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Ti odio sempre di più
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E-book372 pagine5 ore

Ti odio sempre di più

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Info su questo ebook

Autrice di Quante volte ti ho odiato

Over the Top Series

Sawyer West è il classico tipo da una sola notte. Non crede nelle relazioni, nelle promesse… e di certo non crede nei sentimenti. Non si fa coinvolgere e non gli è mai importato abbastanza di qualcuno da decidere di mettersi in gioco sul serio. Almeno finché non ha incontrato Lily Roberts ad Aspen. Lei è dolce, gentile e disperatamente sexy. Una tentazione che sta mettendo a dura prova le regole di Sawyer. E come se non bastasse Lily lo guarda con occhi diversi da tutti gli altri, come se in lui vedesse qualcosa di buono… Da quando lavorano insieme, stare vicini ogni giorno è diventata una tortura, specie perché Sawyer sa che non può permettersi di perdere, con un passo falso, un’ottima grafica e l’unica donna che gli abbia mai fatto battere il cuore. Il fatto è che Sawyer vorrebbe tanto essere l’uomo che Lily merita, ma cambiare non è semplice e lui non vuole ferirla. Piuttosto che rischiare di spezzarle il cuore, è meglio che sia lui a soffrire…

Per certi ragazzi ci vorrebbe il libretto di istruzioni

«Una delle migliori autrici di romanzi New Adult.»
USA Today

«La chimica effervescente e deliziosa che c’è tra i due protagonisti salta letteralmente fuori dalla pagina! Lily e Sawyer conquisteranno il vostro cuore.»
Jennifer Blackwood, autrice bestseller di USA Today
Kelly Siskind
si è trasferita nella regione Nord dell’Ontario, abbandonando la grande città, per aprire un negozietto di formaggi con suo marito. Quando non è impegnata ad aiutare in negozio o a camminare, passa il tempo scrivendo. È un’inguaribile romantica e divora qualunque libro con una storia d’amore. La Newton Compton ha già pubblicato Quante volte ti ho odiato, di cui Ti odio sempre di più è il secondo capitolo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788822724618
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    Anteprima del libro

    Ti odio sempre di più - Kelly Siskind

    Uno

    Lily

    Chi ha scritto la canzone degli anni Sessanta Breaking Up Is Hard to Do non aveva la minima idea di quanto sia difficile lasciarsi.

    Vivo nel Limbo della Separazione da un anno. Un posto tranquillo, numero di abitanti: due. Trecentosessantacinque giorni d’indecisione. Ogni mese, mi chiedo quando troverò il coraggio di rompere con Kevin, mandando in frantumi una relazione di undici anni. Ogni mese, paura, ansia e dubbi alimentano l’incertezza. Poi sbarca in città il mio collega stilista nonché capo, Sawyer West, e io divento un disastro ambulante.

    Siamo in piedi davanti al bancone, Sawyer con le braccia conserte, io intenta a mordermi il labbro, e scrutiamo da lontano la lavagna del menu per il cibo da asporto. Di solito, ordinare il pranzo è una bazzecola. Al massimo posso impiegarci un po’ a decidere tra un burrito o un’insalata, tra sushi o cinese, ma non resto a fissare il menu come se le lettere si mescolassero tra loro.

    Questo mi capita solo quando sono con Sawyer.

    Lui mette a fuoco le lettere scarabocchiate. «Io ovviamente voglio il Pig Wrap. Bacon piccante al chipotle e porchetta li hanno inventati apposta per me. Tu che prendi?».

    "Te", vorrei rispondere. Prendo tutto il metro e ottantatré, i capelli rossicci, gli occhi castani, le spalle larghe e il fisico asciutto, da portare via. Con una fossetta extra e il sorriso sexy a parte, grazie. Ma, purtroppo, il mio fidanzato potrebbe piantare un casino vedendomi arrivare con il mio nuovo acquisto.

    «Sono indecisa», dico. La colonna sonora della mia vita negli ultimi tempi.

    Un mese fa, ho trascinato fuori Shay e Raven per una serata tra donne. Avevo un disperato bisogno di sfogare i miei pensieri confusi sulla relazione stantia con Kevin, così ho rivelato tutti i particolari. Come ci siamo allontanati. Che gli voglio bene, ma non ne sono innamorata. Le stesse parole che mi ripeto a pappagallo da un anno ogni volta che sfoglio da sola le vecchie foto, ingozzandomi di cioccolato e chiedendomi quando abbiamo perso ciò che avevamo. In quel momento, mentre ero con loro, tutto mi è apparso chiaro. Ero determinata a tornare a casa alla svelta e chiudere con lui una volta per tutte. Quando sono arrivata, però, lui mi ha sorriso dal nostro divano, il naso che spuntava dal libro. «Ha chiamato tua madre. Le ho detto che questo fine settimana andrò su da lei a dare una mano con la raccolta fondi».

    Tutta la determinazione è crollata e l’ansia si è manifestata con i crampi. È un bravo ragazzo, ho pensato. Ama la mia famiglia quanto io la sua. Così non ho detto niente. Sono andata a dormire da sola, come faccio spesso, con lo stomaco attorcigliato dal disagio, e una volta che si è infilato a letto con me abbiamo dormito dandoci le spalle.

    Adesso Sawyer è arrivato in città da Vancouver, la sua prima visita da quella sera, e io mi odio un pochino di più per non avere avuto la forza di voltare pagina.

    Ovviamente è ignaro dei miei tumulti interiori. «Se non sai cosa scegliere, non ci resta che analizzare la situazione. Pro e contro». Si sposta dietro di me mentre un gruppo di tre persone si fa spazio per raggiungere il bancone e ordinare. Con la punta delle scarpe sfiora i tacchi dei miei stivaletti.

    «D’accordo», dico tutta ansimante, come una sedicenne di ventisei anni.

    «Il Veggie Vixen lo eliminiamo dalla lista per ovvie ragioni. I funghi Portobello non sono un sostituto della carne. Il Napa Wrap potrebbe essere una scelta ragionevole visto che vai matta per il tacchino. La mela è un valore aggiunto, e tu mangi cavolo come se non ci fosse un domani. Ma il formaggio erborinato è un deterrente».

    «A me piace il formaggio erborinato».

    «No che non ti piace. A nessuno piace realmente una cosa che puzza di fogna. E la salsa di senape al miele è discutibile. Se poi usano quello schifoso di Digione, è un no secco».

    Inclino la testa in modo che possa vedermi roteare gli occhi, e i miei capelli gli si impigliano nella barbetta lungo la mascella. Scosta le ciocche, sfiorandomi l’orecchio.

    Il mio QI va a fare compagnia allo stomaco in caduta libera.

    È così da Aspen. I miei sentimenti e l’attrazione per Sawyer crescono di settimana in settimana. Di giorno in giorno. Di minuto in minuto. Spesso ripenso all’effetto domino che ci ha condotto qua, una sfilza di innocue coincidenze: Shay e la sua relazione tossica con l’ex, lui che la scarica, poi Raven e io che la portiamo a fare una vacanza tra donne ad Aspen. Se Shay non avesse travolto Kolton sulla pista da sci, non avremmo bussato alla sua porta e incontrato i suoi amici. Io non avrei fissato gli occhi castani di Sawyer mentre parlavamo di design e abbigliamento per cinque giorni di fila, il mio «Sono fidanzata» l’unica cosa a tenerlo a una distanza platonica. Adesso lavoro per la sua catena di negozi, e ho una cotta per il mio capo.

    E sono ancora fidanzata.

    Un’altra coppia si affretta a entrare nel locale, l’uomo ci urta accidentalmente. Sawyer si piega in avanti, su di me, e mi afferra alla vita per evitare di cadere. L’uomo si scusa e Sawyer gli risponde, ma io non sento una parola. Nonostante io indossi un pesante caban, percepisco ogni suo dito – il pollice sulla schiena, la mano grande intorno alla vita, l’indice sulle costole. Inspiro profondamente, e giurerei di sentirgli serrare la presa. Sono in piedi, è impossibile che io cada, ma non molla.

    «Torniamo ai pro e i contro», dice, la voce forte e profonda nel mio orecchio. Il resto dei suoi divertenti commenti al menu, a malapena registrato.

    Ultimamente, la mia vita non è altro che un mucchio di pro e contro. Liste su liste di aspetti negativi della separazione. È ora di chiudere con Kevin, ma lasciarlo vuol dire anche lasciare tutto ciò che è stato: il mio migliore amico, il vicino di casa che mi rincorreva in giardino lanciandomi la terra in faccia. Il mio primo bacio. La mia spalla quando è morta la nonna. La mia garanzia quando mi sono dovuta allontanare da casa per la prima volta.

    E poi c’è Sawyer.

    Le labbra vicino al mio orecchio, le mani intorno alla vita mentre mi aiuta a scegliere cosa ordinare, e io sono confusa, quasi priva di peso per la vicinanza. Come se io fossi aria e lui luce, perduti insieme nello spazio. Il modo in cui approfitta di momenti come questo, toccandomi, parlandomi vicino… Mi chiedo se anche lui provi la stessa cosa.

    Ma io non sono disponibile.

    «Quindi? Cosa prendi?», mi chiede.

    «Cosa, scusa?».

    Fa una pausa, stacca le mani, e mi si mette di fianco. Niente aria. Niente luce. Solo confusione. «Cosa prendi?», ripete. «Il disgustoso burrito al formaggio erborinato, o quello greco con pollo, olive e feta?».

    In un attimo torniamo a essere amici, colleghi, come se l’attrazione fra noi fosse scattata solo nella mia testa. «Prendo quello con il formaggio».

    Mentre si dirige al bancone, dice: «Se fai la brava, ti darò un morso del mio, quando ti sarai resa conto di aver fatto la scelta sbagliata».

    Mi metto quasi a ridere. Quasi. Lui non ha idea di quanto desideri quel morso. Una leccata. Un assaggio. E se non prova la stessa cosa, ne rimarrò profondamente ferita. Ma questa scelta che devo fare è più importante del mio interesse per Sawyer. Indugiare in una relazione priva di amore non è corretto nei confronti di Kevin. Nei miei. Non ci sfioriamo da un anno. Non ci facciamo più le coccole. Niente baci rubati. Non flirtiamo più. Siamo due coinquilini troppo rassicuranti per voltare pagina.

    Poi mi sento avvampare, un’ondata di nervi a fior di pelle. La stessa sensazione che riemerge ogni volta che contemplo l’idea di lasciare Kevin. Il bisogno di trovare un negozio e comprare qualcosa diventa ossessivo – fare shopping, spendere, possedere, tenere a bada l’ansia con gli acquisti, uno schema che cerco di evitare. Ma non posso più permettere che i problemi controllino la mia vita.

    Sawyer si volta con il nostro cibo, e ignoro i segnali di allarme. Ci togliamo il cappotto e sediamo al bancone. Poi lui prende il ravanello che fa da guarnizione dal suo piatto e lo mette nel mio. Io gli do il mio sottaceto.

    Dopo qualche morso al burrito, dice: «Questo qua è eccezionale. Il tuo quanto fa schifo?».

    Raccolgo un pezzo di formaggio caduto e insceno uno spettacolo posizionandomelo sulla lingua. «Squisito».

    «È disgustoso. Ma sono contento che il mio esercizio sui pro e i contro abbia funzionato. Se, tornata a casa, dovessi bloccarti su una decisione, chiamami. Ne discuteremo insieme».

    All’incirca, questa sarebbe la nostra conversazione: «Sono capace di prendere una decisione da sola».

    «A volte, sì».

    «A volte?»

    «A volte». Butta giù un altro boccone e alza le spalle. «Quando si tratta di lavoro, sei una campionessa indiscussa. Ti destreggi fra le varie alternative finché non hai in mano un’idea. Ma quando usciamo per il pranzo o si tratta di noleggiare un film – le decisioni importanti, quelle che cambiano la vita, insomma – ti blocchi. Ed è qui che entro in gioco io».

    È qui che entra in gioco lui. Kevin rientra spesso tardi, e io ne approfitto per disegnare, a volte discutendone insieme a Sawyer. Se dopo ho intenzione di guardare un film, ci mettiamo al telefono a scorrere la lista dei titoli, ridendo delle opzioni, io incapace di scegliere. La sua voce mi riempie di elettricità statica. Interferenza elettromagnetica. Se fosse uno dei personaggi dei fumetti di cui è ossessionato, sarebbe Capitan Distracto.

    I poteri di Sawyer sono ancora più forti di persona. Da quando lui e Kolton hanno aperto il nuovo punto Moondog a Toronto – altra coincidenza, il destino che indirizza la mia vita – Sawyer scende in aereo da Vancouver tutti i mesi per un sopralluogo. Revisioniamo i miei disegni, e io provo dei campionari di vestiti mentre ci scambiamo idee. Spesso mi deconcentro, pensando alla sensazione della sua barba tra le mie cosce.

    Elettricità statica, elettricità statica, elettricità statica.

    Il senso di colpa si presenta sempre nel giro di poco, così appiccicoso che è difficile scrollarselo di dosso.

    «Non mi fido dei tuoi gusti per i film», dico. «A te piacciono solo quelli della Marvel».

    «Perché sono favolosi».

    «Perché sono infantili».

    Sogghigna. «Infantile è bello, ma ultimamente sono piuttosto cupi e crudi. Comunque favolosi».

    Mi lecco la salsa dalle dita e, sollevando lo sguardo, lo sorprendo a guardarmi. Gli occhi indugiano sulle mie labbra. Senza preavviso, si allunga in avanti e con il pollice mi pulisce l’angolo della bocca, i bellissimi occhi castani si fanno scuri come la notte. Schiude le labbra. Il battito schizza alle stelle. Poi sbatte le palpebre e ritrae la mano, e un’ondata di senso di colpa fa di nuovo capolino, il mio stomaco un vero disastro in subbuglio.

    «Era solo una briciola», dice alla vetrina di fronte a lui, e afferra il suo burrito.

    Dovrei distogliere lo sguardo, ma non ci riesco. Adoro il modo in cui le sue palpebre si piegano in basso sugli angoli, conferendogli un aspetto pigro. Rilassato. Flemmatico. Fuori, i pedoni sfidano il vento, piegati in avanti mentre camminano in fretta. Sawyer mangia tranquillo.

    Ma io sono un uragano.

    Se non mi stacco dalla comodità e dalla familiarità della mia relazione, finirà che a suon di volteggiare sarò talmente stordita da non reggermi in piedi. Se non mi stacco, lo shopping compulsivo potrebbe sfuggirmi di mano, non posso continuare a vivere così, non posso mandare avanti una storia sbagliata.

    Non è questione di scelta. Non lo è mai stata. Ma di coraggio. Non sono innamorata di Kevin e non lo sono ormai da anni. Devo rompere con lui. Una volta per tutte. Magari la prospettiva di mettermi con Sawyer potrebbe essere un catalizzatore, e a ogni modo è la cosa giusta da fare. E poi, se l’attrazione fra me e Sawyer fosse solo frutto della mia immaginazione, troverò qualcun altro. Un altro uomo in grado di provocare quell’elettricità statica e illuminare il mio mondo. Ma devo affrontare Kevin stasera stessa. Non mi tiro indietro, stavolta. Non permetterò alla nostra storia e ai miei problemi di sabotare il mio intento.

    Azzerata di colpo la salivazione, afferro il mio tè freddo e sorrido alle quattro cannucce sul vassoio – tre per me, una per Sawyer. La prima volta che ho ficcato tre cannucce nel mio drink, ad Aspen, mi ha guardato come se fossi suonata. Così gli ho spiegato che mi piace tirare su delle grandi succhiate, senza rendermi conto del doppio senso. Lui ha approfittato della mia gaffe e ha detto: «Sono del tutto a favore delle grandi succhiate. Quelle striminzite possono essere deludenti».

    Dopo una mattinata a sciare, siamo andati a pranzo presto, una delle poche occasioni in cui siamo rimasti da soli durante quella vacanza. Stando con Kevin, non mi è mai piaciuto flirtare con gli altri uomini, neanche in modo innocuo. Di solito, ho sempre chiesto scusa di fronte a una conversazione imbarazzante, oppure mi sono chiusa a riccio, ma in Sawyer c’era qualcosa di diverso. Il suo senso dell’umorismo impertinente. Il modo in cui potevamo passare ore a parlare dei tagli delle giacche da sci e dei tessuti di tendenza. Il fatto che non riuscivo a smettere di immaginarmi di baciare le sue labbra carnose.

    Invece di evitare la conversazione, gli ho detto: «Sono d’accordo. È tutta questione di tecnica». Più sfrontata di così era impossibile. Nei panni di Raven o Shay, avrei cominciato a fare allusioni su dove posizionare la lingua lungo la cannuccia e su quanta plastica inglobare. Ci ho pensato e probabilmente sono arrossita, ma non l’ho detto ad alta voce.

    Doveva avermi letto nel pensiero, perché ha sorvolato sulla battuta ed è andato dritto al nocciolo del discorso. «È un vero peccato che tu sia fidanzata», ha detto. «Non mi dispiacerebbe verificare la tua teoria».

    In quel momento, sono avvampata.

    Quella è stata l’unica volta in cui abbiamo alluso entrambi al fatto di essere più che amici e colleghi. Capo e dipendente. È stato nove mesi fa, ma io non l’ho mai dimenticato. Mi chiedo spesso se valga lo stesso per lui. Poi ci sono i momenti come oggi in cui si avvicina, si avvicina sempre di più, e mi tocca più di quanto non farebbe un amico.

    Non credo abbia dimenticato, comunque.

    Siamo seduti sugli sgabelli al bancone, fianco a fianco, mangiamo in silenzio. Non è cambiato niente, ma sembra tutto diverso. Il suo ginocchio tocca il mio, il suo gomito sfiora il mio, invade il mio spazio, facendomi formicolare le dita dei piedi.

    Elettricità statica, elettricità statica, elettricità statica.

    Si pulisce la bocca, butta la salvietta accartocciata nel piatto, poi squadra il mio burrito lasciato a metà. «Te l’avevo detto di non prenderlo».

    «Era buono. È solo che non avevo fame».

    Sawyer controlla l’orologio. «Devo andare. Ho delle cose da fare prima di prendere l’aereo». Mi studia un momento, con lo sguardo percorre il mio volto, poi si china per baciarmi sulla guancia. Così lentamente. Così delicatamente. Le labbra premono contro il mio zigomo, il respiro caldo e la vicinanza mi surriscaldano il cervello. Si sofferma un po’. Un amico platonico non si soffermerebbe. Un amico platonico non inalerebbe il mio profumo. O forse sto analizzando eccessivamente ogni suo gesto.

    Un momento dopo si ritrae. «Guardi uno dei tuoi stupidi programmi canori, stasera?».

    Ancora formicolante e ipnotizzata dalla piccola cicatrice che ha sul collo, scuoto la testa. «Ho bisogno di passare un po’ di tempo con Kevin».

    La sua mascella fa uno scatto, e io vorrei rimangiarmi quelle parole. Voglio che sappia che sto per cambiare vita, che un domani le cose tra noi potrebbero essere diverse. Invece sembra che abbia in mente una serata romantica con il mio fidanzato. Poi mi fa un sorriso, grande, luminoso e spensierato. Forse la sua mascella non è scattata. Forse non si è accigliato. Magari non ha fatto caso alle mie parole o non gliene importa niente.

    O forse sì.

    A ogni modo, lo chiamerò a cose fatte. Devo scoprire una volta per tutte se mi sono fatta trasportare dall’immaginazione. Devo andare avanti con la mia vita, costi quel che costi.

    «Mandami i disegni delle borse che abbiamo revisionato appena sono pronti», dice. «Ah, stamani ho usato una delle ultime tavole da disegno. Ordinane altre e controlla le nostre scorte». Si mette il cappotto e mi fa l’occhiolino. «Ci vediamo la prossima settimana al party di Natale». Calmo, tranquillo e controllato, se ne va a prendere l’aereo, trattandomi da amica e collega quale sono.

    La giornata scorre veloce e poi lenta, i nervi mi trascinano in un tira e molla infinito di direzioni. Nessuna delle quali mi lascia concentrare sul lavoro. Quando arrivo a casa, sono davvero esausta. Non mi avvicino alla cucina. Faccio su e giù per la camera, scrutando l’orologio. Kevin mi ha scritto che farà tardi. Lavora adeguandosi agli orari dei suoi clienti, sfruttando la sua faccia pulita per vendere assicurazioni sulla vita; ha la percentuale di vendita più alta di tutta la sua zona. Di solito sono comprensiva se deve fare degli straordinari, ma stasera il suo trattenersi al lavoro non fa che prolungare la mia agonia. Mi rende ancora più nervosa. Sempre di più. L’angoscia della serata cresce – l’imminente separazione ha allontanato tutti i pensieri su Sawyer. L’ultima cosa che voglio è ferire Kevin, ma restare insieme è ancora più dannoso. Tuttavia, testa e cuore si sfidano in una competizione, ma il traguardo ancora non si vede.

    Perché ho tirato per le lunghe questa situazione?

    Pumpumpum

    Perchéperchéperché

    Erano secoli che non era così intenso, il pulsare nelle orecchie. Mi concentro sulla vestaglia di seta che ho trovato al mercatino delle pulci del mese scorso. Il tessuto delicato ricade sulla poltrona, ma nella mia testa avvolge una donna, la sua storia immaginaria cucita in ogni singolo punto. Un nuovo immigrante di Hong Kong resta affascinato dall’ultima identità assunta da quella donna. Porto lo sguardo sulla poltrona sotto a quel tessuto. Il tè e i gossip scivolano sul rivestimento di pelle, un debuttante infatuato che sogna di essere il suo fidanzato.

    Pum

    Pum

    Perché

    Perché

    La sensazione di disagio si attenua un po’.

    Poi Kevin rientra a casa.

    Per quanto desiderassi disperatamente il suo ritorno, adesso il mio coraggio vacilla. Undici anni di ricordi mi inondano la mente. Ma non posso continuare a rimandare la mia vita. Vivere nel pieno di un uragano è sfiancante. Dopo un respiro profondo, mi dirigo nel salone open space e forzo un sorriso. «Come è andata la giornata?».

    Appende la giacca con un sospiro. «Lunga». I capelli lisci sono ripartiti con cura, l’esile corporatura accentuata dai pantaloni eleganti e la camicia infilata dentro. È bello in un modo dolce – inequivocabile, familiare. Il mio migliore amico.

    Sono accanto al divano, le gambe cementate a terra, come se fossi un’ospite a casa mia.

    Kevin va in cucina e apre il frigo, parla strada facendo. «Ho parlato con mio padre oggi. Quest’anno pensa di partecipare a quella gara di pesca. Anche tuo padre ci va. Mi ha chiesto se volevamo passare una giornata tutti insieme come ai vecchi tempi. Credo che sarebbe divertente». Con il bricco del succo in mano, prende un bicchiere, lo riempie e ne beve metà in un sorso solo. «Ho anche cercato dei negozi per l’attrezzatura subacquea. Tra un mese andiamo in Belize e dobbiamo calcolare cosa potrebbe servirci». Tira fuori la testa dal frigo, probabilmente in cerca della cena inesistente, poi chiude lo sportello e si appoggia al bancone. «Sembra la serata giusta per ordinare tailandese. Vuoi che chiami io?».

    I suoi occhi verdi sono dolci, increspati agli angoli, trasmettono anni di benessere. Amicizia. Tuttavia, se guardo più da vicino, le occhiaie al di sotto sono inequivocabili. Forse anche lui è pronto a voltare pagina. A mettere fine alla nostra relazione sbiadita. Ma ciò significherebbe non partire per l’anniversario programmato in Belize. Non passare del tempo insieme alle nostre famiglie. Potrei tacere e godermi la vita con Kevin, pur non essendone innamorata. Anche se non mi provoca elettricità statica. Ma io voglio di più. Sono pronta per qualcosa di più. Non importa quanto sia difficile ottenerlo, non posso continuare a vivere nella menzogna.

    Kevin è rilassato, la tensione che c’è stata fra noi ultimamente assente, mi sorride come se non stessi per strappargli il terreno da sotto i piedi.

    E a questo punto dico: «Dobbiamo parlare».

    Due

    Sawyer

    Lily ha dirottato i miei pensieri. Lily e i suoi capelli biondo platino, le labbra rosa e gli ipnotici occhi grigi. Lily e il suo fidanzato. Per tutto il volo di ritorno, digrigno i denti e sorseggio il mio scotch, cercando di cancellare l’immagine dei due raggomitolati sul divano o, peggio ancora, aggrovigliati tra le lenzuola. Sbatterei la testa contro il muro, se bastasse a farmi smettere di pensare a quella volta in cui sono atterrato senza preavviso e ho fatto irruzione nel suo ufficio sul retro di Moondog. Vederla ridere insieme a Kevin è stata una dose di cianuro, un duro promemoria di come stanno realmente le cose.

    Non importa quanto tempo passiamo insieme, Lily non è mia.

    Una volta atterrato, mi appello alla Missione Amnesia. Vado diretto in un locale e trovo l’oblio sotto forma di gonna attillata, top con scollo all’americana e capelli scuri. Conversiamo e sfodero tutto il mio fascino. La mia nuova amica mi chiede di andare a casa sua, il suo nome detto e dimenticato, poi mi ritrovo su una poltroncina in sala da pranzo, con quell’oblio a portata di mano.

    Non c’è niente di meglio di un pompino per dimenticare ciò che non si può dimenticare.

    Persino uno di quei servizietti di quando avevo quattordici anni (grazie, Leah Richardson), troppo veloci, troppo serrati, troppo approssimativi, in cui si sentono i denti, sarebbe in grado di svuotarmi il cervello. Stasera, ho bisogno del trattamento completo, e questa ragazza non delude. Il modo in cui – Talia? Tania? – geme eccitata mentre me lo succhia, mandandomi in un’estasi di piacere, arresta il vortice dei miei pensieri. Non le spingo la testa né le tiro i capelli. Sprofondo in poltrona e lascio che mi lavori per bene, perché è proprio questo il bello: mi distendo, mi rilasso, i prossimi cinque o otto minuti sono solo e soltanto per me.

    E per dimenticare Lily.

    Non deve essere il suo primo rodeo – di Tara? Tami? Si capisce dal modo in cui mi tiene le palle a coppa e geme mentre me lo succhia e mi fa allargare le gambe. Mi prende fino in gola, il piercing sulla lingua sfrega tutti i punti giusti, e i miei addominali si contraggono pregustando il dopo. Stretto. Caldo. Umido. Con gli occhi chiusi, stringo i braccioli di pelle della poltrona.

    Poi sento: «Non l’avrai mai».

    La mia nuovissima suoneria per Lily Siamo solo amici Roberts squilla, gentile concessione di Nico. Lezione imparata lo scorso fine settimana: mai lasciare incustodito il telefono con gli amici nei paraggi, soprattutto se ti incasinano le impostazioni e tu non hai la minima idea di come rimetterle a posto. Datemi carta e penna e vi farò un ritratto perfetto in dieci minuti. Lasciatemi solo con un computer e provocherò il blackout del Canada.

    Tasha? Taryn? – non manca una nota. Cambia ritmo andando a tempo con la suoneria del telefono. Il ritornello si ripete, sempre le stesse parole – non l’avrai mai – a ruota libera, mentre con la testa va su e giù più veloce. Sempre più veloce. La canzone finisce, i versi del risucchio tornano a farsi sentire, e un fuoco dovrebbe esplodermi lungo la schiena.

    Alcuni pompini sono migliori di altri, ma se la bocca della pollastrella è umida, i denti non si sentono e lei mostra un pizzico di entusiasmo, puoi stare certa che verrò forte e in fretta. Non è astrofisica. Non ci vuole un dottorato. Preferisco un pompino al sesso in qualsiasi giorno della settimana. Se ti stai interrogando sulle tue abilità con la fellatio, io sono il ragazzo giusto per scoprirlo. Ma la vista non mi si annebbia. Il calore insinuatosi tra le cosce svanisce. Di colpo, mi rendo conto che avrei preferito rispondere a quella chiamata piuttosto che finire nella bocca di questa pollastrella.

    A proposito di sfigati.

    Provo a fare finta che i suoi capelli scuri siano biondo platino. Lily. Provo a immaginare le sue abili manine tra le mie gambe, le unghie con lo smalto blu scheggiato. Lily. Non funziona. Sbircio l’orologio: le nove di sera. Considerata la differenza di fuso, è un’ora insolita per una chiamata di Lily… A meno che non sia successo qualcosa di brutto. Il battito del cuore accelera.

    Per la ragione sbagliata.

    In quanto soldatessa esperta, Tris? Trina? ci mette ancora più impegno. Se esistesse un distintivo di Maestra Bocchinara, gliene cucirei uno sulla camicetta con le mie mani. Ma il mio sperma ha dichiarato l’ammutinamento.

    Di solito, la serata sarebbe appena cominciata. Dopo il gran finale, mi sarei inabissato fino a farle arricciare le punte dei piedi, per poi proseguire con un giro di sesso e sculacciate. L’avrei lasciata compiaciuta delle proprie abilità di amante e pienamente soddisfatta. Ma non così tanto da aspettarsi di essere richiamata per un secondo appuntamento. Giusto una serata divertente. Io sono il re del divertimento. Se avessi un secondo nome, sarebbe quello. Oppure Lothario. O Casanova. Come si dice, la pratica rende perfetti e io ho una laurea in Tuttologia del gentil sesso.

    Però non sono specializzato in amicizie femminili – vale a dire nell’avere una donna per amica, una ragazza che non mi monto, non mi sbatto, non mordo e non bacio. In altre parole, Lily.

    La mia amica.

    Appoggio la mano sulla testa bruna tra le mie cosce per interrompere la prima beneficiaria mai esistita del distintivo di Maestra Bocchinara. Lei alza lo sguardo, e il mio uccello scivola fuori dalla sua bocca – l’immagine più triste che abbia mai visto.

    Si pulisce le labbra gonfie. «Tutto a posto? Non è che…». Aggrotta la fronte e fissa il mio pisello che non vuole collaborare. L’anello che ha al naso si torce.

    Mi abbasso in cerca dei boxer e dei jeans mentre allontano la poltrona. «È stato fantastico. Tu sei stata fantastica. Ma devo rispondere a quella chiamata». Della mia amica che si dà il caso sia una donna. La mia amica che si rifiuta di mollare quel tipo che sembra un sedicenne. L’amica che è riuscita a guastarmi una scopata da tremila chilometri di distanza.

    L’altra vittima della Guasta-scopate sbuffa e si alza in piedi. «Possiamo riprendere quando sei pronto».

    Attraversa lentamente il soggiorno/sala da pranzo con l’arredamento ridotto al minimo, dirigendosi verso una porta in fondo, probabilmente la camera da letto, e togliendosi il top durante il

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