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Innamorata pazza del capo: Harmony Jolly
Innamorata pazza del capo: Harmony Jolly
Innamorata pazza del capo: Harmony Jolly
E-book148 pagine1 ora

Innamorata pazza del capo: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Amore e lavoro possono andare d'accordo? Certo. Provare per credere!

La madre single Lucinda Starling ha ormai da tempo perso fiducia negli uomini e nel vissero felici e contenti. L'unica cosa che le sta a cuore adesso è proteggere suo figlio e il proprio lavoro per il brillante Angus Wolfe. Il suo capo deve continuare a considerarla una professionale e valida assistente, ma soprattutto non dovrà mai sapere che è pazza di lui!

Finché una sera Angus la guarda come se non esistesse nessun'altra donna al mondo. A questo punto Lucinda dovrà decidere se rischiare il tutto per tutto e lasciarsi andare, o se rinunciare per sempre all'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2020
ISBN9788830517073
Innamorata pazza del capo: Harmony Jolly
Autore

Ally Blake

Autrice australiana, ha ballato e recitato in televisione prima di dare libero sfogo alla sua innata passione per la scrittura.

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    Anteprima del libro

    Innamorata pazza del capo - Ally Blake

    successivo.

    1

    Lucinda. Rispondi. Lucinda. Rispondi. Lucinda. Rispondi.

    Lucinda alzò le dita, le cui punte formicolavano per l'avere battuto novanta parole al minuto, dalla tastiera del computer non appena la voce si fermò.

    Tese l'orecchio, ma non riuscì a capire da dove provenisse la voce. Dalla sua scrivania... altrimenti nota come La torre di guardia che bloccava a chiunque l'accesso al sacro spazio del suo capo... vedeva tutto, dal suo ufficio alla fine del corridoio, e non c'era anima viva.

    Ricominciò a battere a macchina e...

    Lucinda. Rispondi. Lucinda. Rispondi. Lucinda. Rispondi.

    Sbuffando, alzò le dita dalla tastiera e individuò il suono.

    Proveniva dal suo cellulare, che lampeggiava con insistenza accanto al suo gomito. Qualcuno gli aveva aggiunto una nuova suoneria. E l'immagine che le sorrideva dallo schermo le diede un'idea abbastanza precisa di chi si nascondeva dietro a quella voce roca.

    Senza un attimo di esitazione, premette il pulsante rosso di fine chiamata sul cellulare, inviandola alla segreteria telefonica, si rimise l'auricolare e ricominciò a conversare con Dahalia, l'assistente esecutiva del Direttore Marketing della Melbourne Ballet Company, che le stava parlando dell'uomo che la sera prima le aveva dato buca. Mentre l'ascoltava, Lucinda continuava a redigere un elenco puntato delle notizie del giorno riguardanti il mondo degli affari e delle celebrità a uso e consumo del suo capo, un'abitudine che aveva preso quando aveva cominciato a lavorare per la Big Picture Group sei anni e mezzo prima.

    Poi il suo cellulare ricominciò a suonare. Lucinda. Rispondi. Lucinda. Rispondi. Lucinda. Rispondi.

    Ma Lucinda non rispose. Aprì un cassetto, ci buttò dentro il cellulare, lo coprì con una pila di fogli e richiuse il cassetto.

    Poi disse nel microfono: «Dahalia, sei una gemma rara. Trovati un uomo che capisca quanto vali. Che ti guardi negli occhi. Ti ascolti quando parli. E che si presenti agli appuntamenti. Un adulto, insomma. Non sprecare altro tempo accontentandoti di qualcosa di meno. Dammi retta».

    Dahalia la ringraziò e riattaccò, ma non prima di averle promesso che le avrebbe inviato una dozzina di biglietti di poltronissima per la prima della nuova produzione del Melbourne Ballet.

    Lucinda sorrise, perché aveva già in mente un paio di clienti che l'avrebbero adorata per sempre per quei biglietti. Ma si chiese anche, di sfuggita, se fosse la persona migliore a cui rivolgersi per avere un consiglio in fatto di uomini. Almeno, non le aveva detto di fare nulla che non avrebbe fatto anche lei.

    «Forse perché sei single da così tanto tempo...» mormorò a fior di labbra, prima di rimettersi al lavoro.

    Un paio di minuti e il suo cellulare riprese a suonare. La solita solfa. Solo attutita. Dai fogli. E da un cassetto chiuso.

    Senza minimamente scomporsi, Lucinda finì con calma il suo elenco puntato, salvò il file e lo inviò al suo capo, prima di voltarsi e vederlo in carne e ossa.

    Angus Wolfe, uno dei migliori pubblicitari specializzati nella gestione dei marchi aziendali della città, se non dell'intera nazione, era seduto alla sua scrivania dall'altra parte della parete di vetro fumé che lo divideva dal resto del mondo.

    Sprofondato nella sua poltrona di cuoio, con i piedi appoggiati sul davanzale, le offriva il suo profilo mentre guardava il meraviglioso panorama di Melbourne che si godeva dalla sua finestra. Ma la sola cosa che notò Lucinda era il cellulare che teneva premuto contro l'orecchio sinistro.

    Quando il cassetto cominciò a vibrare un attimo prima che il suo telefono squillasse, lo spalancò, afferrò il cellulare e premette di nuovo il pulsante rosso di fine chiamata. Poi si alzò, marciò verso la porta di vetro che lei e soltanto lei poteva usare, la spalancò e attraversando l'enorme tappeto che ricopriva il pavimento dell'ufficio del suo capo, si fermò a pochi centimetri dalla sua scrivania.

    Era impossibile che lui non si fosse accorto della sua presenza. Non gli sfuggiva mai nulla. Notava le variazioni della temperatura, la frequenza dei battiti cardiaci, le alterazioni del respiro e del tono di voce con la facilità con cui la gente normale si accorge di essere presa a calci negli stinchi.

    Eppure, Lucinda si concesse egoisticamente qualche minuto per ammirare il suo profilo prima di dirgli ufficialmente che era lì.

    Perché il profilo di Angus Wolfe era l'ottava meraviglia del mondo.

    I suoi lineamenti sembravano scolpiti nel marmo. Il mento tagliente era sbarbato di fresco. I capelli erano scuri, ricci e un po' troppo lunghi. Gli occhiali da lettura di cui rifiutava di ammettere di avere bisogno non riuscivano a oscurare gli occhi nocciola più incredibili che lei avesse mai visto.

    Perfino i tendini del suo collo mozzavano il fiato.

    Poi, lui si girò. Lentamente. Come un gatto che si stiracchia al sole. E insieme a lui si mosse l'abito grigio antracite che indossava e sembrava fatto apposta per esaltare il suo... tutto. Costava di più di quello che lei aveva speso per comprare la sua auto. Lo sapeva per certo, perché era lei che pagava i suoi conti.

    Poi vide i calzini che sbucavano dalle scarpe fatte su misura. Erano quelli con i lupi che lei gli aveva regalato per Natale.

    Natale. Un ricordo improvviso le fece accelerare il battito cardiaco, ma lo scacciò immediatamente.

    Ad Angus Wolfe non sfuggiva nulla, ma se qualcuno gli avesse detto che Lucinda Starling era anche solo un pochino innamorata di lui, avrebbe riso fino alle lacrime.

    O lei era più brava di quello che pensava a tenerglielo nascosto, o nei suoi confronti l'intuito di Angus non funzionava. Comunque, che non si fosse accorto di quello che provava per lui era un dono del cielo. E Lucinda voleva che continuasse a non saperlo.

    Per il bene del suo lavoro. Della sua autostima. Della sua salute mentale.

    Quando il cellulare che teneva in mano ricominciò a squillare... Lucinda. Rispondi... trasalì.

    «Vorrei proprio sapere quando hai avuto accesso al mio telefono!» sbottò poi, ricomponendosi.

    «Ho i miei metodi» replicò lui sornione, con quella sua voce unica al mondo: profonda, intensa, magnetica.

    «Già» sospirò Lucinda alzando gli occhi al cielo. «Comunque, mi hai chiamato per un motivo preciso o eri semplicemente annoiato? Perché ho talmente tanto lavoro da sbrigare che posso passartene un po', se stai cercando qualcosa da fare.»

    «Grazie, ma no. Avevo bisogno di te. Siediti, per favore.»

    Lucinda obbedì, accomodandosi sulla poltroncina a pozzetto di velluto rosa che lui le aveva regalato per Natale. Anche se il vero regalo consisteva nel fatto che le avesse permesso di tenerla sempre nel suo ufficio, davanti alla sua scrivania.

    Poi prese il taccuino e la matita che aveva portato con sé e attese che Angus cominciasse a parlare.

    «Sei pronta?» le domandò lui dopo qualche secondo di silenzio.

    «Come sempre» gli assicurò Lucinda, anche se non ce n'era bisogno.

    «Bene. Il cliente Remède

    E per i dieci minuti che seguirono Angus si lanciò in un rocambolesco e geniale flusso di coscienza sul rebranding dell'azienda cosmetica Remède, un tempo leader del settore a livello mondiale e ora sull'orlo del fallimento.

    Non importava che si trattasse di un produttore di rossetti, di un partito politico o di una catena di supermercati. Angus sapeva che cosa spingeva la gente ad acquistare un prodotto. E a sua volta come spingerla ad acquistarlo.

    La sua mente era una fucina e, quando aveva escogitato un piano, chiamava Lucinda e, più che dettarle le sue idee, gliele rovesciava addosso, servendosi di lei come di una cassa di risonanza o di un antistress mentale, che lo aiutava a mettere ordine in ciò che il suo cervello eccezionale aveva partorito nel corso della giornata.

    E Lucinda scriveva. L'adrenalina a mille nello sforzo di tenere il passo con la ginnastica mentale di Angus era compensata dalla deliziosa sensazione tattile che ricavava dalla punta della dozzinale matita 2B che scorreva sulla carta pregiata del suo taccuino.

    «E...?» gli chiese un po' ansimante, quando Angus rimase in silenzio per più di un secondo.

    «Basta. Abbiamo finito.»

    «Magnifico» replicò lei, anche se sapeva che sarebbe dovuta rimanere in ufficio almeno un'altra ora, per trasformare ciò che aveva scritto in qualcosa di comprensibile per i comuni mortali.

    «Hai progetti per la serata?» le domandò Angus.

    «Niente di che.» A parte lo strano odore che proveniva dalla lavanderia, del quale si era ripromessa di cercare la causa.

    Ma non ne parlò ad Angus, perché non avrebbe capito. Non c'erano strani odori nell'attico in cui viveva.

    Una dimora molto diversa dal cottage in cui abitava lei, dove c'era sempre qualcosa da riparare. Ma che era suo. Il che lo rendeva meraviglioso.

    «E tu?» chiese ad Angus.

    Lui le rispose con un sorrisetto a mezza bocca più eloquente di mille parole. Un sorrisetto che parlava di manicaretti, vini costosi, cena a lume di candela con una bellissima donna.

    Un'immagine che giungeva al momento opportuno per rammentare una volta di più a Lucinda che lei e Angus appartenevano a due specie diverse.

    Lui aveva bisogno di pochissime ore di sonno mentre lei se non dormiva almeno sette ore di fila al mattino era uno straccio.

    Lui aveva una cucina che non usava mai e di cui non aveva bisogno, visto che cenava sempre fuori casa, mentre lei non poteva permettersi di andare al ristorante più di una volta al mese.

    In sei anni e mezzo le volte in cui lui aveva menzionato i suoi familiari si contavano sulla punta delle dita, mentre Angus sapeva tutto ciò che c'era da sapere sui suoi, compreso il fatto che la famiglia era la cosa più importante della sua vita.

    La vita di Lucinda era più... lenta. Più strutturata. Una routine quotidiana fatta di liste della spesa attaccate alla porta del frigorifero e responsabilità tra cui destreggiarsi. Se per lei una cosa era bianca, per lui era nera. Se era bianca per lui... be', era bianca anche per lei!

    Il punto era che al lavoro andavano d'amore e d'accordo, ma le loro strade si dividevano nel momento in cui lasciavano l'ufficio.

    E a questo proposito... quando arrivò alla porta a vetri, Lucinda invece di uscire dalla stanza si fermò, schioccò le dita e con finta noncuranza, visto che era tutto il giorno che stava cercando il modo migliore per affrontare l'argomento, esclamò: «Oh! Ho delle ferie arretrate. Ho controllato l'agenda e ho visto che non c'è nulla di urgente nei prossimi giorni, perciò mi prendo il finesettimana libero».

    Angus si accigliò, come se non capisse quello che gli stava dicendo.

    In realtà, per contratto Lucinda aveva tutti i finesettimana liberi, ma lavorare per Angus voleva dire che quella clausola contrattuale valeva poco o nulla. Perché lui non smetteva mai di lavorare. Era un iperattivo e gli iperattivi non hanno orari. E dal momento che lei era il suo computer, la sua cassa di risonanza e la sua segreteria

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