittura

    Otto. Intimità

    Nove. Piccole vittorie

    Dieci. Due piccioni, una fava

    Undici. La prediletta

    Dodici. Qualsiasi cosa

    Tredici. Pacific

    Quattordici. Westside

    Quindici. Fratellanza

    Sedici. La strippata

    Diciassette. Fare nomi

    Diciotto. Mamacita

    Diciannove. Arringa iniziale

    Venti. Fiamme

    Ventuno. L’infiltrata

    Ventidue. L’offerta

    Ventitré. Madri

    Ventiquattro. Piedi per terra

    Venticinque. Collegamenti mancanti

    Ventisei. Impreparata

    Ventisette. Variabile

    Ventotto. Ferocia

    Ventinove. Il verdetto

    Trenta. La sentenza

    Trentuno. Patteggiamento

    Trentadue. Taglio

    Trentatré . In cattedra

    Trentaquattro. Piani strafatti

    Trentacinque. Bellezza

    Trentasei. Il dragone

    Trentasette. Siringa

    Trentotto. Nuovi orizzonti

    Ringraziamenti

    A David, Leah e Clementine

    Uno

    Fuoco

    Lola sta in fondo al giardino trascurato nel cortile sul retro della casa in cui vive con Garcia. Lui gestisce la griglia, armato di pinze arrugginite e Corona con spicchio di lime, attorniato da un gruppetto di maschi coi bicipiti scoperti imperlati di sudore, tatuaggi Crenshaw Six in bella mostra e uniforme d’ordinanza, canotta e pantaloni cargo strappati. Se fosse sola con Garcia, gli darebbe il cambio sulla carne fumante ma, nel pomeriggio che muta la luce di Huntington Park in ombra, Lola sta alla larga dal fuoco. In questo momento il suo posto è al centro di un gruppo di femmine che allungano il collo al primo cinguettio stridulo degno di chiacchiera, tutte in piedi con il fianco all’insù come se da un momento all’altro qualcuno potesse piazzarci sopra un bambino addormentato.

    Kim parla più forte di tutte, la sua voce nel bicchiere sottile è un tintinnio di monetine.

    «Quelle chicas gli ronzano intorno come se non sapessimo a che gioco stanno giocando. Fossi in te, Lola, direi a quella troia di stare alla larga dal mio uomo».

    Lola adocchia una ragazzina, diciassette anni al massimo, che sculetta troppo vicino ai maschi, soprattutto a Garcia. Come biasimarla? Tutto il quartiere sa che mestiere ha scelto Garcia.

    A Huntington Park, ghetto nella periferia di Los Angeles a est di South Central, una brava persona ha due opzioni: prendere i soldi dei bianchi lavorando in nero nei parchi del Westside, oppure sudare dodici ore al giorno in una fabbrica del Vernon. Gli operai fortunati vanno alla Sara Lee; agli altri sfigati tocca lo smaltimento dei rifiuti animali, stipati negli impianti ad azionare macchine di metallo scintillante che squagliano grassi e rimasugli di ossa.

    Garcia non si guadagna da vivere in nessuno dei due modi: lui non è una brava persona. È il capo della Crenshaw Six. Tutti qui al barbecue conoscono a memoria le strade controllate dalla banda, dalla casa di riposo tra la Gage e la State alla scuola media che affaccia sulla Marconi. Nessuno, però, è disposto a rinunciare a una buona costata di manzo e a una Corona fredda per qualche scrupolo morale. Nei ghetti di Los Angeles lo spaccio di droga è una scelta comprensibile, se non rispettabile addirittura, e i membri della Crenshaw Six hanno regole precise: non vendere ai bambini, non adescare i vecchi se non stanno male. Il codice della gang tranquillizza la comunità e tutti convivono in pace, chi ha scelto la legalità e chi sopravvive commettendo reati. A tutti piacciono le costate, aveva detto Lola a Garcia quando le era venuto in mente di organizzare una festa.

    Garcia non voleva farla a casa sua questa grigliata, era stanco per il lavoro. Gli affari vanno bene, anche se per scaramanzia nessuno di loro userebbe mai quell’espressione, per paura di ritrovarsi col culo per terra. La piccola fetta di South Central che a Los Angeles è sotto il loro controllo – almeno, così pensano loro, pur avendo perso di recente il confine est – con le sue lavanderie a gettoni nei centri commerciali, le taquerias unte dei messicani e le enormi vetrine degli uffici per le cauzioni, non è certo Wall Street. Qui non ci sono seconde occasioni, se cadi non ti rialzi. Nessuno ha il tempo di rifarsi. Qui la gente non va in vacanza al minimo della pena nei resort dei colletti bianchi: si becca una pallottola in testa, vittima delle circostanze o mero danno collaterale. Le storie di successo sono pochissime e non durano mai.

    Lola però aveva detto a Garcia che dovevano attingere un po’ di soldi extra dalle loro riserve per far passare ai vicini un buon quarto d’ora. Come fossero gente normale che ha avuto un colpo di fortuna e spaccia cibo e birra gratis, crea un’atmosfera amichevole e coltiva lo spirito di comunità. A Garcia non era servita alcuna opera di convincimento, aveva alzato le spalle e detto: «La carne la prendo io».

    Ora, davanti alla ragazzina che fa la radiografia al suo uomo, Lola non saprebbe dire cosa prova. Qualcuno vuole quello che ha lei. A parte un’occhiata a tette e culo, Garcia la ignora. Gli altri maschi pure, le calcolano le misure, approvano e poi continuano a parlare probabilmente di affari, anche se l’udito di Lola non arriva oltre il cerchio delle donne che blaterano su chi ha preso qualche chilo e sui rialzi di prezzo degli estetisti di zona.

    Lei si mostra d’accordo – non tornerà più da Oasis Nails – e continua a guardare i maschi. Jorge, un criminale rubicondo in jeans larghi e berretto alla rovescia, scrive un messaggio con uno degli iPhone craccati della Crenshaw Six: non connettendosi a nessuna rete principale, con quel telefono può parlare liberamente. Marcos, un tipo magro, un osso indurito dalla vita con gli occhi neri scavati, ruba una costata mezza cruda dalla griglia e la azzanna coi denti aguzzi. Ai suoi piedi c’è Valentine, la pitbull che Lola ha sottratto un anno fa a un ring da combattimento, in attesa che cada a terra un pezzo di carne. Il cane, la cucciolotta di Lola, è l’unica femmina autorizzata a stare vicino alla griglia. Valentine deve vedere Marcos come un estraneo: è il solo membro della Crenshaw Six che si è fatto sei anni di prigione federale, l’hanno arrestato il giorno del suo diciottesimo compleanno. Marcos è depresso da tre anni. Però se c’è cibo mangia, se c’è una poltrona dorme, se gli si presenta una tipa, come quella ragazza adesso, alla fine scopa. Secondo lei, in questo momento sta dando la precedenza al cibo perché, come gli altri del gruppo, sa che la ragazza sarà sempre pronta, quando lui deciderà di conoscerla. Le bistecche, comunque, spariranno nelle bocche fameliche degli invitati appena Garcia le trasferirà dalla griglia al vassoio.

    Lola vuole prendere in disparte la giovane cacciatrice e dirle che se vuole provare a scoparsi uno di quei criminali, bene, ma sfilare avanti e indietro come un’aspirante modella del ghetto in passerella non è il modo giusto.

    «La tipa ci prova col capo», interviene Kim che la sorprende a guardare la scena.

    «Figurati», minimizza Lola.

    «Dico solo che c’è già cascato una volta», insiste Kim, visto che prima di appartenere a Lola, Garcia era suo. «Se ci fosse Carlos, ci proverebbe anche con lui. Le oche come quella vogliono sempre l’uomo al comando».

    Su tutte le altre ragazze cala il gelo, perché le parole di Kim vogliono ferire Lola, che in poco tempo si è messa con due capibanda uno dopo l’altro. A lei viene solo un piccolo tuffo al cuore pensando a Carlos, fratello maggiore di Kim e capo della Crenshaw Six prima che fosse ucciso tre anni fa. All’epoca, Carlos era l’uomo di Lola e Garcia quello di Kim. La Crenshaw Six era la Crenshaw Four: c’erano solo Carlos, Garcia, Jorges e Marcos. Sotto il regno di Carlos la banda non controllava nessuna strada, attaccava solo briga con le altre gang sui merdosi tavoli dei bar dove tagliavano coca ed eroina. Di certo nessuno si era stupito quando Carlos si era preso una pallottola in testa ed era stato scaricato nell’Angeles National Forest insieme a un’altra marea di corpi di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza.

    A Kim però manca Carlos, ogni mese chiama la polizia per avere notizie sul suo caso ancora irrisolto. A Lola fa una gran pena. Carlos aveva carattere, era sempre allegro e amato da tutto il quartiere, Lola compresa. A quanto pare, però, Kim è l’unica a non capire che la polizia non muoverà un dito per trovare l’assassino di un Robin Hood abbronzato del ghetto.

    «Se c’era Carlos, lasciava bruciare tutta la carne per andare a parlare con chiunque», dice ora Lola alimentando la tensione e suscitando i risolini isterici delle signore del quartiere.

    «O per mangiare la mia torta al cioccolato», si pavoneggia Kim, non perdendo mai occasione di tirare in ballo l’unica ricetta per cui è famosa in tutti e venti gli isolati di Los Angeles che compongono la loro zona.

    «L’hai fatta anche oggi, Kim?», domanda una vicina.

    «Ci puoi scommettere», risponde Kim a un coro squillante di stupendo e cazzo, sì. Kim parla del dessert che ha portato al barbecue con la stessa foga usata prima per parlare della tipa che ci prova con Garcia. «Non è buona come quella di Lola», aggiunge, come se fare la migliore torta al cioccolato della zona fosse tutto quello che serve a Lola per vivere felice nel giardino dell’Eden rionale che ha sul retro di casa.

    Le ragazze fanno degli strani mugugni, tutte combattute tra la protesta e l’assenso. Non vogliono insultare nessuna delle due, ma sanno che la torta più buona è quella di Kim.

    «Io uso sempre la tua ricetta», puntualizza Lola appianando la vertenza.

    «Oh». Kim diventa rossa o forse si è solo truccata più del giusto. «Be’, tu hai di meglio da fare. Il college, no?».

    Prima che morisse Carlos, Lola frequentava due corsi serali all’East Los Angeles Community College. Da allora, pur avendo mollato gli studi dopo l’omicidio del suo ex ragazzo, per tutti è diventata la collegiale, il che non è per forza un complimento. A Huntington Park, collegiale significa che Lola osa volere di più. Nessuna di queste ragazze ha la minima idea di cosa faccia tutto il giorno. Lola se ne frega. Anzi, adora la periferia, dove può agire senza farsi notare.

    «Dev’essere per questo che non c’eri mai quando si doveva levare l’erbaccia dall’aiuola», continua Kim indicando con le unghie finte rosso sangue un angolo fetido del giardino che Lola non si è mai scomodata di curare.

    «Di quello si occupava Carlos», le risponde perché, quando era ancora vivo, il giardino di questa casa in affitto era sempre pieno di girasoli. Garcia non sa interrare i semi e Lola non sa badare alle piante, così tutti e due tosano l’erba e per la maggior parte del tempo se ne stanno sul cemento che circonda il retro della casa.

    «Già», concorda Kim. «Garcia è negato per il giardinaggio, uccide qualsiasi cosa verde gli capiti a tiro», spiega ricordando a tutte che un tempo lei viveva con l’uomo di Lola.

    Lola dà un’altra occhiata a Garcia e stavolta si accorge che la sta guardando anche lui. Si sorridono e lo fanno in modo semplice, ancora timido, pur stando insieme già da tre anni. Lei si chiede se una tragedia potrà mai cambiare quello che prova per lui. Si chiede quando verranno messi alla prova, se verrà mai il giorno in cui si guarderanno e penseranno: Chi è la persona che credevo di conoscere?.

    «Allora?». Lola riconosce l’inconfondibile tono beffardo del fratello minore, Hector, tornato dalla cucina con un barattolo di sale e un sacchetto di lime. Per la carne e la birra vanno bene entrambe le cose, ma la domanda è senza dubbio riferita alla ragazza del ghetto.

    «Niente. Ho fame», bisbiglia lei.

    Gli altri maschi distribuiscono a Hector pesanti manate e grugniti di approvazione. È uno di loro, cosa a cui lei si è dovuta rassegnare già da un anno. Hector è il suo fratellino da quando lei aveva otto anni e a Maria Vasquez venne la nausea perché era incinta di uno dei tanti sconosciuti che bazzicavano casa loro ogni due settimane. Nessuno sa chi sia il padre di Hector, e va bene così. È suo fratello, anche se non hanno lo stesso padre. Lola di suo padre conosce solo il nome – Enrique – ma da quando è scappato, due mesi dopo la sua nascita, va ripetendosi che non le importa tanto da ricordarne il cognome.

    Ormai spera solo che il diciottenne Hector si sistemi con una ragazza del quartiere, una coetanea, una che non lo faccia allontanare troppo da lei. A un tratto, si accorge che il fratellino le lancia un’occhiata come per accertarsi che lo stia guardando, e lei capisce che fa il cascamorto solo per finta. Hector ha una ragazza dalla parte sbagliata della città, e sa che lei non approva. Così ora cerca di consolarla a modo suo, flirtando con questa racchia del quartiere. Capirlo è irritante e commovente allo stesso tempo.

    «Tuo fratello sta facendo la pantomima», sottolinea Kim.

    A Lola va bene che Kim pianga sull’aiuola di Carlos e ricordi al vicinato che un tempo il suo uomo scopava con lei. Basta che non faccia commenti sul suo fratellino però, stabilisce tutta rossa in faccia. Le serve una via di fuga.

    Adocchia gli Amaro, la coppia sposata che ciondola a testa bassa oltre la recinzione del giardino. Persone di mezz’età, che qui significa sulla quarantina, pelle a grinze di patatina e occhi troppo scavati sulle facce. Sono invecchiati prima del tempo, direbbe la gente che non vive a South Central. Qui invece è semplicemente quello che sono.

    «Vado a salutare gli Amaro», si scusa con Kim e le altre ragazze.

    «Tacos», la saluta Juan Amaro mentre, con perfetto tempismo, la moglie Juanita alza una grande teglia di alluminio. Gestiscono una bottega di alimentari e un chiosco di tacos, riforniti sottocosto da un losco e lontano cugino. Chiunque altro si fermerebbe ad aspettare di riavere il piatto portato da casa solo dopo averlo fatto immergere da Lola nella saponata calda a inquinarsi con le croste di formaggio e altri rimasugli staccatisi dalle tante pirofile dei vicini, ma gli Amaro possono scappare anche subito.

    Lola allunga la mano sui tacos e li accoglie con un sorriso.

    «Pollo, manzo e maiale. Oggi il pesce non era buono», dice Juanita Amaro con un filo di voce, come a scusarsi.

    «Figurati, con tutto quello che c’è», minimizza lei.

    «Dille di non preoccuparsi», suggerisce piano Juan, umiliando la moglie che abbassa ancora la testa e si guarda i piedi. Vivono tutti a pochi chilometri dal Pacifico, ma è come se stessero all’altro capo del mondo: la roba buona finisce nel Westside, dove ogni giorno i famosi chef di Venice, Santa Monica e Malibù si prendono il meglio del pescato.

    «Li porto in cucina», dice Lola, prima di notare un’ombra accanto all’orlo della gonna di Juanita Amaro. Dietro la stoffa sbucano un paio di occhioni marroni, ed ecco la nipotina degli Amaro. Non ricorda come si chiami, l’ha vista solo un paio di volte appollaiata su uno sgabello in un angolo della bottega dei nonni presa a battere sui tasti di una vecchissima calcolatrice.

    «Lucy, saluta la padrona di casa». Juanita spinge in avanti la nipote, ma Lucy si aggrappa alla gonna di cotone della donna.

    Lucy. Ecco come si chiama. Lucy è la bambina della figlia tossica degli Amaro, Rosie, riapparsa a Huntington Park appena un mese fa con Lucy al seguito, dopo anni passati a Bakersfield a fare dio sa cosa per comprarsi la roba.

    Sulle guance e sulla fronte di Lucy c’è una cosa appiccicosa che potrebbe essere sudore, latte vecchio o resti del pranzo. Qualcuno si è preso la briga di pulire in fretta e furia la piccola, ma l’ha fatto così male che è servito solo a uniformare lo strato compatto di quella roba collosa che ha spalmata ovunque sulle guance e su quel nasino a patata.

    «Hola, Lucy», abbozza lei. Non sa se la piccola preferisca l’inglese o lo spagnolo.

    Lucy alza la testa e la fissa.

    «Lucy, che dici?». Juanita sprona la nipotina stringendole la spalla con le dita ossute della mano secca.

    A Lola non piace vedere la zampa di Juanita Amaro che affonda nella spalla della nipote per stimolarla a stare attenta o fare la simpatica, perciò gira la testa e fa un cenno verso casa. «Vuoi aiutarmi in cucina?».

    Lucy guarda la nonna, non sa come rispondere.

    «Certo che ti aiuta», dice Juanita spingendo Lucy in avanti con un dito della zampa, verso Lola.

    «Sì», ripete Lucy alzando la voce ma senza fermare il rumore della festa quando, seguendo i passi di Lola, si fa strada tra la folla e l’erbaccia del prato che spicca dalla spazzatura ormai asciutta, nel cortile di una famiglia senza giardiniere, in un quartiere dove però ne vivono tantissimi.

    In cucina ci sono altre donne che si danno un gran da fare, più grandi di quelle radunate fuori con la vodka al mirtillo e le unghie finte rosso sangue. Lì dentro sono più cicciottelle dal culo all’orecchino. Parlano solo spagnolo, come fosse un codice segreto che Lola e le altre ragazze più giovani non capiscono.

    «No, era la cugina della madre dell’ex-ragazza…», sente dire a una di loro.

    «La figlia di Lottie?»

    «No, Lottie era già morta. Ricordi suo marito? Quello con l’alluce a martello?»

    «Ohhhhh…». La memoria collettiva riempie all’unisono la piccola cucina dove i corpi materni si sfiorano anca per anca. La loro sinfonia è fatta di voci più basse di quella prodotta dalle donne più giovani fuori. È una cacofonia di sigarette, scopate e famiglie pluridecennali, seguita ora dallo scatto dello sportello arrugginito del forno di Lola, appena aperto da una matrona che libera una nuvola rovente e profumata di formaggio fuso, chiusa in una pirofila di porcellana, anche quella di Lola. Le donne la ignorano, nonostante sia la sua cucina. L’hanno convertita ai loro scopi senza dare spiegazioni né chiedere alcun permesso per usare gli elettrodomestici o le stoviglie.

    Sa che l’hanno fatto perché pensano di sapere usare tutto meglio di lei. E hanno ragione.

    «Lola», cinguetta un’altra signora. Veronica, madre della sua più cara amica, si avvicina con un tovagliolo di carta umido.

    «A che ti serve?», chiede.

    «Rossetto», spiega Veronica.

    «Quale rossetto?».

    Veronica le stampa il rosa scuro delle sue labbra dandole un bacio e poi tampona la macchia fresca sulla guancia. Fa una risata squillante che riempie la stanza scaldandola più di quanto non faccia da solo il forno aperto.

    «Veronica», le dice a bassa voce. La donna però coglie il tono di rimprovero e se la prende: Lola non deve parlare a Veronica in quel modo, è più grande di lei.

    Così, la padrona di casa cambia argomento. «Dov’è la torta al cioccolato di Kim? Ce la chiedono tutti».

    «Kim ha fatto la torta?», domanda Veronica. «Credevo ci pensassi tu».

    Il silenzio nella stanza ora è tale che Lola sente la perdita del rubinetto che Garcia ha promesso di aggiustare. Le culone si sono girate tutte a guardarla e aspettano la risposta.

    «Ho avuto altro da fare», ammette lei. «Ma i ragazzi la vogliono».

    La stanza riprende vita all’istante e, con o senza anelli, le dita si torcono tutte con uno scopo: trovare la torta di Kim, dov’è la torta di Kim, i maschi la vogliono. Lola non distingue più le parole, sente solo voci, brontolii, esitazioni e domande. In mezzo a quei corpi caldi allunga le mani verso Lucy, afferrando la piccola che sbadiglia nel caldo soffocante del forno.

    «Sei stanca?», le chiede.

    Lucy prova a reprimere un secondo sbadiglio e scuote la testa. Lola però si accorge dell’occhiata fulminea che ha lanciato fuori, verso il gruppetto di maschi che circondano la griglia fumante.

    Così pensa a sua madre, tossica pure lei, e agli uomini che le ha presentato, alle cose che ha dovuto fare per questi uomini di notte per fare avere a Maria Vasquez la sua dose. Lola pensa a tutto il sonno che le è mancato perdendo l’innocenza.

    Così si china all’altezza della piccola Lucy e le parla senza farsi sentire dalle altre. «Hai paura di quegli uomini fuori?».

    Lucy tentenna e Lola si tiene a distanza, senza sfiorarla, ma restando giù accanto a lei. Dopo qualche secondo, Lucy annuisce.

    «Ho capito», dice Lola. «Vuoi un posto sicuro per dormire?».

    Lucy la fissa negli occhi leccandosi i baffi: vorrebbe dire sì.

    «Ti faccio vedere come si chiude a chiave la porta. Se vuoi puoi seguirmi, sennò resta qui. Non me la prendo».

    Lola si tira su, piano, per non spaventarla. Lascia la cucina e va in fondo allo stretto corridoio in cui tre porte si aprono cigolando su altrettante stanze da letto.

    La camera in cui entra Lola è tutta bianca, pareti bianche, ventilatore a soffitto bianco, condizionatore ronzante bianco con filtro oltre la finestra con le sbarre bianche. Nemmeno Lola sa a chi è destinata: ospiti? Nessuno verrà mai a stare con lei e Garcia. Questa camera è una sorta di ricovero, uno di quelli in cui i pazienti cercano di ripulirsi dai brutti pensieri. Forse è perfetta per Lucy, che sembra non aver chiuso occhio la notte prima. Lola spera che a tenerla sveglia siano stati solo i rumori della madre che si bucava nella stanza accanto, ma il modo in cui Lucy guardava gli uomini in giardino le suggerisce qualcosa di più funesto.

    Smette di pensare. È inutile. Lei non è la madre di Lucy. Non può fare niente per salvare questa bambina.

    Sente scricchiolare il pavimento, si gira e trova la piccola che guarda la serratura della porta bianca.

    «Ecco», le dice allora. «Ti faccio vedere».

    Lola aiuta Lucy a esercitarsi con la serratura. «Destra-chiudi, sinistra-schiudi», ripete a Lucy, che chiude a destra e apre a sinistra. Non ricorda dove ha imparato quel detto, ma le piace condividerlo con Lucy ora. Magari non potrà salvare questa bambina, ma può regalarle un’ora di tregua in questa camera bianca, quindi lo fa. Abbassa le tapparelle impolverate. Spegne le luci, anche se fuori il sole basso è ancora troppo luminoso e il cielo striato di ombre ancora troppo azzurro. Lucy ha bisogno di toni smorzati: grigio e bianco. Lola vorrebbe avere un orsacchiotto da farle stringere. In ogni caso, se la bambina sta passando quello che pensa Lola, una camera chiusa a chiave la farà stare meglio di qualunque orsacchiotto.

    Chiude la porta della stanza e aspetta in corridoio finché non sente i passi dei piedini e poi lo scatto della serratura. Le pareti sono così sottili che sente Lucy piangere mentre si infila sotto le lenzuola pulite.

    Aspetterà davanti alla porta finché la piccola non si sarà addormentata per bene. Le voci delle donne in cucina si riducono a un ronzio. La luce cangiante dell’esterno sposta le ombre dentro casa. Nessuno la cercherà qui.

    Il colpo secco con cui bussano alla porta d’ingresso interrompe quella tregua dalla festa. Il chiacchiericcio delle donne in cucina si spegne all’improvviso come una televisione a tutto volume a cui staccano la spina.

    Gli unici che bussano alle porte di casa in questo quartiere sono gli sbirri, che hanno sostituito la violenza dell’ariete con quella delle cattive notizie.

    Dal corridoio, Lola riesce a sbirciare fuori dalla finestrella quadrata della stanza padronale che affaccia sul giardino dietro casa. Garcia continua a bruciacchiare la carne ostentando lo stesso sorriso che sfoggiava mezz’ora fa. Nessuno là fuori ha sentito bussare. Sono ancora tutti immersi nell’atmosfera della festa.

    Quando Lola apre la porta, il respiro le si blocca nella piccola grotta del suo petto. L’uomo che ha di fronte non è un poliziotto. È messicano, non messicano americano, come tutti quelli che stanno là. Indossa un completo elegante e stivali con la punta rinforzata. Lola lo studia e gli cerca in faccia almeno una goccia di sudore, ma non ne trova neanche una. Non l’ha mai incontrato, ma sa come si chiama. Tutti nel quartiere lo sanno. Lo chiamano El Coleccionista, il Collezionista.

    «Hola», dice piegando una caviglia dietro al polpaccio e abbassando un po’ il mento per fare la stupida. Per fortuna Lola ha passato i primi ventitré anni della sua vita, prima di conoscere Garcia, a cercare il modo giusto per non fare sentire gli uomini minacciati dalla sua presenza. È una dote che le è servita molto più di quanto potrà mai fare qualunque ricetta per la torta al cioccolato.

    «Garcia», dice El Coleccionista.

    «Sul retro», gli risponde pensando di prendere tempo con la scusa di fargli fare un giro della casa che finisca nella camera principale, dove lei potrà fare un cenno al suo uomo.

    Ma El Coleccionista non aspetta l’invito. Fa un passo avanti e Lola si scosta, non riuscendo a incastrare il pollo che il suo ospite si è rifiutato di impersonare.

    Allora lo segue in cucina, dove le anziane ammutoliscono non essendo tanto brave a fare le stupide. Anche loro sanno chi è quest’uomo e sono troppo sbalordite di vederlo lì, contro il giallo scrostato e l’abbagliante fluorescenza della cucina di Lola, per fingere di non conoscerlo. Lola sente solo l’alito della cappa sui fornelli che rimanda in circolo l’aria e il rumore degli stivali del boss di Garcia sul linoleum pulito ma scollato agli angoli.

    L’uomo che la sta cercando, e ora le sta tanto vicino da farle sentire l’odore dell’ultima mentina che ha mangiato, una volta ha guidato l’irruzione della banda del cartello in una piccola città del Messico, eliminando in meno di venti minuti dozzine di civili – medici, avvocati, poliziotti, casalinghe, bambini, criminali – e tutto perché un abitante del posto aveva dato rifugio a uno che aveva denunciato il cartello dei Los Liones. El Coleccionista ha risparmiato il fuggitivo, quello della denuncia, solo per legarlo il giorno dopo a quattro Honda Civic e farlo a pezzi tirando i cavi attaccati alle auto. La piccola auto poteva anche smembrarlo in meno tempo di quello speso dal cartello per falcidiare dozzine di potenziali testimoni tra i vicini innocenti. Ma El Coleccionista si è assicurato che ci mettesse mezz’ora a morire per registrare le sue urla.

    Il giorno in cui hanno iniziato a lavorare insieme, El Coleccionista ha consegnato a Garcia una copia di quella morte registrata: un avvertimento preventivo. La Crenshaw Six poteva spacciare nelle sei strade di Huntington Park la roba del cartello, e il cartello ci avrebbe fatto rientrare anche qualche strada extra per tenerseli buoni, ma era meglio che loro dessero al cartello una bella fetta della torta. Senza fare cazzate.

    Deve avvertire Garcia. Gli stivali di El Coleccionista battono sul pavimento della cucina a ritmo lento. Lola lo semina tuffandosi in mezzo ai prosperosi corpi femminili che puzzano di profumo e brillantina allungando la strada per il giardino, dalla lavanderia, dove si sentono i boxer di Garcia centrifugare nell’asciugatrice. Dopo aver fatto il giro della casa si ferma, col fiato corto, e Garcia la guarda in faccia. C’è lui, gli dice muovendo solo le labbra, e Garcia è l’unico a vederla.

    Gli altri si sono girati tutti a guardare El Coleccionista che scende i gradini di cemento uscendo dalla porta della cucina, senza mai spezzare il ritmo della sua camminata. Uno, due, uno, due.

    Sull’intero cortile cala il silenzio, i vicini stanno immobili. Un uccello fischia chissà dove e qualcuno, a due isolati di distanza, avvia il suo catorcio facendo scoppiare la marmitta. Nessuno salta in aria. Fissano tutti El Coleccionista. Ciascuno l’ha visto solo in foto, o lo riconosce dal vestito. Nessuno qui si veste in quel modo.

    «Garcia», dice El Coleccionista. Lola non può giudicarne l’accento, perché questa è solo la seconda volta che lo sente parlare.

    Garcia passa la sua birra a Lola che si è spostata in un angolo, dietro la sua spalla destra. È il suo posto. Un rifugio automatico. La birra suda: non la stava bevendo. Non beve mai troppo, e la birra non gli è mai piaciuta. Finora ha fatto solo finta di giocare alla famiglia modello. Come lei.

    Spera che il boss di Garcia non sia venuto a ucciderli tutti. Però non ha paura. Il delinquente messicano vuole solo che la signorina si spaventi, così lei si cala nella parte, prende la birra di Garcia e si assicura di non incrociare mai lo sguardo del boss. In realtà, conosce il suo segreto: El Coleccionista è un intermediario.

    Vorrebbe solo che i Los Liones avessero mandato qualcuno più in alto di lui. El Coleccionista distribuisce messaggi e punizioni. Non è lui che ordina di sparare.

    «Dentro», dice El Coleccionista. Un po’ di accento ce l’ha. Lola parla inglese e spagnolo senza alcun accento. Mentre Garcia segue l’uomo dentro casa, lei si consola con questo pensiero. Le anziane cicciotte nel frattempo si disperdono sul linoleum datato e irrompono tutte in giardino continuando a torcersi le mani, come galline in fuga da un pollaio pieno di volpi.

    Dopo l’assassinio di Carlos, tre anni fa, la Crenshaw Six è passata dalle rapine a mano armata, senza il vero controllo di un territorio, allo stato effettivo di gang attiva in sei strade che nessun altro avrebbe sfiorato per la loro vicinanza a scuole, stazioni di polizia e case di cura. Probabilmente la merce spacciata dalla Crenshaw Six è sempre stata del cartello, ma fino a poco tempo fa la banda era ancora troppo in basso nella gerarchia per conoscere qualcos’altro oltre all’identità dello sfigato faccendiere che faceva da intermediario, Benny, che ovunque andasse si portava dietro una pistola scarica e un tic all’occhio.

    Poi, due mesi fa, El Coleccionista è venuto a cercare Garcia, piccolo spacciatore di South Central, perché la polizia di Los Angeles aveva sequestrato uno dei depositi di Darrel King. Il cartello non voleva interrompere la distribuzione della merce ai suoi clienti affezionati, cosa impossibile da garantire con Darrel, il loro spacciatore più redditizio, fuori servizio. Garcia se la sentiva di fare la sua parte e accollarsi qualche strada in più per continuare a rifornire il quartiere di eroina di qualità?

    Era la svolta perfetta per la Crenshaw Six. Forse El Coleccionista è passato stasera per fargli sapere in via del tutto amichevole come è stato giudicato il suo lavoro. Lola, però, sa che non è così. Garcia si è attenuto alle richieste del cartello facendo vendere ai soldati della Crenshaw Six quella merce solo sulle strade in più che gli hanno dato i Los Liones. Pur considerando il territorio così allargato, la Crenshaw Six controlla solo un frammento molecolare degli oltre ottanta chilometri quadrati che compongono la torta di South Central in mano a Darrel, l’intermediario dei Los Liones. Garcia ha seguito i principi della Crenshaw Six, incluso il divieto di vendere ai bambini, oltre all’unica raccomandazione del cartello: fare soldi. Non ha mai tramato per prendersi più potere. Ha lavorato sodo e a testa bassa, e questo la riempie di quello che gli altri chiamano orgoglio.

    Quando gli invitati iniziano a mormorare, sputare e ingollare altro alcol con le facce pallide e le bocche cucite, Lola è certa di sapere cos’è venuto a fare El Coleccionista.

    Due

    Svolta

    Lola sente le voci dei maschi dall’altro lato della sottile porta di legno. Nel mare indistinto di parole riesce a cogliere qualche frammento che esce di bocca a El Coleccionista. Calca sempre l’ultima sillaba di ogni frase.

    «Deposito… svuotato… scotta…».

    Gira la maniglia in finto oro senza accorgersene, prima di riuscire a bloccare quell’istinto. Per una volta lei, la femmina, non dovrebbe stare in lavanderia.

    Trova gli uomini appoggiati ai suoi elettrodomestici, El Coleccionista è il più vicino alla porta, braccia incrociate, sfiora con l’anca la sua vecchia Maytag giallo senape. Garcia gli sta di fronte, davanti all’asciugatrice color bianco sparato che non si abbina per niente al resto della stanza. Il suo uomo cerca di mostrarle rispetto. O forse si accorge solo del suo stupore nel vederla lì. Quella sfacciataggine ha sorpreso anche lei, e le viene subito in mente il detto sulla curiosità e lo zampino che ci lascia la gatta. Non che il bisogno di sapere di cosa discutono gli uomini sia solo un fatto di curiosità.

    «Vi porto qualcosa? Caffè? Torta?», domanda.

    «Caffè», dice El Coleccionista senza guardarla nemmeno.

    Bene. Ha il permesso di tornare nella stanza dove può confondersi con i fiori della carta

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