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Love for Love
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E-book354 pagine5 ore

Love for Love

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Info su questo ebook

Non avrebbe mai dovuto innamorarsi di lei

Hearts Series

Dall'autrice del bestseller Life is Love

C’è stato un tempo in cui Jensen e Mia erano inseparabili. Poi le cose sono cambiate. Jensen sa che è colpa sua, sa di aver perso Mia. No, non l’ha persa. In realtà l’ha gettata via. Lei era la sua migliore amica, la sua musa ispiratrice, l’unica che credesse in lui. Sa di averle spezzato il cuore, ma all’epoca pensava di non avere altra scelta. Ora, a distanza di anni, lui e Mia si sono ritrovati a lavorare insieme e averla davanti ogni giorno gli ricorda il motivo per cui ha perso la testa per lei. Questa volta, però, Jensen non commetterà errori: ha intenzione di fare tutto quello che è in suo potere per non lasciarla andare.

Dall’autrice bestseller di New York Times e USA Today

«Claire Contreras ci ha consegnato uno dei romanzi più romantici sul tema della seconda possibilità concessa in amore.»
Goodreads

«Amo tutti i suoi libri. Scrive con passione e in modo così emozionante che non posso fare a meno di innamorarmi delle sue storie.»
Goodreads
Claire Contreras
Inizialmente autopubblicata, è entrata nella classifica dei bestseller del «New York Times» e di «USA Today» con la sua serie Hearts, di cui la Newton Compton ha pubblicato, Life Is Love, l’ebook Love Is Forever e Love for Love. Quando non scrive, ha sempre gli occhi tra le pagine di un libro.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2017
ISBN9788822705839
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    Anteprima del libro

    Love for Love - Claire Contreras

    Prologo

    Jensen

    Non possiedo quasi nulla. Il mio appartamento è in affitto, l’automobile in leasing e frequento una palestra dove non occorre fare l’abbonamento. Ho un cuore vagabondo – la mente sempre attiva. Per me è difficile vedere una cosa e pensare che sia per sempre; anche se un tempo ho avuto un per sempre.

    L’ho lasciata andare, non perché l’amassi troppo per chiederle di rimanere, ma perché non avrei potuto sopportare il suo rifiuto. Eppure, ogni tanto mi chiedo cosa avrebbe potuto essere.

    E nulla mi tormenta più del rimpianto.

    Capitolo 1

    Mia

    Mi sono sempre chiesta cosa avrei fatto se avessi avuto la possibilità di tornare indietro nel tempo e riparare a un errore. L’avrei colta? L’avrei considerata una seconda opportunità, oppure avrei lasciato correre, perché dall’errore erano scaturite esperienze da cui avevo tratto degli insegnamenti?

    Cominciai a provare una sensazione di disagio entrando nell’edificio del mio nuovo, seppur temporaneo, lavoro. E la sensazione non mi abbandonò, rimanendo salda alle pareti dello stomaco ormai sottosopra, e riecheggiando nella mente finché non raggiunsi il ventesimo piano. Quando uscii dall’ascensore ed entrai nella lobby degli uffici della rivista, venni accolta da una brunetta tutta sorrisi che stava riorganizzando un contenitore di penne dai colori assortiti. C’era un qualcosa in lei – forse il modo in cui si muoveva, il look alla Lisa Loeb, o il sorriso accogliente – che mi fece respirare con più tranquillità.

    «Come posso aiutarla?», chiese con tono cantilenante, ruotando leggermente con la sedia.

    «Ho un appuntamento con la signora – voglio dire, con la dottoressa Zamora».

    «Fran», mi rispose. «Preferisce essere chiamata Fran. Tu sei Mia?»

    «Sì».

    La ragazza mi sorrise e mi lanciò un’occhiata veloce. «Che forte. Io sono Katie. Fammi controllare se Fran è arrivata. Accomodati».

    Sospirai, poggiando la borsa a terra e mi sedetti in una elegante sedia bianca davanti alla reception, soffermandomi a osservare gli ampi spazi, adornati da fotografie scattate da artisti che ammiravo. Per cercare di calmare l’ansia, scelsi una delle riviste sul tavolo accanto a me e cominciai a sfogliarla, cercando persino di fare ricorso al mio zen interiore, ripensando all’incredibile lezione di yoga della mattina. Nulla sembrava funzionare. Non riuscivo ad alleviare quella fastidiosa sensazione che mi portava a domandarmi "in cosa diavolo mi sono cacciata?".

    Come la volta in cui mi lasciai convincere da mio fratello gemello a farmi tagliare i capelli da lui per poter essere davvero gemelli, e finii col somigliare a Peter Pan per due mesi, mentre mia madre piangeva ogni sera quando andava a dormire. Pescai il cellulare dalla borsa e meditai se inviargli un messaggio. Rob era sempre stato il gemello più coraggioso, in grado di offrire parole di saggezza che riuscivano a farmi superare i momenti difficili. Però mi ero scavata la fossa da sola, e ora mi toccava accettarne le conseguenze.

    Qualche mese fa mi ero imbattuta nella mia professoressa preferita dei tempi del college, proprio quando una rivista locale aveva appena pubblicato alcune mie foto per uno speciale. La sensazione di appagamento che avevo provato raccontandole di quella esperienza era subito scemata quando lei aveva pronunciato le temutissime parole: qual è il prossimo passo? Ed era stato allora che mi aveva offerto l’occasione della vita: un servizio fotografico per una rinomata rivista, una rivista per la quale probabilmente non avrei mai avuto l’opportunità di lavorare, se la sorella della mia professoressa non fosse stata la persona a capo del progetto. Il tranello, naturalmente, a insaputa della mia professoressa e di sua sorella, era che il mio ex ragazzo, il Frantumasogni, scriveva per la stessa rivista, ma sarei stata un’idiota a rifiutare il lavoro. A prescindere da dove avrei lavorato in futuro, avere questa esperienza nel curriculum sarebbe stata un’opportunità incredibile.

    «È appena arrivata», annunciò Katie distogliendomi dai miei pensieri. Mi alzai rapidamente in piedi, issandomi la borsa in spalla, quando la porta a vetri sulla destra si aprì e venne avanti una donna alta che somigliava in modo sconcertante alla mia professoressa: selvaggi capelli rossi e luminosi occhi verdi.

    «Mia», disse la donna facendo un ampio sorriso. «Sono Fran».

    «È incredibile conoscerti finalmente», le risposi, stringendo la mano che mi offrì.

    «Di persona, intendi. Janna parla molto bene di te, e io e te siamo diventate un duo inseparabile su Twitter».

    Scoppiai a ridere quando mi fece l’occhiolino. Dopo essere stata ingaggiata per questo lavoro, avevamo cominciato a seguirci reciprocamente su ogni social media che consenta lo stalking.

    «È come se fossimo amiche da sempre».

    «È il potere dei social media», mi rispose lei con una risata, girandosi sui tacchi. «Ti mostro l’ufficio».

    Se Fran fosse un’automobile, sarebbe perennemente in quarta. Una volta terminato il giro dell’ufficio avevo le gambe che sembravano andarmi a fuoco. Non so se fosse per via dei tacchi che indossavo, o perché per starle dietro ero stata costretta a fare quattro passi quando lei ne faceva due. Essere basse a volte può essere una maledizione.

    «Abbiamo già ricevuto l’autorizzazione da W Magazine e terremo il titolo originale Cosa faresti se avessi una seconda occasione?. Sono certa che te lo avranno già detto», mi informò Fran mentre ci accomodavamo.

    Non mi avevano detto nulla. Non che avesse importanza. Avevo scattato alcune foto per un articolo dal titolo simile, ma era stato per una piccola rivista locale, nulla di questo calibro.

    «Spero ai tuoi amici non dispiaccia se gli rubiamo le luci della ribalta», aggiunse Fran con un sorriso. Era rimasta completamente affascinata dal fatto che la coppia in copertina, la mia migliore amica e l’attuale marito, era l’emblema della seconda occasione in amore.

    «A loro non dispiace affatto», risposi io ridendo. «Avrebbero voluto farmi secca quando hanno visto la rivista al supermercato, pertanto è un bene che verrà sostituita con un’altra».

    Fran rise. «Erano a disagio perché all’epoca non erano ancora una coppia ufficiale?»

    «Più o meno. Il fratello di lei voleva fare secco Oliver… il ragazzo», feci una pausa chiarificatrice prima di continuare, «quando ha scoperto tutta la tresca».

    «Ma è così romantico», proclamò Fran con un profondo sospiro.

    «Immagino di sì».

    «Oh, non dirmi che sei una di quelle ragazze!».

    «Quali ragazze?»

    «Quelle che dicono sempre non mi serve un uomo e odio il romanticismo», rispose Fran alzando gli occhi al cielo, ma era evidente che mentre lo diceva cercava di trattenere un sorriso.

    Io scrollai le spalle. «Non sono nessun tipo di ragazza. Non mi serve un uomo, ma non detesto il romanticismo. A dire il vero, credo di essere ossessionata dal romanticismo, ed è probabilmente il motivo per cui sono single».

    Fran eruppe in una fragorosa risata. «Che buffa teoria, vero? Sai una cosa, se non fosse stato per Match, non avrei mai incontrato il mio compagno. Ma sono certa che tu non abbia bisogno di aiuto per trovare un uomo». Fran agitò la mano su e giù per la lunghezza della mia figura, come se fossi un trofeo da esibire.

    «Trovare un uomo non è un problema. Tenerselo è il problema, e trovare quello giusto è una totale catastrofe».

    Fran annuì comprensiva. «Già. Ci sono passata. Ma vedrai, riuscirai a trovare quello giusto. Sei giovane, adorabile, divertente, piena di talento e intelligente. Una combinazione esplosiva».

    Io sorrisi e distolsi lo sguardo. «Forse un giorno».

    «A ogni modo, basta parlare di ragazzi. Parliamo di lavoro. Come ho detto nell’email, scatterai dei fotoritratti. Non è necessario che tu venga in ufficio ogni giorno, ma sentiti pure libera di usare le attrezzature che ti servono. Ti ho inviato le informazioni per contattare le coppie che parteciperanno al servizio fotografico, così puoi prendere appuntamento per degli scatti di prova; dopodiché ti faremo sapere quali coppie abbiamo selezionato. Vogliamo scegliere solo quattro coppie per il servizio: due giovani e due più anziane. Ogni coppia ha comunque una storia diversa, quindi non dovrebbero esserci problemi».

    Fran fece una pausa per riprendere fiato mentre io annuivo, prendendo degli appunti mentali.

    «E… ah, già, ci sono i nomi dei giornalisti che contribuiranno allo speciale. Carlos e Deborah fanno parte dello staff, mentre gli altri due sono freelance, ma collaborano spesso con noi. Ti ho scritto i loro indirizzi email e invierò loro il tuo, così potranno contattarti. A volte preferiscono essere presenti durante il servizio fotografico e fare l’intervista sul momento».

    Annuendo, detti una scorsa alla lista e mi bloccai quando vidi il suo nome. Erano solo parole su un foglio, ma mi fecero sussultare il cuore una volta, poi due, finché non me lo sentii in gola. Ero preparata per questo.

    «Perché non ti unisci a noi mercoledì per l’aperitivo», chiese Fran, distogliendomi dai miei pensieri. Non ero affatto preparata per questo.

    «Dunque dovrò incontrarli solo nei giorni in cui scatterò le foto?», le domandai agitando leggermente il foglio di carta.

    «Be’, solo se vorranno intervistare le coppie nel loro elemento. Altrimenti ci vediamo solamente durante le riunioni, ma non ne abbiamo molte. Ne avremo una questo mercoledì, per l’aperitivo, e poi un’altra per la progettazione finale».

    Deglutii rumorosamente e annuii. «Okay».

    «Sarebbe fantastico se potessi unirti a noi mercoledì per conoscerli», insistette Fran. Mi sentii sprofondare in una spirale discendente: il trasferimento qui, sapendo che con questo lavoro gli sarei stata incredibilmente vicina e sperando segretamente di vederlo, ma cercando al tempo stesso di rammentare a me stessa i motivi per cui dovevo evitare Jensen. Feci un respiro e mi preparai all’inevitabile caduta.

    «Certo. L’aperitivo mi pare un’ottima idea».

    Jensen Talks

    L’altro giorno stavo parlando con un mio amico di questa rubrica. Lui continuava a prendermi in giro, dicendo che sembrava un episodio di Sex and the City. Ho cominciato a dargli il tormento per il semplice fatto che conoscesse la serie tv, ma poi ne ho parlato con la ragazza con cui sono uscito l’altra sera e lei ha cominciato a ridere senza sosta. A quanto pare se fossi una donna e la serie tv fosse reale, io sarei Carrie. Jeff (il mio editore), ti maledico.

    Trovo che uscire per appuntamenti galanti al giorno d’oggi, rispetto a quando ero più giovane, sia molto più difficile. Le persone hanno determinate aspettative. Come uomo hai costantemente la sensazione di venire palpeggiato (non in senso letterale. A titolo informativo, non mi dispiacerebbe il senso letterale). Non appena finito il primo drink, ti senti praticamente come un cucciolo che scodinzola cercando la loro approvazione. Gli appuntamenti galanti da adulti sono estenuanti. Voglio tornare al college!

    Ristorante: Glasserie

    Il verdetto: Jensen Approva.

    Domanda della settimana da parte di @Margie17: In che campo della vita ti senti più realizzato?

    Risposta: Nel ruolo di padre. È probabilmente la cosa più bella che abbia mai fatto. Sarò sdolcinato, sarà pure un cliché, ma è la verità.

    Capitolo 2

    Mia

    Se non altro sono grata di avere gente meravigliosa nella mia vita. Quando decisi di avventurarmi in questo viaggio, ricevetti il sostegno da parte di tutti. La mia amica Millie, con la quale avevo diviso la stanza al college all’ucla, mi offrì un posto in cui abitare. Fece anche in modo che avessi una vita sociale impegnata – portandomi fuori a cena e all’happy hour quando il fidanzato era via per lavoro. Arrivando all’appartamento, la trovai lì ad aspettare il tecnico che doveva aggiustare una perdita nel condizionatore.

    «Voglio dire, seriamente, perché queste cose accadono sempre quando l’inquilino è via?», si domandò Millie passeggiando su e giù per il soggiorno.

    «Non devi rimanere qui finché non arriva, sai? Sono perfettamente in grado di osservarlo mentre fa la riparazione. Non è che possiamo controllare cosa fa, visto che non ne capiamo nulla».

    Millie smise improvvisamente di camminare e si voltò a guadarmi con la fronte leggermente corrugata. «Probabilmente hai ragione».

    «Di solito è così», le risposi con un sospiro che scatenò la sua ilarità, mentre alzava gli occhi al cielo.

    «Cosa vogliamo fare per il tuo compleanno?»

    «Niente».

    «Niente? Ma andiamo. Usciamo quasi ogni giorno della settimana e per il tuo compleanno non vuoi fare nulla?».

    Il mio compleanno sarebbe stato tra due giorni. Non avevo mai avuto nulla contro il fatto di festeggiare un anno in più; infatti, avevo sempre festeggiato il compleanno come fosse stato l’ultimo. Ma festeggiare senza Rob non sembrava giusto. Per la prima volta in venticinque anni avremmo dovuto celebrare a distanza. Per Rob non era un dramma, visto che aveva Juan Pablo a tenergli compagnia. Ma per me, tutti i miei amici erano in California. Qui ero sola, fatta eccezione per le volte in cui Millie era in città.

    «Be’, ho un aperitivo con i colleghi di lavoro quella sera. Forse potremmo vederci dopo?», le suggerii, rendendomi conto che i suoi occhi marrone erano incollati al mio viso in attesa di risposta.

    «O mio Dio. Significa forse che ci sarà anche chi sai tu?»

    «Non so se chi sai tu ci sarà. È anche il suo compleanno, ricordi?»

    «Lo sai che chi sai tu sa benissimo che lavorate per la stessa rivista, vero? Pensi sul serio che non andrà, sapendo che tu ci sarai?».

    Feci un sospiro. Non sapevo più nulla di chi sai tu. Non riuscivo più a leggergli nel pensiero, o ad anticipare le sue mosse prima che le facesse. Avevo perso quel sesto senso la sera stessa in cui avevo perso lui, e mi andava bene così. Jensen aveva voltato pagina e così avevo fatto anch’io.

    «Non lo so, Mill, ma non sono qua per riallacciare i rapporti con lui. Sono qui per il servizio fotografico, per tentare di esibire le mie foto in quante più gallerie possibile e poi ho chiuso».

    Millie si lasciò cadere sul divano davanti a me, adagiando le gambe sul bracciolo, poi si voltò a guardarmi appoggiando il mento sulla mano. «Sei ancora decisa ad accettare il lavoro a Los Angeles?».

    Annuii. In fin dei conti, il fatto di riuscire a esibire le mie foto in un museo era solo un sogno. Non era una cosa sulla quale contavo e se anche il sogno si fosse avverato, non ci facevo affidamento come principale fonte di reddito. Adoravo il mio lavoro. Adoravo fare foto e vivere dietro l’obiettivo, e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo. Subito dopo aver ottenuto il lavoro freelance per «Newsweek», avevo anche accettato l’ingaggio per una rivista di moda con sede a Los Angeles. Era stato il mio lavoro ideale durante tutti gli anni del college e ora che finalmente l’avevo ottenuto ero al settimo cielo.

    «Be’, sai già come la penso in proposito. Non credo che la moda sia la tua vocazione, ma se ti rende felice, faccio il tifo per te», disse Millie alzandosi in piedi.

    Sentii bussare alla porta non appena Millie si fu ricomposta. Trascorremmo la mezz’ora successiva a osservare il tecnico riparare la perdita. Quando Millie andò via, mi spostai in camera per scegliere cosa indossare per la temuta happy hour. Almeno ci sarebbe stato l’alcol e chissà, forse Jensen non sarebbe venuto. Le parole di Millie mi risuonarono in testa e con esse sentii la tensione nervosa stringermi dentro. Jensen sapeva che lavoravo per la rivista e avevo la sensazione che si sarebbe fatto vivo all’happy hour solo per farmi un dispetto; perché questo genere di cazzate erano proprio nel suo stile.

    Dopo essermi lagnata per un paio di minuti di cose che non potevo aggiustare o cambiare, afferrai la macchina fotografica e uscii. Non ero innamorata di New York. Il trambusto non faceva per me, ma era innegabile che questo luogo avesse qualità enigmatiche. Ogni volta che uscivo di casa, sentivo il battito della città – frenetico e pieno di possibilità. A ogni angolo c’era una storia diversa: una madre single che cercava di sbarcare il lunario, un padre stacanovista, uno studente che cercava di superare gli esami del semestre, una tizia dell’Idaho col seno rifatto che cercava di sfondare come modella. C’era così tanta bellezza in questa lotta quotidiana per trovare il proprio posto nella società.

    Mi persi nel mondo immaginario che creavo quando osservavo gli altri attraverso le lenti dell’obiettivo. Era più facile ignorare la mia vita se ero impegnata a immaginarne una per degli estranei. Era molto più facile quando non dovevo essere Mia, la ragazza smarrita, non semplicemente girovaga, e non dovevo pensare alla battaglia per trovare il mio posto nel mondo.

    Era questa la cosa più confortante: eravamo tutti confusi insieme e, in ultima analisi, tutti ci sentivamo smarriti, nonostante la differenza di età, razza, sesso o altri elementi che ci distinguevano.

    Capitolo 3

    Mi ero concessa non uno, ma ben tre Mimosa a colazione il giorno del mio compleanno. Sfortunatamente, stavo bevendo da sola e bere in solitudine induce all’iperanalisi, che a sua volta provoca delusione, e le delusioni causano rimpianti. E per cancellare questi ultimi era necessario un altro bicchiere di Mimosa, perché di certo avevo già rimpianti in abbondanza. Estelle, la mia migliore amica, aveva inviato un pacco con generi di prima necessità, come se vivessi oltreoceano e non in una città che aveva tutto ciò che si potesse desiderare. Nel pacco c’era di tutto: da un biglietto di auguri spiritoso a un dildo. Ovviamente Estelle era convinta di essere

    uno spasso.

    Prima di arrivare al quinto Mimosa, tirai fuori il telefono e mi collegai con Rob via FaceTime. Erano le sei del mattino a Santa Barbara, ed era un giorno infrasettimanale, perciò doveva comunque alzarsi per andare a lavoro. Rob rispose al quarto squillo e io ricambiai il suo ampio sorriso, che rivelava una fossetta sulla guancia sinistra. I capelli scuri erano spettinati dal cuscino e gli occhi blu intenso tradivano uno sguardo sfocato.

    «Buon compleanno, Meep».

    «Buon compleanno, Robbie». Mi vennero gli occhi lucidi non appena pronunciai queste parole.

    «Oddio. Stai bevendo champagne», disse Rob.

    «Come fai a saperlo?», gli chiesi ridendo. Lo sguardo mi cadde sul flûte di champagne che Rob non poteva aver visto per via della posizione della videocamera.

    «Diventi sempre emotiva quando bevi champagne. E hai il viso rosso come un peperone».

    «Oh». Poggiai il dorso della mano contro la guancia. «Cosa hai in programma oggi? A parte sentire la mia mancanza al punto da scoppiare a piangere».

    Rob ridacchiò e scosse il capo. «Dopo essermi fatto un bel pianto, cercherò di arrivare a fine giornata senza morire di tristezza e poi andrò a cena dalla mamma con Juan Pablo. E tu?».

    Cominciai a borbottare. «Ti odio. Cosa cucina la mamma?»

    «Il mio piatto preferito, ovviamente».

    «Vuoi dire il nostro piatto preferito. E ti odio. Ufficialmente».

    Rob si mise a ridere. «Chiudi il becco. Sei nella fottutissima New York City!».

    «Lo so, ma sento la mancanza di casa».

    «Sei partita solo due settimane fa, Mia».

    «Già. Devo stare qui ancora altri due mesi».

    Rob scosse il capo. «Be’, hai iniziato la giornata col botto. Mimosa?»

    «Già, da sola!».

    «Dov’è Millie?».

    Feci spallucce. «Le ho detto che ci saremmo viste stasera, dopo l’happy hour con i colleghi di lavoro».

    Rob aggrottò la fronte. «Ci sarà anche Jensen?».

    Un’altra scrollatina di spalle. «Perché ne parlate tutti come se fosse una tragedia?». Rob mi lanciò un’occhiata che mi fece subito distogliere lo sguardo. «Non lo so. Forse, ma ne dubito. È anche il suo compleanno».

    «Già, lo so. Mi aspetto la solita dedica nel giornale».

    Chiusi gli occhi. «Rob».

    «Lo so, lo so, non devo parlare di lui, ma sapevi che c’erano buone possibilità che lo avresti visto accettando questo lavoro, perciò…».

    Alzai gli occhi al cielo. «Sono una fotografa e lui è uno scrittore. Non è che dobbiamo lavorare gomito a gomito».

    «Vero».

    Ebbi come la sensazione che Rob volesse aggiungere altro, ma si trattenne. Sapevo già cosa voleva dire: per favore, sii cauta. Non mi serviva il monito di nessuno. C’erano già sufficienti campanelli di allarme che mi risuonavano in testa, senza doverne aggiungere altri. Parlammo per un paio di minuti in cui Rob mi raccontò degli ultimi accadimenti, che non erano granché. Avrei dovuto farmi raccontare tutti i pettegolezzi da Estelle quando avrei parlato con lei, ma nell’attesa avrei approfittato per andare a fare shopping.

    In metropolitana fui molto attenta a non guardare negli occhi nessuno. Avevo commesso questo errore la prima volta e mi ero ritrovata con un discreto numero di occhi spiritati puntati addosso, perciò oggi cercavo di evitare gli sguardi. Mi tenevo impegnata spalmandomi il gel antibatterico sulle mani per la decima volta. Stavo osservando le pubblicità quando il treno si fermò, e sentendo l’ultimo annuncio per la fermata di Rockefeller, schizzai in piedi sapendo di avere solo pochi secondi per arrivare alla porta, o forse nemmeno quelli.

    «La mia fermata. La mia fermata», annunciai in tono febbrile, cercando di farmi largo tra la folla. Stavo per saltare una borsa poggiata a terra, quando con la gamba feci cadere qualcosa dalle mani di una bambina. Con un profondo sospiro mi rassegnai a saltare la fermata e mi chinai per raccogliere il libro color verde mare. Dapprima mi caddero gli occhi sulla copertina. L’intera pagina era occupata dall’immagine di una bambina dalle guance rosee e lunghi capelli ondulati color biondo cenere, che sorrideva alla piccola tartaruga marina che teneva in mano.

    Mia va alla spiaggia di J. Reynolds.

    Mi sentii pervadere da emozioni estranee. Allungai una mano dietro di me alla ricerca di appiglio e trovai la barra di sostegno proprio quando il treno riprese la marcia. Mi sentivo il cuore dappertutto. Mi batteva nelle orecchie come un campanello d’allarme, me lo sentivo in gola e pulsare nelle vene. La bambina, nell’evidente tentativo di farmi riprendere, mi dette un calcio per destarmi dalle mie fantasticherie e la punta dei suoi Doc Martens rosa entrò in collisione col mio ginocchio con un agile movimento. Lo sguardo mi cadde sulla bambina. I capelli e gli occhi erano simili ai miei, e a quelli della Mia rappresentata in copertina. Riuscii a offrirle un piccolo sorriso incerto e girai il libro per guardare il retro copertina.

    «Scusa. È un bel libro?».

    La bambina annuì con entusiasmo mentre la madre rispose: «Mi ha fatto ordinare il resto della serie. È la nostra favola della buonanotte preferita».

    «Wow», sospirai. Una serie. Era evidente che non avevo seguito la carriera di Jensen così attentamente come pensavo. Sapevo che a un certo punto, tra la nascita della figlia e il lavoro al giornale come titolare di una sua rubrica, aveva anche ottenuto un contratto con una casa editrice, ma questo era…

    «Posso tenerlo?», chiesi prima di riuscire a trattenermi. «Naturalmente dietro compenso».

    La piccola calciatrice mi guardò con un’espressione accigliata, poi guardò la madre. «Forse dovresti chiedere alla tua mamma di comprartene una copia».

    Feci un sospiro. Mia madre non me lo avrebbe comprato nemmeno per sogno, e la sua ora mi lanciava occhiate allarmate, come se stessi per scappare con il prezioso libro di favole della buonanotte.

    «Questa copia l’abbiamo fatta autografare all’autore ieri», precisò la mamma.

    Io annuii lentamente, cercando di elaborare il fatto che Jensen, il mio Jensen, era così noto da autografare i suoi libri. Incapace di trattenermi, aprii il volume e lessi la dedica. Sii coraggiosa, aveva scritto.

    «Sii coraggiosa», sussurrai ad alta voce, richiudendo il libro di scatto, prima che fossi tentata di sfogliarlo. Non ero certa di potercela fare a leggerlo in pubblico. «L’incontro con l’autore era qui in città?», chiesi io.

    «In una piccola libreria di Brooklyn. Sono certa che ci sia un altro evento in programma nella stessa libreria questa settimana».

    Cercai di immaginare Jensen che teneva in braccio un bambino, mentre passeggiava per quelle poche strade che sono riuscita a esplorare uscendo la sera con Millie. Me lo immaginavo con in mano una pila di libri mentre entrava in una di quelle piccole librerie. Mi chiesi se leggeva dei passaggi per i bambini presenti, oppure se autografava i libri e basta. Anche se lo avevo visto un mese fa al matrimonio dei nostri amici, il tempo trascorso aveva offuscato il ricordo del suo viso. Talvolta, se ero sola e qualcosa mi ricordava Jensen, tipo una canzone che piaceva a entrambi o un film che avevamo visto insieme, chiudevo gli occhi e cercavo di riportare alla mente l’immagine di lui in quelle serate trascorse da soli. Mi abbandonavo a questi ricordi solo quando avevo voglia di lasciarmi andare a un attacco di depressione, che di questi tempi non accadeva spesso.

    In quelle notti cercavo di ricordare il pomo d’Adamo pronunciato, il profilo della sua mascella, le labbra carnose, le cavità delle guance, le rughe d’espressione quando rideva, che gli incorniciavano gli occhi grigi, e le lunghe ciglia che li coprivano. Alcune notti pensavo di ricordare i suoi lineamenti meglio di altre. Tempo fa, durante uno di questi disegni mentali, mi resi conto di due cose: non erano le sue caratteristiche fisiche a mancarmi di più. Non erano le braccia forti, né il modo in cui mi faceva sentire al sicuro quando le avvolgeva attorno a me. La sensazione di sicurezza era un’illusione. Me ne ero resa conto il giorno in cui se n’era andato. Ciò che mi mancava era il modo in cui ci bastava uno sguardo per capire cosa l’altro volesse dire, o il fatto di non avere più qualcuno che mi capisse e mi facesse sentire amata. Ma soprattutto, mi mancava quanto ci divertivamo quando eravamo insieme.

    Tutto ciò mi aveva anche resa piena di rancore, per i suoi errori e per i miei. E vedere il libro scritto da Jensen col mio nome sopra era troppo da sopportare. Forse se l’avessi visto quando ero a casa in California, sarebbe stato diverso. Forse, se me ne

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