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Appassionata finzione
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E-book181 pagine2 ore

Appassionata finzione

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Info su questo ebook

Hilary Wright attira i cattivi ragazzi come una calamita. E Troy Donovan, collaboratore per il governo, hacker per passione e playboy, è proprio tutto ciò che Hilary ha giurato di evitare. Purtroppo lei ha bisogno del suo talento con i computer per aiutare una persona in difficoltà e Troy accetta senza esitare. Dovranno stare fianco a fianco e, per non destare sospetti, fingersi fidanzati. Basta un bacio e la recita sfugge a ogni tentativo di controllo. Le labbra di Troy sono più tentatrici del cioccolato, e Hilary muore dalla voglia di assaggiarle di nuovo.
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2020
ISBN9788830515789
Appassionata finzione
Autore

Catherine Mann

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Appassionata finzione - Catherine Mann

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    An Inconvenient Affair

    Harlequin Desire

    © 2012 Catherine Mann

    Traduzione di Biemmi Giuseppe

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-578-9

    Prologo

    North Carolina Military Prep School

    17 anni prima

    Gli avevano rasato il cranio e lo avevano spedito in riformatorio. Poteva la vita andar peggio di così?

    Dato che aveva appena quindici anni, aveva tutto il tempo per scoprirlo.

    Indugiando sulla soglia, Troy Donavan scrutò la camerata. La dozzina di letti a castello era per metà occupata da tizi dall’acconciatura a palla da biliardo come la sua... l’ennesima vittoria per il caro, vecchio paparino che si era sbarazzato finalmente dei lunghi capelli del figlio. Oh, perché nessuno doveva mettere in imbarazzo l’onnipotente dottor Donavan. Purtroppo, l’aver beccato il figlio dell’illustre medico che si era indebitamente introdotto nel sistema informatico del Dipartimento della Difesa aveva portato il concetto di imbarazzo a un livello completamente nuovo.

    Così adesso era stato sbattuto in questa galera, opportunamente celata dietro la facciata di programma di addestramento reclute sulle colline del Nord Carolina, a seguito del patteggiamento con il giudice del foro competente per la Virginia. Un giudice che suo padre aveva ammorbidito.

    Troy serrò le dita attorno alla sua sacca e resistette all’impulso di vibrare un pugno alla finestra sprangata tanto per avere un po’ d’aria fresca.

    Maledizione, era orgoglioso di quello che aveva fatto. Non voleva che fosse messo a tacere, né che venisse nascosto come un brutto segreto. Fosse dipeso da lui, sarebbe andato in una casa di correzione, o perfino in prigione. Ma, per il bene di sua madre, aveva accettato l’accordo. Avrebbe terminato il liceo in questo posto infame e, se avesse rigato dritto fino al compimento del ventunesimo anno di età, avrebbe potuto riavere indietro la sua vita.

    Doveva solo sopravvivere senza che la testa gli scoppiasse.

    Branda dopo branda, arrivò all’ultima fila dove trovò Donavan, T.E. stampato su una targhetta attaccata ai piedi del letto a castello. Dopo una breve esitazione, gettò la sacca da viaggio piena delle sue cianfrusaglie sul materasso inferiore.

    Un piede che calzava un anfibio tirato a lucido penzolava pigramente dalla branda superiore. «Dunque tu saresti Robin Hood, l’hacker che ha fatto tremare la nazione» buttò lì una voce sarcastica. «Benvenuto all’inferno.»

    Magnifico. «Grazie, ma non chiamarmi così.»

    Odiava il soprannome di Robin Hood degli Hacker che gli avevano affibbiato i quotidiani quando era saltata fuori la sua storia. Faceva suonare quello che aveva fatto come una specie di innocente marachella. Il che probabilmente era dovuto all’influenza di suo padre, che aveva cercato di minimizzare il modo in cui il figlio adolescente aveva smascherato una brutta faccenda di corruzione che alcuni funzionari del governo stavano cercando di coprire.

    «Non devo chiamarti così altrimenti cosa farai?» chiese lo smargiasso sulla cuccetta superiore la cui targhetta recitava: Hughes, C.T. «Ruberai la mia identità e mi ripulirai il conto corrente, mago del computer dei miei stivali?»

    Troy si dondolò sui talloni per controllare il letto più in alto e assicurarsi che a dormire sopra di lui non ci fosse un discendente diretto di Satana. Di certo, il diavolo non portava gli occhiali e non leggeva il Wall Street Journal.

    «A quanto pare, non sai chi sono io.» Con un fruscio secco della pagina, Hughes scomparve dietro al suo quotidiano. «Caro il mio perdente.»

    Stava dandogli del perdente?

    Oh, al diavolo. Troy era un genio fuori dal comune e aveva già superato brillantemente test quali l’ACT e il SAT richiesti per l’ammissione al college. Non che i suoi genitori sembrassero essersene accorti o che la cosa li avesse toccati particolarmente. Suo fratello maggiore era il vero perdente: fumava erba, era stato espulso già da un paio di college, ed era impegnato a ingravidare cheerleader. Ma il vecchio li considerava peccati veniali. Problemi cui i soldi di famiglia potevano facilmente porre rimedio.

    Farsi cogliere a impiegare mezzi illeciti per denunciare la corruzione di alcuni fornitori del Dipartimento della Difesa e di un paio di membri del Congresso invece era un tantino più difficile da nascondere e in questo modo Troy aveva commesso il crimine imperdonabile: aveva messo in imbarazzo mamma e papà agli occhi di amici e conoscenti. Il che era stato il suo intento fin dall’inizio, un goffo tentativo di ottenere l’attenzione dei suoi genitori. Ma, una volta resosi conto di quello in cui si era imbattuto... peculato, ricatti e corruzione, l’appassionato solutore di puzzle che c’era in lui non era riuscito a fermarsi finché non aveva smascherato l’intera faccenda.

    Comunque la si guardasse, non era certo stato un Robin Hood che aveva risolto i problemi del mondo, accidentaccio.

    Aperta la sacca piena di uniformi e biancheria, cercò di tenere lontani gli occhi dallo specchietto sul suo armadietto metallico. La sua testa pelata rischiava di riflettere la luce e accecarlo. E dato che gli era giunta all’orecchio voce che metà dei ragazzi qui avevano patteggiato, avrebbe fatto bene a guardarsi le spalle intanto che cercava di scoprire cosa aveva fatto ciascuno di loro per finire in questo posto.

    Ah, se solo avesse avuto il suo computer. Il fatto era che non era tanto in gamba a leggere le espressioni dei volti. Lo strizzacervelli nominato dal tribunale che lo aveva valutato in occasione del processo diceva che incontrava difficoltà a relazionarsi con la gente e, in compenso, si completava perdendosi nel cyberspazio. L’aspirante Freud ci aveva visto giusto.

    E adesso eccolo bloccato in una stramaledetta camerata piena di persone. Decisamente la sua idea di inferno.

    Non aveva nemmeno la possibilità di accedere a un computer per svolgere qualche ricerca sui maldestri criminali che gli facevano compagnia. Grazie al giudice, gli era concesso un uso di Internet solo ed esclusivamente per fini scolastici.

    Che barba.

    Lasciandosi ricadere all’indietro, si accomodò accanto alla sua sacca. Doveva esserci un modo per uscire da questo postaccio. Il piede oscillante nell’aria si fermò e una mano si affacciò dalla branda superiore.

    Mister Wall Street Journal aveva una playstation!

    Non era un computer, ma era pur sempre qualcosa di elettronico. Qualcosa per calmare quella parte di lui che, non essendo connessa, era totalmente disorientata. Troy non ci pensò due volte. Afferrò la playstation che gli veniva offerta e si sistemò in branda. Mister Wall Street Hughes non fiatò. Il tizio pareva disinteressato. Niente secondi fini.

    Per ora, Troy aveva trovato il modo per vincere la noia. Non tanto per il videogame, ma perché pareva ci fosse qualcun altro oltre a lui non troppo ligio alle regole.

    Forse i giovani delinquentelli fra cui era capitato non erano poi così malvagi. E nel caso si sbagliasse, pensò mentre i pollici gli volavano sulla console, aprendogli l’accesso al livello successivo del gioco, almeno aveva di che distrarsi da questo suo primo giorno agli inferi.

    1

    Oggigiorno

    Hilary Wright aveva seriamente bisogno di una distrazione durante il volo dal District of Columbia a Chicago. Ma non certo del tipo costituito da una coppia che stava dandosi da fare per rientrare nel ristretto novero dei membri del Mile High Club.

    Sbuffando, si abbandonò contro lo schienale del suo sedile accanto al finestrino e si affrettò a mettersi le cuffie auricolari. Avrebbe preferito guardarsi un film o perfino una replica di qualche sitcom, ma questo avrebbe significato tenere gli occhi aperti, con il rischio di vedere i due davanti a lei che se la spassavano sotto il plaid. In effetti, voleva solo arrivare a Chicago, per mettersi finalmente alle spalle il peggior errore della sua vita.

    Hilary passò da un canale radio all’altro, fino a quando non trovò della musica di suo gradimento. Lungo la corsia centrale si accalcavano una famigliola con bambinetto al seguito e una manciata di uomini e donne d’affari, tutti quanti diretti ai posti in classe economica che solitamente occupava anche lei. Ma non oggi. Oggi, il posto in prima classe le era stato offerto dalla CIA. Che cosa assurda, eh? Fino al mese precedente, tutto ciò che sapeva della CIA lo aveva appreso dalla tivù. Adesso, invece, doveva collaborare con loro per dimostrare la sua innocenza ed evitare il carcere.

    Un languido gemito si levò dalla tizia in preda ai bollori davanti a lei.

    Hilary si premette ulteriormente contro lo schienale del suo sedile, coprendosi gli occhi con una mano. Era così nervosa da non potersi nemmeno godere la sua prima visita a Chicago. Aveva sognato spesso di uscire dalla sua piccola cittadina natale del Vermont. Non per niente, l’impiego come organizzatrice di eventi a Washington le era sembrato un dono piovuto dal cielo. Incontrava persone molto in vista, delle quali altrimenti avrebbe solo potuto leggere sui giornali: politici, attori, perfino altezze reali.

    Inizialmente, era stata abbagliata dal tenore di vita invidiabile del suo ragazzo. Al punto da non rendersi conto dei traffici di Barry nella gestione delle donazioni filantropiche che amministrava e della sua totale mancanza di etica.

    Adesso doveva tirarsi fuori dal disastro in cui era piombata fidandosi dell’uomo sbagliato che, in nome di iniziative lodevoli, convinceva fior di paperoni a donare enormi somme a enti fittizi, per poi dirottarle su un conto corrente in Svizzera. Purtroppo, si era dimostrata in tutto e per tutto la classica ragazza di paese, ingenua e credulona.

    Be’, adesso aveva tolto i paraocchi.

    Un lampo fatto di pelle e reggiseno rosa comparve per un attimo tra i sedili che aveva di fronte.

    Hilary chiuse con forza gli occhi e si recitò l’abituale mantra. Concentrati. Rilassati. E vedi di metterti alle spalle al più presto questo weekend.

    Avrebbe identificato il complice del suo spregevole ex fidanzato nel corso di un grande party che si sarebbe tenuto a Chicago. Avrebbe reso la sua dichiarazione ufficiale all’Interpol per consentire di sgominare la rete internazionale di riciclaggio di denaro sporco di cui facevano parte entrambi. E poi sarebbe potuta tornare alla sua vita e al suo lavoro.

    Una volta rientrata nelle grazie del suo principale, avrebbe potuto tornare a dedicarsi al genere di eventi che aveva sempre amato organizzare. La sua carriera sarebbe finalmente decollata e le sue feste sarebbero finite nelle pagine di cronaca mondana di tutti i principali giornali. Il suo ex, campione dei perdenti, avrebbe letto quegli articoli in prigione e si sarebbe reso conto che lei aveva voltato pagina, caro lui. Forse sarebbe apparsa anche in qualche foto, risultando così conturbante che Barry avrebbe sofferto nella sua buia e casta cella.

    Brutto somaro!

    Hilary si strinse la parte superiore del naso per frenare un moto di pianto.

    Un colpetto picchiato sulla sua spalla la costrinse a troncare lo sciocco momento di autocommiserazione. Si sfilò uno degli auricolari e vide con la coda dell’occhio un... completo sartoriale con tanto di cravatta Hugo Boss.

    «Mi scusi, signora. Sta occupando il mio posto.»

    Voce bassa, ben impostata e per nulla arrogante, il viaggiatore aveva il volto in ombra, dato che era in controluce. Hilary riuscì a distinguere solo i capelli castano scuro, lunghi abbastanza da sfiorargli le orecchie e la parte superiore del colletto della camicia. Dal Patek Philippe che aveva al polso al completo firmato Caraceni, portava solo marchi di cui lei non aveva mai sentito parlare prima di iniziare a lavorare con l’alta società della capitale.

    E gli aveva soffiato il posto.

    Sussultando, Hilary fece finta di controllare la carta d’imbarco anche se sapeva già cosa c’era scritto. Dio, odiava stare accanto alla corsia centrale e aveva pregato di avere la fortuna di trovare un posto vuoto accanto al suo. «Mi spiace. Ha ragione.»

    «Sa che le dico?» Lui appoggiò una mano sullo schienale del sedile libero. «Se preferisce stare accanto al finestrino, per me va bene. Io mi siederò qui.»

    «Non vorrei approfittare della sua gentilezza.» Non aveva ancora terminato la frase che nella fila occupata dai piccioncini si levò un gemito che incrementò il suo imbarazzo.

    «Nessun problema.» Lui sistemò la sua valigetta nella cappelliera sopra le loro teste prima di lasciarsi scivolare sul sedile.

    A questo punto, si voltò verso di lei e, per tutti i bovini che avevano nella fattoria di famiglia nel Vermont, era davvero niente male. Un po’ affilato, forse. Ma con delle lunghe ciglia che non facevano che calamitarle lo sguardo su quei suoi limpidi occhi verdi. Doveva essere poco oltre la trentina, a giudicare dalle rughe sottili che gli si formavano quando sorrideva in un modo aperto che lo rendeva più alla mano.

    Lei inclinò la testa di lato, studiandolo più attentamente. Le pareva familiare, ma non riusciva proprio a collocarlo. Aveva incontrato un sacco di gente alle feste che organizzava e poteva averlo incrociato ovunque. Anche se doveva averlo visto da lontano perché, se si fossero parlati, non se lo sarebbe certo scordata.

    La fibbia della cintura di sicurezza del fusto produsse un clic metallico mentre l’aereo

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