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Gli strani delitti di Steep House
Gli strani delitti di Steep House
Gli strani delitti di Steep House
E-book563 pagine7 ore

Gli strani delitti di Steep House

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Info su questo ebook

Le indagini dei detective di Gower St.

Londra, 1884. Al civico 125 di Gower Street, che corrisponde all’indirizzo di Sidney Grice, il più famoso detective privato della città, regna la pace. Dopo le consuete chiacchiere serali, il grande investigatore e la sua pupilla March Middleton si sono ritirati nelle loro stanze, lasciando la dimora in un silenzio carico di armonia. Ma questa condizione non è destinata a durare. Qualcuno bussa freneticamente alla porta e ben presto il mistero e la morte tornano a intrufolarsi dentro casa: sta per cominciare una nuova indagine. Un’indagine che coinvolge un principe prussiano, due donne con un passato difficile, un cinese che viene da Londra e un gangster dal volto ignoto. Ognuno di questi personaggi si muove tra le misteriose rovine di una casa un tempo rinomata: Steep House. Riusciranno, una volta ancora, il detective Grice e la sua assistente March a risolvere il mistero? E quale sarà il prezzo da pagare per riportare a galla tutta la verità?

Intricati enigmi e humour: il detective inglese più eccentrico e affascinante dai tempi di Sherlock Holmes! 

Una nuova indagine richiama il detective Sidney Grice al lavoro, ma stavolta potrà contare solo sull'aiuto di March

«Affabulazione, humour, brividi: Conan Doyle si divertirebbe.»
La Lettura

«Il brillante romanzo di Kasasian ci presenta un’indimenticabile nuova coppia di detective.»
Publishers Weekly

«Il libro di Kasasian offre uno sguardo deciso sul lato oscuro della Londra vittoriana, tratteggiando il ritratto di un’eroina abbastanza forte da resistere a un detective scontroso. Storia avvincente, humour sottile e personaggi vivaci: una bella sorpresa.»
Kirkus Reviews
M.R.C. Kasasian
È cresciuto nel Lancashire e, prima di diventare uno scrittore, ha fatto molti lavori diversi. Vive con la moglie nel Suffolk durante l’estate e a Malta d’inverno. Gli strani delitti di Steep House è il quinto libro della serie investigativa che vede protagonisti il detective Sidney Grice e la sua assistente March Middleton. La Newton Compton ha pubblicato i primi quattro episodi: I delitti di Mangle Street, La maledizione di casa Foskett, Il mistero di villa Saturn, Il giallo di Gaslight Street.
LinguaItaliano
Data di uscita18 giu 2018
ISBN9788822723826
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    Anteprima del libro

    Gli strani delitti di Steep House - M.R.C. Kasasian

    1

    Il ciondolo d’argento

    Febbraio, 1884

    C’era una frase incisa nel ciondolo.

    Al mio caro Siddy con tutto il mio cuore.

    Il vetro era rotto, ma non ebbi bisogno di leggere l’arzigogolato Connie per sapere che la donna nel ritratto era mia madre. E, non per la prima volta, mi soffermai a domandarmi come mai non assomigliassi a nessuno dei miei genitori.

    «Ridatemelo».

    A stento udii quelle parole ma, quando alzai lo sguardo, vidi l’angolo della sua bocca leggermente incurvato, come quando riflettevamo insieme. «Per l’amor del cielo!», gridai. «Siete mio padre?»

    «Dove avete preso quel ciondolo?»

    «È caduto per terra quando hanno tentato di pugnalarvi».

    «Non avevate il diritto di tenerlo».

    «Mi sono dimenticata di averlo con tutto quel che è successo dopo». Chiusi il medaglione portafoto. «E comunque voi non avevate il diritto di tenermelo nascosto».

    L’espressione del mio tutore fu la più simile al panico che gli vidi mai assumere. Si fiondò sul tavolo, colpendolo con il ginocchio e versando ovunque il nostro tè delle cinque.

    «Allora?». Chiusi il pugno intorno al ciondolo. «Avete intenzione di strapparmelo di mano come fate con gli indizi da un cadavere?». Per sicurezza indietreggiai di un passo. «Perché mi avete preso con voi?». Non riuscivo a controllare il mio tono di voce. «Voi stesso sostenete di non essere un uomo generoso».

    «Siete la mia figlioccia».

    «Non credete nemmeno in Dio e poi per quale motivo mia madre avrebbe dovuto mandarvi un medaglione con un suo ritratto?».

    Sidney Grice si lasciò cadere sulla sua sedia. Chiuse gli occhi. «Non sono vostro padre», dichiarò con calma. «Vostro padre era vostro padre».

    Non avevo mai sentito Sidney Grice pronunciare una bugia e non potevo pensare che lo stesse facendo proprio in quel momento. «Che cosa mi state nascondendo?». Lo guardai.

    La palpebra del mio tutore stava cedendo e lui aveva qualche difficoltà a chiuderla del tutto. Il suo occhio di vetro mi fissò in modo vacuo. «Niente di più di quanto io non stia nascondendo a me stesso», rispose soppesando le parole.

    Il piatto giaceva nella cenere nel punto in cui lo aveva frantumato qualche minuto prima, quando credevo di conoscerlo.

    2

    Morte tra i morti

    Ci sono così tanti fili nella matassa aggrovigliata degli eventi che non so da dove cominciare. Alcuni di essi sono stati tessuti quando ero via, ma altri si estendono indietro, a prima del mio arrivo a Londra, e quello più lungo a prima ancora che Sidney Grice diventasse un detective privato.

    A questo punto mi conviene iniziare dal cosiddetto Caso del medico chirurgo, perché è lì che i fili hanno iniziato ad aggrovigliarsi.

    Al crepuscolo di sabato 2 luglio 1881, il giorno in cui spararono al presidente James A. Garfield a Washington DC, Mr David Anthony Lamb, un chirurgo in pensione, si recò al cimitero di Brompton per controllare i loculi di famiglia. Aveva fama di essere un uomo gentile (dedicava due giorni alla settimana ad attendere coloro che non potevano permettersi di pagare le cure mediche), era dotato di un carattere compassionevole e possedeva grandi abilità. Malgrado ciò, non era stato in grado di salvare la propria moglie e i sei figli colpiti da un’epidemia di tifo e, in buona sostanza, non era nemmeno riuscito a salvare se stesso.

    A circa cinquanta iarde di distanza, due altre persone addolorate, due fratelli dodicenni dinanzi alla tomba della madre, udirono quelli che a loro parvero essere dei singhiozzi di un uomo distrutto ed evitarono, perciò, d’intromettersi. Si preoccuparono soltanto quando sentirono dei colpi sordi e i rumori di una colluttazione.

    La voce di un uomo sovrastò le urla, gridando in modo ripetitivo e ossessivo Caro! Era caro!, framezzato da qualcosa d’incomprensibile. Ci fu quindi uno schianto finale e a seguire dei passi affrettati. Entrambi i ragazzi scorsero un uomo di spalle, con indosso un cappotto scuro, fuggire via e perdersi tra i giganteschi monumenti e oltre la riproduzione di un tempietto greco.

    Anthony Lamb era stato aggredito con un vaso funerario di marmo. Il suo volto era stato polverizzato. E, quando aveva provato a sottrarsi al suo aggressore, i colpi gli avevano spaccato il cranio così a fondo che il cervello ne era fuoriuscito.

    Il caso era stato affidato all’ispettore Quigley una quindicina di giorni dopo, ma non era giunto ad alcuna conclusione. C’era stata una pioggia intensa per svariati giorni dopo l’assassinio e i primi poliziotti giunti sulla scena del crimine insieme alla folla di curiosi avevano cancellato ogni prova. Come se non bastasse, la direzione del cimitero aveva richiesto che la zona fosse sistemata al più presto. Quigley aveva ordinato che il vaso fosse portato nel suo ufficio di Marylebone ma, per qualche disguido, era stato pulito prima di essere consegnato. Lo aveva poi doppiamente irritato il divieto assoluto alla riesumazione del corpo imposto dalla sorella di John Box e dai parenti ancora in vita. I ragazzi, dopo aver abbellito il loro racconto per far colpo sugli amici, non erano stati più in grado di stabilire con esattezza che cosa avevano visto o sentito. E si era scoperto che un uomo, coperto di sangue, avvistato nei pressi di Hortensia Road, era in realtà la vittima di un furto violento.

    Per un po’ vennero aumentati i turni di guardia al cimitero ma, con il rallentare delle indagini, anche i ricordi svanirono. A Londra il pubblico non rimane mai a corto di eccitanti orrori freschi di giornata.

    Quigley lasciò cadere il caso e presto dimenticò ogni cosa.

    Sidney Grice non venne mai chiamato a investigare su quell’omicidio ma, da preciso archivista qual era, ritagliò i trafiletti di giornale sul caso e li conservò nel suo studio al numero 125 di Gower Street sotto alla lettera L di Lamb, B di Brompton e sotto almeno una dozzina di altre lettere, come la A di Ancora da risolvere.

    3

    Il lascito Hockaday

    Nella notte di lunedì 4 febbraio 1884, mentre gli ufficiali britannici venivano massacrati nel lontano Sudan, Geraldine Hockaday venne violentata. Geraldine era la figlia di Sir Granville, un ufficiale di alto grado del Dipartimento della Guerra, perciò il caso venne insabbiato tanto per il bene del padre quanto per il suo. La violenza era già di per sé una macchia nella reputazione della famiglia, senza contare il fatto che era stata consumata in un luogo noto, il vicolo dietro all’Hotel Waldringham, nel quartiere londinese dell’East End, dove lei si era recata in cerca di avventure insieme agli amici.

    Sir Granville decise di maritare la figlia con un rispettabile ma povero gentiluomo di Braintree, il quale, in cambio di una generosa dote e di una poltrona in Parlamento, era disposto a passare sopra al fatto che la ragazza non fosse più pura. L’evento, però, non aveva smorzato lo spirito indipendente di Geraldine, tanto che né le minacce del padre né le preghiere della madre la persuasero a sposarsi o a non riportare alla polizia l’accaduto.

    La polizia non ebbe alcuna difficoltà a trovare un sospettato. Due guardie notturne e un civile erano riusciti ad avere la meglio su un uomo sorpreso a trascinare Geraldine nel vicolo. Ma Sir Granville Hockaday era testardo quanto la figlia, se non di più, e lei non aveva tenuto conto della sua spietatezza. L’uomo le fece chiaramente capire che se avesse testimoniato in aula contro il suo aggressore, lui l’avrebbe dichiarata incapace d’intendere e di volere e l’avrebbe rinchiusa in un manicomio.

    Geraldine lasciò cadere il caso.

    L’uomo arrestato, Sua Illustrissima Altezza Reale il principe Ulrich Albrecht Sigismund Schlangezahn, cugino di secondo grado del Kaiser tedesco e uno degli uomini più ricchi di Prussia, venne rilasciato senza alcuna accusa. E l’aggressore di Geraldine Hockaday fu libero di cercare nuove prede per le strade di Londra e di colpire nuovamente senza temere alcuna conseguenza per le sue azioni, almeno fino a quando il fratello di Geraldine, Peter, rientrato dalla guerra contro i ribelli egiziani a Kassassin, sentendosi oltraggiato dal modo in cui la sorella era stata trattata, la prese con sé nella sua casa di Gosling Lane e si rivolse al più famoso e caro detective privato di Londra, Mr Sidney Grice.

    Con il suo aiuto, Geraldine identificò l’uomo che l’aveva attirata nel vicolo, un delinquente senza scrupoli con numerose accuse a suo carico, conosciuto nella zona di Limehouse come Johnny il Tricheco Wallace.

    4

    La ragazza sul ponte

    Sidney Grice stava canticchiando allegramente, mentre disponeva sulla sua scrivania diverse file di bottiglie di vetro con tappi in sughero.

    «Di che si tratta oggi?», gli domandai e lui inarcò il sopracciglio sinistro.

    «Di che si tratta cosa?», chiese a sua volta con una certa affabilità.

    «Il vostro esperimento».

    «È lo stesso di ieri e del giorno precedente», replicò e poi riprese a canticchiare, convinto di avere soddisfatto la mia curiosità.

    «Sì, ma di che si tratta di preciso?».

    Mi feci largo tra i giornali sparpagliati e le pile di volumi, alcuni aperti a faccia in giù sul parquet di quercia, molti con improvvisati segnalibri di carta, matite, rametti, parti di uno scheletro di un coniglio o qualsiasi altra cosa avesse a portata di mano. Una ciocca di capelli neri era stata inserita in mezzo alla Breve storia della decorazione degli usci di Preston di Mr Edward Wilson. Quel singolare segnalibro proveniva da una vittima di Frances Forrester, lo Scuoiatore di Featherstone.

    «Sto paragonando il tasso di dissolvimento dei tessuti umani in presenza di varie concentrazioni di olio di vetriolo, aqua fortis e acidum salis».

    «Acido solforico, nitrico e cloridrico», tradussi a beneficio di Spiritella, il mio gatto, ma più che altro per provare a Mr G che non mi aveva beffato, non ancora.

    Spiritella si stava stiracchiando sul retro della mia poltrona, mentre osservava curiosa ciò che accadeva intorno a lei. Magari era convinta che le bottiglie contenessero cibarie, ma nemmeno Mr G avrebbe mai osato darle da mangiare quei resti umani, diciannove dei quali galleggiavano a diversi stadi di corrosione, mentre lui rimescolava i liquidi con una lunga bacchetta di vetro trasparente.

    «Dove diavolo le avete scovate quelle?».

    Conoscevo la vasta collezione di Mr G di dita, ossa e altre parti umane; lui era particolarmente orgoglioso della mano in salamoia di Charlotte Corday, proprio colei che aveva pugnalato Jean-Paul Marat durante la rivoluzione francese. Ignoravo, però, che avesse raccolto così tante orecchie umane.

    «Oh, ho letto per caso un annuncio sul mensile L’Anatomista», disse distrattamente. «C’erano anche le interiora di un nobile scapolo, ma le ho regalate a mia madre».

    Colpì una bottiglia con un paio di pinzette da otto pollici, come se fossero un diapason, poi rimase in ascolto di qualcosa che soltanto lui era in grado di sentire.

    «Perché mai avrebbe dovuto volerle?»

    «È la stessa domanda che mi ha fatto lei». Alzò la bottiglia alla luce. «Questa è la novantesima volta da quando ci conosciamo che ho notato una certa somiglianza tra voi e mia madre». Scosse la bottiglia. «Rimango sempre affascinato dalla complessità della costruzione del nostro organo uditivo e dal modo negligente con cui la maggior parte delle persone lo usano».

    Raccolse un orecchio quasi intatto e lo mise ad asciugare su un pezzo di carta assorbente, dove sfrigolò pigramente. Rivolsi la mia attenzione a una copia del Daily Telegraph, che fino ad allora era sfuggita all’abituale smembramento da parte di Mr G, il quale ritagliava qualsiasi trafiletto di suo interesse e gli articoli che gli provocavano giustamente rabbia.

    In prima pagina c’erano: le consuete pubblicità con Mr Clapper, un avvocato che dichiarava di non avere dormito per sedici mesi, finché non aveva provato la formula di Du Barry per decongestionare il cervello; una grande mostra di macchine da guerra al Crystal Palace, al costo di uno scellino, nella quale era esposto il grande marchingegno utilizzato per bombardare Dover; una donna che aveva imparato a suonare il pianoforte in tre giorni, senza avere mai posato le dita sui tasti prima di allora. Diedi un’occhiata veloce a un articolo inerente una delegazione della Conferenza di Berlino in visita a Londra per decidere la spartizione dell’Africa tra le superpotenze europee.

    Quindi un articolo intitolato Tragedia sul ponte di Westminster:

    Un triste e sordido evento, che ormai è diventato comune al giorno d’oggi, si è verificato sul ponte di Westminster nelle prime ore di domenica mattina.

    Siamo stati informati che padre Roger Seaton, un curato della vicina chiesa cattolica di St Matthew, stava facendo il suo abituale giro in bicicletta sul ponte di Westminster quando ha visto la sagoma di una donna in piedi sul parapetto, affacciata pericolosamente sul lato dal quale il fiume scorre verso il mare.

    Quando padre Seaton si è fermato a domandare alla sconosciuta se avesse bisogno di assistenza, lei gli ha urlato di rimando: «Per me non c’è più alcuna salvezza terrena».

    Padre Seaton ha mollato in fretta e furia la sua bicicletta Rover per terra ed è corso verso la donna. Era giovane, poco più di una ragazza, ha dichiarato di avere notato nella scarsa luce dell’alba, ed è dell’avviso che molto probabilmente era bella, se non avesse avuto segni evidenti di violenza, tra cui anche un brutto taglio sulla fronte. Ha implorato la sfortunata donna di affidarsi a lui e di non compiere gesti affrettati, ma le sue preghiere sono state vane.

    La sconosciuta ha insistito che era troppo tardi. Ha lasciato intendere di essere stata presa contro il suo volere e di avere passato la notte a correre per le strade di Londra, temendo di essere nuovamente abusata.

    Padre Seaton si è avvicinato con cautela alla giovane donna, cercando di rassicurarla che i peccati altrui non avrebbero alterato la sua posizione nel giorno del Giudizio Universale.

    «Lo scoprirò presto», ha dichiarato lei, mentre il suo volenteroso salvatore avanzava verso il parapetto. A quel punto, la ragazza ha emesso un urlo penoso ed è precipitata giù dal ponte.

    Padre Seaton ha espresso l’augurio che la giovane donna fosse scivolata perché il suicidio, così ha spiegato al nostro corrispondente, è un peccato mortale agli occhi della Chiesa cattolica, che condanna l’esecutore all’eterna dannazione. Pressato dalle domande, tuttavia, è stato costretto ad ammettere che l’impressione è stata quella che si fosse gettata.

    I cittadini e i turisti della nostra grande capitale non possono far altro che prenderne atto. Al momento della tragedia il fiume Tamigi era particolarmente alto in seguito a tre giorni di pioggia continua fuori stagione. Il conduttore di una chiatta e un suo collega hanno udito un urlo e visto una ragazza cadere nell’acqua vicino alla loro imbarcazione, ma, malgrado i loro tentativi di trarla in salvo con gli arpioni, le correnti l’hanno trascinata lontano, quindi si presume che sia morta affogata sott’acqua.

    L’identità della ragazza è ancora sconosciuta, nonostante padre Seaton abbia fornito una dettagliata descrizione alla polizia. Si presume che avesse lunghi capelli ramati, un’età compresa tra i sedici e i vent’anni e che indossasse un costoso abito blu senza cappello.

    Apparentemente è l’ennesima vittima di comportamenti violenti, scostumati e offensivi che tormentano la nostra società e rendono le strade insicure per le signore, tanto che non possono percorrerle da sole senza temere di subire una qualche violenza.

    Non possiamo fare a meno di chiedere alla polizia metropolitana che cosa stia facendo per migliorare una tale situazione.

    «Che tristezza», commentai.

    «Davvero», concordò con me Sidney Grice. «Ci si domanda come mai la maggior parte delle persone siano dotate di due orecchie. Oh, vi riferite a quello». Aveva notato l’articolo di giornale che stavo leggendo. «Se vi degnaste di usare almeno uno dei due occhi che il fato vi ha permesso di conservare, vedreste che si tratta di una copia vecchia, della mattina del terzo giorno di questo mese».

    «Come mai è qui in bella mostra?».

    Appoggiò l’orecchio sul piatto sinistro della bilancia. «A pagina cinque, all’inizio della colonna due, c’è un annuncio che credo vi possa interessare». Controbilanciò con pesi decrescenti, finché i due piatti non furono alla stessa altezza. «L’ho cerchiato con l’Inchiostro Zaffiro Brillante, una mia formulazione segreta».

    Sfogliai il Telegraph alla pagina indicata. «I segreti delle donne per avere sempre una capigliatura fresca e igienica», lessi indignata ad alta voce.

    «Ma magari non è ciò che bramate».

    Sidney Grice riprese a canticchiare, mentre riponeva l’orecchio nella bottiglietta con su scritto Vetriolo, soluzione al 7%.

    5

    I profitti del peccato

    Avevo sentito parlare di Hagop Hanratty. Era a capo di un impero. Dominava, anche se non in modo esclusivo, una zona nell’East End londinese, che si estendeva dalla marina di Limehouse, lungo le rive del Tamigi, fino ai magazzini di Pennyfields, dove si era da tempo alleato con i vicini di Chinatown.

    Nato da madre armena, Alidz Sarafian, Hagop non aveva mai conosciuto il padre, Joseph, che era stato ucciso in una rissa nella prigione di Crumlin Road, più o meno a metà della sua condanna a diciott’anni per estorsione.

    Avendo ereditato la brutalità dal padre e il senso degli affari dalla madre, Hanratty era riuscito a ritagliarsi il suo spazio, a cominciare da una bancarella di anguille in gelatina. Dopo aver terrorizzato gli altri venditori ambulanti ed essersi assicurato così il monopolio di quel commercio molto proficuo, aveva messo le mani su altri settori alimentari e sul giro degli alcolici. Si era allargato così tanto da arrivare a comprare e costruire dei locali tutti suoi. All’epoca in cui io mi trasferii in città, Hanratty possedeva già, stando a Sidney Grice, un’importante parte di Whitechapel. Le sue attività erano le più svariate e spesso erano illegali, dal momento che ad Hagop non interessava la natura dei suoi affari: badava soltanto ai profitti.

    Tuttavia, Hanratty non era un delinquente rozzo. Aveva la reputazione di essere un uomo dai gusti raffinati e dal grande fascino. I suoi tre locali con licenza per vendere alcolici erano sempre pieni; nell’Hallows, la sala concerti di sua proprietà, prendevano vita le più famose opere inglesi; e i suoi teatri davano del filo da torcere alla concorrenza, avendo fama di produrre gli spettacoli più opulenti del West End. L’Hotel Waldringham era un progetto personale di Hanratty. Anche se aveva una dubbia reputazione, pareva godere di una certa immunità e non essere oggetto di attenzioni né da parte della polizia né di altri criminali, tanto che era il luogo eletto da chi era in cerca di una scappatella senza rischi. A poco a poco era riuscito ad attrarre le persone più in vista, ricche e potenti che desideravano intrattenersi non sempre in modo legale.

    Ma, principalmente, Hanratty gestiva il suo impero con il pugno di ferro. Gli unici crimini ammessi erano quelli ordinati da lui stesso e, stando a quanto affermava, una donna poteva camminare da sola nelle sue strade a qualsiasi ora del giorno e della notte, senza temere di essere molestata. Per questo non la prese molto bene quando venne contraddetto dai fatti. Non appena Johnny il Tricheco finì sotto processo, malgrado Sidney Grice fosse contrario, come complice dell’abuso sessuale subito da Geraldine Hockaday, e venne rilasciato con grande sgomento di tutti, Hanratty fece sapere che aveva tolto al suo ex tirapiedi ogni protezione e che sarebbe stato felice se fosse sparito in modo veloce e senza troppo chiasso.

    6

    La casa vuota

    Venerdì 1º agosto 1884

    Le finestre erano state sprangate con assi di legno e la casa era ovviamente disabitata da molto tempo. La polvere aveva ricoperto le pesanti ragnatele simili a tende che ornavano l’ingresso e che nessuno aveva osato disturbare prima di Sidney Grice e del suo bastone.

    Provai a seguirlo, ma mi fermò con un piede sul gradino e l’altro sulla soglia, allungando un braccio. «Mi avete promesso che mi avreste atteso qua fuori».

    Un topo grigio stava scorrazzando nel canale di scolo vicino ai miei piedi. «L’ho fatto», precisai, «mentre stavate rimuovendo il fermo».

    «Non posso permettere che corriate dei rischi».

    «Eppure voi li correte», sottolineai, «e la vostra vita vale di più della mia».

    Era raro che un appello alla vanità del mio tutore fallisse e anche questa volta avevo fatto breccia con quell’argomentazione.

    «Tuttavia…». Si sistemò l’orlo del morbido cappello di feltro.

    «Non vorrete mica lasciarmi qua fuori da sola?». Agitai il parasole chiuso per indicargli la strada sporca. Era deserta ed entrambi sapevamo che ero stata in posti ben peggiori senza un accompagnatore. Mr G schioccò la lingua.

    «D’accordo», decise, mentre il topo stava tornando indietro per emergere dallo scolo proprio dove avevo i piedi. «Dovete starmi vicina e fare esattamente ciò che vi dico».

    Il topo si sollevò sulle zampette posteriori come un cucciolo che chiede cibo.

    «Forse e se possibile», replicai alle due richieste.

    Trovai delle briciole di pane stantio nella tasca del mio soprabito, resti di cibo per i piccioni, e le sparpagliai per terra. Il topo scappò via.

    Sidney Grice entrò e io lo seguii nello stretto ingresso privo di mobili e tappeti, aggirando la scala di legno e dirigendomi verso una porta con pannelli di vetro smerigliati situata a poca distanza. La polvere era spessa e granulosa e c’era un forte odore di muffa. Le pareti erano qua e là gonfie, ovunque c’erano bolle d’aria sotto l’intonaco umido e il soffitto era collassato a metà, come un foruncolo scoppiato.

    «Qualcuno è entrato dal retro». Indicai le lievi strisciate sul pavimento, che ci venivano incontro e procedevano sulla scala.

    «È probabile che appartengano al nostro uomo».

    «Come fate a dirlo?». A mio avviso erano del tutto anonime.

    «Non avete notato come sono ricurve e meno marcate ai lati, come quelle di un uomo che zoppica? È oltremodo orgoglioso dei suoi piedi eccessivamente sottodimensionati e li rinchiude in stivali della misura più piccola possibile», mormorò Sidney Grice. «Pare che sia da solo».

    Chiusi la porta d’ingresso e a illuminare i nostri passi rimase soltanto un pallido raggio di luce, che filtrava dalle assi di legno alla finestra.

    «Avete la vostra pistola?», m’informai.

    Diede un colpetto al suo borsello. «Non la tirerò fuori a meno che non sia necessario. Un uomo che vede un’arma da fuoco è più propenso a usare la sua».

    Mi abbassai a riallacciare il mio stivale.

    «La porta sul retro è ancora aperta. Riesco a sentire la brezza», disse dopo una breve pausa. Per me l’intero piano era freddo, ma avevo imparato ad accettare che i sensi del mio tutore fossero più affinati nei miei. «Ascoltate».

    Rimanemmo fermi in silenzio. «Non sento nulla».

    «E quando mai?». Mr G non attese la mia replica. «C’è una carrozza ferma in cortile. Di chiunque si tratti, vuole avere la possibilità di andare via il più in fretta possibile ed è disposto a pagare per il servizio. Del resto non è difficile trovare un cocchiere sulla strada principale disposto ad aspettare».

    «Non dovremmo salire?».

    Lui annuì. «Camminate dietro di me, ma a lato. Le assi scricchioleranno meno».

    I gradini erano ancora piuttosto solidi.

    «Sono sorpresa che non siano stati fatti a pezzi per accendere il fuoco», sussurrai.

    «La gente del posto non oserebbe mai. Sanno a chi appartiene questa strada», rispose Sidney Grice. «Smettetela di parlare».

    Salì al piano di sopra e qui le impronte si divisero. Probabilmente il nostro uomo aveva camminato avanti e indietro sul pianerottolo. Alcune orme voltavano a sinistra in direzione di una porta aperta, mentre il resto verso una chiusa a destra, vicino a noi, e un’altra in fondo al corridoio.

    «Quella aperta?», suggerii e avanzammo insieme.

    Ci fermammo e Mr G indicò qualcosa. C’era una debole ombra sul muro, la sagoma di un uomo seduto.

    «Non è una buona idea coglierlo di sorpresa». Il mio tutore si schiarì la gola. «Signore», disse ad alta voce, «vorrei una tazza di tè».

    «Anch’io», gridai mentre ci avvicinavamo. «Cerchiamo una teiera».

    Sapevo che era lì, eppure sobbalzai quando vidi l’uomo seduto voltarsi verso la soglia con una pistola puntata contro di noi.

    «Buon pomeriggio, Johnny». Feci fatica a mantenere la voce calma.

    La stanza era vuota e priva di luce ad eccezione del pallido rettangolo tra le assi di legno inchiodate alla sudicia finestra. Ovunque c’era polvere.

    Johnny il Tricheco Wallace si alzò per sovrastarci di almeno cinque o sei pollici e occupare all’incirca lo stesso spazio in larghezza. I suoi pantaloni erano stropicciati ed erano giorni che non si radeva la barba.

    «Siete voi». Respirava rumorosamente. Gli occhi, lucidi e rossi, erano gonfi e segnati dalle occhiaie. «Pensavo che qualcuno fosse venuto a uccidermi».

    Si sporse sulla destra, alzandosi sulla punta del piede sinistro per sbirciare il corridoio alle nostre spalle.

    «Oh, forse un giorno lo faremo», lo rassicurò il mio tutore allegramente, «ma attraverso la giustizia».

    Johnny Wallace ridacchiò e abbassò il tallone a terra. «Andatevene». Si appoggiò alla parete, raccogliendo la polvere, all’altezza della spalla, sul suo cappotto grigio rattoppato e sul cappello nero e basso, a tesa curva. «Non avete lo straccio di una prova contro di me».

    Il Tricheco non era un uomo particolarmente attraente. La sua carnagione era priva di vita e segnata da vecchie cicatrici provocate dall’acne. Il naso era storto e ricurvo. I denti dell’arcata superiore spingevano così tanto in fuori che non riusciva a chiudere le labbra e aveva delle strisce rosse di saliva che s’insinuavano nelle pieghe agli angoli della bocca.

    Sidney Grice fece un passo in avanti. «Sono molto dispiaciuto, Wallace, che…».

    «Consulterò il mio avvocato». Johnny agitò la canna della pistola con fare accusatorio. «Non potete continuare a perseguitarmi».

    «…tu sia arrivato a questa conclusione», finì la frase il mio tutore morbidamente. Johnny Wallace tacque per grattarsi l’ascella. Un eh? fu tutto quello che gli uscì di bocca.

    «Io ho intenzione di tormentarti fino a quando non ti vedrò alla sbarra del tribunale», gli spiegò Mr G.

    Il Tricheco risucchiò la saliva. «Sentite… quella ragazza, io non c’entro niente».

    «Miss Hockaday ti ha riconosciuto», gli ricordai, «quando l’abbiamo portata, insieme al fratello, a fare un sopralluogo all’Hotel Waldringham».

    Johnny Wallace non si scompose. «Le ho dato delle indicazioni», argomentò. «Non l’ho mai negato. Quella cimice…».

    «Cosa?», lo interruppi.

    «Il giudice», tradusse Mr G.

    «Quella cimice con un acquitrino al posto della foresta», spiegò a sua volta Johnny, impastando le parole per colpa dei suoi denti malandati.

    «Sì, ho capito», dissi irritata. Foresta faceva rima con testa e questo mi era chiaro, ma non riuscivo a intuire per che cosa stesse acquitrino.

    «Be’, secondo lui non c’è alcun caso», concluse compiaciuto Wallace. «Non capisco il perché di tutta questa confusione. Probabilmente era a caccia di una ripassata e l’ha ottenuta».

    «Rospo rivoltante». Feci un passo in avanti senza riflettere e il Tricheco mi puntò l’arma contro.

    «Niente mosse stupide».

    «Non ti farò del male», sibilai, desiderosa di poter aggiungere non ancora.

    «Tu?». Johnny Wallace gonfiò il petto. «Ma tu senti, ’sta qui! Non sei abbastanza grossa per fare del male a…».

    «Oh, per l’amor del cielo!», sbottò Sidney Grice. «’Sta? ’Sta? Sei peggio della mia cameriera e, credimi, parla davvero male. Se vuoi dire questa, dillo e basta».

    «Questa qui», si corresse Johnny Wallace, «è a malapena abbastanza grossa per…».

    «No, no, no», intervenne di nuovo Mr G, mentre camminava a destra e a sinistra agitando il suo bastone come un professore irritato. «O Miss Middleton non è abbastanza o è a malapena grossa per fare del male a qualsiasi debole creatura», mosse il bastone e la pistola cadde a terra, vicino ai piccoli piedi di Johnny Wallace, «avessi intenzione di menzionare».

    Johnny Wallace si chinò, ma Sidney Grice fece scivolare l’arma sul pavimento verso di me e io la raccolsi con cautela. Non mi piacciono le pistole. L’ultima volta che ne ho tenuta una in mano ho quasi ucciso un agente.

    «Dopo ti rilascio una ricevuta per questa», gli promisi quando infilai l’arma nella mia borsetta, dopo avere messo la sicura.

    «Dannazione!», inveì Johnny Wallace. «Odiose manipolatrici! Che siate maledette!».

    «Modera il linguaggio!», lo rimproverò il mio tutore.

    «Scusatemi». Johnny Wallace si sfregò il polso. «Non riesco ancora a capire una cosa. O è a malapena abbastanza o non lo è e secondo me lei non lo è».

    «Spiegateglielo voi», Mr G si rivolse a me, ma io ne avevo abbastanza di quel giochetto.

    «Magari più tardi».

    Johnny Wallace si succhiò i denti mentre rifletteva sulla situazione. «Se aveste voluto arrestarmi, a quest’ora la casa sarebbe piena di agenti», affermò, «perciò che volete in realtà?»

    «Abbiamo un altro testimone, signor Tricheco», gli dissi, sapendo che odiava essere chiamato in quel modo. «Si tratta di una dama dall’eccellente reputazione».

    «Ah sì? E che ci faceva dalle parti del Waldringham?», sogghignò Wallace.

    «Provava a salvare le povere malcapitate da vermi come te», replicai. «Questa signora è disposta a giurare in aula che ti ha visto seguire Miss Hockaday nel vicolo, prima che il lampione venisse rotto e la nostra cliente aggredita».

    «E allora?». Wallace scrollò le spalle. «Non posso essere giudicato due volte per lo stesso crimine».

    «Vero», concordai con lui, «ma vale solo quando si è dichiarati innocenti. Al tuo processo non si è giunti a una sentenza».

    Il mio tutore parve perdere ogni interesse nella nostra conversazione e si mise a vagare per la stanza, anche se non c’era molto da vedere.

    «Non c’è nessuna signora». Johnny spinse la punta della lingua tra gli incisivi. «Quale signora?»

    «Io».

    «Ma è falso».

    «Assolutamente sì», confermai, «ma secondo te, in aula, a chi crederanno?»

    «Non è giusto». Johnny mutò il suo tono di voce in lusinghiero. «Anche se l’ho rispedita indietro nel vicolo, non sono stato io ad aggredirla».

    «Allora chi?», domandai. Wallace tossì e il suo volto si contorse in una smorfia di paura.

    «Preferisco finire sotto processo piuttosto che avercelo contro».

    Mr G abbassò la testa, meditando su quella affermazione. «D’accordo», dichiarò infine, «se non ci dici il nome del violentatore, almeno facci quello del tuo compagno».

    Johnny Wallace si grattò le parti basse e ringhiò. «Che compagno?». Per la prima volta il Tricheco pareva davvero confuso.

    «In questo caso», disse velocemente Mr G, «ti suggerisco di spostarti in fretta di lato».

    Johnny Wallace scoppiò in una risata gutturale. «A che gioco state giocando?».

    Sidney Grice balzò verso di lui e, in quel mentre, udii uno schiocco simile a quello di un ramoscello che si spezza, alzai lo sguardo e vidi una canna stretta di metallo ritrarsi da un buco nel soffitto. Poi sentii dei passi e il soffitto tremò, spaccandosi in alcuni punti.

    Johnny Wallace si tolse il cappello. «Che buffo», commentò stupito.

    «Spostati», m’intimò il mio tutore.

    Ubbidii automaticamente, tenendo gli occhi fissi su Johnny, che infilò una mano nel cappello e fece sbucare fuori da un foro il pollice.

    «Che cos’è successo?». Guardai le fessure sul soffitto aprirsi a velocità sempre maggiore.

    Sidney Grice aprì il borsello per tirare fuori il revolver con l’impugnatura in avorio. «Gli hanno sparato».

    «Sparato?». Johnny Wallace ridacchiò e gettò via il cappello, il quale si adagiò comodamente in un angolo.

    Mr G sollevò la pistola sopra la testa con entrambe le mani, mirando a dove il soffitto stava scricchiolando, vicino alla parete più lontana. Mi portai le mani alle orecchie, ma i due colpi mi rimbombarono lo stesso in testa. Un’intera sezione d’intonaco, larga tre piedi, si staccò provocando una nuvola di polvere e una pioggia di schegge che si abbatté su di noi.

    Sidney Grice ne uscì fuori miracolosamente pulito. Abbassò la pistola e io mi affrettai verso Johnny Wallace, che si stava sfregando il petto, non per ripulire il cappotto dai detriti, ma per assicurarsi di essere ancora tutto intero, totalmente ignaro della pozza nera che si stava formando sulla sua fronte. Sbatté le palpebre quando il rivolo raggiunse gli occhi, si accasciò su se stesso e io scorsi un foro della grandezza di mezzo penny, proprio sopra l’attaccatura dei capelli. Mi tolsi la sciarpa con l’intenzione di tamponare la ferita, ma Johnny mi scansò agilmente. Il sangue usciva a fiotti adesso, formando delle bolle d’aria come il fango su un tubo che perde, e il Tricheco barcollò in tutte le direzioni in una danza grottesca tutta sua, piccoli passi con gambe incrociate, un ginocchio piegato e poi l’altro, braccia che si agitano in aria, quindi i movimenti cessarono di colpo e lui collassò. Provai ad afferrarlo al volo, ma mi scivolò tra le mani per il peso della caduta.

    La nuca di Johnny Wallace si schiantò sulle assi di legno del pavimento, rimbalzando due volte.

    «Maledizione!», disse.

    M’inginocchiai accanto a lui e premetti inutilmente il mio fazzoletto appallottolato contro la ferita, la seta s’impregnò subito.

    «Sei, senza ombra di dubbio, un uomo morto», lo informò Sidney Grice con leggerezza, chinandosi sul suo bastone per contemplare lo spettacolo, «perciò sarebbe meglio affrettarsi nel caso tu voglia fare un’ultima confessione».

    Johnny ricadde indietro e io pensai che fosse spirato, invece tornò in sé e si mise a sedere con grande sforzo. «Quella donna…».

    «Quale donna?», domandò Sidney Grice.

    Gli occhi dell’uomo ferito erano ormai vacui, ma trovò il modo di rimanere lucido e alzò una mano per farmi cenno di avvicinarmi. Misi l’orecchio vicino alla sua bocca. Sei parole. Le udii sussurrare e poi un breve e debole colpo di tosse, quindi più nulla.

    Mi alzai per ripulirmi il volto, ma le mie mani erano sporche di sangue quanto le mie guance.

    Sidney Grice si affrettò verso la porta.

    «Guardate fuori dalla finestra», mi ordinò, mentre se ne andava. E dal corridoio aggiunse: «Se fossi in voi, guarderei sul davanti. Gridate se lo vedete».

    Mi fiondai alla finestra, afferrai un’asse di legno e la tirai, ma rimase saldamente inchiodata al suo posto. C’era una fessura abbastanza larga per il naso e un occhio e non avevo ancora finito di togliermi il cappello quando udii due serie di rumori, la prima proveniente dalla stanza di fronte, dove il mio tutore sembrava avere avuto più fortuna con le assi, e un’altra alle mie spalle e sopra. Il soffitto si piegò e ci fu uno schiocco sonoro quando cedette, lasciando intravedere uno stivale.

    «Ah!», urlò qualcuno, cercando di tirare su la gamba, bloccata in una massa di detriti.

    «Presto!», gridai e sentii dei passi avvicinarsi, poi Sidney Grice irruppe nella stanza proprio mentre lo stivale scomparve.

    Sollevò la pistola e io mi rannicchiai su me stessa, ma un rigonfiamento vicino alla parete indicò che lo sconosciuto si trovava nella stanza adiacente. Mr G corse di nuovo in corridoio e nella camera vicina appena in tempo per scorgere una serie di spaccature che finivano nella casa dei vicini.

    «O si è rotto la gamba o l’ho centrato». Sidney Grice indicò nell’oscurità una macchia scura sopra alla nostra testa. «Dovremo controllare gli ospedali e gli studi medici. Se cercherà aiuto, è possibile che là fuori ci sia un medico onesto, anche se io non l’ho ancora incontrato».

    Tornammo da Johnny.

    «Ha detto Empress of Cathay, dieci e trenta», riferii al mio tutore.

    «Ne dubito». Rimise a posto la pistola.

    «L’ho sentito».

    Sidney Grice si chinò per frugare nelle tasche di Johnny Wallace. «Come volete».

    «Forse è il nome di un cavallo su cui ha puntato».

    Mr G gettò via un fazzoletto. «Il suo orologio si è rotto».

    «O di un levriero».

    Il mio tutore fischiettò tranquillamente, soddisfatto del suo lavoro. «Ma non di recente».

    «Non dovremmo inseguire l’assassino?», chiesi stupita dalla sua inoperosità.

    «Potremmo». Si tirò su, ripulendo il ginocchio dalla polvere. «Però, primo, si dà il caso che il nostro uomo, presumendo che sia tale, abbia avuto abbastanza tempo per ricaricare la sua arma. Volete essere la prima a esporvi al fuoco?».

    Ammisi di no e Sidney Grice proseguì con calma. «E, visto che la mia testa funziona meglio della vostra, neanch’io ho alcun interesse a farlo». Sbatté le sopracciglia. «Secondo, come persino voi dovreste sapere, le soffitte di queste villette sono comunicanti». Sbirciò fuori dalla finestra. «Potrebbe essersi calato da una qualsiasi di queste ventidue case ed essere fuggito via». Si tolse un resto d’intonaco dal cappotto. «Che seccatura».

    «È l’unica cosa che vi preoccupa? La polvere sul vostro cappotto?», gridai. «Un uomo è morto!».

    Il mio tutore fischiò in modo brusco con le labbra chiuse.

    «E il mondo», agitò la mano per indicare il resto dell’umanità, di cui lui aveva ben poca considerazione, «è un posto più sicuro senza di lui».

    «Perché non abbiamo udito il colpo?»

    «Era una pistola ad aria compressa», rispose.

    «Una pistola ad aria compressa?», ripetei incredula. Mi ricordai di avere sparato a dei corvi con una di quelle, a Parbold, e che gli uccelli non erano morti immediatamente quando li avevo centrati.

    «Una calibro 45 a giudicare dalla grandezza della ferita». Sidney Grice formò un anello con il pollice e l’indice per mostrarmi cosa intendeva. «Le persone credono che le armi ad aria compressa siano dei giocattoli, ma io ho visto abbattere degli orsi bavaresi a cinquecento iarde di distanze a Windbusche». Camminò lentamente intorno al corpo. «Chiunque fosse è stato abbastanza furbo da non sfruttare la carrozza in attesa, sulla quale avrei potuto vederlo salire».

    Scendemmo in cucina dove io pompai un getto di acqua marrone così puzzolente che non osai toccare.

    «Avete mai pensato», diedi dei colpi al mio soprabito, ma la nuvola di polvere ci

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