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Una fuga inaspettata
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E-book273 pagine3 ore

Una fuga inaspettata

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Info su questo ebook

Quando Jenny è arrivata a Nashville per scrivere canzoni, non si aspettava di avere tanto successo. Dopo aver ottenuto il secondo disco di platino, si è ritrovata catapultata in un mondo fatto di riflettori e gossip a cui non era preparata. Un gigantesco scandalo montato dai tabloid, infatti, la costringe a ritirarsi in una remota villa in Louisiana, per sfuggire ai paparazzi e poter scrivere in pace il suo prossimo album. L'unico inconveniente è l'inaspettata presenza di un giovane custode di nome Noah, le cui battute insopportabili non fanno che generare continui litigi.
Se vogliono davvero riuscire a sopravvivere alla convivenza forzata, Jenny e Noah dovranno provare ad andare d'accordo...

Lauren Layne
si è laureata in Scienze politiche. Dopo essersi occupata di e-commerce a Seattle e nella California del Sud, si è trasferita a New York dove scrive a tempo pieno. I suoi romanzi hanno avuto un grande successo negli Stati Uniti e hanno venduto centinaia di migliaia di copie. La Newton Compton ha pubblicato la Redemption Series e la Best Mistake Series.
LinguaItaliano
Data di uscita6 giu 2019
ISBN9788822735379
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    Anteprima del libro

    Una fuga inaspettata - Lauren Layne

    Jenny

    Una settimana fa ero incinta del mio primo bimbo-burrito.

    Cioè, neanche sapevo di essere in dolce attesa. Per fortuna ci sono i tabloid a dirmi queste cose.

    A volte succede, perlomeno a Hollywood, la terra dell’addome piatto.

    Vedete, se la vostra pancia non è una tavola, se magari avete messo su qualche chiletto imputabile a un debole per la salsa guacamole extra sul vostro burrito Chipotle

    Bam! Vai al supermercato per comprare assorbenti ed M&M’s, ti guardi intorno, ed eccoti là, su tutti i rotocalchi. Incinta.

    O quanto meno, sospettata di esserlo.

    Per i tabloid è ininfluente che sia passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che un uomo si è avvicinato alla mia… ehm. A quanto pare a Hollywood non ti serve un uomo. A Los Angeles tutto quel che serve per farsi mettere incinta è una tortilla delle dimensioni di un cerchione e un avocado… o quattro.

    Mettiamo le cose in chiaro: non sono incinta.

    Solo che mi piace mangiare. Molto.

    A essere sincera, fino alla settimana scorsa, quando ho ingenuamente ordinato della panna extra pur indossando una T-shirt aderente che, a quanto pare, sottolineava il feto che non c’era, non mi sono soffermata a pensare ai canoni di bellezza hollywoodiani.

    Cioè, per chi non mi conosce, non sono tipo da Hollywood. Per niente.

    Vivo sulla collina di Hollywood, questo sì. Ho preso in affitto la casa di un regista. Ho fatto perfino la comparsa in un film, mesi fa.

    Ma io sono Jenny Dawson.

    Una cantante country.

    Non.

    Fate.

    Quella.

    Faccia.

    Capisco che la musica country può essere polarizzante, lo so, davvero. Ma giuro che non canto di cani che muoiono e autostrade polverose. Scrivo semplicemente testi sulla vita vera. La mia. E poi li canto.

    All’inizio sotto la doccia, e adesso alla radio.

    Dov’ero rimasta?

    Ah, giusto. A Hollywood. E al non esserci proprio portata.

    Non che odi Los Angeles. Certo, il traffico è una gran rottura di palle e le californiane hanno la loro bella dose di silicone tra una spalla e l’altra, ma la città ha dei numeri. Il clima. L’oceano. Lo shopping.

    I paparazzi, però, mi urtano proprio i nervi.

    Non sono una di quelle che si trasferiscono qui per diventare famose. Ero già famosa, grazie al doppio disco di platino dello scorso anno per All of Me.

    Quando la mia agente e la casa discografica mi hanno consigliato di passare un po’ di tempo a Los Angeles perché sarebbe servito a mantenere la mia popolarità di massa, non mi sono veramente opposta. Rileggete quanto sopra su clima e oceano.

    Non avevo però messo in conto che sarei stata costantemente sotto le luci della ribalta.

    Di certo non avevo messo in conto di abbracciare la rivoluzione degli smoothie fatti in casa. E, in effetti, abbracciare è una parola grossa. Diciamo che ho dovuto leggere per bene le istruzioni prima di capire come funzionava il frullatore ultimo modello. E sì, mi posso essere concessa un aumento di peso e, avendolo notato i tabloid, sono stata spinta, con la coda tra le gambe, nel mondo della verza e della quinoa.

    Quindi, ecco qua. La retrospettiva del perché sono in piedi nella cucina di una casa in affitto, in pantaloni da yoga e top sportivo rosa, a cercare di raccogliere il coraggio per ingerire la poltiglia verde che ho davanti.

    Tentennando, prendo un pezzo di verza biologica dalla confezione e lo butto a terra. Non avrei mai immaginato prima d’ora che il mio volpino Pomeranian arancione rifiutasse il cibo degli umani, eppure Dolly non apprezza la verza: la foglia viene fagocitata solo per essere prontamente risputata sul pavimento

    «Dovresti essere la mia coach del mangiare sano», le dico con uno sguardo di rimprovero. Per tutta risposta, si solleva sulle zampe posteriori accanto al pezzo di verza, abbaiando due volte con quella vocetta acuta tipica dei cani di piccola taglia, che notoriamente mette in fuga tutti gli uomini brutti e cattivi.

    «Lo so», le dico con un sospiro. «Anch’io vorrei che fosse fritto. Ma se metà del Paese pensa che ti sei fatta mettere incinta, devi tentare di dimostrare che si sbagliano. Sono tempi cupi, Doll».

    Immergendo un dito in quella poltiglia verdastra, ne raccolgo un po’ e la porto alla bocca.

    «OMG. No».

    Allungo la mano sul telefono e chiamo chi mi servirà un’abbondante dose di amore puro.

    Amber risponde al primo squillo. «Ciao!».

    «Chi ti aveva detto che gli smoothie sanno di milkshake?», chiedo a mo’ di saluto.

    «Perché?»

    «Voglio l’indirizzo per fargli consegnare un vero milkshake e fargli ammettere che aveva assolutamente torto».

    «Mi sembra di ricordare che le mie parole esatte siano state di milkshake sano», controbatte la mia migliore amica.

    «Sì, come quando sulle patatine scrivono cotte al forno e non fritte. E dichiarano che il sapore è lo stesso. Tutte bugie!».

    «Quindi la fase del mangiare sano sta andando bene?».

    Annuso il frullato. «Alla grande».

    «Col tempo diventa più facile. A proposito, ti ho fatto l’abbonamento ad alcune delle mie riviste di fitness preferite. Una mia coccola».

    «Coccola è una parola grossa, Am».

    «Scusami tanto, piccola, ma non abbiamo più diciannove anni. Sono ventidue, adesso, e sono finiti i tempi in cui mangiavamo chili e chili di gelato ogni giorno restando due stecchini», dice.

    «Parla quella che porta ancora la quaranta».

    «Perché proprio in questo momento, sto mangiando un’insalata di spinaci e quinoa».

    Faccio una smorfia. La verità è che Amber Fuller, la mia migliore amica dai tempi dell’asilo, è molto più da Hollywood rispetto a me, pur senza esserci mai stata. Ha vissuto sempre e solo nel Tennessee eppure, in qualche modo, è riuscita ad abbracciare un’esistenza senza glutine, panna e gusto, nella terra di barbecue, biscotti fatti in casa e focacce di granturco.

    «Seriamente, però, sai che sei di una bellezza da urlo anche così, vero?», dice Amber. «È questo che sto facendo? Un discorso di incoraggiamento?»

    «Sono in dolce attesa di un burrito», borbotto.

    «Non sopporto che ti lasci turbare così», mi rimprovera mentre vado a prendere nella dispensa una busta di sfoglie di cioccolata. «I tabloid sono solo robaccia, e lo sai bene».

    Certo che lo so. Ma sono anche un essere umano. E leggere commenti non proprio lusinghieri su di sé è una vera rottura. Ancora di più quando sono falsità. E non essere in grado di andare da un parrucchiere senza trovarsi davanti una dozzina di paparazzi, di fare una manicure senza che tutti i blog di bellezza si mettano a soppesare il colore che hai scelto… alla fine stufa.

    Lo so, lo so. Povera piccola ragazza famosa, vero?

    Non ho alcun diritto di lamentarmi, ma ciò non riduce il mio istinto di bruciare ogni singola fotografia della mia pancetta.

    Essere sotto i riflettori dei media è una cosa che posso gestire. Non mi piace, ma fa parte del gioco. Lo capisco. Ma mai, neanche nei miei sogni più sfrenati, avrei immaginato quanta di quella roba che si legge sulle riviste fosse tutta invenzione.

    Sapevo che sarei stata tampinata, presa in giro, analizzata. Solo che pensavo che si sarebbero basati su cose che avevo effettivamente fatto.

    Verso una manciata di sfoglie di cioccolata nel frullatore. La cioccolata aggiusta tutto.

    Con il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio, metto il coperchio e accendo il frullatore, godendomi in un certo senso lo scricchiolio della cioccolata triturata.

    «Che cavolo è questo rumore?», chiede Amber.

    «Ho solo aggiunto delle carote al frullato», mento.

    «Ah, ottimo! Adoro il tocco di dolcezza che danno le carote», commenta.

    Alzo gli occhi al cielo. Dolcezza un corno. Sono carote.

    «Però danno un colore orribile», continua Amber. «Un rivoltante marroncino».

    In effetti il mio smoothie è rivoltante e marroncino, ma non per via delle verdure.

    Immergo il dito in quella poltiglia scura e prendo un altro assaggio, stavolta con più entusiasmo.

    Scopro però che l’entusiasmo non è una garanzia. Cioccolato e verza non sono complementari: fa schifo.

    Mi arrendo. Prendo le sfoglie di cioccolata, abbandono il frullatore e vado in soggiorno. Dolly mi trotterella dietro con il suo scoiattolino di peluche stretto in bocca, fermandosi ogni due per tre a strapazzarlo un po’.

    Quando siedo sul divano, mi salta accanto e si acciambella con la testa sul pupazzetto.

    «Com’è lo smoothie?», chiede Amber.

    «Buono», dico infilandomi in bocca una sfoglia di cioccolata. «Ottimo».

    «Gli faremo rimangiare fino all’ultima parola», dice gioiosa. «La prossima volta che pubblicheranno una tua foto, sarà per parlare dei tuoi addominali a tartaruga».

    «Non voglio gli addominali a tartaruga. Mi basta la pancia piatta», dico battendo la mano sulla mia piccola rotondità. La verità è che ho un corpo niente male. Non sono asciutta come Amber, ma ho un aspetto sano. Un metro e settanta, seno nella media, belle gambe. La zona addominale, però, è sempre stata un problema. Ogni pezzetto di cioccolata e, sì, ogni burrito, si piazza dritto sulla pancia.

    «Devi fartelo scivolare addosso», fa Amber. «Sei una musicista prima di tutto. Alla gente non importa se hai gli zoccoli o una verruca al posto della faccia, quando canti canzoni magnifiche».

    Ha ragione. Certo che ha ragione.

    Mangio un’altra sfoglia, ma non mi piace più. Getto la confezione sul tavolinetto e mi accascio sul divano.

    Quand’è che sono diventata così?

    Quand’è che Jenny Dawson, nata in un piccolo centro, figlia di un ragioniere e di un’insegnante di scienze delle medie, ha cominciato a dar credito a un branco di idioti armati di grandi telecamere e a blogger di celebrità?

    Da quando ho cominciato a mangiare verza?

    È come se, per essere veramente, sinceramente felice, avessi bisogno solo della mia chitarra e, un attimo dopo, mi ritrovo sul piedistallo della fidanzatina d’America, nel costante terrore di cadere giù.

    «Passerà, lo sai». Amber sta parlando tra un boccone e l’altro di insalata scondita. «Tutti ti amano. Cavolo, perfino quelli che pensano davvero che tu sia incinta hanno cominciato a chiamare la tua creatura figlio dell’America e a sferruzzare vestitini».

    «Alquanto inquietante», commento accarezzando Dolly, che comincia a squittire incessantemente al suo pupazzetto.

    «Okay, basta avvilirsi», decreta Amber. «Adesso apro il mio sito preferito, così ti renderai conto che sono già andati avanti e domani nessuno si ricorderà più della tua presunta gravidanza».

    Vorrei dirle di non darsi pena, che non m’importa. Invece mi importa. Non so da quando, ma m’importa e non lo sopporto.

    Ecco il problema: vi siete mai sentiti degli sconosciuti nella vostra stessa pelle?

    Una volta pensavo che fosse quella roba che dicono nei film di formazione da nomination all’Oscar, ma ultimamente è così che mi sento: una sconosciuta nella mia stessa pelle.

    Ho tutto ciò che ho sempre desiderato: la carriera nella musica. Vengo pagata – un sacco di soldi, se vogliamo essere venali – per fare il lavoro dei miei sogni. Dovrei essere su di giri, e lo sono. O perlomeno, fingo di esserlo.

    Solo che, insieme, è arrivata tutta quest’altra roba che non immaginavo. O forse me l’aspettavo, ma non pensavo che mi avrebbe dato tanto fastidio.

    Roba come sentirmi dire che trasferirmi a Los Angeles mi avrebbe reso più appetibile alla massa.

    Sì, hanno usato proprio queste parole.

    Roba come colpi di sole ed extension alle ciglia e mostruosi succhi purificanti definiti non negoziabili se volevo farcela, e sì, sto usando proprio le virgolette in questo momento.

    Diciamo solo che quella PR è sparita dalla circolazione: non mi sono venduta del tutto.

    Non fatevi impressionare troppo, però.

    Voglio dire, mi sono lasciata convincere dalla mia agente a fare una particina in un film anche se, ammettiamolo, mi sono anche divertita.

    Ma poi ho anche accettato l’idea che una temporanea ricollocazione a Los Angeles avrebbe rinfrescato il mio sound, salvandomi dalla crisi del secondo album.

    La cosa divertente è che l’album a cui sto lavorando ora – mi correggo, l’album al quale dovrei lavorare ora – non è il secondo.

    Quello che ha preso il doppio disco di platino, che ha battuto il record dell’anno, che ha avuto sei singoli al primo posto, era il mio secondo album.

    Solo che nessuno si ricorda del primo.

    So che a ventidue anni si è forse troppo giovani per dirlo, quindi chiedetemelo di nuovo quando avrò raggiunto l’età di Madonna, Dolly Parton o Garth Brooks. Ma lo dico comunque, perché così è: non ho preferenze tra i miei album. E, se da una parte non mi dispiace che il secondo abbia avuto più successo del primo, mi secca che si faccia finta che Just for Now non sia mai esistito.

    Comunque, il punto è che possiamo dire in tutta sicurezza che ho superato la crisi del secondo album. È del terzo che dovrei preoccuparmi.

    E mi preoccupo, infatti.

    Vi svelo un segreto: ho vissuto nella menzogna gli ultimi tre mesi.

    Tutti pensano che sia venuta a Los Angeles per scrivere il mio prossimo album ed è vero.

    Tutti pensano che stia andando bene e che sia quasi a metà.

    E quest’ultima parte è falsa.

    Non ho scritto una sola nota né una sola parola da quando mi sono trasferita qui. Anzi, l’ho fatto, ma niente che abbia intenzione di utilizzare.

    La mia paura più grande non è che il mondo pensi che sia incinta, o che la rivista «Sunning» ritenga che il mio rossetto rosa preferito mi sbatta, o i commenti anonimi sui siti di intrattenimento secondo i quali, avendo portato ai Grammys la mia migliore amica invece di un uomo, sarei lesbica o assolutamente inappetibile.

    La mia paura più grande è che tutto questo mi sia entrato così dentro la testa da aver distrutto l’unica cosa veramente importante: la musica.

    La mia paura più grande è di aver perso la musica.

    Smetto di accarezzare le orecchie vellutate di Dolly (e, sì, a questo punto avrete sicuramente indovinato che il nome si deve all’incomparabile Miss Parton), quando mi rendo conto che Amber è diventata improvvisamente silenziosa, sia quanto a chiacchiere che a masticare quinoa.

    Il che significa che o ha finalmente scoperto che la sua insalata fa schifo oppure sul sito di gossip ha trovato pessime notizie.

    «Che c’è?», mi informo rassegnata. «Sono gemelli? Avrò due burrito gemelli? Ci sono precedenti in famiglia, sai».

    «Tesoro…». La voce di Amber è così gentile da farmi entrare in tensione.

    Le voglio un bene da morire, ma non è una da parole dolci. È più il genere di amica che ti direbbe in faccia che un certo paio di jeans ti fa il culone.

    Immobile, mi chiedo se avrò bisogno di altra cioccolata. «Che c’è? Parla».

    «Hai mai frequentato Shawn Bates?»

    «Bleah, no», rispondo con una smorfia.

    «Ma siete usciti qualche volta?»

    «No. L’avrò visto sì e no in due occasioni. Forse tre».

    «E quand’è stata l’ultima?».

    Ora mi batte il cuore, perché nel tono di Amber c’è un’urgenza che non le è consueta. «Non lo so. Ai Grammy, forse. Ci hanno scattato una foto insieme, credo».

    Shawn Bates è uno di quei ragazzi assurdamente carini, cui è stato fatto il dono anche di una voce decente. Ha vinto il primo premio di musica pop per tre anni di seguito.

    Era in lizza contro di me per l’album dell’anno. Immagino che non sia stato tanto contento di perdere, ma si è dimostrato comunque abbastanza amichevole. Un po’ viscido, ma forse solo perché conosco la sua reputazione. E, io più di tutti, so che non bisogna credere a tutto ciò che si sente dire.

    «Hai il laptop sottomano?», chiede Amber con quella inquietante voce bassa.

    Oh, cavolo. So per istinto che è una brutta cosa. Veramente brutta.

    Mi alzo e mi dirigo in cucina dove ho lasciato l’iPad. Dolly mi trotterella al piede, felice e ignara con il suo scoiattolino in bocca.

    «Che sito?», domando mentre accendo il tablet.

    «Uno qualunque».

    Si scopre che non c’è neanche bisogno di aprire un sito di gossip di celebrità. Stamattina, mentre bevevo il caffè, ho scorso le notizie di Google e il browser è ancora aperto su quello.

    Soltanto che stavolta…

    Stavolta a fare notizia sono io.

    Guardo senza vedere, cliccando sull’articolo in evidenza, rileggendo il titolo una dozzina di volte prima che il cervello finalmente elabori: Dietro la fidanzatina d’America si nasconde una seduttrice?

    Sotto il titolo c’è la foto scattata a me e Shawn ai Grammy, entrambi con il nostro premio. Rido con la testa all’indietro e, pur sapendo che la mia gioia derivava dall’aver vinto e non dal trovarmi vicino a Shawn Bates, devo ammettere che ne sembro affascinata.

    Quanto a lui, ha gli occhi fissi sul mio décolleté con un sorriso molto più ammiccante di quanto sarebbe corretto, considerando che la nostra conversazione è durata mezzo secondo in più dello scatto stesso.

    All’epoca avevo pensato che quel luccicante abito rosa fosse la giusta combinazione tra dolce e sexy ma, a rivederlo ora, con questo titolo, mi sembra sgargiante. Il sorriso è troppo ampio, la mia postura troppo aperta, il trucco smokey troppo…

    «Jenny, di’ qualcosa», fa Amber.

    «Passerà, giusto?», rispondo, ancora incapace di distogliere gli occhi dalla foto per leggere effettivamente l’articolo.

    Amber non ribatte e Dolly emette un piccolo guaito prima di sedersi sul mio piede, come a farmi da scudo a quanto sta per succedere.

    «Non è che un altro stupido pettegolezzo», dico. «I tabloid stanno diventando troppo arroganti. Posso fare causa, vero? E così Shawn, e in due possiamo…».

    «Shawn ha confermato», mi gela Amber.

    Mi fischiano le orecchie. «Che cosa?»

    «Stamattina. Uscendo dalla palestra si è trovato circondato di avvoltoi. Invece di tenere la bocca chiusa ha detto, cito: Guardate, non che ne vada fiero, ma non sono certo il primo a venire risucchiato dal vortice di Jenny Dawson, né sarò l’ultimo, questo è certo. Ora come ora, non posso fare altro che guardare avanti e fare ammenda».

    «Ma che sta dicendo?», esclamo con voce stridula, a occhi chiusi, tirandomi la coda di cavallo in preda alla frustrazione. «Fare ammenda per cosa? Per il mio vortice? Ma che roba è?»

    «Va anche peggio». L’infelicità trasuda dal tono di Amber.

    «Non vedo come sia possibile».

    «Non è il solo ad aver confermato questa versione».

    Sbatto le palpebre. «C’è qualcun altro che delira?»

    «Sì, sua moglie».

    «Oh, mio Dio», sussurro.

    Non conosco granché la moglie di Shawn Bates, ma la loro storia è di dominio pubblico. Fidanzatini da sempre, stavano insieme già alle scuole medie e si sono sposati subito dopo le superiori, poco prima che Shawn diventasse famoso.

    È sempre girata voce dei suoi tradimenti ma, come dicevo prima, non faccio troppo affidamento sulle chiacchiere.

    L’unica cosa che so per certo è che, se ha davvero tradito la moglie, non è certo

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