La tentazione abita qui (eLit): eLit
Di Dawn Atkins
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Dawn Atkins
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La tentazione abita qui (eLit) - Dawn Atkins
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1
In tailleur e tacchi alti, con due enormi valigie strette nelle mani sudate e la borsa con il computer portatile in spalla, Ariel Adams stava in piedi sui gradini di pietra che conducevano alla casa sulla spiaggia che aveva appena acquistato.
Molti avrebbero considerato un privilegio la vicinanza dell'oceano, ma Ariel non la pensava esattamente così.
Per lei la spiaggia era troppo sabbiosa, le sembrava di essere in un'enorme lettiera per gatti che puzzava di pesce e di alghe putride. Per non parlare della salsedine che macchiava e scoloriva qualsiasi cosa con cui veniva in contatto.
Niente da fare, la spiaggia non le piaceva proprio. E fra tutti i posti al mondo, ora le toccava viverci.
Gli occhi le bruciavano per la stanchezza ed era così scombussolata dalla differenza di fuso orario con Londra che non desiderava altro che dormire per una settimana filata. Ma quello era un lusso che non poteva permettersi. Prima doveva pianificare nei minimi dettagli una strategia per avviare la sua attività di consulente aziendale due anni prima del previsto. Si abbandonò contro la balaustra arrugginita, cedendo allo scoraggiamento per un istante, prima di cominciare a ripetersi il motto di sua madre: Persisti a persistere.
Il primo dei molti ostacoli che sicuramente l'attendevano era attraversare la spiaggia senza rovinare i delicati e costosi collant che aveva comprato in onore della sua nuova vita a Londra, la vita che la sua socia Trudy non aveva esitato a gettare fuori dalla finestra. Dalla finestra del ventisettesimo piano del grattacielo occupato dal loro cliente Paul Foster, per essere precisi. A dire il vero a quel livello le finestre erano sigillate e non si aprivano neanche.
«Io e Paul ci siamo innamorati» aveva sospirato Trudy, arrossendo come l'eroina di un romanzo dell'Ottocento, come se quell'affermazione bastasse a giustificare la sua decisione di mandare all'aria anni di duro lavoro e un promettente futuro. Dapprima Ariel non era riuscita a credere che la sua mentrice, la donna che le aveva insegnato tutto ciò che sapeva del mondo degli affari, si fosse trasformata in una creatura trepidante e sdolcinata.
Aveva anche cercato di farla ragionare. Prenditi un po' di tempo per pensarci, non mollare tutto prima di essere sicura che si tratti di una storia seria. Ma non c'era stato nulla da fare. Paul avrebbe fatto un tour delle sue filiali sparse nel mondo prima di concedersi un pensionamento assai precoce, e Trudy lo avrebbe accompagnato. Ariel non capiva ancora se fosse semplicemente impazzita o se per caso Paul l'avesse ipnotizzata.
Non erano quelli i loro piani iniziali. E a Business Advantage, l'attività di Trudy di cui Ariel era diventata socia sei mesi prima, la pianificazione era tutto. Si erano conosciute quando Trudy era stata ingaggiata come consulente da un'azienda per cui Ariel lavorava. Trudy era rimasta così colpita dalle sue capacità che le aveva proposto una serie di collaborazioni. Poi, quando Paul Foster l'aveva invitata ad andare a Londra per assisterlo in un progetto di ridefinizione strategica, aveva chiesto ad Ariel di unirsi a lei.
Per Ariel quell'offerta era capitata a puntino. Avrebbe lavorato con Trudy per due anni finché non si fosse sentita pronta a mettersi in proprio. E ora i suoi piani erano andati in frantumi, e tutto per colpa di Trudy. E dell'amore.
Ariel aveva riposto tutte le sue speranze nell'esperienza londinese. Era un'occasione unica per farsi conoscere nel mondo degli affari. Per non parlare di quanto le fosse piaciuta Londra e l'idea di risiedervi per due anni.
E invece la sua avventura era terminata ancora prima di incominciare. Dopo tre settimane era risalita su un aereo per Los Angeles, decisa a costruire un'attività praticamente dal nulla, dotata solo della sua determinazione a farcela e di una lista di potenziali clienti fornitale da Trudy.
Prima che Ariel partisse Trudy le aveva dato ciò che era rimasto di Business Advantage, ossia non molto, visto che i contratti con i clienti americani erano stati chiusi prima della partenza per Londra.
Con un sospiro Ariel iniziò a scendere gli scalini che conducevano al villino sulla spiaggia di Playa Linda, che sarebbe stato la sua dimora finché non avesse avuto i soldi per trasferirsi in una residenza più consona a una donna d'affari.
Trudy si era sentita talmente in colpa per averla piantata in asso che le aveva praticamente regalato la casa, vendendogliela a un prezzo simbolico, offerta che Ariel non era stata in condizioni di rifiutare. Dopotutto, quella proprietà era un buon investimento. Non tutti la pensavano come lei in fatto di case al mare, anzi, quello che a lei appariva come un luogo di detenzione forzata per molti sarebbe stato un posto da sogno.
Almeno avrebbe avuto un tetto sopra la testa e un letto in cui dormire, seppure non paragonabile all'ordinatissimo appartamento che aveva lasciato prima di trasferirsi a Londra, da cui aveva spostato tutti i suoi mobili per metterli in un deposito.
Dopo qualche gradino il tacco della sua scarpa scivolò su un sassolino facendole perdere l'equilibrio e mandandola contro la ringhiera.
Un tizio con una tavola da surf sottobraccio la afferrò per un gomito, aiutandola a raddrizzarsi.
«Tutto bene, signora?»
Signora? Aveva solo ventinove anni, più o meno la stessa età del surfista. Il modo in cui era vestita doveva averlo tratto in inganno. Il tailleur scuro, la camicetta dal collo alto e abbottonato e i capelli legati in una stretta crocchia la facevano sembrare fuori luogo come una governante vittoriana in un locale di spogliarello.
«Sto bene» ribatté stizzita, al che lo sconosciuto se ne andò senza degnarla di una seconda occhiata.
Ariel giunse ai piedi della scalinata e si accinse ad attraversare la distesa sabbiosa, appoggiando i piedi con la massima cautela affinché la sabbia non le entrasse nelle scarpe rovinandole i collant. Il villino era situato ai piedi di una collinetta e aveva un garage accessibile dalla strada principale. Purtroppo però, visto che Ariel non aveva la chiave del garage, le sarebbe toccato arrivarci dalla spiaggia, cosa che avrebbe volentieri evitato.
A ogni passo la sua mente, provata dal lungo viaggio e dalla mancanza di sonno, produceva pensieri sempre più cupi. E se non fosse riuscita a procurarsi dei clienti? Sapeva di essere brava, i suoi clienti non avevano mai avuto altro che parole di lode nei suoi confronti, nel seppur breve tempo in cui aveva lavorato a Business Advantage. Un negozio di abiti per bambini aveva raddoppiato i profitti grazie a lei, e il piano di diversificazione da lei ideato aveva salvato una ditta produttrice di software da ingenti tagli sul personale.
Gestire i clienti non era un problema. Ciò che la preoccupava era come procurarseli. L'idea di doverli convincere che avevano bisogno di lei la metteva a disagio. Quella era sempre stata la specialità di Trudy. Peccato che a quel punto toccasse a lei darsi da fare se davvero voleva guadagnarsi da vivere.
In fondo era una gran lavoratrice, una abituata a lottare con le unghie e con i denti, proprio come sua madre. Il padre di Ariel era morto quando lei aveva solo tre anni, ma sua madre non aveva perso tempo a piangersi addosso. Si era subito trovata due lavori, uno in una lavanderia e uno come cameriera, ed era sempre riuscita a far quadrare il bilancio familiare.
Sua madre non si era mai mostrata scoraggiata. Come tutte le donne della famiglia Adams persisteva a persistere, e ora Ariel era decisa a dimostrare di essere fatta della stessa stoffa.
L'avrebbe spuntata, si disse marciando con crescente determinazione attraverso la distesa di sabbia. Al peggio avrebbe potuto rivolgersi a un'agenzia di lavoro interinale, tanto per portare a casa uno stipendio in attesa che gli affari decollassero.
Il sudore le scendeva copiosamente lungo la schiena, il che significava che avrebbe dovuto portare il tailleur in tintoria. Cercò di visualizzare qualcosa di fresco mentre arrancava sempre più a fatica, trascinando le valigie le cui rotelle non giravano sulla sabbia cedevole.
E infine eccola lì, davanti al rifugio di Trudy, ora tutto suo. Le faceva un effetto completamente diverso da quando l'aveva visitato come ospite, alcuni mesi prima. Aveva un aspetto scalcinato di cui non si ricordava affatto.
Sentendosi prendere dallo scoraggiamento chiuse un attimo gli occhi per dedicarsi a un esercizio di visualizzazione a cui ricorreva sempre nei momenti di abbattimento.
Si immaginò lei e suo marito che camminavano nel roseto del loro ranch a Thousand Oaks, una zona in cui Ariel aveva sempre desiderato abitare. La voce suadente di lui le sussurrava parole colme di affetto e ammirazione. Ti ricordi quando eri una novellina che cercava di procacciarsi clienti da quella catapecchia sulla spiaggia?
Lei avrebbe sollevato il viso per guardarlo in faccia, ovviamente lui era un bel po' più alto, e avrebbe riso con lui.
E guardati adesso, avrebbe proseguito la sua dolce metà, gli affari vanno così bene che hai perfino assunto un collaboratore per poter passare più tempo con il tuo maritino. Che ne dici di una nuotata?
Poi avrebbero camminato, mano nella mano, fino all'enorme piscina piastrellata d'azzurro dove si sarebbero tuffati. Oh, e il loro labrador avrebbe corso lungo i bordi della piscina abbaiando festosamente...
Ora va meglio, si disse riaprendo gli occhi, decisa a ottenere ciò che aveva appena visualizzato. Non c'era un minuto da perdere, doveva darsi subito da fare. Peccato che fosse così stanca, visto che non dormiva da quasi trentasei ore.
Non fermarti, si incitò. Chi dorme non piglia pesci. Salì i gradini che conducevano alla veranda, con le dita irrigidite dallo sforzo di portare le valigie che sbattevano rumorosamente contro ogni scalino. Coperta di sudore e ansimante estrasse la chiave che le aveva dato Trudy e la introdusse nella toppa, ma non ebbe il tempo di girarla perché la porta si aprì di colpo dall'interno. Ariel si sbilanciò e cadde in avanti, andando a finire contro un solido, muscoloso e soprattutto nudo, petto maschile.
Lo sconosciuto la prese per le spalle aiutandola a riassestarsi, tenendola per un paio di secondi in più di quanto fosse strettamente necessario e approfittandone per studiarla con attenzione. Le sue mani erano forti e rassicuranti, i suoi occhi alla Brad Pitt di un blu profondo e impenetrabile.
«Ciao» la salutò in modo sorprendentemente informale.
«Salve» riuscì appena a mormorare Ariel, ancora stordita da quell'improvvisa apparizione, prima di venire travolta dal passaggio di un enorme cane bianco e nero.
Subito da dietro il cane uscì un ragazzino con un cappello a visiera che si fermò giusto il tempo necessario a dare una pacca sulla spalla allo sconosciuto che le aveva aperto la porta strillandogli: «Prendimi!», prima di correre in spiaggia.
«Non adesso!» gli gridò dietro l'uomo per poi rivolgersi ad Ariel. «Piacere, Jake Renner.» Le prese una mano sudata e gliela strinse, chiaramente divertito a vederla così sconvolta.
«Ariel Adams» biascicò lei.
«Posso aiutarti?» Era un po' più alto di lei e aveva i capelli biondi. Il suo corpo muscoloso e abbronzato era messo in bella mostra, coperto solo da un paio di boxer a stampa