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L’uomo perfetto è un bugiardo
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E-book297 pagine4 ore

L’uomo perfetto è un bugiardo

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Info su questo ebook

Un’autrice bestseller di New York Times e USA Today

Boone Price e i suoi fratelli se ne intendono di oro nero. È l’unica parte positiva del loro lavoro su una piattaforma petrolifera. Ma le cose sono destinate a cambiare… Quando viene scoperto un ricchissimo giacimento sul terreno brullo che possiedono, si ritrovano improvvisamente proprietari della più grande vena di petrolio di tutto il nord America. In ventiquattro ore sono diventati multimilionari. Adesso che Boone ha più soldi di quanti ne abbia mai potuti sognare, comincia ad abituarsi all’idea di desiderare in grande. E una donna come Ivy Smithfield potrebbe non essere più fuori dalla sua portata. Ivy è bellissima, di gran classe e si sta occupando di trovargli una villa di lusso in cui trasferirsi. Riuscire a dimostrarle che non è solo un bifolco che ha fatto fortuna, per Boone significherebbe cominciare davvero una nuova vita… 

Non fidarti delle apparenze…

Hanno scritto di lei:
«Una lettura divertente e sexy che vi farà morire dalla voglia di leggere il prossimo.»
The Romance Reviews

«Davvero rovente.»
USA Today

«Grande narrazione… una lettura deliziosa. È divertente e veramente hot!»
Kirkus Reviews

Jessica Clare
È lo pseudonimo con cui l’autrice firma i suoi libri erotici. Scrive storie paranormali con il nome di Jessica Sims e come Jill Myles è autrice di romanzi di vario tipo. Vive in Texas. Della serie dedicata ai membri del Billionaire Boys Club la Newton Compton ha pubblicato Scommessa indecente, Troppo bello per dire di no, È l’uomo per me, Ho scelto di amarti, L’amore è un gioco e, in ebook, Sempre più vicino, L’amore non esiste, Per me esisti solo tu, Aspettavo solo te.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mar 2019
ISBN9788822731210
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    Anteprima del libro

    L’uomo perfetto è un bugiardo - Jessica Clare

    2273

    Titolo originale: Dirty Money

    Copyright © 2017 by Jessica Clare

    Published in agreement with the author, c/o BAROR INTERNATIONAL,

    INC., Armonk, New York, U.S.A.

    Traduzione dall’inglese di Francesca Fallabrino

    Prima edizione ebook: aprile 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3121-0

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Jessica Clare

    L’uomo perfetto è un bugiardo

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Epilogo

    1

    Boone

    È una giornata rovente nel Texas occidentale. Non si vede nemmeno una nuvola e l’aria è così secca che la polvere si solleva sotto gli stivali mentre cammini. Mi ricorda i bei tempi in cui io e i miei fratelli facevamo gli operai sulla vecchia trivella pericolante, quella che costò a me un dito della mano e a Clay due dita dei piedi. Mi fa venire un po’ di nostalgia. Porto la bandana sotto il cappello da camionista per cercare di placare il caldo, una vecchia

    T

    -shirt della ditta sui jeans e stivali da cowboy ai piedi. Ho la sabbia in faccia, il sole crudele continua a picchiare e tutto intorno a me è piatto e si estende a perdita d’occhio. Non c’è nulla al di fuori di qualche trivella in lontananza. Non si vede un albero per chilometri.

    È una bella sensazione. Mi sento bene come non mi succedeva da tempo.

    Ma appena vedo comparire l’uomo in completo, con la valigetta in mano, capisco che saranno guai.

    Bevo un sorso d’acqua e osservo quel tizio attraversare di buon passo il paesaggio infinito come se dovesse andare da qualche parte. Odio i completi. Odio gli uomini che pensano sia l’abbigliamento adatto per un cantiere. Odio indossare quei dannati cosi.

    Diciamo che odio i completi e basta.

    Clay finisce di chiacchierare con un paio di operai appoggiati a un pick-up lì vicino, e nota il tizio che si trascina verso di noi. Si muove verso di me, che sono appollaiato sul retro del furgone, e mi si siede accanto. «Chi è quello?»

    «Non saprei». Controllo l’ora sull’orologio. Ancora dieci minuti.

    Clay incrocia le braccia e inclina la testa, con lo sguardo fisso. Mastica uno stuzzicadenti per un attimo, poi si gira verso di me. «Mi chiedo se sia l’uomo della compagnia. Ma in teoria dovremmo essere solo io e te, giusto?».

    Lo ignoro. «Bates ha detto che avrebbe mandato qualcuno?». Bates è il nostro socio per questa nuova trivella, solo perché gli dovevo un favore da molto tempo. Non ho bisogno dei suoi soldi. Ultimamente non mi servono i soldi di nessuno. Bates però tempo fa mi ha aiutato, e ora la sua ditta non ha altro che pozzi asciutti. Così gli ho detto che gli avrei dato la metà dei profitti se mi avesse fatto gestire il cantiere e la squadra e tutte le cose per cui bisogna usare il cervello. Bates è una brava persona, ma non è il massimo se c’è da usare la testa. Meglio lasciar fare a me.

    «Non lo so». Clay riprende a masticare il suo stuzzicadenti. «Magari il nostro ragazzo qui si è perso».

    Mi gratto la barba distrattamente. «Sembra uno strano posto in cui perdersi, se vuoi la mia opinione».

    «Penso che lo scopriremo presto», dice Clay. «Hai le tue bacchette da rabdomante?».

    Annuisco e le tiro fuori dalla tasca. «Inizieremo tra dieci minuti».

    «Lo dico agli altri». Clay salta giù, fischiettando, e il furgone rimbalza mentre scende.

    Io rimango seduto, roteando le mie bacchette distrattamente tra le mani. Il mio umore sta peggiorando. Non mi piacciono le sorprese. Di sicuro non in un potenziale sito di estrazione di cui sono il responsabile. Mi dà una brutta sensazione. Non mi piace quest’energia negativa.

    L’uomo in completo arriva finalmente nel luogo in cui sono parcheggiati i nostri furgoni. Siamo nella pianura, in mezzo al nulla. Esita, poi si guarda intorno. Ho già visto quello sguardo prima. Sta cercando il capo.

    Sono io.

    Un momento dopo, stringe a sé la sua valigetta e si gira verso di me. «Questo è il luogo dell’incontro per il potenziale pozzo Price-Bates?»

    «Sì». Faccio roteare ancora le bacchette tra le mani, con lentezza. Dovrei metterle via. Non dovrei caricarle di tutta questa energia negativa, ma non posso farne a meno. Devo tenere le mani occupate, perché la voglia di strappargli quella valigetta aumenta sempre di più.

    Il tizio mi squadra, mi studia. Sono più grosso di lui, di certo molto più abbronzato e sono vestito come il resto della squadra. Un attimo dopo, tira su col naso e dà un’occhiata in giro. «Stiamo aspettando che arrivi il signor Boone Price?».

    Alzo le spalle. Questo idiota, ovviamente, non si rende conto che sono io Boone Price. Succede spesso, e la cosa non dovrebbe sorprendermi dopo due anni di queste pantomime. La gente pensa che un milionario non possa avere la barba, tatuaggi o indossare una

    T

    -shirt. Pensa che dovrei assomigliare a questo stupido tizio in completo, tutto sudato e nervoso con la sua dannata valigetta. «C’è qualche problema? Non mi era stato detto che sarebbe venuto un uomo della compagnia».

    «Uomo della compagnia?». Il tipo arriccia il naso.

    Dannazione. Ma questo ragazzo non sa niente di trivellazione? «Il tirapiedi del capo. La sua spalla. L’aiutante. L’uomo della compagnia».

    Fa un’espressione accigliata e tira fuori un paio di occhiali da sole, poi si asciuga la fronte con un fazzoletto di lino.

    «Mi ha mandato il signor Bates: ho dei contratti per il signor Price. Devo incontrarlo per farglieli firmare prima che sia scavato il pozzo».

    «Lo farà», dico in tono inespressivo. «Non trivelleremo per oggi».

    «No?». Il tipo in completo si acciglia, guardandosi intorno.

    Quest’uomo è più stupido della polvere. Do un’occhiata a Clay e agli altri ragazzi, ma mi stanno tutti guardando divertiti. Ovviamente, è un mio problema. Comincio di nuovo a roteare le bacchette tra le mani. «Non scaveremo oggi. Vede qualche macchinario?».

    Si gira. Si gira davvero e si guarda attorno. Come se le cazzo di trivelle non fossero visibili a un chilometro e mezzo di distanza. Non è roba che si nasconde facilmente. Mio fratello Clay, in un angolo, scoppia in una risata e si copre il viso con la mano cercando di nasconderla.

    Guardo l’orologio. Ancora cinque minuti. Cavolo. Questo significa che quest’idiota sarà ancora seduto davanti a me per altri cinque minuti, in cerca di una trivella che non è qua.

    Alla fine, si gira e mi guarda di nuovo. «Se non scaveremo, cosa stiamo facendo qui?».

    Sollevo le bacchette da rabdomante. «Stiamo scegliendo dove scavare».

    L’uomo fissa le bacchette che tengo in mano, mi guarda dritto negli occhi e poi dà un’occhiata a Clay e agli altri. «Il suo capo sa che userete queste bacchette per farlo?»

    «Si chiama rabdomanzia», lo informo. Ha un tono spocchioso che me lo fa piacere ancora meno di prima. «E funziona».

    «Ascolti», dice, stringendo la sua valigetta al petto e asciugandosi di nuovo la fronte. «So che il signor Price ha avuto un grande successo col petrolio…».

    «Così pare». In realtà, la cosa sarebbe divertente se non fosse così offensiva.

    «E so che lo chiamano Spindletop, perché ha trovato un pozzo che può competere con quello…».

    «Centomila barili al giorno», confermo. Conosco bene questa storia. È la mia dannata storia.

    «E capisco che, forse perché proviene dal settore del petrolio, non gli importi se fate le cose in maniera non proprio convenzionale», continua, e storce la bocca mentre mi guarda. «Ma il signor Bates non è imprudente col suo denaro e il suo tempo, e io sono qui per verificare che il signor Price non sprechi nessuno dei due».

    «Mmm», dico lentamente.

    Lui mi fissa, in attesa di una risposta.

    Controllo l’orologio. Due minuti allo scoccare dell’ora. Manca poco. Salto giù dal retro del furgone e faccio un cenno a Clay. «Vogliamo cominciare?»

    «Ancora due minuti», dice Clay.

    «Due minuti?», chiede l’uomo. «Due minuti per cosa? Il signor Price si farà vedere?». E l’idiota si gira e si guarda intorno.

    «Se non cominciamo allo scoccare dell’ora attiriamo energia negativa». Clay mi fa un sorrisetto. «E ci serve tutta l’energia positiva possibile».

    «La nostra energia è già negativa», dico, strofinando le bacchette con un panno impregnato di petrolio come faccio sempre, così possono sentire l’odore di quello che stiamo cercando. «Possiamo iniziare il nostro bel circo».

    «Non dovremmo aspettare il signor Price? Il mio principale non sarebbe contento di questa faccenda della rabdomanzia…».

    Ne ho avuto abbastanza di questo idiota. Faccio un passo in avanti, e l’uomo indietreggia come se gli stessi per sferrargli un pugno. «Vuoi Boone Price?», gli chiedo.

    Il tizio annuisce, facendo una smorfia.

    Punto il dito contro il mio petto. «Sono io Boone Price. E se voglio usare la cazzo di rabdomanzia per trovare il petrolio, lo farò. Capito?».

    Rimane a bocca aperta. Poi la chiude. Poi la riapre. Scruta me, poi le bacchette che ho in mano, come se non ci potesse credere.

    Che giornata infernale.

    Quando lasciamo il cantiere, sono di cattivo umore. Anzi, di pessimo umore. Dovrei andare a casa e fare una doccia per togliermi di dosso la polvere del Texas occidentale, ma non riesco a smettere di pensare alla faccia di merda in completo e a quanto si sia comportato da stronzo con me. Non so perché mi abbia infastidito così tanto, ma non riesco a farmi andare giù la cosa. Sono ancora furioso quando salgo sul furgone e Clay si siede dalla parte del passeggero e comincia a lamentarsi della giornata. È di buon umore – certo che lo è. Non esiste nulla che possa irritare a lungo Clay. Sono io quello che si arrabbia per qualsiasi cosa.

    La mancanza di rispetto di oggi? Mi dà decisamente fastidio.

    Percorro l’autostrada a tutta velocità, ascoltando distrattamente Clay che ride e scherza su quello che hanno detto i ragazzi di ciò che ho fatto oggi. Non gli presto attenzione. Penso solamente a Bates. Bates che mi ha mandato questo piccolo, stupido uomo della compagnia per cercare di farmi lavorare nel modo giusto. Come se non sapessi quello che faccio. Come se fossi io quello che non ha soldi.

    Come se fossi io quello bisognoso.

    Fanculo tutto. Non ho bisogno di nessuno.

    Quando raggiungiamo la periferia della città, Clay sbadiglia e propone una birra. Lancio a mio fratello un’occhiataccia e gli faccio un cenno, poi tiro fuori il cellulare dal cruscotto. Digito il numero di Bates.

    «Sono alla quattordicesima buca e mi rimane ancora mezz’ora di luce», urla al telefono. «Spero che sia importante».

    «Sono Boone», dico in modo calmo. «Quale campo da golf?»

    «Campo da golf?», chiede Clay con un lamento nella voce. Mette una mano sulla falda del cappello. «Cavolo, amico, io voglio solo ubriacarmi. Non possiamo andare al bar?».

    Lo ignoro, concentrandomi sul tono infastidito di Bates. Riesco a sentire Silver Birch e qualcosa che suona come Country Club prima che riattacchi. Bene. Lancio il telefono a Clay. «Cerca su internet il Silver Birch Country Club e dammi l’indirizzo».

    Clay sospira. «Non ti darai pace finché non risolverai la faccenda, vero?»

    «Esattamente».

    «Bene». Un momento dopo, il telefono inizia a dare indicazioni con la voce di Homer Simpson, il che diverte mio fratello quanto basta per farlo stare zitto. Le seguo e mezz’ora più tardi arrivo al parcheggio del country club, proprio a fianco a una decappottabile di lusso. Clay fischia quando la vede. «Resto qui. Ci metterai molto?»

    «No». Salto giù dal furgone, sbatto la portiera dietro di me e cammino a passo veloce verso l’ingresso principale del circolo. Il sole sta tramontando davanti ai miei occhi ed è stata una giornata lunga e calda, e ne ho passato la metà su una cavolo di macchina. Sono coperto di polvere, ho la gola più secca che mai e mi piacerebbe bermi quella birra per cui Clay si è lamentato nell’ultima mezz’ora.

    Ma non voglio far finta di nulla. Almeno finché non avrò capito di cosa si tratta. Sono fatto così. Un cane su un osso, come dicono i miei fratelli scherzando, e non si sbagliano. Quando mi fisso su qualcosa, non la mollo finché non sono soddisfatto. E in questo momento di sicuro non sono soddisfatto.

    Una donna mi viene incontro di corsa. Indossa una polo celeste con un logo e un paio di pantaloni color cachi. Il sorriso sul suo volto non è affatto di benvenuto. «Posso aiutarla, signore?»

    «Sto cercando un amico», le dico senza fermarmi.

    Lei trotta dietro di me. «Capisco. Lei è socio?»

    «No».

    «Capisco. Mi dispiace ma non siamo aperti al pubblico».

    Mi fermo e la guardo. Sul viso ha quel sorriso smagliante e finto che dice: Mi dispiace, non ti mollo. «Quanto costa l’iscrizione?».

    Il suo sorriso rimane tirato e falso. «Non è questione di prezzo, signore. Noi selezioniamo rigorosamente i membri del nostro club e accogliamo solo i più qualificati». Indica un punto dietro la sua schiena, per farmi capire che dovrei andarmene.

    Ovviamente non le do retta.

    Vaffanculo. Mi giro e ricomincio a camminare. Tutto ciò che mi serve sono cinque minuti per parlare con il mio cazzo di amico, Bates. Questa tizia farà meglio a darsi una calmata.

    Comincia a starnazzare e mi segue ancora un momento. Dato che continuo a ignorarla, chiama via radio la sicurezza. Come se fossi un dannato criminale. È tutto così ridicolo che non trovo nemmeno le parole per dirglielo.

    Non sono mai stato su un campo da golf prima d’ora, quindi non so esattamente dove andare. C’è un sentiero, così inizio a seguirlo e a un tratto vedo Bates arrivare su un golf cart, corrucciato in volto. «Che ci fai qui, Boone?».

    Incrocio le braccia al petto. «Ho alcune cose da dirti».

    «Va bene». Scende dal veicolo e si gira a guardare gli uomini seduti dietro di lui. «Vi raggiungo tra poco negli spogliatoi, ragazzi».

    Mi lanciano occhiate di disgusto – il che è ironico, considerando che tutti indossano camicie rosa – e se ne vanno. Come se fossi una specie di scarafaggio che è strisciato sul green. Si fottano anche loro.

    Bates si sfila i guanti di pelle, con un’espressione accigliata. Mi squadra dall’alto in basso, dal cappello fino alla polvere sui miei stivali da lavoro, «Sei venuto direttamente dal cantiere?»

    «Esatto. Ad alcuni piace lavorare», dico strascicando le parole.

    «Io sto lavorando», ribatte. «Stringere contatti è una parte molto importante dell’essere un buon imprenditore».

    L’occhiata che mi rivolge è fredda. «È qualcosa che potrebbe tornarti utile in futuro».

    «Mi stai dando consigli su come gestire un’impresa?». Scoppio in una risata secca. «Ironico, dato che sei venuto tu strisciando da me a chiedere il mio aiuto perché avevi bisogno di un pozzo produttivo al posto di quei buchi secchi che hai ora».

    L’espressione sul viso compiaciuto di Bates si fa allarmata. «Abbassa la voce», dice, e si avvicina. «Cosa diavolo vuoi, Price? Perché ti sei precipitato qui?»

    «Perché il tuo stupido uomo in completo è apparso in cantiere e non ne so il motivo».

    Inclina la testa e mi fissa come se fossi pazzo. «In che senso non ne sai il motivo?»

    «Proprio quello che ho detto. Voglio sapere perché è venuto».

    Bates balbetta: «È uno dei dirigenti ed è il supervisore di questo progetto in particolare. È lì perché ha a cuore gli interessi della mia ditta…».

    «Perché, pensi che ti voglia fregare?», ringhio. «Sei venuto tu da me». Mi batto una mano sul petto. «Questo è un favore che ti sto facendo. Perché avresti bisogno di proteggerti?»

    «È la prassi…».

    «Al diavolo la prassi!».

    Lancia un’altra occhiata terrorizzata intorno a noi. «Abbassa la voce, Boone. Questo è un circolo per gentiluomini».

    Non lo sono abbastanza per lui? Non mi importa. Mi guardo attorno e, ovviamente, si sono creati alcuni gruppetti che continuano a fissarci. C’è anche l’impiegata che ha cercato di non farmi entrare. Tutti mi guardano con un’espressione scioccata di disgusto. Sembra che abbia cagato sul green di fronte a loro o qualcosa del genere. «Sono incazzato con te, Bates, perché non hai avuto fiducia in me e hai mandato quel piccolo insolente a rompermi le palle».

    Bates ora sembra preoccupato. Mi prende per un braccio e mi trascina lontano dagli altri. Mi libero dalla sua presa ma lo seguo, perché voglio delle risposte. «Insolente? Ti ha detto qualcosa?»

    «Si comportava come se fossi uno dei manovali. Zero rispetto per me o per la mia azienda. Pensava che la rabdomanzia fosse una pessima idea e ha cercato di spiegarmi come fare il mio lavoro».

    Bates si gratta il mento. «Posso capire che ci sia una differenza di opinioni, e lui è un uomo d’affari, chiaramente non capisce la rabdomanzia». Nell’occhiata che mi lancia c’è un pizzico di accondiscendenza. «E per quanto riguarda il manovale… be’, guardati, Boone».

    Alzo il sopracciglio. «Cosa diavolo hai detto?»

    «Guarda come ti comporti. Come parli. Simmons è abituato ad avere a che fare con uomini in sala riunioni. Gli ho detto che doveva parlare con il signor Price, il capo della Price Brothers Oil, e si aspettava…». Alza le spalle, con uno sguardo stupito sul volto.

    «Un completo?», gli chiedo seccato.

    «Qualcosa del genere, sì». Sogghigna. «È normale che ti abbia preso per un operaio. Lo sembri e ti comporti ancora come se lo fossi».

    Davvero? «Ecco la mano che ti do», gli dico mostrandogli il dito medio davanti alla faccia. «Vuoi una collaborazione? Prendi la tua cazzo di mano e mettitela nel culo, testa di cazzo».

    Le persone che ci stanno attorno mormorano ad alta voce, abbastanza perché io le possa sentire. La cosa mi fa incazzare ancora di più. Sono stanco di questi idioti che se la tirano e storcono il naso nel vedermi. Valgo tanto quanto loro. Diavolo, io sono molto meglio, me li potrei comprare tutti. Mi giro e mostro il dito anche a loro.

    «Boone, sii ragionevole», comincia Bates.

    Lo ignoro. Ne ho abbastanza di questo schifo. Me ne vado come una furia, ignorando gli impiegati del campo da golf che mi seguono come se volessi attaccare qualcuno. È ridicolo, cazzo.

    Ho una mezza idea di comprarmi un campo da golf e bruciare tutto quanto.

    Alcune ore dopo

    «E poi», urla Clay dal jukebox che si trova nell’angolo, «quando quel tizio tira fuori i contratti e li mostra a Boone, Boone li lancia per terra e ci piscia sopra!».

    Gage, Knox e Seth si ammazzano dalle risate. Clay tira un pugno sul tavolo, getta la testa all’indietro e si sbellica con gli altri.

    «Divertitevi», dico in modo pacato, trangugiando l’ultimo sorso di birra. Sono ancora di pessimo umore. Essere insultati da un idiota in completo che pensa di essere meglio di me? Mi secca ancora. Almeno Clay ha solo la storia di stamattina da raccontare… Penso ancora a Bates e a tutto quello schifo sul campo da golf. Non ho intenzione di raccontare quella parte a Clay. Li lascio ridere su come ho rimesso a posto quel tizio. La cosa mi sta bene.

    La faccenda di Bates? Quella non mi sta bene per niente.

    «Ti sei tirato fuori l’uccello e hai pisciato su quei fogli?». Gage ride e alza la mano per darmi il cinque.

    Lo guardo male. «Ero incazzato».

    Lo sono ancora.

    «Sai che il fratellone qui odia quando le persone non lo prendono sul serio». Clay si alza e cerca di rubarmi il cappello, ma gli afferro il polso prima che riesca a toccarlo. La cosa fa ridere ancora di più i miei fratelli più piccoli. Gage colpisce ancora il tavolo, e la birra schizza dappertutto.

    «Sono contento che a qualcuno la giornata di oggi sembri divertente», dico in tono acido, fissando la mia birra. Sembri davvero un manovale. Guardati, Boone. Non poteva pensare che tu fossi il capo, è chiaro. La mia mano stringe il bicchiere. «Se proprio lo volete sapere… il terreno era asciutto, oltretutto. Nessuna traccia di petrolio».

    «Zero? Questa è una notizia di merda», dice Knox, pulendo con il tovagliolo la birra di Gage sul tavolo mentre Seth ferma la cameriera. Il bar di camionisti dove stiamo bevendo è affollato, e quasi tutti i nostri bicchieri sono vuoti. Non c’è nessuno che badi a noi e si assicuri che i fratelli Price – tutti miliardari – abbiano la loro birra fredda.

    La cosa buffa è che tutto questo non mi dà fastidio, a differenza di quello che è successo oggi. Forse perché qui siamo solo dei portafogli senza un nome. Negli affari dovrei essere un pezzo grosso, e invece tutti si comportano come se fossi una specie di criminale che si è ritrovato lì per caso. Come se non appartenessi a quel mondo. Potrei comprare ogni dannata trivella del Texas occidentale e tutti mi guarderebbero ancora dall’alto al basso come se fossi un idiota. È una stronzata e non ne posso più.

    Penso a quel campo da golf e a quegli asini in camicia rosa che mi guardavano disgustati. Come se fosse già un affronto vedermi sul loro territorio.

    Il loro territorio. Potrei comprarlo e cospargerlo di sale, così non crescerebbe più nemmeno un filo d’erba. Potrei trasformarlo in un allevamento di maiali.

    «Sei ancora incazzato», afferma Gage, in tono sobrio.

    «Lo sono». Bevo l’ultimo sorso di birra calda e appoggio il bicchiere vuoto in fondo al tavolo.

    «Non capisco perché ne fai una questione così importante», dice Gage.

    «Perché siamo ricchi. Siamo bravi coi nostri soldi. E la gente che dovrebbe rispettarci ci tratta come se fossimo delle zecche sul culo di un cane».

    Clay sbuffa. «Anche peggio di così».

    Non mi è d’aiuto.

    «Dunque, siamo spazzatura», interviene Gage. «Quindi qual è il problema? Potremmo comprarci tutto». Sorride e si solleva una manica della sua

    T

    -shirt, poi l’altra. Knox scoppia a ridere, battendogli sulla spalla. Clay alza gli occhi al cielo.

    «Perché dovrebbe importare.

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