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A letto con uno sconosciuto: Harmony Destiny
A letto con uno sconosciuto: Harmony Destiny
A letto con uno sconosciuto: Harmony Destiny
E-book182 pagine2 ore

A letto con uno sconosciuto: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Sono tuo marito...
Dopo l'incidente che le ha tolto la memoria, Victoria Masters non ricorda nulla del suo passato, nemmeno il proprio nome. Si ritrova così a vivere in un palazzo da favola accanto a un uomo che non conosce, ricchissimo e incredibilmente sensuale, a cui scopre che è impossibile resistere. Wade sostiene di essere suo marito, ma allora perché Victoria ha la sensazione che la tenga a distanza?

... e tu sei mia!
Quando il potente desiderio che scorre fra loro le fa allentare ogni difesa, donandole una notte indimenticabile, Victoria è convinta che la sua vita stia finalmente andando per il verso giusto e che presto ricorderà ogni cosa di quell'uomo fantastico. Ma non sa che al risveglio l'attende una sorpresa che potrebbe cambiare ogni cosa per sempre.
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2020
ISBN9788830516182
A letto con uno sconosciuto: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    A letto con uno sconosciuto - Lauren Canan

    successivo.

    1

    «Credo si sia svegliata.»

    A mano a mano che la vista le si schiariva, si ritrovò a mettere a fuoco il più bel paio di occhi che avesse mai visto. Erano di un marrone caldo con una miriade di screziature giallo dorate che sembrava brillassero. Incorniciati da ciglia nere, parevano avere la forza di una calamita da cui non si potesse staccare lo sguardo. Era come se le offrissero un'ancora di salvezza a cui intendeva disperatamente aggrapparsi.

    Sgranando gli occhi, osservò il resto del viso dell'uomo che aveva di fronte. I lineamenti decisi e gli zigomi alti. Le labbra piene e sensuali, tese a formare una linea sottile e circondate da un'ombra di barba scura. I capelli folti e di una tonalità castana viravano al biondo laddove la luce delle lampade a fluorescenza li accarezzava.

    Un secondo uomo che indossava un camice bianco entrò nel suo campo visivo dalla parte opposta del letto.

    «Sono il dottor Meadows, il suo neurologo.» Le parlò in modo chiaro, scandendo bene le parole, cosa di cui gli fu grata.

    Le potenti lampade bianche sospese al soffitto scaldavano con la stessa intensità dei raggi del sole. E il martellamento che accusava alla testa divenne più marcato, quasi insopportabile, seguendo il ritmo delle pulsazioni accelerate.

    «È rimasta coinvolta in un incidente stradale due giorni fa. Ha riportato alcune lesioni. Per la maggior parte di lieve entità, ma ha subito un trauma cranico piuttosto brutto.»

    Il medico si sfilò dal taschino del camice una torcia delle dimensioni di una penna e le puntò rapidamente la luce prima in un occhio e poi nell'altro. Lei non poté impedirsi di sussultare quando il fascio luminoso le ferì lo sguardo. Per fortuna, il medico si rimise in tasca la torcia e aprì una cartelletta. Dopo aver sfogliato una serie di pagine che riportavano dei diagrammi incomprensibili, fece una annotazione e richiuse il tutto.

    «Sa dirmi come si chiama?»

    «Il mio... il mio nome è...» Mortificata, si zittì. Come poteva non sapere come si chiamava? Com'era possibile? Al dolore si aggiunse una avvilente confusione. «Non lo so» ammise, rivolgendosi quasi a se stessa. A poco a poco, si insinuò in lei una sensazione di panico.

    «Sa chi è quest'uomo?» Il dottore le indicò con un cenno del capo l'estraneo.

    Una volta ancora lei studiò i suoi lineamenti, il volto solenne che lasciava intuire un carattere forte, la mascella decisa e quegli occhi dalla carica ipnotizzatrice. Eppure niente di lui le era in qualche modo familiare.

    «No.» Lentamente, girò il capo contro il cuscino. «Dovrei saperlo?»

    «Sono Wade» disse il diretto interessato, la cui voce profonda trasudava forza. «Wade Masters. Tuo marito.»

    Marito? Era sposata? L'incredulità le si dovette riflettere in viso perché l'espressione di Wade Masters si trasformò in un severo cipiglio e lo sguardo corse al medico. No. Non poteva essere così. Non aveva senso. O ne aveva? Portandosi una mano alla fronte, cercò nei cassetti della mente il ricordo di un qualche matrimonio. Di lui. Di loro due. Della loro vita insieme.

    Niente.

    «Non ti conosco.» Lei colse la vibrazione emotiva nella propria voce. «Io non sono sposata.»

    Un certo allarme le scattò dentro, incrementando il doloroso pulsare che accusava alla testa. Avevano sbagliato persona. L'avevano scambiata per un'altra. Doveva alzarsi. Doveva andare via. Afferrandosi alla sponda del letto, cercò di levarsi a sedere. Immediatamente, con gentilezza, delle mani tornarono a spingerla contro il cuscino. «No. Vi prego. Devo tornare a casa. Devo chiamare...» Chi? Chi diamine poteva chiamare? Non riusciva a pensare lucidamente. La testa le doleva. Era sconvolta. Non aveva idea di chi fosse e tantomeno della vita che conduceva prima di finire nel letto in cui si trovava.

    Sentì il medico che chiamava un'infermiera. «Cerchi di riposare, signora Masters» le raccomandò. «Vedrà che si ristabilirà completamente. La sua casa la accoglierà non appena si sarà rimessa in forze. Ha preso una botta non indifferente alla testa. Cerchi di non preoccuparsi se non ricorda volti e nomi, compreso il suo. Con questo tipo di trauma, l'amnesia retrograda non è per nulla inusuale. Sono fiducioso che, con un po' di pazienza, le tornerà tutto in mente.»

    «Sì, ma quando?» Lei sentì una lacrima scenderle lungo una gota. «Quando mi tornerà in mente?»

    «Purtroppo, non c'è modo di conoscere le modalità con cui reagisce ogni singolo individuo. A volte, la memoria torna gradualmente, come tante piccole tessere di un puzzle, oppure si manifesta di colpo in tutta la sua interezza. Sta di fatto che potrebbe tornarle a giorni, così come a mesi.»

    Mesi? No. Doveva ricordare prima. Aveva qualcosa di importante da fare. C'erano persone che contavano su di lei. Percepiva la necessità di sbrigarsi. Tuttavia più si sforzava di ricordare, più il martello le picchiava forte in testa.

    «Mi sono stati forniti i risultati degli esami e pare che sia tutto a posto.» Il neurologo tornò a sfogliare la cartelletta. «L'emorragia cerebrale sta rientrando. Il cuore è a posto. La pressione è nella norma. Se non insorgono complicazioni, potremmo considerare di dimetterla già domani.»

    Proprio mentre il medico terminava il suo discorsetto, staccando gli occhi dai referti, un'infermiera entrò di gran carriera nella stanza e, dopo aver armeggiato attorno all'asta portaflebo, iniziò a somministrarle una nuova soluzione per via endovenosa. «Questo dovrebbe fare effetto nel giro di pochi minuti. Passerò a controllare a breve, cara.» La donna rivolse un cenno di saluto ai due uomini e lasciò la camera con la stessa rapidità con cui vi era arrivata.

    «Come accennavo a suo marito» riprese il dottore, «ci sono buone possibilità che ritrovarsi in un ambiente familiare stimoli il ritorno della memoria.»

    Suo marito.

    Lei riportò lo sguardo sull'uomo alto, dalle spalle larghe che se ne stava in piedi alla sua sinistra e la stava osservando in silenzio. Indossava un completo scuro, con una cravatta azzurra dal nodo allentato, dato che si era slacciato l'ultimo bottone della camicia bianca. Lo sguardo le cadde sulle sue mani forti, che erano posate sulla barra metallica del letto. Una fede d'oro gli brillava al terzo dito della sinistra.

    Suo malgrado, lei si ritrovò a deglutire. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava.

    «Non temere. Supereremo questa disavventura e tornerai a stare bene.» L'uomo si chinò, avvicinando il viso. Quindi le coprì la mano con la sua e il calore che le trasmise fu piacevole. Aveva una voce profonda e seducente almeno quanto erano ipnotici i suoi occhi. «Se hai bisogno di qualcosa...»

    «Sì, per favore. Dimmi chi sono.»

    «Sei Victoria. Victoria Masters.»

    L'uomo tornò ad alzarsi, apparendo rilassato e sicuro di sé, tanto che affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. E Victoria si rese conto che l'impressione iniziale secondo cui l'aveva trovato attraente era un semplice eufemismo.

    Perché, in effetti, era straordinariamente attraente.

    Il suo profumo intenso e raffinato le giungeva alle narici e la camicia bianca che indossava metteva in risalto la carnagione abbronzata. I lineamenti decisi del volto e il naso diritto gli conferivano un'aria distinta. I capelli leggermente mossi sul davanti gli ricadevano sulla fronte e, dietro, gli accarezzavano il collo della camicia. La dorata intensità dei suoi occhi e la mancanza del minimo accenno a un sorriso su quelle labbra piene e sensuali le resero chiara una cosa: Wade Masters era il pericolo fatto persona. Non pericoloso nel senso di criminale, tuttavia pericoloso come un uomo capace di suscitare senza il minimo sforzo apparente la passione in una donna. E di questo lui era ben consapevole. Lo si desumeva proprio dalla sicurezza che emanava.

    Ed era lì per portarla a casa.

    Con il suo sguardo puntato addosso, lei arrossì, sentendosi avvampare viso e collo. L'ombra di un sorriso gli sfiorò le labbra come se lui sapesse quello che stava passandole per la mente. Così Victoria distolse lo sguardo, deglutendo a fatica.

    Il medico interruppe il corso dei suoi pensieri. «Per il momento, signora, non voglio che si preoccupi di questa perdita temporanea della memoria. Cerchi di rilassarsi e dia tempo al tempo.»

    Sentendo le palpebre pesanti, lei intuì che il farmaco che le aveva somministrato l'infermiera iniziava a fare effetto. Ma si sforzò di tenere gli occhi aperti perché voleva apprendere qualcosa di più dell'uomo che sosteneva di essere suo marito.

    Il dottor Meadows si girò verso di lui. «Voglio rivederla tra due settimane. Se accusa giramenti di testa, vomito o forti emicranie, la porti immediatamente al pronto soccorso» gli disse, prima di tornare a rivolgersi alla paziente. «Per i primi giorni, resti allettata, poi riprenda a muoversi, ma lo faccia spostandosi con cautela. Insomma, almeno per la prima settimana, niente centodieci metri a ostacoli, mi raccomando.» Strizzandole l'occhio, le sorrise.

    «Okay.» Lei non poté fare a meno di ricambiare il sorriso.

    «Auguro una buona giornata a tutti e due» aggiunse l'uomo in camice, prima di porgere a Wade un biglietto da visita. «Nel caso aveste delle domande, non esitate a chiamarmi.»

    «Grazie, dottor Meadows» disse lei mentre il medico infilava la porta e scompariva in corridoio. A quel punto, lo sguardo le tornò automaticamente sull'altro uomo e un brivido carico di ansia le scese lungo la schiena. Era sola con questa persona che sosteneva di essere suo marito. Non ricordava nulla di lui. Non c'era nulla nella sua voce o nella sua postura che le fosse in qualche modo familiare. Nonostante tutto il sex appeal, appariva freddo e distaccato. Avrebbe mai sposato un uomo così? Per quel che ne sapeva, no. Eppure...

    C'era una miriade di domande che avrebbe voluto porgli. Le pareva di essere sull'orlo di un precipizio, pronta a tuffarsi nelle oscure profondità dell'ignoto. Ce l'avrebbe fatta a lanciarsi? Evidentemente, c'era un solo modo per scoprirlo.

    Dopo averle sfiorato la mano, lui non aveva accennato a toccarla. Nessun abbraccio. Niente baci, nemmeno sulla guancia. In effetti, aveva ricevuto più comprensione dal dottore e dall'infermiera che dall'uomo che affermava di essere suo marito. Che si tenesse sulle sue perché sapeva che non conservava il minimo ricordo di lui? In quel caso, non poteva che apprezzare il suo riguardo. Diversamente, significava che doveva esserci qualche problema nel loro matrimonio, problema per il quale non avrebbe potuto far nulla fino a quando non le fosse tornata la memoria. In ogni caso, si augurava che la cosa avvenisse presto. Nel frattempo, poteva solo ipotizzare cosa le sarebbe stato chiesto di fare. Cosa si aspettava il marito da lei?

    Il dolore che avvertiva nella testa e nel resto del corpo cominciò a sfumare e, prima di poter porre qualsiasi ulteriore domanda, Victoria scivolò nel conforto dell'oblio.

    Wade Masters rimase in piedi immobile a osservare Victoria che ripiombava nel sonno. Era stata monitorata da vicino per il trauma cranico e sottoposta a ripetuti esami per assicurarsi che in testa non le si fosse rotta alcuna vena a causa della forte pressione. Quel giorno, quando aveva ricevuto la chiamata con cui lo avevano informato che pareva stesse riprendendo conoscenza, si era precipitato in ospedale. Questo dopo che già aveva dovuto interrompere un viaggio d'affari a Londra una volta appreso dell'incidente.

    Non era preparato per la notizia dell'amnesia. Né per la paura che le aveva letto negli occhi, o per il modo in cui lo aveva fissato come se vedesse nella sua forza l'unica cosa cui aggrapparsi. Lo aveva guardato con la disperazione riflessa negli occhi, lanciandogli un tacito grido di aiuto, e lui aveva desiderato intensamente che tutto andasse per il meglio. Doveva essere dura svegliarsi in un letto di ospedale e non ricordare il proprio nome o cosa ti aveva fatto finire dov'eri.

    A parte questo, era particolarmente sorpreso che lo snobismo che sfoderava normalmente come uno scudo se ne fosse andato. Victoria si muoveva sul confine tra una vaga arroganza e la vera e propria maleducazione. Tuttavia, invece, di pretendere delle risposte dal dottore, aveva posto educatamente delle domande con voce che tradiva una sincera preoccupazione e un fondo di ansia. Certo, forse non aveva la forza di esigere come suo solito. O forse la colpa era da ricercare nel dolore e nei farmaci. Qualunque fosse la causa, di fatto qualcosa era cambiato. Qualcosa che andava oltre le costole incrinate e la botta alla testa. Si era precipitato temendo il peggio, aspettandosi di dover fare i conti con il suo carattere impegnativo e intransigente. Invece, aveva trovato una donna spaventata che non aveva paura di lasciar trapelare le sue angosce.

    E, da come appariva adesso, senza il trucco eccessivo a coprirle il viso e con i capelli in disordine, pareva perfino alla mano e addirittura più attraente del solito. In effetti, a parte i segni dell'incidente, era una bellissima donna.

    Tuttavia teneva all'aspetto in modo esagerato. Meglio che il personale ospedaliero la tenesse ben lontana da qualsiasi specchio fino a quando non fosse guarita o, quantomeno, fino a quando non fosse stata pronta a tenere a freno la sua ira e il temperamento insopportabile. Nel frattempo, avrebbero fatto meglio tutti quanti a godersi quel momento di quiete perché la vera Victoria sarebbe tornata molto presto.

    Peccato, perché potenzialmente aveva tanto da offrire. Doveva solo darsi una calmata, smetterla di essere superficiale e altezzosa,

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