Carezze come petali: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Rob Cole, affascinante investigatore privato, viene incaricato dall'amico Sebastian Wescott di indagare sulla morte di un impiegato della sia società. Le indagini portano Rebecca Todman, fiorista e vicina di casa della vittima. Rebecca era solita accudirgli le piante e ha trovato lei il corpo. Non essendoci altri indizi, è anche la principale sospettata. Rob la trova bellissima e molto attraente. Niente gli vieta di affidarle l'arredo floreale di casa sua per conoscerla meglio...
Peggy Moreland
Scrive storie intense ambientate in Texas, che le hanno permesso di vincere numerosi premi letterari.
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Anteprima del libro
Carezze come petali - Peggy Moreland
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Her Lone Star Protector
Silhouette Desire
© 2002 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Olimpia Medici
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-381-6
www.harlequinmondadori.it
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1
Rebecca lanciò un’occhiata agli appunti che aveva appoggiato sul cruscotto del suo furgoncino e fece un rapido calcolo. Dieci, quindici minuti al massimo a casa di Eric Chambers per innaffiare e curare le piante, un altro quarto d’ora dagli Olsen per fare lo stesso. Meno di dieci minuti dai Morton per consegnare la nuova palma in vaso che la signora Morton aveva comprato per la sua serra. Altri venti minuti di spostamenti e avrebbe dovuto farcela ad aprire per le nove il suo negozio In fiore.
Ma solo per un pelo, pensò con una smorfia mentre si fermava di fronte alla casa di Eric. Quando notò la macchina di Chambers posteggiata nel viale, la sua smorfia si trasformò in un’espressione stupita. Eric era estremamente metodico in ogni aspetto della vita e tutti i giorni andava al lavoro alle sette e mezza in punto.
Chiedendosi se per caso fosse malato, Rebecca prese la sacca degli attrezzi e si avviò verso la porta posteriore. Decise di bussare, anche se Eric le aveva dato una copia delle chiavi quando l’aveva incaricata di occuparsi delle sue piante. Non voleva coglierlo di sorpresa, o, peggio ancora, in mutande. Soffocò una risata, immaginando l’espressione che si sarebbe dipinta sul volto dell’irreprensibile e compassato Eric Chambers.
Il suo sorriso svanì quando realizzò che nessuno veniva ad aprire. Bussò di nuovo, questa volta più forte, poi appoggiò l’orecchio alla porta per ascoltare, ma dall’interno non proveniva nessun suono. Convinta che Eric fosse malato e forse troppo debole per alzarsi dal letto, provò a spingere la porta che, con sua sorpresa, si aprì subito.
Esitò per un attimo, poi entrò. Malgrado la cucina fosse immacolata come sempre e inondata dall’allegro sole mattutino che filtrava dalle finestre, le venne la pelle d’oca. La casa era silenziosa. Troppo silenziosa.
«Eric?» chiamò a disagio. Andò in punta di piedi verso la porta che dava sul corridoio e poi sulla camera da letto. «Eric?» chiamò di nuovo, alzando la voce.
Nessuna risposta. Rebecca attese, incerta, chiedendosi se dovesse entrare in camera per controllare oppure limitarsi a innaffiare le piante e andarsene.
«È il tuo vicino» si rimproverò a mezza voce, «e abita da solo. Il minimo che tu possa fare è controllare se ha bisogno di qualcosa, soprattutto considerato che è stato così gentile da procurarti dei nuovi clienti.»
Andò verso la porta della camera. Si fermò per un attimo, pregando che Eric fosse in condizioni presentabili, poi sbirciò all’interno. La camera era vuota, il letto rifatto. Stupita di non averlo trovato a letto in preda alla febbre, Rebecca lanciò un’occhiata alla porta socchiusa del bagno.
Forse la macchina di Eric aveva avuto un guasto, si disse, tornando all’ingresso. Forse aveva chiesto un passaggio a un collega. Ripromettendosi di telefonare alla Wescott Oil per controllare, appena entrata in negozio, Rebecca riempì l’annaffiatoio al rubinetto della cucina e innaffiò rapidamente tutte le piante in vaso, strappando i petali e le foglie appassiti. Finito il proprio lavoro, tornò in cucina e svuotò l’annaffiatoio: non vedeva l’ora di andarsene.
E se gli fosse venuto un infarto? Non puoi andartene senza essere sicura che non sia in casa. Non ti perdoneresti mai se poi si scoprisse che era in bagno, disteso per terra a pregare che qualcuno lo trovasse.
Rebecca gemette, augurandosi che per una volta la sua coscienza e la sua fantasia fin troppo fervida si prendessero una vacanza. Era già in ritardo. Si diresse verso la porta.
Non te ne puoi andare! Devi essere sicura che non sia qui.
Si fermò con la mano sulla maniglia. Ma sono stata in tutte le stanze. Non è in casa.
Non hai guardato nel bagno, le ricordò quella vocina ostinata.
Rebecca lasciò cadere la sacca sul pavimento e tornò indietro a fatica. Attraversò la camera, il suono dei suoi passi attutito dai tappeti, e spalancò la porta socchiusa del bagno. «Eric?» chiamò mentre entrava.
Fece un passo all’indietro, gli occhi spalancati per l’orrore, la mano sulla bocca a soffocare l’urlo che le si faceva strada in gola. Eric era accasciato sulla tazza, in pantaloni neri perfettamente stirati e camicia bianca inamidata. Le mani, legate da una cintura nera, erano abbandonate inerti tra le ginocchia. Una cravatta di seta scura gli stringeva il collo in un cappio ed era assicurata al portasciugamani sopra il cassettone. Gli occhi di Eric erano spalancati, fissi, la bocca flaccida, la pelle di un bianco cadaverico, i lineamenti distorti da un gonfiore innaturale.
Rebecca restò a fissarlo paralizzata: non aveva bisogno di avvicinarsi per sapere che Eric era morto. Conosceva l’aspetto della morte. Lo aveva visto per la prima volta sul volto di suo marito e ne era stata perfino felice, perché la sua morte l’aveva finalmente liberata da lui. Deglutì, mentre i ricordi che le attraversavano la mente rendevano indistinti i lineamenti di Eric, tanto che si trovò a fissare la faccia di suo marito. Sulla fronte gli si era aperta una ferita sanguinante quando l’impatto dello scontro lo aveva spinto in avanti, il petto contro il volante, la testa sul parabrezza. Il suono gorgogliante del suo ultimo respiro le risuonava ancora nella mente.
Rebecca chiuse gli occhi con forza, ricordando la rabbia che aveva contratto i bei lineamenti di suo marito prima dell’incidente e la paura che aveva provato quando l’aveva costretta a salire in macchina con lui.
L’urlo che le era salito in gola quando era entrata nel bagno di Eric spingeva per uscire e stava per farsi largo tra le sue dita serrate. Si voltò di scatto e corse in cucina. Afferrò il ricevitore del telefono e compose freneticamente il numero della polizia. A quel punto le ginocchia le cedettero e si accasciò sul pavimento con le dita tremanti strette sul ricevitore.
«Qui la centrale di polizia. In che cosa posso esserle utile?»
Rebecca singhiozzò, mentre le parole graffiavano come un rasoio la gola infiammata. «È... è morto» ansimò.
«Chi è morto?»
«Er... Eric.» Deglutì, ricordando di nuovo il volto di Eric. Quegli occhi che non vedevano. «Eric Chambers» mormorò. L’immagine cambiò di nuovo, la faccia si trasformò in quella di suo marito, gli occhi diventarono quelli dell’uomo che aveva reso la sua vita un inferno. Chiuse gli occhi, cercando di non ricordare, sapendo che non avrebbe mai dimenticato.
Di solito le mattine erano tranquille al Texas Cattleman’s Club. Ma in quella particolare mattina il silenzio era diverso. Pesante, cupo. Sembrava che l’aria fosse carica di elettricità. Un senso di aspettativa si era impadronito dell’intero circolo. Impazienza e bisogno di agire.
A Royal era stato commesso un delitto, la vittima era un impiegato di un membro del Texas Cattleman’s Club, e quel che riguardava un membro del circolo riguardava tutti. La saletta fumatori, di solito quasi vuota a quell’ora, era strapiena e molti avevano spostato le pesanti sedie di cuoio per formare gruppetti di quattro o più persone. Tutti parlavano a bassa voce, rievocavano i fatti e facevano congetture sull’identità dell’assassino.
Sebastian Wescott era seduto in un angolo appartato con i suoi amici più intimi e fidati: William Bradford, vicepresidente e socio della Wescott Oil; Keith Owens, proprietario di una ditta di computer; Dorian Brady, fratellastro di Sebastian e impiegato della Wescott Oil; Jason Windover, agente della CIA e Rob Cole, investigatore privato.
Anche se tutti erano coinvolti nella conversazione, Sebastian era interessato soprattutto ai pareri di Rob e Jason.
Si rivolse a Jason. «So che il tuo interessamento al caso non potrà essere ufficiale, considerata la tua posizione di agente della CIA, ma apprezzerò ogni consiglio che mi potrai dare.»
Jason serrò le labbra e annuì. «Sai che farò tutto il possibile.»
Seb si girò verso Rob Cole. «Naturalmente la polizia sta già indagando, ma voglio che tu segua questo caso. Li ho già informati, in modo che possiate cooperare.»
«Dimmi tutto quello che sai sul delitto.»
Seb si passò una mano sul volto, ma non riuscì a cancellare le profonde rughe di tensione che lo attraversavano. «Non è molto.»
«Chi ha trovato il corpo?»
«Rebecca Todman, una vicina di Eric. È in città da poco. Ha un negozio di fiori e sostiene che Eric l’aveva incaricata di occuparsi delle sue piante.»
Rob studiò Seb, aggrottando le sopracciglia. «Non ci credi?»
Seb scattò in piedi con un gesto stizzito. «Al diavolo! Non so più a chi o a che cosa credere!» Fece qualche passo in avanti, poi si fermò e infilò le mani in tasca. «Mi dispiace» borbottò. «La settimana scorsa non ho dormito più di tre ore di fila e oggi, quando sono entrato in ufficio, mi è crollato addosso questo. L’unica cosa di cui sono sicuro è che Eric è morto. E voglio che il suo assassino sia trovato.»
«D’accordo.» Rob sapeva quanto Seb tenesse ai suoi dipendenti. «Cominciamo dall’inizio e ripercorriamo i fatti.»
Seb tornò a sedersi. «Secondo il rapporto della polizia questa Rebecca Todman ha trovato Eric stamattina verso le otto, quando è entrata per innaffiare le piante. Lo hanno strangolato con la sua cravatta.»
«Segni di scasso?»
«Nessuno.»
«Hanno rubato qualcosa?»
«Pare di no.»
«Aveva dei nemici?»
«Nessuno, a quanto mi risulta.»
«Donne? Qualche fidanzata vendicativa? O un marito geloso che voleva prendersi una rivincita?»
Seb inarcò un sopracciglio. «Eric? È difficile. Non credo che abbia mai avuto una fidanzata. Ha vissuto con sua madre finché lei è morta, un paio d’anni fa. L’unica