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La mia indimenticabile vacanza in Grecia
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E-book302 pagine4 ore

La mia indimenticabile vacanza in Grecia

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Info su questo ebook

D'estate tutto può succedere

Riuscirà un amore estivo a guarire un cuore spezzato?

Mandy era assolutamente convinta che con Danny, il suo primo e unico amore, sarebbe durata per sempre. Quando scopre che lui ha un’altra relazione, il mondo le crolla addosso. Sente il bisogno di fare dei cambiamenti nella sua vita, ma ritrovarsi single dopo tanti anni non è una cosa semplice. Senza pensarci troppo, Mandy si imbarca su un aereo, diretta verso un’avventura, alla ricerca di una seconda occasione di felicità. La destinazione non può che essere l’assolata Grecia: il blu scintillante del mare, le spiagge dorate e i cocktail deliziosi sono esattamente quello di cui ha bisogno. Tra un souvlaki e un ouzo, Mandy riesce subito a fare nuove amicizie, e si ritrova persino attratta da un affascinante sconosciuto… Riuscirà un amore estivo a guarire il suo cuore spezzato o la nostalgia della sua vecchia vita finirà per rovinarle il sogno?

Per tutti gli amanti delle atmosfere di Mamma mia! 

Una commedia romantica e divertente sotto il sole della Grecia

«Mentre leggevo mi ritrovavo spesso a sorridere: il miglior libro che si può desiderare durante le vacanze.»

«Il romanzo perfetto da mettere in valigia!» 

«Una delle letture più divertenti da gustarsi sotto l’ombrellone.»
Sue Roberts
Vive nel Lancashire con il compagno Derek e da sempre coltiva una grande passione per la scrittura. All’età di 11 anni ha vinto un concorso letterario e da allora non ha mai più smesso di riempire le pagine di storie. L’ispirazione per La mia indimenticabile vacanza in Grecia le è venuta durante un viaggio nel Mediterraneo.
LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2018
ISBN9788822722577
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    Anteprima del libro

    La mia indimenticabile vacanza in Grecia - Sue Roberts

    Capitolo uno

    È strano come ci si faccia dei pregiudizi sulle persone, non è vero? Si resterebbe sorpresi a scoprire che quella coppia nel pub con i capelli bianchi, che sembrava tenersi ancora per mano dopo una vita trascorsa insieme, in realtà si è conosciuta su un sito di appuntamenti online tre mesi fa. O quel motociclista con tutta la pelle tatuata al tavolo accanto, che sta bevendo una pinta di birra artigianale… chi l’avrebbe mai detto che da giovane fosse un ballerino allenato e che ora insegna salsa presso il centro sociale locale per arrotondare il suo stipendio di corriere. Lo facciamo di continuo. Voglio dire, i clienti che guardano il mio allegro sorriso sulle labbra rosa, mentre servo loro cibo e bibite da Pig and Whistle, non immaginerebbero mai che nel mio intimo sono in preda a un forte stress emotivo.

    «Gradisce anche un bel contorno?», cinguetto mentre inserisco le loro ordinazioni nel registratore di cassa, anche se il mio stomaco si chiude al solo pensiero di mangiare un solo boccone.

    Nelle ultime tre settimane ho perso più di cinque chili, un fatto che normalmente avrei urlato ai quattro venti, se il dimagrimento non fosse stato causato dal crepacuore, ossia dalla dieta del divorzio. Funziona meglio dei pasti sostitutivi, degli integratori per il controllo del peso, o di qualsiasi altra dieta, e la cosa bella è che non devi neanche sforzarti. Il mal d’amore causa una immediata perdita di appetito, e ti garantisce che non recupererai mai neanche un etto.

    Pensavo che tra me e Danny Davis sarebbe durata per sempre. Avevamo iniziato a uscire insieme ai tempi della scuola quando avevamo quindici anni ed eravamo entrambi membri ufficiali dell’A-team. Eravamo quelli belli, famosi, che deridevano tutti quelli che a scuola studiavano per davvero. Provavamo pietà per quei poveretti sporchi d’inchiostro che erano destinati a vivere una vita di grigiore e noia nelle loro immacolate bifamiliari di periferia, mentre noi baldi giovani avremmo girato il mondo in un camper. I ragazzi dell’A-team arrivavano a scuola su motorini viola metallizzato non appena compivano sedici anni, rivendicando il loro ruolo di maestri del divertimento, mentre i secchioni occhialuti carichi di libri non potevano far altro che guardarli con invidia. Oh sì, la scuola serviva solo a programmare la successiva serata in discoteca e a sdraiarsi sull’erba durante la ricreazione, a discutere di argomenti tipo se depilarsi le gambe fa davvero crescere i peli più duri. Invece, ecco come è andata a finire. A distanza di quasi tredici anni, mi ritrovo a lavorare in un pub della zona e Danny Davis mi ha appena spezzato il cuore.

    La devo smettere di sognare a occhi aperti. Su un tavolo qui vicino ci sono un bicchiere di birra e un bicchiere di vino vuoti che devono essere sparecchiati e non voglio che Brian, il gentile direttore del locale, pensi che io batta la fiacca. L’ultima cosa che mi serve ora è perdere il lavoro, il solo motivo che mi fa alzare tutte le mattine.

    Mi piace lavorare da Pig and Whistle. Se hai intenzione di lavorare in un bar ristorante allora questo posto è il migliore che esista. Il Whistle, come lo chiamano quelli del luogo, è un pub tentacolare con un labirinto di sale e salette, situato a circa dieci chilometri dal centro di Liverpool nella campagna di Knowsley. Richiama una clientela di vario tipo, la sua maggiore attrattiva è il fatto che si tratta di un pub indipendente con un proprio microbirrificio; ha anche un eccellente chef di nome Darren, che due anni fa ha addirittura partecipato alla gara per il miglior giovane chef dell’anno arrivando secondo.

    Il pub è luminoso e allegro, con pavimenti di lastricato grigio e tavoli e sedie di legno massiccio. È un misto di moderno e rustico, con infissi e mobili da cucina cromati accanto alle pareti di pietra recanti fotografie di vecchi terreni agricoli. Ci sono alcuni caminetti che nei mesi invernali ruggiscono di vita e cinque diversi tipi di botti di birra artigianale. Il bancone è di legno di quercia e ha una forma leggermente a ferro di cavallo e offre qualsiasi bevanda alcolica conosciuta dall’uomo ad eccezione dell’assenzio, dopo uno sfortunato evento che ha visto un uomo spogliarsi nudo durante un pranzo tra pensionati.

    Da dietro il bancone ho una visuale perfetta di tutti che mi fa sentire come un capitano al comando della sua nave. Non sono molte le persone della zona che vengono qui a bere, anche se ce ne sono alcune che abitano nei villini a schiera nei pressi di terreni agricoli a soli duecento metri di distanza. C’è Geoff, l’allevatore di maiali dalla faccia rubiconda, che emana un profumo interessante; Bill e Dot, sposati da quarant’anni, che si tengono ancora per mano; e due giovani coppie, una delle quali composta da me e Danny, che hanno comprato le loro villette cercando un luogo idilliaco. È un posto semirurale con un autobus che due volte ogni ora porta al centro di Liverpool.

    La restante clientela del pub è costituita da avventori di passaggio, gruppi che festeggiano occasioni speciali e serate di Natale quando il pub propone delle tribute band. In genere questi artisti sono molto bravi, a parte il cantante dell’anno scorso che sembrava più Bruce Forsyth che Bruce Springsteen.

    Nelle ultime settimane il mio lavoro è stato la mia salvezza. Guardare le persone è diventato il mio passatempo e osservare l’andirivieni della clientela mi ha fatto capire di non essere l’unica ad attraversare un momento difficile. Organizzare un buffet per un funerale la settimana scorsa avrebbe dovuto ridimensionare tutto in realtà, ma il mio cuore soffre ancora per Danny.

    La coppia che se n’è appena andata lasciando sul tavolo i due bicchieri vuoti ha una relazione. Riesco ad accorgermene a un chilometro di distanza. Non appena hanno varcato la porta d’ingresso ci sono state occhiate furtive all’interno del pub, e poi l’intreccio intermittente delle mani durante il pranzo. Inoltre la giovane donna snella sembra più la figlia del benestante gentiluomo leggermente corpulento con cui si accompagna. Mi fa pensare a Danny e a come sia riuscito a nascondere la sua scappatella con tanta facilità. Pensi di conoscere qualcuno, ma io non avevo avuto alcun segnale…

    Un gruppo di giovani donne arriva per il pranzo ma Jack, uno dei nostri camerieri, è sparito. Probabilmente è sgattaiolato fuori per un’altra sigaretta. Finirà per doversene andare. Jack è uno studente un po’ apatico sul lavoro, e pensa di potersela cavare grazie alla sua somiglianza con Brad Pitt (da giovane), ma il pub ha una reputazione invidiabile per il servizio che deve essere rispettata.

    Sono sul punto di indicare al gruppo di donne un tavolo quando Jack riappare, trasudando il suo solito fascino, così riprendo posto dietro al bancone del bar. Poi il mio cuore si ferma. Un ragazzo che è la fotocopia di Danny ha appena varcato la soglia. Ha la stessa altezza, snello, strutturato e castano, con i capelli leggermente mossi. Si avvicina al bancone, dove posso constatare che ha gli occhi castani invece che acquamarina come quelli di Danny. Fa un sorriso leggermente sbilenco, rivelando dei luminosi denti candidi.

    «Cosa ti porto?». Sorrido raggiante, anche se il mio cuore sta martellando trovandomi di fronte a qualcuno che somiglia così tanto a mio marito.

    «Una pinta della vostra migliore birra amara e il tuo numero di telefono, per favore». Fa un sorrisetto.

    «Sei un po’ troppo sfacciato, non credi?», gli rispondo mentre gli porgo una pinta di Magpie amara, la preferita del momento.

    «Mi avvantaggio». Ride. «Ci togliamo subito di torno il rifiuto». Fa finta di essere triste.

    Chiacchieriamo per qualche minuto prima che io serva un altro cliente. Dovrei essere contenta di averci flirtato un po’, e senza dubbio è attraente, ma non mi interessa. Comunque, probabilmente da qualche parte avrà una moglie o una fidanzata che non sospetta nulla.

    Sono distratta da altre persone che sono appena entrate nel pub e chiedo a Lyndsey, una cameriera, di dare un’occhiata al bancone del bar mentre accompagno a un tavolo una donna d’affari snella dai capelli lucidi, con un costoso cappotto di lana, insieme al suo gruppo.

    Ora Jack ha veramente del lavoro da fare, mentre prende le ordinazioni di queste giovani donne che stanno scandalosamente flirtando con lui. Ciocche di capelli biondi sono scivolate giù dal mio chignon curato e ordinato e con questa ondata di caldo inatteso di fine maggio mi si sono attaccate sul viso. Sto cercando di coprire sulla mia camicia bianca le macchie di ketchup, che il bambino del tavolo accanto ci ha appena depositato sopra con le manine appiccicose, mentre poggio dei menù sul tavolo di legno e illustro le specialità sulla lavagna, cioè maiale al sidro in casseruola o branzino con asparagi al vapore.

    La donna con il cappotto di lana trasuda successo da tutti i pori e considero brevemente che deve avere più o meno la mia età. Deve essere stata il tipo che ha lavorato sodo a scuola, qualcuno che sapeva concentrarsi. Sento una passeggera pugnalata di rimpianto per non aver fatto altrettanto.

    Non disdegno il mio lavoro, anzi mi piace, ma sognavo di diventare una giornalista. Tuttavia questa è l’unica cosa che ho fatto. Sognare. Non mi sono mai impegnata veramente per riuscirci. Ero molto più interessata ai ragazzi, allo shopping, alle discoteche e a tutto quello che riguardava il divertimento.

    Ero quella che per uscire la sera radunava tutti gli amici per andare in taxi nelle strade illuminate al neon in diverse città. Rabbrividisco al pensiero di quando una volta io e la mia migliore amica Hayley facemmo l’autostop per Londra e fummo caricate da un camionista barbuto, che era rimasto minacciosamente in silenzio per tutto il viaggio. Ci fermammo in un ostello della gioventù a Holland Park, dove trascorremmo tre notti, per esplorare la città, tornando soltanto dopo aver finito tutti i soldi. Non riesco a ricordare l’ultima volta che ho avuto una qualche avventura, anche se forse è proprio quello che mi servirebbe in questo momento.

    La donna dai riflessi color rame si toglie il cappotto di lana blu prima di porgermelo. Profuma di Miss Dior. «Sii gentile e appendimelo, Mandy», dice, facendomi un sorrisetto ironico e molto soddisfatto.

    Capitolo due

    Prendo il cappotto della donna e la fisso; ha un aspetto vagamente familiare. Non può essere, o forse sì? Sembra così magra e, be’, sexy. Un tempo il nome di Janet Dobson e la parola sexy non sarebbero mai stati pronunciati nella stessa frase. Sono esterrefatta.

    L’ambiziosa Janet Dobson utilizzatrice a trecentosessanta gradi del cerchietto per i capelli, che avevamo soprannominato la ragazza Dixan (perché la sua divisa da ginnastica era ancora misteriosamente bianca che più bianca non si può anche dopo che avevamo corso nei campi melmosi della corsa campestre), aveva cercato di unirsi al nostro circolo scolastico, ma non glielo avevamo permesso. Era tutto come nel film Grease, Janet era Patty Simcox – era sempre tenuta ai margini del circolo a guardare e mi vergogno di dire che l’abbiamo usata senza pietà. Suo zio aveva un negozio, un’edicola vicino alla scuola, e noi l’avevamo convinta a rubare un pacchetto di sigarette e tavolette di cioccolato in cambio del privilegio di starsene un po’ con noi.

    Il nostro ultimo incontro era stato sul Canale tra Leeds e Liverpool, dove avevo contribuito a farla cadere dalla bicicletta facendola finire nei fondali torbidi. (Accidentalmente, è ovvio. È una lunga storia). Potrei giurare che anche in quel caso l’abbinamento pantaloncini rossi e polo bianca fosse ancora splendente quando l’abbiamo dragata fuori dall’acqua.

    Se in questo preciso momento non avesse parlato, non l’avrei mai e poi mai riconosciuta, ma la voce era proprio quella. Lei non ha mai avuto quell’accento di Liverpool così facilmente riconoscibile che avevamo noi altri, ma è stato il tono della voce a tradirla. Una sorta di incrocio tra un’annunciatrice e una cantante.

    «Janet?», farfuglio, quando finalmente si accende la lampadina.

    «Ciao, Mandy», cinguetta, rivelando una dentatura costosa, esteticamente migliorata.

    «Come stai?», riesco a dire mentre le porgo un menù di pelle rossa.

    «Mooolto bene», risponde, facendo uscire le parole con grande enfasi. «Davvero mooolto bene. Allora è qui che lavori?», dice sollevando un sopracciglio e guardandosi intorno con gli occhi perfettamente truccati. «Non male. Voglio dire se il lavoro in un bar è tutto ciò che sei riuscita a trovare, allora tanto vale che sia un bel bar».

    Il suo gruppetto fa dei sorrisetti tirati prima di affondare la testa nei menù.

    «Sono la direttrice del bar», ribatto, cercando di non trasmettere la mia irritazione attraverso la voce. Poi mi arrabbio con me stessa per aver lasciato che succedesse. Non avrei dovuto cercare di fare colpo su Janet Dobson la sanguinaria. Sarei orgogliosa di fare le pulizie in un luogo come questo, come lo è Joyce, la nostra addetta alle pulizie. Siamo una grande famiglia felice.

    «Complimenti», dice Janet con una tale superiorità che mi viene voglia di ficcarle il menù dove non splende mai il sole. Ma sono una professionista.

    «Da bere?». Sorrido. «Poi tornerò per prendere le ordinazioni».

    Prendo nota di quello che ha chiesto Janet prima di portare l’ordine al bancone del bar.

    Non appena le bevande (acqua imbottigliata e due bottiglie di Sauvignon Blanc) vengono servite e le ordinazioni spedite in cucina, prendo posto dietro il bancone, facendo finta di essere impegnata alla cassa e osservo il tavolo di Janet da lontano. C’è una giovane ragazza in stile bohémien che indossa una maxi gonna colorata e una giacchina di jeans. Ha una sciarpa tinta a nodi sui capelli a mo’ di bandana e svariati orecchini d’argento su ciascun orecchio. Sembra che stia scribacchiando degli appunti. Seduta accanto a lei c’è una donna attraente sulla trentina dai capelli rossi, che indossa una sorta di divisa da ufficio con gonna a tubo nera e camicia bianca. E poi c’è Janet, con un elegante tubino nero e un cardigan rosa di cashmere. Mi domando in quale attività siano coinvolte e perché non sono mai state qui al pub per una delle loro riunioni.

    «Tavolo quattro!», gridano dalla cucina, scuotendomi dai miei pensieri. Sono i piatti per il tavolo di Janet. Una giovane cameriera di nome Lucy smette di riempire il frigorifero con gli analcolici e si dirige in cucina a prendere i piatti, ma io la intercetto.

    «Questo lo prendo io, Lucy». Lei scrolla le spalle e torna alle sue bottiglie di analcolici, che formano un effetto arcobaleno perché tutti i gusti dall’arancia al mirtillo sono allineati fianco a fianco nell’alto frigorifero nero e argento.

    «Ecco qua», dico raggiante, porgendo due casseruole di maiale al sidro e una di branzino, specialità della lavagna, sul tavolo di legno massiccio. «Buon appetito. Posso portarvi delle salse?».

    Muoio dalla voglia di scoprire in quale settore lavora Janet, ma non mi va di chiederlo. Sto mettendo lentamente la salsa tartara sul tavolo con la velocità di una lumaca sedata, ma la loro conversazione sembra essersi esaurita mentre sorseggiavano le bevande.

    «Devo dire…», dice Janet, alla fine, tra un boccone e l’altro di branzino. «…che è davvero molto buono. Non riesco a capire perché non siamo mai venute qui prima d’ora».

    «Dove andate di solito?», chiedo con nonchalance.

    «Oh, in realtà dovunque. Su e giù per il Paese e spesso anche all’estero. È facile dimenticare quanto siano buoni alcuni dei nostri pub della campagna inglese».

    Janet sorride con un sorriso sincero e il resto del gruppo annuisce simultaneamente mentre si apprestano a banchettare. Sto quasi per chiedere loro cosa le porta in giro per il Paese, quando sento un boato potente provenire dalla cucina seguito da un urlo lacerante.

    Mi precipito in cucina e scopro che un forno a microonde è esploso. Li usiamo solo per riscaldare i piatti, ma sembra che Sally, una delle nuove assistenti di cucina, abbia deciso di riscaldare un dolce in un vassoio di alluminio e, dopo un pittoresco spettacolo dalle proporzioni dell’aurora boreale, lo sportello si è spalancato e ha depositato l’appiccicoso budino al caramello su tutto il muro bianco di fronte. Sally sta piangendo, Darren è lì a bocca aperta e Lyndsey sta ridendo in modo isterico.

    Lyndsey ride sempre quando succede qualcosa di terribile. È una reazione nervosa, ma provate a spiegarlo voi alla moglie del gentiluomo che stava per morire soffocato in una delle salette la scorsa settimana, mentre Lyndsey rideva in modo convulso. Poi una manovra di Heimlich e un passaggio a casa in ambulanza e tutto si era risolto… A parte la moglie, che giurò di non tornare mai più in un pub dove fanno lavorare una lunatica puttana.

    Lyndsey è una cameriera talmente eccellente da far dimenticare la sua risata inappropriata. È veloce, efficiente e così sorprendente – con la sua figura snella, la carnagione olivastra e il suo bel viso – da riuscire a ottenere delle mance magnifiche, che è felice di mettere nel barattolo delle mance in comune.

    Il gruppo di Janet finisce di mangiare e lascia una mancia generosa, prima di riprendere i cappotti per andarsene. Bene, Janet, penso tra me e me, hai avuto il tuo momento di gloria, e se devo essere onesta spero che ti sia divertita – ai tempi della scuola sono stata proprio una strega con te.

    «Ciao, Mandy», dice Janet, sorridendo. Faccio fatica a decidere se il suo è un sorriso sincero. «Questo è il mio bigliettino da visita», dice, porgendomi un cartoncino nero con la scritta color oro. «Se mai dovessi aver voglia di usufruire della mia collaborazione».

    Mentre il gruppo spariva nel parcheggio pensavo fosse l’ultima volta che vedevo Janet Dobson.

    Capitolo tre

    Ho iniziato a uscire con Danny Davis quando venne in mio soccorso fuori dalla discoteca del centro sociale della zona; all’epoca avevamo entrambi quindici anni. Un gruppetto dei nostri era sgattaiolato fuori per una sigaretta, e fu allora che quel super viscido e senza amici di Gary Smith mi strappò dai lobi gli orecchini a clip provvedendo a metterseli nelle mutande. Erano della mia vicina di casa di sedici anni, che mi avrebbe ucciso se fossi tornata a casa senza. «Sai dove sono», mi disse sogghignando e indicando col dito il suo pube. Qualche istante dopo fu trascinato dietro un angolo, per poi ritornare con il naso sanguinante; gli orecchini della mia amica, che recuperai con un fazzoletto di carta, erano sul palmo aperto di Danny.

    Per la verità non conoscevo Danny molto bene, anche se faceva parte della mia cerchia di amici più ampia, ma una settimana dopo l’incidente degli orecchini si presentò nella discoteca della scuola con una camicia color acquamarina, che gli stava benissimo e che si intonava ai suoi occhi. Dopo qualche subdolo sidro e un lento di George Michael, ero cotta. Passato circa un anno insieme ci lasciammo, perché avevo deciso che ero troppo giovane per legarmi e anche Danny la pensava più o meno nello stesso modo. Negli anni seguenti, mi divertii un sacco con le mie amiche ma, cinque anni più tardi, poco dopo il mio ventunesimo compleanno, tornammo insieme.

    Era difficile credere quanto fossero passati in fretta gli anni nel frattempo. Danny in quel periodo mi aveva reso ancora più difficile dimenticarlo, perché di tanto in tanto frequentava gli stessi posti che frequentavo anch’io. Mi accompagnava a casa a piedi e alla fine della serata ci baciavamo. Questo era stato lo schema della mia vita per un po’. Ero talmente infatuata che non potevo resistere.

    Non vedevo Danny da qualche tempo, finché entrai in un pub la sera di Capodanno e lui era lì. Era bellissimo con un completo grigio e sotto una camicia bianca che evidenziava una leggera abbronzatura ottenuta durante una vacanza al sole che i ragazzi avevano fatto da poco. A mezzanotte, quando mi prese per mano per portarmi nel retro del pub per un bacio vero, mi resi conto che mi aveva rubato il cuore ancora una volta…

    Ricordo ancora la reazione di mia madre alla notizia dei nostri progetti di matrimonio nonostante sia trascorso tanto tempo. Ero in piedi nella cucina della mia casa di famiglia, e asciugavo alcuni piatti con un canovaccio a strisce e chiacchieravo con mamma mentre lei canticchiava una canzone di Radio 2.

    «State progettando cosa?», esclamò mia madre quando le dissi delle mie nozze imminenti.

    «Mamma, ci conosciamo da anni. Danny è quello giusto».

    Lei smise brevemente di sbattere le uova in una ciotola per lo Yorkshire pudding e si imbronciò leggermente. «Be’, questo lo so, tesoro, ma sei troppo giovane».

    Mamma indossava una tuta grigia che aveva comprato con l’intenzione di frequentare regolarmente la palestra. (Ci era andata due volte nei due mesi precedenti). I suoi capelli biondi erano raccolti in una coda di cavallo e non aveva trucco. È ancora l’unica persona che conosca che sembra molto più giovane senza…

    «Mamma, ho ventun anni. Sì, sono giovane, ma tu e papà non eravate molto più grandi quando vi siete sposati e siete ancora felici insieme, non è così?».

    Lei non rispose e continuò a sbattere le uova. Sapevo che era solo preoccupata.

    Molte volte negli anni ho avuto l’impressione che mamma avrebbe preferito non sposarsi così giovane. Oh, a modo suo era piuttosto felice con mio padre, ma so che spesso pensava a come sarebbe stato fare l’infermiera al Walton Hospital. Avrebbe potuto essere una caposala o una infermiera professionista alla fine, ma aveva sacrificato la sua carriera per prendersi cura di me e di mio padre. È proprio una splendida donna, mia madre. Il nostro villino a schiera

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