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Un uomo di famiglia
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E-book378 pagine5 ore

Un uomo di famiglia

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Info su questo ebook

Tracy Goldstein comprende molto bene cosa vuol dire essere innamorata: vuole dire vedere infrante le proprie illusioni, perdere i propri risparmi e assistere al passaggio in mani altrui dell'azienda che ha costruito col duro lavoro. Commettere lo stesso errore? No, grazie. Sapeva cosa aspettarsi dagli uomini. Nonostante tutto, il giorno in cui inizia a lavorare per il freddo e distaccato CEO del S.W. Group, Tracy sa di trovarsi in gravi problemi. Man mano che i giorni passano, la tensione tra i due cuoce a fuoco lento e a lei risulta sempre più difficile non superare il sottile confine tra la saggezza e l'azzardo.

Sean Winthrop è un padre single e uno dei migliori pubblicitari del Canada. La figlia Milla è la sua ragione di vita. Coordinare le responsabilità professionali con il ruolo di padre è una sfida quotidiana, e quello di cui ha meno bisogno nella sua vita è il caos. Anche se è proprio il 'caos' quello che Tracy Goldstein porta in ufficio, quando inizia a lavorare come sua assistente personale. Stimolante, estroversa e di una bellezza senza pari, Tracy minaccia di mandare all'aria le sue intenzioni di non permettere più a nessuna donna di avvicinarsi, né al suo cuore né a quello della sua bambina.

Quando la maggior paura di Sean torna a tormentarlo, Tracy si troverà con le spalle al muro. Il vaso di Pandora si aprirà, incombendo su di loro. Saranno capaci di dimenticare le reciproche insicurezze e far sì che il legame che ha iniziato a crearsi tra loro non si frantumi? O la forza del passato riuscirà a separarli irrimediabilmente?

LinguaItaliano
Data di uscita26 giu 2020
ISBN9781393990451
Un uomo di famiglia

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    Anteprima del libro

    Un uomo di famiglia - Kristel Ralston

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    CAPITOLO 22

    CAPITOLO 23

    EPILOGO

    RINGRAZIAMENTI

    SULL’AUTRICE

    Ci sono due modi di vedere la vita: uno è credere che i miracoli non esistano, l’altro è credere che tutto sia un miracolo.

    Albert Einstein

    CAPITOLO 1

    ––––––––

    Tracy camminò con decisione per le strade del quartiere finanziario di Toronto. Quel giorno era molto importante e doveva mantenere un atteggiamento ottimista. Nonostante guidasse sempre volentieri, quel giorno non era adatto per correre il rischio di ritrovarsi bloccata in un ingorgo. Quindi aveva chiamato un taxi, che l’aveva lasciata a soli due isolati dall’immenso edificio commerciale in cui avrebbe avuto il colloquio di lavoro.

    Era emozionata come non le succedeva da molto tempo, specie per qualcosa che riguardava la sua carriera. Almeno, non da quando aveva saputo che Adrian, il suo ex fidanzato, l’aveva tradita, rubandole la ferma convinzione che esistessero ancora persone per le quali valeva la pena di correre il rischio di amare. Chi mai avrebbe potuto immaginare che, mentre lei viaggiava per affari a New York, Washington D.C. e Philadelphia, Adrian cercasse il modo per accaparrarsi il controllo della società?

    Tracy sentiva la mancanza della sua vita quotidiana a Boston, e anche dei ricordi del suo passaggio a New York. In quest’ultima città aveva vissuto solo un paio di settimane, nel tentativo non solo di trovare nuovi clienti, ma anche di scoprire se i sogni in merito alla città ̶ che tante volte aveva visto nei film ̶ erano fedeli. Il suo verdetto? New York era incantevole, sì, ma aveva anche lati tragici e oscuri. E forse era questa l’attrattiva di una metropoli che sembrava identificarsi più con le differenze che non con l’omogeneità che la società pretendeva di mantenere a ogni costo.

    A lei piaceva la sensazione di libertà e di espansione che aveva provato in ognuno dei suoi viaggi a New York. Uno dei vantaggi dei suoi soggiorni in questa città era stato quello di avere tutto a portata delle sue necessità in qualsiasi ora del giorno: dal più ridicolo capriccio gastronomico fino alla semplice meraviglia di stare al riparo sotto le fronde degli alberi di Central Park. Quando lei aveva cercato un po’ di tranquillità, l’emblematico parco le aveva offerto la protezione di una comoda bolla che teneva lontano il suono dei clacson, il fumo delle automobili, le grida della gente, l’andirivieni, l’ora di punta e lo stress.

    Sì, le mancava New York e le mancavano anche altre città, anche se non tanto quanto la sua città natale, Boston, dove aveva creato e fondato la sua società insieme ad Adrian Haunier. HaGo, così denominata dalla combinazione delle iniziali dei rispettivi cognomi. Era stata la scommessa perfetta, a giudizio di Tracy, finché il diavolo non aveva mostrato le sue ombre nascoste dietro l’aspetto di un angelo.

    Erano passati molti mesi da quei tempi... Tracy si era trasferita a Toronto e vi aveva trovato una metropoli più amichevole e che, inoltre, le offriva l’opportunità di ritrovare le sue speranze.

    Si era consumata gli occhi studiando pubblicità, e non pensava di desistere finché non avesse ottenuto un lavoro che le consentisse di reinventarsi professionalmente. Aveva di fronte un obiettivo: S.W. Group, una società nominata, in diverse occasioni, come uno dei posti migliori in cui lavorare in Canada. I posti vacanti nella squadra dei gestori contabili e dei creativi erano molto scarsi, per cui Tracy aveva deciso di fare domanda per la prima opportunità professionale che si fosse aperta: assistente personale. Le difficoltà non importavano, importava solo il fatto di riuscire a farsi strada nella società. Essere dentro. Questo era l’obiettivo principale, e in seguito avrebbe cercato lavori alternativi all’interno.

    Magari Tracy non avrebbe iniziato da un posto come creativa per un cliente grande e importante ̶ come tutti quelli che aveva lo S.W. Group ̶ ma poteva imparare tutto sul funzionamento aziendale. Aveva già superato i primi tre turni di colloqui, un processo durato due lunghi mesi, perché non si trattava di un tipo qualsiasi di assistente personale. Il compito era di collaborare direttamente con il CEO esecutivo e presidente, Sean Winthrop.

    Lei era molto ottimista sul suo colloquio di quel giorno, perché era sicura che questa esperienza le avrebbe aperto porte inimmaginabili nel suo campo professionale. Era decisa non soltanto a dimostrare che sapeva essere organizzata e abile come assistente personale di un uomo della caratura di Winthrop ̶ non è che le piacesse particolarmente l’idea di lavorare in qualcosa a livello amministrativo ̶ ma voleva anche far notare che sapeva come funzionava il concetto di una società pubblicitaria, su piccola e grande scala. Era la migliore, per quel posto.

    A ventisette anni, già ne aveva sei di esperienza professionale, tra lavori occasionali mentre studiava all’università e, dopo, quando aveva tentato di consolidare la sua mini impresa, HaGo, a Houston. La sua piccola azienda non era fallita, ovvio. Testarda come un mulo e ostinata fino alla morte, anche se forse non molto furba quando si trattava di uomini, aveva lottato ogni giorno per il suo sogno. Era stata proprio quell’ingenuità, in merito alle vere intenzioni degli altri, che l’aveva portata a perdere la sua società.

    HaGo era adesso nelle mani di Adrian, con il nome di Haunier Corporation. Quell’idiota le aveva rubato il sogno per cui Tracy aveva lavorato duramente. Ma la cosa che l’aveva ferita di più era quest’ultima: la magia professionale, il modo di fondere le loro menti per creare temi magnifici e il modo di lavorare, così efficiente, non erano elementi che si trovavano spesso, e forse era proprio questo che in realtà le mancava. Poteva affermare che non amava quell’idiota del suo ex fidanzato, ma che si era innamorata dell’idea di quello che, insieme, rappresentavano. Il resoconto di quello che in realtà le mancava di HaGo, e della sua relazione passata, ne era l’esempio più palese.

    Tracy aveva commesso il grosso errore di farsi annebbiare il cervello con stupide romanticherie, fino al punto di non essere più capace di pensare con chiarezza e di non rendersi conto che il suo ex stava iniziando a smantellare la ditta poco a poco, per portarsi i clienti nell’altra società creata esclusivamente da lui. Lei gli aveva permesso di farla sentire debole e bisognosa della sua approvazione. La debolezza era un lusso che nessun essere umano, che volesse trionfare nella giungla del lavoro, poteva permettersi.

    Adrian Haunier si era impegnato a distruggerla emotivamente, prima di portarsi via tutto: la sua società e la sua reputazione professionale. L’aveva screditata con un’efficacia sottile, alle sue spalle e subdolamente, davanti ai clienti, perché abbandonassero la HaGo e preferissero la nuova società che lui aveva fondato, con tanto di infrastruttura concettuale, sviluppo commerciale e strategia di mercato.

    Nonostante il tempo trascorso dalla sua delusione professionale ed emotiva, Adrian continuava a danneggiarla a distanza. Quella mattina, Tracy aveva visto sul giornale che la Haunier Corporation ̶sorta dal furto e dallo smantellamento della HaGo ̶ stava per essere quotata alla borsa di Wall Street con la prospettiva di guadagnare milioni di dollari. Milioni di dollari che avrebbe dovuto dividere con lei. Lei aveva lasciato tutta la gestione legale di HaGo ad Adrian, perché si fidava di lui. «Se avessi saputo...»

    Sospirò, ammirando l’edificio di S.W.Group.

    Le possibilità di rivendicare il suo valore professionale ̶ di cui aveva tanto bisogno il suo ego ̶ erano all’interno di questa infrastruttura moderna. Sorridendo, guardò in alto dal marciapiede. L’azzurro cielo canadese era limpido.

    Con cautela, si tolse l’auricolare e lo mise nella borsa Louis Vuitton, un regalo speciale di Becky Johns, la sua amica rappresentante immobiliare che le aveva dato l’idea di trasferirsi in Canada. Becky le stava affittando una casa incredibile a un prezzo irrisorio nel quartiere di Lawrence Park.

    Si fece coraggio con pensieri positivi. La legge dell’attrazione sarebbe stata il suo nuovo mantra per iniziare questo nuovo periodo di prosperità che le serviva. Un anno prima, la sua vita era un caos. Il Canada le stava dando l’opportunità di cambiarla.

    «Molto bene, Tracy. Puoi farcela!»

    Fece un passo, e la cosa successiva che sentì fu il calore di un liquido che si versava sulla sua camicetta di seta celeste. La sua camicetta fortunata. Inorridita, sollevò il viso e fece cadere la borsa sul marciapiede.

    ―Oddio, mi dispiace tantissimo― disse lo sconosciuto. ―Dovevo guardare dove stavo andando.

    ―L’hai combinata bella, papà― aggiunse una voce infantile. ―Quando lo racconterò a mamma, si arrabbierà perché arriveremo tardi con la sua torta ai lamponi.

    Tracy non poteva credere a quello che stavano vedendo i suoi occhi e nemmeno al bruciore che le aveva appena provocato il liquido bollente sulla pelle. Avrebbe potuto iniziare a saltare dalla disperazione, togliendosi la camicetta in mezzo alla pubblica via di Toronto, ma apprezzava il suo status di residente e non le piaceva essere al centro dell’attenzione. A poco a poco, il leggero bruciore sarebbe scemato.

    Per ora, si concentrò sul fatto che un uomo bellissimo le stava attentamente ripulendo il cioccolato sul davanti della camicetta con un fazzoletto, e, accanto a lui, la sua versione in miniatura lo guardava con disapprovazione per essere tanto sbadato. «Un uomo che aveva troppo per la testa e non guardava dove camminava», pensò Tracy.

    Non si sarebbe dovuta sorprendere a vedere dei bei tipi, anche se sembrava che nella nazione di Justin Trudeau li facessero per tutti i gusti e in diversi formati. Per lo meno, erano formati abbastanza adeguati a quelli della sua immaginazione fantasiosa.

    ―Mia moglie sta aspettando due gemelli― disse lo sconosciuto iniziando a spiegarsi. ―Con mio figlio siamo andati a comprarle uno di quei dolci tipici delle donne incinte― continuò, cercando di pulir via la macchia. ―Sa com’è...

    Tracy si schiarì la voce.

    ―Dia a me, per favore, la tolgo da sola― mormorò allontanando la mano che la toccava, senza intenzione di metterla a disagio. Si piegò a raccogliere la borsa da terra. ―Io...― erano macchiate anche le scarpe col tacco. ―Ho un colloquio di... Oh no!― guardò l’orologio. ―Farò tardi, se non mi sbrigo. E sono un disastro...

    ―Aspetti! Le devo...

    ―Non si preoccupi. Le auguro di avere dei bambini sani, e le conviene andare a comprare la torta per sua moglie.― Guardò il bambino: ―Ciao anche a te.

    Senza dare all’uomo la possibilità di parlare o dire altro, Tracy corse verso l’ingresso dell’edificio. Le restavano otto minuti esatti per arrivare al suo appuntamento. Se l’universo le avesse sorriso, non facendole versare del cioccolato caldo sulla sua camicetta preferita per gentile cortesia di un estraneo, magari avrebbe trovato un ascensore vuoto per poi andare in bagno a cercare di togliersi le macchie dalle scarpe e dai vestiti.

    La camicetta era rovinata, comunque. Doveva aggiustarsi la giacca in modo che non si notasse quella macchia terribile. «Caspita, che inizio.»

    ***

    Tracy sospirò, quando l’ascensore iniziò il suo viaggio verso il sedicesimo piano con destinazione gli uffici centrali di S.W.Group. Lavorare era, per Tracy, una necessità di tipo emotivo, più che economico. Lei non correva il rischio di rimanere per strada: non era milionaria né facoltosa, ma i suoi genitori le avevano lasciato, morendo, una considerevole eredità. Gran parte del fondo ereditato lo aveva investito in HaGo. Altra perdita da aggiungere al suo fiasco, con tutto quello che comportava il cognome Haunier.

    In quei dodici mesi da quando viveva in Canada, Tracy aveva trovato un paio di impieghi occasionali. Ben remunerati, anche se noiosi. La maggior parte erano contratti tramite internet e, ogni tanto, qualche piccola consulenza di persona grazie alle raccomandazioni che le aveva fatto Becky con alcuni suoi amici influenti. Toronto non era una città economica, quanto al costo della vita, per cui Tracy era molto attenta a come investiva il suo denaro, specie perché le restavano ancora svariati decenni di vita davanti e voleva usare con intelligenza il resto della sua eredità.

    Appena uscì dall’ascensore, si piazzò un sorriso sulla faccia, anche se era non solo nervosa, ma anche preoccupata per l’incidente avuto pochi minuti prima per strada.

    ―Buongiorno― disse, quasi senza fiato, quando si avvicinò alla scrivania della reception del piano della presidenza, sorridendo alla donna. ―Sono Tracy Goldstein. Ho un colloquio per il posto di assistente personale.

    La segretaria sorrise, prima di verificare i dati. Una volta sicura che le informazioni della persona appena arrivata concordassero con quelle che aveva registrato, riportò la sua attenzione sulla giovane.

    ―Signorina Goldstein, benvenuta. La sua riunione è in programma. Lei è in lizza per sostituire Amanda Willows.― Tracy annuì. Le sembrava curioso che ci fosse una reception solo per il presidente della società e che, oltre a questo, servisse un’assistente personale. La cosa più frequente era che l’assistente svolgesse anche le funzioni di segretaria del CEO della società. Ma chi era Tracy per giudicare gli affari altrui? ―Il signor Winthrop ha avuto un contrattempo, questa mattina. Mi ha chiesto di farle le sue scuse.― «Questo le dava un margine di tempo per cercare di usare il bagno delle signore», pensò Tracy. ―Non è da lui ritardare― continuò la segretaria. ―Potrebbe aspettarlo una mezz’ora? Sempre che lei non abbia un’altra riunione in programma altrove. In tal caso, data questa situazione inattesa, potremmo cambiare la data senza nessun problema.

    Certo che poteva aspettarlo. Cambiare la data? Neanche morta. Nel frattempo, chi sapeva cosa sarebbe potuto succedere? Lei avrebbe aspettato un giorno intero, non le importava, perché Sean Winthrop aveva nelle sue mani il potere di aprirle una nuova gamma di possibilità professionali.

    ―Oh, non fa niente― disse Tracy sollevata. Indicò sé stessa: ―Ho avuto un incidente questa mattina, la vede questa macchia orrenda? È successo per caso alcuni minuti fa― sorrise ―e, mi creda, niente sarebbe meglio che usare il bagno per rendermi un po’ più presentabile. Mi indica dov’è?

    ―Alla fine del corridoio, a sinistra.― Controllò qualcosa sullo schermo del computer e guardò Tracy: ―Fra trenta minuti, signorina Goldstein.

    Tracy annuì, sollevata.

    ―A proposito, se desidera una bibita può andare alla caffetteria gratuita per gli impiegati. È di fronte agli uffici dei direttori commerciali, e dei creativi dell’azienda. Due uffici più avanti c’è la squadra del settore amministrativo.

    ―Grazie mille.― Le piaceva quell’aspetto dei canadesi: amabili prima di tutto, e solleciti con gli altri. O forse era che, dopo aver vissuto per un intero anno nel paese, aveva avuto delle buone esperienze.

    ―Di niente.

    Tracy fece due passi e guardò con la coda dell’occhio gli uffici, chiusi da vetrate trasparenti. Non vedeva l’ora di trovarsi seduta tra quei professionisti che condividevano la sua stessa passione. Niente era così importante come farsi un nome nei circoli di Toronto; non per vanità, ma perché aveva bisogno di recuperare il suo prestigio professionale.

    Notò che diversi esecutivi si erano riuniti a discutere di qualcosa; un altro gruppo era concentrato davanti al proprio computer. Lo spazio appariva dinamico, moderno e comodo. C’era una zona con videogiochi, un’altra con sedie a sacco e un tavolo centrale con giochi da tavolo, più un piccolo tavolo da biliardo. Tracy immaginava che lavorassero con un concetto simile a quello delle aziende di Google. Lo spazio era strutturato per offrire un ambiente distensivo, specialmente per il gruppo di impiegati che gestivano gli aspetti creativi.

    Quando arrivò alla zona della caffetteria, trattenne la voglia di dare sfogo all’allegria. L’aroma del caffè le penetrò subito nelle narici e lei l’aspirò con gusto. C’era un espositore pieno di diversi tipi di caffè, diverse varietà di zucchero e una serie di biscotti e cioccolatini.

    Le sedie della caffetteria erano sparse, organizzate in gruppi di due, tre e sei. Ogni cosa era immacolata, e non mancavano, tutto intorno, le prese per caricare i dispositivi elettronici.

    ―Cerca qualcuno?

    Lei si girò. Un tipo alto, dall’aspetto scontroso, la stava osservando, con il caffè fumante in mano. Aveva gli occhi di un celeste molto chiaro. I capelli nerissimi.

    ―... Ehm... Andavo in bagno...― sorrise.

    ―È da quella parte― fece un cenno con la testa, ―anche se può approfittare per prendere un caffè o qualcosa che viene offerto qui tutti i giorni.

    ―Grazie...

    ―Sono Thomas― disse ―sa già che squadra sceglierà?

    ―Non so a cosa si riferisce.

    ―Non ha fatto domanda per il posto vacante di oggi?

    ―Io non sapevo che c’era un altro posto vacante.

    Thomas annuì.

    ―Ieri Eve Neville ha lasciato il posto. Gestiva clienti piccoli, sa, questioni di cancelleria o materiale scolastico― alzò le spalle. ―Pensavo che lei fosse la sua sostituta.

    ―No, assolutamente. Ho fatto domanda per l’incarico di assistente personale del signor Winthrop.― «E non credo che l’industria scolastica sia piccola». Tenne per sé questo pensiero.

    Thomas scoppiò a ridere sorprendendola.

    ―Cosa?― domandò.

    L’uomo era abbastanza strano. Tracy non ne era sorpresa, perché sapeva che il settore creativo ̶ in qualsiasi ambito professionale ̶ era peculiare, e immaginava che Thomas appartenesse a questo gruppo di lavoro.

    ―Qui non siamo molto formali. Anche se Sean può essere a volte un po’ scorbutico, in genere è un tipo a modo e un capo giusto, quindi non abbia paura di dire esattamente quello che pensa.

    Lei sorrise con cautela.

    ―Buono a sapersi... Adesso― si schiarì la gola ―devo andare.

    ―Buona fortuna.

    ―Grazie...

    Lui annuì e proseguì verso il posto in cui si trovavano i biscotti.

    Non appena Tracy aprì la porta del bagno e si avvicinò allo specchio immenso che occupava tutta la parete, guardò da un lato all’altro per accertarsi che non ci fosse nessuno. Nella grande stanza da bagno c’erano quattro porte ̶ dietro ciascuna, un bagno privato ̶ e lei sperava di non essere interrotta in quello che doveva fare. Quando fu sicura di essere l’unica persona nei paraggi, andò alla porta e bloccò la serratura.

    Consapevole di avere i minuti contati, si tolse la camicetta e la lavò meglio possibile con il sapone liquido. Appoggiò quindi l’indumento bagnato sulla parte superiore dell’asciugatore, in modo che la parte più zuppa fosse vicina alla bocchetta del flusso d’aria. «Quanto sei furba, Tracy!». Premette il tasto di accensione e si assicurò di mettere sulla camicetta la scatolina che era nell’angolo del grande bancone con lo specchio, perché il tessuto non scivolasse e cadesse a terra.

    Più tranquilla, ne approfittò per acconciarsi i capelli in una coda e riapplicarsi il rossetto. Ogni volta che l’asciugatore si spegneva, lei premeva di nuovo il tasto per accenderlo. Si ritoccò l’eye-liner finché non sentì che il suo aspetto era molto decente. Trovò persino il tempo per sorridere.

    Passarono dieci lunghi minuti, e ̶ miracolo dei miracoli ̶ la camicetta era asciutta... e bruciata! «Maledizione», sbottò con amarezza. Per caso aveva perso il senso dell’olfatto o che? Frustrata, pensò che stava sicuramente pagando qualche karma extra. Di quel genere che a uno tocca pagare per beneficenza, perché alla gente normale non capitava quello che capitava a lei. Non credeva che quel giorno potesse andarle peggio di così...

    ―Ehi! Chi c’è qui, chiuso a chiave?― domandò qualcuno.

    ―Un momento!― esclamò lei, imbarazzata.

    Era in reggiseno. Con una camicetta bruciata in mano. Le rimaneva solo la giacca, e se la indossava sopra al reggiseno, sarebbe sembrata tutto tranne un’esecutiva professionista. Oh, Dio, perché le succedevano queste cose?

    ―Se non apre in questo momento, vado a chiamare la sicurezza― tornò a dire la donna, evidentemente arrabbiata.

    ―Grrrr― mormorò Tracy tra sé. ―Ho avuto un piccolo incidente.

    Lanciò nel cestino dei rifiuti l’indumento inservibile. Ora non aveva più la camicetta della fortuna. Si aggiustò la giacca. Sembrava un’attrice pronta per fare lo spogliarello. «Ottimo lavoro, Goldstein!»

    Aprì la porta di colpo.

    ―Mi dispiace― disse alla ragazza dagli occhi neri che la guardava per metà arrabbiata e per metà sogghignante, notando il suo abbigliamento. ―Ho avuto un leggero inconveniente...

    ―Stai con qualcuno, qui dentro?― domandò, sporgendosi con la testa per guardare da un lato all’altro del bagno. Si accigliò non vedendo nessuno. ―Sono Andrea. Lavoro nell’area contabile della società. Non ti conosco.

    ―Ho un colloquio di lavoro oggi con il presidente della società― disse con amarezza per tutto il disastro che le era appena successo. ―Prima di venire...― sospirò. ―La verità è che si tratta di una lunga storia che mi ha lasciato come vedi. Mi tocca improvvisare.

    Andrea si mise a ridere.

    Tracy aveva le scarpe pulite adesso. Per la gonna leggermente macchiata non c’era rimedio, e lei non poteva fare miracoli. La giacca copriva quanto bastava, anche se non a sufficienza per nascondere del tutto il bordo di un reggiseno nero di pizzo. Tracy era una persona dai gusti semplici, ma il suo capriccio personale era la biancheria intima. Poteva spendere un intero stipendio in lingerie, e non per trovarsi un fidanzato, no. Si trattava solo di sentirsi bene con sé stessa, e caspita se la biancheria esotica ed elegante non ci riusciva. Uscendo da quegli uffici, pensava di passare dal negozio Agent Provocateur che si trovava vicino al centro. Doveva compensare il terribile inizio di quella giornata.

    ―Winthrop è un brav’uomo; non ci farà caso, se ormai hai ottenuto il colloquio personale. Ma se per caso lo prendi in uno di quei giorni...

    ―Aspetta, intervista tutti gli impiegati personalmente?

    Andrea annuì.

    ―Se non fa lui il colloquio, lo fa il vicepresidente, Jackson. Qual è il posto per cui hai fatto domanda?

    ―Assistente personale.

    ―Oh, caspita, allora è impossibile che lo faccia Jackson Luther. Qui tutti ci chiamiamo per nome, tranne l’assistente personale dei capi e anche questo è relativo, credo che dipenda dallo stato d’animo dei soci― sorrise.

    ―Comprendo...

    ―Niente qui è come dovrebbe essere, quando inizi. Spero che ti vada bene, e, se qualche volta ci incontriamo, posso parlarti un altro po’ dell’azienda. È fantastica e con dei vantaggi che non troverai facilmente altrove. Entrare nell’organigramma degli impiegati è quasi come ricevere la notifica che sei stata ammessa a Harvard o alla Columbia.

    Tracy rise.

    ―Grazie, Andrea.

    Tracy aveva sentito parlare di Jackson Luther, e conosceva lo stupendo lavoro che realizzava. Quell’uomo era una macchina macina soldi e possedeva una mente brillante quanto quella del suo socio, Sean Winthrop.

    ―In bocca al lupo― disse la donna che lavorava alla contabilità, prima di chiudersi in uno dei quattro bagni.

    «Sì, in bocca al lupo, Tracy», ripeté a sé stessa mentre tornava alla reception.

    A Sean Winthrop, secondo quanto Tracy aveva letto, non piaceva apparire sulla stampa e sembrava fosse un fanatico della privacy, ma non negava mai un sorriso ai giornalisti. Si sapeva poco o niente della sua vita personale, ma Tracy era solo interessata a ottenere l’impiego.

    Aveva visto alcune foto di Sean su internet, e quelle che si trovavano sulla pagina web aziendale. Nessuno di quegli scatti mostrava dettagli personali, ma rivelavano un sorriso accattivante e dei tratti facciali virili, con labbra sensuali. Sembrava avvolto da un’aura di potere e fiducia in sé stesso che aveva invogliato lo sguardo di Tracy ad ammirare più volte la fotografia. Tuttavia, lei non era in quel giro di colloqui per ottenere un appuntamento romantico, o cose simili. Voleva solo recuperare la propria carriera e il prestigio che le erano stati tolti a Boston. Aveva bisogno di ricominciare, anche se questo implicava lavorare come assistente personale, invece di essere esecutiva o direttrice della contabilità. La vita le aveva insegnato a essere umile, quindi le importava poco ricominciare daccapo il percorso verso l’alto.

    Ma anche se non voleva una relazione romantica o un appuntamento con qualcuno, questo non significava mettere da parte la curiosità. Per cui Tracy aveva fatto delle ricerche su Google, ma non aveva trovato cenni sulla vita personale del presidente di S.W.Group. Lei immaginava che parte della fortuna di Winthrop fosse destinata a cancellare parti di informazioni che Sean non voleva rendere pubbliche. Tracy riteneva che fosse un modo di agire molto saggio. Forse, se si fosse trovata nella posizione di una persona con molte risorse economiche, avrebbe fatto lo stesso. Chiunque cercasse Sean Winthrop, avrebbe trovato solo dati sui suoi successi professionali, e alla fine era tutto quello che importava davvero, nel mondo degli affari.

    Tracy era seduta nella sala d’attesa. Una bella zona, in cui c’era anche la scrivania della reception. L’arredamento era fatto di linee simmetriche, senza curve, in toni di azzurro con tocchi di beige. Spiccavano i dettagli in vetro inseriti sulle superfici. La spalliera alta era denominatore comune delle sedie della saletta. L’area sembrava concepita per infondere calma a chi aspettava molto tempo per una riunione con i responsabili dell’azienda.

    Per entrare a far parte del processo di selezione come assistente personale, avevano fatto firmare a Tracy una clausola di non divulgazione. Questo era un requisito non negoziabile per qualsiasi incarico in lizza a S.W. Group. E, che ottenesse o meno il lavoro, quella clausola sarebbe scaduta dopo cinquant’anni. Niente di quello che il candidato vedeva o ascoltava durante la sua permanenza nell’edificio doveva essere divulgato. Nemmeno sul processo di selezione.

    Tracy non aveva alcun problema a tenere la bocca chiusa. Aveva firmato il file elettronico con molto piacere, anche se le sembrava un metodo un po’ estremo, mettere una clausola con una validità di cinquant’anni. Per quanto, chi era lei per criticare quei piccoli dettagli di un’azienda?

    ―Signorina Goldstein― disse la segretaria tirandola fuori dai suoi pensieri.

    Dal divano, Tracy sollevò lo sguardo verso Charlotte. Aveva passato gli ultimi minuti provando con molta discrezione l’idea di sedersi facendo in modo che la giacca non rivelasse il reggiseno o l’inizio della curva dei seni. Seni difficili da nascondere, ma chi poteva incolparla per averci provato? A volte, invidiava le donne con la B di reggiseno, invece di una D come la sua.

    ―Sì?

    ―Può passare nell’ufficio della presidenza. Il signor Winthrop la sta aspettando― insistette, senza cenno di empatia riguardo le emozioni di Tracy.

    ―Oh. Non l’ho visto passare... Perché lo avrei salutato, non vorrei che pensasse...― iniziò a dire, terrorizzata all’idea che la prima impressione del titolare della società fosse che lei era una persona maleducata. Si schiarì la gola.

    ―Ha un ascensore privato ed è arrivato da pochi minuti― interruppe senza troppe cerimonie davanti al balbettio di Tracy. ―Venga con me. La guiderò nell’ufficio del signor Winthrop― disse alzandosi dalla sedia e girando intorno all’ampia scrivania beige.

    Tracy si alzò.

    ―Grazie― mormorò, raccogliendo le sue cose.

    CAPITOLO 2

    ––––––––

    Sean detestava arrivare tardi in ufficio o alle riunioni di lavoro, ma sua figlia di quattro anni, Milla, era costipata. Non era la prima volta che si trovava nella fretta di gestire l’influenza e il malumore di una bimba malata. Odiava sentirsi impotente all’idea che sua figlia soffrisse anche il minimo disagio. Poteva essere implacabile e spietato negli affari, ma, quando si trattava di Milla, lui era un caso perso. La bambina era il suo tallone di Achille.

    Il dottor Phillips, il pediatra, gli aveva dato una ricetta per Milla e lui pensava di rispettarla alla lettera. Prima di andare in ufficio, Sean si era fermato in farmacia, con sua figlia il braccio, per comprare tutto il necessario. Quando chiamò sua madre, Eugenia, questa gli aveva assicurato che avrebbe potuto aiutarlo a occuparsi di Milla in serata ma non prima, perché aveva un appuntamento programmato da una settimana.

    Irritato da tanti contrattempi, decise di portarsi la figlia in ufficio. Non era l’idea migliore, ma certo più logica che perdere la giornata di lavoro. La bambinaia di tutta la vita, Abby Mulligan, era andata in pensione un mese prima, lasciandolo nei guai. Ora era da trenta giorni senza una bambinaia ed era un miracolo che non lo avessero mandato

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