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Oscura redenzione
Oscura redenzione
Oscura redenzione
E-book465 pagine6 ore

Oscura redenzione

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Info su questo ebook

La lotta costante per sopravvivere e una determinazione d'acciaio hanno trasformato Chase Beckett in una figura mediatica che tutti vorrebbero possedere. I tifosi della sua squadra di hockey su ghiaccio lo cercano per le sue giocate accanite, le donne per la sua fama tra le lenzuola. L'atteggiamento spensierato e quel sorriso vanitoso sono per lui la migliore difesa per tutelare il suo lato vulnerabile. Abituato a tenere le redini in tutti gli aspetti della sua vita, Chase non è disposto a tollerare che una donna impicciona, per quanto bella e vivace sia, gli dica quello che può o non può fare… soprattutto se Alicia sembra avere armi capaci di dissotterrare segreti che lui non desidera che vengano alla luce.

Dopo aver abbandonato Seattle, e in seguito alla tragica scomparsa della sua famiglia, Alicia Krutcher si trasferisce a Chicago per iniziare una nuova fase. La sua titolare le assegna un compito niente affatto gradevole: migliorare la reputazione del problematico Chase Beckett davanti alla stampa. Lei ben presto scopre che il famoso giocatore non solo è arrogante, intelligente e troppo attraente per i suoi gusti, ma anche affascinante nei momenti più inaspettati. Via via che si fa coinvolgere nel mondo personale di Chase, Alicia capisce che la vera sfida consiste nel mantenere il suo cuore al sicuro.
Penderà la bilancia verso la passione e i sentimenti più profondi o si sposterà verso il rischio di perdere tutto, in cambio della redenzione?

LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2020
ISBN9781393405337
Oscura redenzione

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    Anteprima del libro

    Oscura redenzione - Kristel Ralston

    INDICE

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    EPILOGO

    SULL’AUTRICE

    ©Kristel Ralston 2019

    Oscura redenzione.

    Tutti i diritti riservati.

    I lavori dell’autrice sono coperti da diritti d’autore e registrati sulla piattaforma SafeCreative. La pirateria è un reato ed è punito dalla legge.

    Immagine di copertina: Karolina García Rojo ©Shutterstock.

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, archiviata in un sistema o trasmessa in qualsiasi forma, o tramite qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, fotocopia, video o altri metodi, senza previo ed espresso consenso della proprietaria del copyright.

    Tutti i personaggi e le circostanze di questo romanzo sono fittizi, prodotto dell’immaginazione dell’autrice; qualsiasi riferimento alla realtà è puramente casuale.

    La chiave della vita è accettare le sfide. Quando qualcuno smette di farlo, è morto.

    -Bette Davis.

    CAPITOLO 1

    Chase detestava perdere, e quella sera aveva disputato una partita di merda. Se quell’idiota di Schölle non lo avesse spinto contro la vetrata della pista ghiacciata, la possibilità di segnare il gol non gli sarebbe sfuggita. Quando si rialzò dalla caduta, i rimanenti cinque secondi di gioco erano ormai passati e, con loro, la vittoria tanto necessaria per passare ai playoff.

    Uscendo dalla pista, l’umore di Chase peggiorò.

    Quando entrarono nei camerini, il casco di protezione volò da un lato e così la sua pazienza. Consegnò il bastone a uno degli assistenti della squadra e si diresse agli spogliatoi. L’allenatore aveva assicurato a tutti i giocatori che la prestazione in pista era stata efficace, ma a Chase non importava un accidente. Se non vinceva, non gli serviva a niente. Il suo obiettivo era sempre quello di mantenere un vantaggio netto, e battersi con chiunque incontrasse sul ghiaccio fino a riuscire a segnare nella rete avversaria. Punto.

    Si fece la doccia con la rapidità che gli derivava dagli otto anni di pratica come giocatore professionista nella NHL, sei dei quali li aveva esercitati come uno degli attaccanti di punta dei Chicago Warriors. Il getto potente di acqua calda aiutò la sua schiena, ma sapeva che il giorno seguente sarebbe stato sul lettino per massaggi, perché i colpi che aveva ricevuto erano stati abbastanza brutali. Di solito non si lamentava, ma temeva che in questa occasione le sue costole avessero sofferto un po’ più del normale, nonostante la protezione della squadra con cui giocava sempre.

    —Andiamo in qualche bar con i ragazzi. Ti unisci a noi, Beckett?— gli domandò Olaf Kerrotov, il portiere della squadra in cui giocava da quattro anni.

    —Preferisco fermarmi in hotel. Oggi non mi va di fornire titoli alla stampa, dato che quando sono ubriaco ho voglia di fare stupidaggini— replicò.

    Kerr, come lo chiamavano tutti, alzò le spalle. Afferrò una bottiglia di Gatorade e la trangugiò in pochi sorsi, dopo di che lanciò la bottiglia nel cestino.

    —Se te la senti, saremo al bar Belmonte Side.

    —D’accordo...

    Dopo essersi sistemato la cravatta del completo, che tutti i giocatori indossavano prima e dopo ogni partita secondo le regole dell’immagine, camminò a passo rapido con l’intenzione di uscire dallo stadio per unirsi ai suoi compagni, prima di tornare all’hotel con l’autobus della squadra. Dopo di che ognuno sarebbe andato per i fatti suoi a fare quello che preferiva. Un giornalista tentò di intercettare Chase, ma questi lo evitò. Tale atteggiamento con la stampa aveva portato il suo agente, Buck Kye, a fargli un discorso sulla necessità di mantenere un approccio più sollecito con i giornalisti.

    Chase aveva la sua filosofia e preferiva non perdere tempo a cercare di essere più mondano, perché nei titoli leggeva solo frasi mal interpretate o commenti fuori contesto, dopo le interviste. Non è che si aspettasse allori o commenti adulatori, ma le bugie che venivano pubblicate lo irritavano. Una volta, si era addirittura preso il disturbo di presentarsi dal direttore di uno di questi giornali per chiedergli una rettifica, e quello che aveva ottenuto in cambio era stato un altro titolo in cui veniva tacciato come piantagrane e capriccioso. Da allora, aveva fatto in modo di lasciare le questioni della comunicazione agli esecutivi dei Chicago Warriors.

    Lui risolveva i suoi problemi sulla pista, con pugni e spintoni quando lo facevano innervosire, e non aveva interesse a dare spazio ai pettegolezzi malvagi fuori dalla pista. La NHL tollerava le discussioni, almeno finché i giocatori coinvolti non lasciavano un po’ di sangue sul ghiaccio immacolato; dopo, l’intervento degli arbitri era immediato. Sì, l’hockey era uno sport tanto nobile quanto selvaggio, e forse proprio per quest’ultimo dettaglio calzava a pennello a Chase: non per l’aspetto nobile, no.

    Salì sull’autobus della squadra e si accomodò all’ultimo posto. Non gli andava di essere socievole in quel momento, e sapeva che lo stato d’animo dei suoi compagni non era migliore del suo. Era frustrato e aveva bisogno di sfogare quell’emozione. Mentre procedevano attraverso le strade di Nashville, il telefono non smetteva di vibrargli nella tasca destra. Controllò di malavoglia lo schermo per vedere chi era. Sbuffò leggermente nel leggere il nome di sua madre.

    Nellamy Linard era l’ultima persona con cui aveva voglia di parlare in quell’istante, come in qualsiasi altro, a dire il vero. Mise via il telefono. Una chiamata di Nellamy, perché lui aveva smesso da molti anni di chiamarla ‘mamma’, era sinonimo di problemi. «Che se la sbrighi da sola, almeno per una volta», pensò, e senza sentirsi in colpa. Nonostante fossero passati molti anni da quando aveva abbandonato l’ambiente tossico in cui era cresciuto, l’ombra della sua travagliata infanzia continuava a perseguitarlo. I giornalisti avrebbero fatto festa, se fossero venuti a conoscenza di quello che lui aveva tenuto nascosto dentro il nero baule del suo passato.

    Quando arrivò in hotel, camminò lungo il corridoio e poi fino all’ascensore. Premette il tasto del settimo piano e aspettò impaziente.

    In quel momento, nessuna vista gli era gradita, nemmeno il lussuoso spazio in cui erano ospiti durante la loro sosta a Nashville. In quella giornata non avevano solo perso la partita, ma anche la possibilità di accumulare i punti che avrebbero permesso loro di entrare nei playoff della Coppa Stanley.

    A ventotto anni, la sua capacità di recupero fisico continuava a essere ottima, ma quel giorno si sentiva particolarmente esausto.

    Forse in passato era stato una testa vuota, molto disposto a sfruttare tutto ̶ fama, denaro e i buoni geni che l’universo gli aveva donato quanto a fisico ̶ ma doveva pensare al suo futuro professionale. Non stava diventando più giovane, e la rapidità con cui gli esordienti delle diverse divisioni della lega gestivano il bastone e si muovevano sopra la pista era brutale. Non gli costava seguire il ritmo, ma Chase sapeva che era questione di altri due anni e basta, prima di iniziare a sentire i danni conseguenti alle lesioni, in quello sport in cui i professionisti si ritiravano di solito a trentacinque, trentasei anni di età. Ogni sconfitta, come quella di stanotte, gli sembrava più scoraggiante della precedente.

    Aveva bisogno di scaricare la sua frustrazione, ma non con l’alcol in un bar, insieme ai suoi amici dei Warriors. Sapeva che l’hotel aveva una piscina molto grande e un idromassaggio. A volte, combinare entrambi gli risultava ottimo per rilassare i muscoli. Con questo in mente, decise di scendere in piscina, ma doveva prima lasciare la valigia nella suite.

    —Chase, aspetta, Chase!— esclamò una voce femminile dietro di lui.

    Chase grugnì a bassa voce. «Una fan di quelle che sperano che io sia il padre del loro figlio o che le mantenga per tutta la vita.» Secondi dopo, si trovò faccia a faccia con la ragazza. Stavolta, si trattava di una bionda con occhi castani e una bocca carnosa e colorata di rosa. La squadra di sicurezza dell’hotel avrebbe ricevuto una lamentela da parte sua. Anche se, a vederla bene, forse l’idea di rilassarsi in piscina poteva essere messa da parte per qualcosa di più allettante, come ad esempio fare sesso con una donna disposta a compiacerlo in tutti i modi che lui potesse suggerire.

    Aveva bisogno di perdere coscienza, attraverso il piacere che poteva produrre un orgasmo, mentre penetrava un corpo morbido e pronto. Il viso della proprietaria di quel fisico sarebbe caduto nell’oblio il giorno seguente, come al solito. Non doveva pensare a sentimenti estranei, al di là dell’obiettivo dell’atto sessuale: il piacere. Punto.

    Aveva avuto un numero piuttosto alto di amanti, i cui nomi o tratti del viso erano diventati semplici macchie nella sua memoria, e lui preferiva così. Nessuno ne usciva ferito, ed entrambe le parti se la spassavano per qualche ora. Massimo qualche giorno.

    Non voleva nessuna donna accanto che pretendesse di domarlo come un animale selvaggio o una sfida da vincere. Chase si considerava un giocatore di hockey da capo a piedi, ma non intendeva rubare la fidanzata a nessuno né andare con donne sposate, per quanto al riguardo avesse proposte interessanti.

    L’idea di cambiare il suo stile di vita per una persona era fuori discussione. Se qualche illusa credeva possibile erodere le sue mura di ferro, gli faceva pena. Il suo cuore era pieno dell’inchiostro nero scritto dal suo passato. Non c’era rimedio, e la sua salvezza continuava a essere l’hockey.

    —Sì?— domandò controvoglia. Gli sembrava che la ragazza non superasse i diciotto anni. Lui non era affatto un pervertito. Gli piacevano le donne, non le ragazzine desiderose di compiacere, ma senza avere l’esperienza per farlo. E non era nemmeno un maledetto tutore sessuale. — Che succede?

    La ragazza aveva una casacca dei Chicago Warriors, con il suo numero ̶ appunto: il diciannove. Lei lo guardò senza fiato. Come se non avesse mai visto il sole brillare fino a quell’istante. Forse in un altro momento questo sarebbe risultato interessante per Chase, ma quel fervore assurdo iniziava a provocargli astio. Alcune persone credevano che la sua vita personale fosse ugualmente intensa dentro e fuori dal ghiaccio: ma niente di più lontano dal vero. Anche se, chi era lui per cercare di smentire quei pensieri, quando gli portavano più vendite al botteghino?

    —Sono riuscita a superare la sicurezza— disse la ragazza con il respiro affannato, molto simile a quello che avrebbe potuto emettere una persona dopo aver corso per un intero campo di calcio. —Volevo solo dirti che sei il migliore. Il migliore! Ti adoro, Chase, e il fatto che hai perso, oggi, per me non significa niente. Sarai sempre un vincitore. Il migliore di tutti.— E fece un sorriso smagliante.

    Chase le diede una lunga occhiata. Aveva seni grandi, vita snella, e dalla gonna molto corta che indossava spuntavano due gambe favolose. Lui odiava le adulatrici, odiava le groupie. Ma, quando era arrabbiato come in quell’istante, gli capitavano a puntino per smaltire la frustrazione.

    Le dedicò uno sguardo dall’alto in basso, senza un pizzico di pentimento.

    La guardò come se stesse valutando un gioiello esposto per compiacere un commerciante. Si domandava se quelle ragazze mancassero davvero di un minimo di autostima o se faceva tutto parte di una recita. Santo Dio, lei era una bellezza e poteva avere qualsiasi uomo più adatto alla sua età. Anche se, ancora una volta, lui sapeva che erano il denaro e la fama a spingere queste ragazze a offrirsi come passatempo nel suo letto. Alcune lo cercavano per avere aneddoti da raccontare alle loro amiche, per dire di aver fatto sesso con un famoso giocatore di hockey; a lui, questo sembrava ancora più patetico.

    Gli era difficile distinguere il vero motivo per cui la gente gli si avvicinava, e non si fidava delle intenzioni altrui, tanto meno quando la sua stessa madre continuava a rammentargli questa lezione di vita. Almeno sapeva che il suo agente riceveva denaro per occuparsi dei suoi interessi personali, ed era una transazione che non aveva nulla a che vedere con l’amicizia. Buck sapeva che se qualcosa era ok per Chase, allora andava bene anche per lui; non esistevano menzogne a riguardo e tutte le prove erano supportate da una squadra di avvocati. «Patti chiari, amicizia lunga», afferma un detto popolare.

    —Perché mi adori tanto?— le domandò in tono annoiato.

    —Sei l’amore della mia vita!— disse con voce esultante, gli occhi brillanti di emozione e toccandogli il braccio in modo scherzoso. —E amo vederti sorridere.

    Non era la prima volta che una donna glielo diceva. Né la prima che, dopo avergli confessato il suo falso amore, allungava la mano per toccargli il membro con sorprendente arbitrarietà; addirittura, le più audaci trovavano il modo di strofinarsi contro il suo corpo per fargli comprendere tutti gli attributi che aveva portata di mano, da sfruttare come preferiva. Lo cercavano donne sfacciate, discrete o che fingevano di esserlo, single, sposate e anche arriviste. Queste ultime abbondavano. Lo cercavano per l’uomo che credevano che fosse; nessuna era capace di vedere oltre la superficie, né lui lo permetteva. Non aveva bisogno di nessuno che frugasse nella sua vita personale e con l’intenzione di instaurare un legame che non era disposto a fortificare.

    —Ora ho solo voglia di sesso. Aprire le gambe di una donna e infilarmi nella sua umidità— disse con freddezza. Non aveva tempo per sottigliezze, né stava pensando a sentimenti di sorta.

    —Stai tentando di sedurmi— domandò la ragazza, sbattendo le ciglia.

    «Illusa, e con poca stima di se, decisamente,» confermò Chase con disprezzo. A lui interessava solo sfogarsi, e per questo non c’era bisogno di conversare. Se lei era più che disposta a servirgli appositamente questa necessità, gli andava bene. Non avrebbe negato a se stesso il piacere.

    —A proposito... ti piacerebbe venire in camera mia?— domandò, proseguendo nel dialogo ormai usurato, tante erano le volte che lo aveva pronunciato .

    Per un periodo breve ed intenso era stata una cosa promiscua, e ammetteva che gli piaceva cambiare. Tuttavia, quando si viveva a tavoletta come aveva fatto lui, dopo un po’ iniziava a sentirsi annoiato. Erano rare le donne che lo sorprendevano davvero, in aspetti al di là delle questioni tra le lenzuola; ma, in generale, Chase non aveva intenzione né tempo da investire su di loro. Non appena usciva dal letto, le dimenticava.

    —Mi piacerebbe— replicò lei, seguendolo quando lui si diresse di nuovo verso la suite. In quel viaggio non gli avevano assegnato il compagno di stanza, che in genere era il suo migliore amico di sempre, Pilsen.

    —Okay.

    —Sei bello, Chase...

    —Quanti anni hai?— domandò, perché questa era la cosa più importante.

    Non era un imbecille. Se si trattava di un’arrivista che gli avrebbe procurato cattiva stampa dicendo che aveva abusato di una minorenne, la NHL (National Hockey League o Lega di Hockey Nazionale, dal suo acronimo in inglese, degli Stati Uniti) e la sua squadra avrebbe potuto metterlo nella lista nera e, di sicuro, lui avrebbe dovuto affrontare un dannato processo. No, grazie. Aveva sentito parlare di diversi casi di giocatori, ad alto rendimento in diverse discipline, le cui carriere erano finite a causa di scandali sessuali. Lui non voleva allungare la lista, tanto meno quando gli mancavano ancora varie stagioni di hockey davanti. Dare le munizioni alla stampa perché lo crivellasse di colpi, con o senza ragione, era stupido.

    —Ventidue...— disse mordendosi il labbro inferiore con malizia. O almeno questo tentava di fare, secondo Chase.

    —Non mi piacciono le bugie— le disse duramente.

    La ragazza, vedendo che forse l’opportunità di fare sesso con l’uomo che adorava, e per il quale praticamente viveva attaccata alle partite di hockey, sembrava sul punto di sfumare, si affrettò a tirare fuori la carta d’identità e la nervosamente passò a Chase.

    —Ho sufficiente esperienza per farti passare un bel momento— si affrettò ad aggiungere, mentre lui leggeva il documento d’identità.

    Lui sapeva che poteva essere falso. Ma se aveva imparato una cosa, quando viveva in rifugi da quattro soldi durante le freddi notti di Chicago, era a realizzare documenti per i minorenni benestanti che volevano entrare nei bar e discoteche della città. Controllò i timbri. La carta d’identità era autentica.

    —Rosie Huffings. Ventidue anni— disse lui senza alcun entusiasmo.

    Le restituì il documento. Poi passò la carta magnetica sul pannello e quando sentì il clic, entrarono.

    Chase si fermò attonito quando posò il piede sulla moquette beige. Preoccupato, lasciò cadere a terra la borsa che portava sulla spalla.

    La camera non era vuota come si aspettava.

    —Che diavolo?— domandò quando vide una donna bellissima, seduta sul letto, vestita con un tailleur formale, che di sicuro aveva comprato da Neiman Marcus o qualche costoso negozio di abbigliamento femminile. Portava scarpe a punta, e i capelli castani raccolti in uno chignon alto. Nell’espressione di quel viso non si intravedeva un briciolo di complicità né alcuna intenzione di essere amichevole.

    La donna guardò Rosie con disapprovazione, e quest’ultima arrossì.

    —Salve, signor Beckett— lo salutò la sconosciuta in tono formale. —L’allenatore in capo, Argos Ryster, mi ha indicato dove potevo trovarla.

    —Mmmh— grugnì lui.

    —Questo hotel appartiene a uno dei vostri sponsor; loro mi hanno pagato il volo da Chicago fino a Nashville. Non hanno esitato a darmi la chiave elettronica quando ho detto ai dirigenti di questo fantastico hotel che io faccio parte della squadra di lavoro dei Chicago Warriors. Lei ha molti ammiratori— disse con dolcezza e cercando di trattenere un sorriso, vedendo che aveva interrotto un incontro di sesso sul punto di concretizzarsi. Non l’avevano pagata per preoccuparsi della vita sessuale, frustrata o di successo, di un giocatore di hockey su ghiaccio. —Questo è un bene.

    —E...?— domandò Chase, incrociando le braccia.

    —E in questo istante quella bella ragazzina— guardò la bionda —lascerà la camera, e così lei ed io faremo un discorso serio sulla sua immagine pubblica.

    Rendendosi conto di essere ignorata, Rosie si avvicinò al sensuale sportivo di un metro e ottantaquattro centimetri e lo afferrò per il braccio, per richiamare la sua attenzione. Lui abbassò lo sguardo come se avesse dimenticato che lei era lì.

    —A quanto pare, i miei piani sono cambiati, Rosie— disse Chase senza emozione.

    —Sarà meglio che me ne vada...— sussurrò la ragazza, delusa. —Ti lascio il mio numero— cercò nella borsetta un pezzo di carta, scarabocchiò un numero e lo mise nella tasca dei pantaloni di Chase. —Chiamami quando vuoi, per riprendere il discorso. Sarò qui a Nashville altri due giorni, ma, se me lo chiedi, ti seguirò fino alla prossima città in cui giochi con i Chicago Warriors.— Poi chiuse la porta con delicatezza e la sua presenza nella sontuosa suite venne del tutto dimenticata.

    Chase tirò fuori il pezzo di carta dalla tasca, lo accartocciò nel pugno e lo lanciò senza curarsi di dove cadesse. Dopo di che, diresse tutta la sua furia contro la donna che gli aveva appena rovinato la scopata della notte.

    —Chi caspita sei, e cosa credi di fare, qui?— domandò avvicinandosi. Sembrava che dagli occhi grigi stesse lanciando pugnali di ghiaccio.

    —Alicia Krutcher— replicò, senza sentirsi intimidita.

    Nella vita aveva affrontato situazioni peggiori di un giocatore di hockey con cattiva reputazione, fisico scolpito e viso da angelo caduto. La voce tagliente di quell’uomo, in particolare, non le faceva alcun effetto. Aveva studiato il profilo di Chase e sapeva che, se avesse intravisto in lei un minimo di debolezza, l’avrebbe distrutta a parole e le avrebbe tolto la possibilità di continuare il lavoro per il quale era stata assunta. Un lavoro che non poteva perdere in nessun caso.

    Riformare Chase avrebbe portato la sua carriera da addetta alle pubbliche relazioni all’attenzione di altri eventuali clienti. La sua agenzia lo avrebbe gradito moltissimo, e anche il suo futuro economico. Si alzò in piedi e tese la mano con un atteggiamento professionale. Lui si limitò a guardare la mano perfettamente curata, ma non la toccò.

    Alicia abbassò la mano senza sentirsi offesa, ricordando che quella sera forse non era la migliore per avviare il suo discorso, ma non aveva altra opportunità. Doveva iniziare i suo lavoro. sapeva che i Warriors avevano perso l’accesso ai Playoff per la Coppa Stanley, e il malumore di Chase era comprensibile, ma non lo giustificava. Sapeva che, almeno da tutto lo studio mediatico che aveva fatto su Chase, quando lui non riusciva a svignarsela, tendeva ad essere indifferente, freddo o distante con la stampa, e questo non andava per niente a favore suo né tanto meno dei Warriors. Alicia era stata inviata dai loro nuovi clienti, e pensava di consegnare loro i risultati per i quali stavano pagando un’alta somma di denaro.

    —Ho avuto l'incarico di migliorare la sua immagine pubblica, signor Beckett. Sarà meglio che modifichi un po’ il suo modo di rivolgersi a me. Mi piacerebbe iniziare con il piede giusto— sorrise. —L’aiuterà enormemente collaborare con me, se vuole che il suo contratto con i Chicago Warriors possa essere rinnovato con il bonus economico, il riconoscimento e altre interessanti possibilità.

    Chase strinse i denti.

    —Cos’hai a che vedere con il mio contratto, Alicia?— domandò con aria di sfida, dandole del tu. Socchiuse gli occhi dalle ciglia lunghe.

    —Garnett MacTavish, il proprietario dei Warriors, mi ha assunto direttamente dall’agenzia per cui lavoro, Push Fire. Ha detto chiaramente che il mio voto di fiducia sarà un punto che terrà molto in conto al momento di decidere o meno la rinegoziazione con il suo rappresentante e altri membri della sua squadra di lavoro, signor Beckett. Questo è tutto— disse con un sorriso studiato e che riuscì, lo sapeva, a far innervosire Chase. Non era sua intenzione, ma aveva appena scoperto che esasperare quell’uomo aveva un effetto quasi afrodisiaco. Curioso... e preoccupante.

    O forse tutto quello che sperimentava aveva a che vedere con l’adrenalina di iniziare un progetto che le avrebbe fatto ottenere la posizione di socia nell’agenzia. Una posizione per la quale aveva lavorato strenuamente. E questo cliente era la ciliegina sulla torta.

    —Sa, signorina Krutcher?— domandò chinandosi, data la sua altezza, sopra Alicia. Lei, con i tacchi e tutto, gli arrivava al mento.

    Se Chase era già arrabbiato per aver perso con una squadra scadente come gli Swanton Knights, adesso quella rabbia era tre volte più intensa. Una sconosciuta aveva appena invaso la sua privacy, addirittura minacciandolo; e, non contenta di ciò, gli aveva tolto la possibilità di farsi una scopata.

    La donna sollevò lo sguardo senza paura. Chase doveva riconoscerle che aveva degli splendidi occhi verdi, in cui quasi poteva vedere ardere scintille di fuoco. All’esterno sembrava calma, ma lui sapeva vedere oltre. Si domandava se quell’ardore avesse la stessa forza, quando lei raggiungeva l’orgasmo.

    —Mi dica— disse lei, con una calma che non riuscì a convincerlo.

    Chase conosceva come nessuno il modo di riuscire a penetrare nella mente di un avversario, e, a partire da quell’istante, Alicia era diventata uno di questi. Sfoggiò un sorriso smagliante.

    —Mi hai appena rovinato il mio intrattenimento sessuale di stanotte, ma ora so chi sarà il rimpiazzo di Rosie— indicò il letto con un gesto burlone.

    Alicia sentì un brivido raggiungerle ogni terminazione nervosa. Dopo la sua esperienza nell’ultima relazione, e il motivo per il quale ora risiedeva a Chicago e non a Seattle, quello di cui aveva meno bisogno era sperimentare un qualche tipo di emozione verso qualcuno del sesso opposto, specie se si trattava di una persona come Chase Beckett. Quell’uomo trasudava problemi, con quel viso mozzafiato e il fisico di una statua cesellata, con dettagli migliori di quelli del Davide di Michelangelo.

    Ovviamente, lei aveva visto innumerevoli partite di hockey e sapeva che Chase era l’immagine della biancheria intima di una nota marca sportiva. Era tifosa dei Warriors, ma non per questo doveva gridarlo ai quattro venti. Preferiva mantenere un basso profilo.

    Quando il suo amico, Brentt MacTavish, le aveva offerto la possibilità di un colloquio con il suo influente padre, titolare dei Chicago Warriors, Alicia non aveva esitato ad accettarlo. Questa era l’opportunità di cui aveva bisogno per convincere la sua titolare, Kathrina Rhodes, che aveva tutte le abilità professionali per fare carriera da Push Fire. «Se fallisci, allora lo farà anche il tuo tentativo di fare carriera nella mia agenzia. Mantieniti in allerta con Beckett,» le aveva detto Kathrina prima che i Chicago Warriors si trasformassero in loro clienti. Gli incaricati della pubblicità e comunicazione della squadra di Push Fire avevano tenuto due riunioni per concordare onorari, clausole di confidenzialità e altri documenti, con i Warriors.

    Garnett MacTavish era un magnate minaccioso ma equo, e nonostante conoscesse Alicia da molto tempo, tramite Brentt, le aveva offerto tutta l’attenzione che avrebbe concesso a qualsiasi altro professionista con cui faceva affari. Convinto delle prestazioni professionali come consulente d’immagine che gli aveva offerto Alicia, in qualità di esecutiva di Push Fire e con l’appoggio di Kathrina, lui le aveva detto che avrebbe assunto la Push Fire per i Chicago Warriors; se i risultati con Chase fossero stati adeguati, avrebbe dato un bonus nonché la possibilità all’agenzia di diventare socia perenne per specifiche questioni organizzative.

    Quando Alicia raccontò a Brentt quello che era successo, questi le assicurò che Chase era un tipo un po’ ermetico ma simpatico, quando voleva, tranne se si considerava il malumore che di solito aveva o il brutto rapporto con i mezzi di comunicazione, e i costanti scandali per le sbornie a cui si dedicava ogni volta che perdeva una partita, o almeno così era stato fino a qualche mese prima. Il compito era riabilitare l’immagine di Chase davanti all’opinione pubblica, perché i Warriors non erano nella loro stagione migliore e su questo i titoli dei giornali non aiutavano. Alicia non fuggiva davanti ad una situazione difficile, anche se ficcarsi nella tana del lupo ̶ come stava facendo in quel momento ̶ era una vera impresa per una persona che, come lei, preferiva mantenere un basso profilo.

    —Mi piacerebbe domandarle di chi si tratta, signor Beckett— disse stringendo le spalle, —ma ho un programma di lavoro da spiegarle e un calendario da iniziare. Gli enigmi non mi interessano.

    Il sorriso malizioso di Chase si allargò.

    Lei doveva ammettere che da vicino era molto più bello che in foto o in video. Aveva i capelli neri un po’ ondulati, pettinati con stile; possedeva un paio di occhi grigi provocanti, marcati da ciglia folte. I tratti del viso avevano caratteristiche maschili che davano l’idea di un uomo non solo attraente, ma anche terribilmente sensuale. Era un insieme travolgente, se a questo si sommavano anche i muscoli definiti che la camicia grigio antracite lasciava intravedere quella sera.

    Quando lo aveva visto entrare nella suite, Alicia si era fissata sul modo in cui i pantaloni aderivano a delle gambe che gridavano virilità. Tuttavia, nessuno di quegli aspetti risultava importante, quando la sua sopravvivenza dipendeva dall’esito di quel lavoro per MacTavish. La sua carriera professionale era sulla linea di gioco.

    —Tsk-tsk— schioccò Chase, risposta sbagliata, signorina Krutcher.

    Lei non si allontanò quando lui ridusse la distanza tra loro.

    Cedere, fisicamente o verbalmente, avrebbe significato una sconfitta, quando un uomo come quello tentava di misurare la sua capacità di conquista; non importava se questa conquista era professionale o personale. Alicia sapeva valutare le risposte degli altri, ma anche generarle e sfidarle senza parlare. Anche se, in questo caso, a quanto pareva, avrebbe dovuto usare le sue capacità professionali nelle pubbliche relazioni in modo diversificato.

    —Non sapevo che fosse un gioco di indovinelli, signor Beckett.

    —È vero. Non è un indovinello. Preferisco essere più concreto.

    In quell’istante, una mano grande e calda la prese alla vita. Chase l’avvicinò al suo corpo. Alicia sentì l’aria della camera densa e carica di elettricità. Il suo cuore iniziò a palpitare a mille al secondo. Quando Chase si avvicinò e lasciò le sue labbra a pochi millimetri di distanza da quelle di lei, rimase senza fiato,.

    Tutto in lui gridava ‘problemi’ e cuori infranti, lo sapeva molto bene. La sua vicinanza generò un battito, nei suoi sensi che erano rimasti in letargo. Non poteva lasciarsi andare. Quello era solo un trucco. Doveva avere l’ultima parola.

    Cercando di nascondere l’impatto che lui le provocava, il modo inesplicabile in cui quelle dita sopra la sua vita sembravano squagliarle la pelle attraverso il tessuto della biancheria, accennò un sorriso e lo allontanò. Sapeva che non aveva la forza fisica per lottare con qualcuno con il portamento e la muscolatura di Chase, ma lui non si ostinò a trattenerla e si staccò. Questo la sorprese, perché generalmente pochi uomini sapevano accettare quando una donna diceva ‘no’, che fosse fisicamente ̶ come lei aveva appena fatto ̶ o verbalmente.

    Quando sollevò di nuovo lo sguardo, Chase aveva un’espressione distante. Il tocco dei loro corpi lo colpiva tanto quanto aveva colpito lei? Sicuramente no. «Non è questo che deve importarti,» le ricordò una vocina. Si schiarì la gola.

    —Abbiamo un resoconto della sua carriera, signor Beckett.

    Con la fiducia professionale che la caratterizzava, Alicia andò alla scrivania della suite, prese la cartella che si era portata da Chicago e l’aprì. Sparse varie fotografie a colori sul piano. Si girò verso Chase, appoggiando il fondoschiena al bordo della scrivania, e incrociò le braccia. Gli fece cenno con la testa di avvicinarsi per vedere quello che doveva mostrargli.

    —Certo, oggi è proprio il giorno perfetto per fare un’autoanalisi della mia esistenza— replicò lui sarcastico, ma non si avvicinò. —Anzi, l’ora perfetta, signorina Krutcher— pronunciò il nome con fastidio.

    Lui non obbediva agli ordini, tanto meno quelli di una donna che cercava di fargli credere di avere potere. Poco importava che fosse un’assoluta bellezza, e che il suo timbro di voce ̶ non fosse per quello che gli stava dicendo ̶ sembrava calmare la frustrazione della serata. Quest’ultima cosa non aveva intenzione di condividerla con quella signorinella lì.

    —Ha ventotto anni— disse lei, senza scomporsi per lo scherno di Chase, —un’età ritenuta importante nell’avanzamento di una carriera professionistica nella NHL. La sua reputazione è la base che andranno a considerare i titolari dei Chicago Warriors, o di qualsiasi altra squadra, per le negoziazioni nel corso degli anni che le restano nella lega sportiva. La reputazione che lei ha creato o distrutto— disse con un mezzo sorriso — uò aiutarla o meno ad ottenere un buon successo, quando il suo contratto con i Chicago Warriors terminerà...— Si schiarì la gola per dare a Chase il tempo di digerire quello che gli stava dicendo. —Sempre che il suo interesse sia di rinnovare il contratto. Se è questo il caso, la necessità di migliorare la sua reputazione è indispensabile.

    —Ah sì?— domandò, stringendo i denti.

    —Signor Beckett, qualche stagione in più, che le garantisca una memorabile pensione sul suo conto corrente, quando sarà il momento, sono certa che le sarà di grande vantaggio. Questa estate terminerà il suo contratto con l’organizzazione, e inizieranno ad essere intraprese le trattative per un rinnovo. Il mio voto di fiducia in merito ai suoi risultati nell’area dell’immagine pubblica sarà un fattore che verrà preso in considerazione in questo processo. Sono qui per aiutarla.

    Chase la guardò con indolenza.

    —Discorso interessante— disse sarcastico.

    Alicia non si scompose, perché era già prevenuta sul carattere di Chase. Quando la pulsazione sul suo collo iniziò finalmente a calmarsi, sorrise cordialmente.

    —Ha provocato vari scandali. Molti, a dire la verità, tra cui risse nei bar, visite a club di spogliarelli. Le ultime gesta riportate mesi fa includono fotografie con attrici porno che hanno influito molto negativamente sulla sua immagine e, quindi, anche su quella dei Chicago Warriors. Non è affatto promettente— disse lei. —Immagino che nemmeno i suoi sponsor ne siano molto contenti, ma ha avuto fortuna e continuano a mantenerla come volto del brand. Mi piacerebbe che continuasse a essere così, perché i suoi sponsor sono partner di quelli con cui possiamo lavorare prima che inizi l’apertura della stagione di contratti, il Draft, e tutta la gamma di varianti che lei conosce in lungo e in largo.

    Lui piegò la testa da un lato, leggermente, come se stesse soppesando le parole di Alicia, quando in realtà gli importavano poco e nulla. Non gli era mai interessata l’opinione di terzi. Nessuno sapeva chi era lui in realtà, né le sue motivazioni per fare quello che faceva, e di certo non interessavano a nessuno. L’unica cosa che volevano era trarre profitto dalla sua posizione come giocatore di una squadra con diverse Coppe Stanley nel medagliere. Volevano guadagnare denaro sulla sua pelle, senza curarsi delle conseguenze delle svariate bugie che si pubblicavano o circolavano. La vita gli aveva causato così tante cicatrici, che ormai si considerava blindato di fronte alle numerose fesserie.

    Lui era cosciente che altri approfittavano di gran parte del suo sacrificio quotidiano e delle ore di allenamento: giornalisti, squadre di marketing, la stampa... «Parte del gioco.» Aveva imparato a gestirlo.

    Era protetto dietro a una corazza che si era costruito nel corso della sua vita. Tuttavia, per un motivo che non riusciva a spiegare, la voce di rimprovero e lo sguardo di disapprovazione della donna che aveva davanti a sé lo fecero sentire come il ragazzino di quattordici anni catturato dalla polizia per detenzione illegale di sostanze vietate. Ovviamente era stato incastrato, ma cosa importava alla polizia dell’innocenza di un ragazzo senza risorse? Il suo unico crimine era stato quello di fidarsi della persona sbagliata e di trovarsi nel luogo sbagliato. Almeno aveva avuto la fortuna di trovare un’avvocatessa che sapeva quello che faceva e non lo considerava un caso in più per guadagnare a spese del governo.

    Si sentì all’improvviso soffocato, messo con le spalle al muro...

    Non doveva dare nessun tipo di spiegazione a una donna che si atteggiava a saputella. Incrociò le braccia guardandola in modo insolente; perché se c’era una cosa che sapeva apprezzare era una bella donna, e questa lo era in tutto e per tutto. Con quell'espressione severa, Alicia sembrava esattamente una giovane istitutrice; obbedire alle regole a lui faceva schifo:, anzi, la sua specialità era romperle, le regole.

    Gli sarebbe piaciuto chiudere la bocca provocante di Alicia con un bacio, e l’unica cosa che gli impedì di cedere ai suoi impulsi furono gli allarmi nella sua testa che gridavano che un bacio con lei non sarebbe stata una buona idea... né sufficiente. Strano e irritante allo stesso tempo. D’altra parte, il suo corpo era carico di adrenalina, per tutto quello che era successo quella sera sulla pista di ghiaccio, e la sua pazienza era al limite, così come la sua libidine. Nel momento in cui Alicia lo guardò, Chase praticamente si sentì ribollire il sangue nelle vene, per poi concentrarsi sulle parti basse. La cosa più curiosa di tutte era che Alicia non mostrava alcun atteggiamento provocante.

    —Immagino che tu sia molto tesa, vero? Mmmh... Forse ti interesserebbe mettere da parte tutti quest’armamentario informativo e rilassarti. Quel divano è molto morbido...— le fece l’occhiolino, —per cui sono certo che, se sciogliamo quell’acconciatura che ti sei fatta ai capelli, il tuo viso lascerà trasparire che quello che desideri davvero è qualcuno incaricato di darti piacere. Posso occuparmene io, e credimi, l’ultima cosa a cui penserai sarà lamentarti di me.

    Lei lo guardò con severità. Sperava di non arrossire. Il modo in cui la guardava e le parlava... Sapeva che era una completa menzogna, perché gli occhi di Chase non brillavano come se sentisse davvero quello che esprimeva. Meglio era per Alicia mettere in chiaro che lui non era un giocatore solo sulla pista di ghiaccio, ma anche fuori.

    —Signor Beckett...

    —No, no— disse lui, avanzando di nuovo verso di lei, —anzi, credo che ti farà bene

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