Il fascino del peccato: Harmony Destiny
Di Meg Lacey
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Il fascino del peccato - Meg Lacey
successivo.
1
Chastity Goodwin guardò verso la finestra situata alle spalle dell'antico scrittoio aspettandosi di vedere la persona con cui aveva appuntamento, e già molto in ritardo, arrivare dalla strada come un cavaliere bianco in sella al suo destriero.
Al momento, tuttavia, la strada era vuota.
«Dov'è finito il testimone?» borbottò fra sé sfogliando l'agenda per assicurarsi di non essersi sbagliata. Alzò lo sguardo dalle pagine in cui catalogava i dettagli della sua vita quotidiana per spostarlo sull'orologio d'oro che aveva al polso e sospirò. Le due e mezzo. Si strofinò la fronte. Era chiaro che non sarebbe venuto nemmeno quella volta.
Quel giorno era il terzo appuntamento a cui mancava, e se non fosse arrivato presto avrebbe dovuto presentarsi al matrimonio come mamma lo aveva fatto. Sorrise immaginando la reazione degli invitati. Un testimone nudo avrebbe di certo suscitato qualche commento. Persino a Gloriana, New York.
Chastity depose l'agenda sull'elegante scrivania e si avvicinò alla finestra. Nessun segno di attività disturbava la quiete del vecchio quartiere. Lì la vita procedeva al solito ritmo mentre il caldo estivo annullava il livello energetico dei molti residenti anziani, che preferivano restarsene in casa a fare un pisolino. Dovette comunque ammettere che ciò che le piaceva della piccola città era la sua serenità e l'assenza di sorprese. Si respirava il senso della storia, della continuità.
Un forte ronzio, come di api arrabbiate, attirò la sua attenzione. Scostò la tenda, guardò fuori e rimase a bocca aperta. Un'enorme motocicletta nera arrivava rombando dal fondo della strada per fermarsi poco dopo davanti a casa sua, lasciandosi alle spalle l'eco aggressivo del motore che ancora rompeva il silenzio. L'uomo a bordo della moto lanciò una rapida occhiata alla casa, poi scese dal suo mostro metallico e s'incamminò per il marciapiede.
Sbigottita alla vista di quell'inaspettato visitatore, lei si sporse fino ad appoggiare il naso al vetro. Se la moto era il cocchio per l'inferno, di certo l'uomo che la guidava era perfetto per il suo ruolo. Nonostante il caldo, era tutto vestito di nero... giaccone di pelle, jeans e stivali. L'unica macchia di bianco visibile era al collo... forse una maglietta? Di colpo, lei rimpianse la solitudine di quel tranquillo quartiere.
Mentre si scostava dalla finestra chiedendosi che cosa fare, suonarono alla porta. Uno squillo impaziente, come se il visitatore non avesse tempo da perdere in buone maniere. Mordendosi il labbro, lanciò uno sguardo all'agenda.
Che fosse il testimone? No. Quel tipo non poteva essere il fratello di Harrison O'Connor. Harrison era il genere di persona che si sarebbe scusato con un rapinatore di non avere abbastanza denaro con sé. No, non poteva essere il fratello di Harrison.
Ma allora, chi era?
Inspirando a fondo, Chastity si impose di muoversi. Agitata, si avviò alla porta e la socchiuse. L'uomo, fermo in una posizione insolente, ginocchia piegate, fianco spinto all'infuori, la scrutò in viso. «Sono Sin» disse.
Sin significava peccato. Chastity si portò una mano alla gola. «Ma certo» riuscì a sussurrare, colta alla sprovvista da quell'annuncio. Alla fine, era successo. Tutti quegli anni passati a studiare letteratura medioevale l'avevano fatta impazzire!
«Sin O'Connor.»
«Sin... O'Connor?» Harrison le aveva mai detto il nome del fratello? Non ne fu sicura.
Spazientito, Sin si passò una mano fra i capelli neri, lisciandoseli all'indietro. «Avevo un appuntamento alle due.»
Chastity lo fissò, assimilando il suo aspetto da scavezzacollo che le ricordò l'ultimo attore che aveva interpretato l'agente 007. Indugiò con lo sguardo sui capelli neri lunghi fino al collo e ora scompigliati dal vento. Con un senso di shock, incontrò i suoi penetranti occhi dorati. A parte il suo gatto nero, Squash, non ricordava di avere mai visto occhi di quel colore. Né ricordò di avere fissato un appuntamento con il diavolo. E quel tipo ne aveva tutto l'aspetto... era tutto fuoco e seduzione. Signore, aiutami. Le bastò un'occhiata per cominciare a pensare a lenzuola di seta scarlatta e fragole immerse in una densa cioccolata scura.
Avvertì uno schiocco di dita sotto il naso. «Ehi, mi sente?»
Chastity si sforzò di tornare al presente. «Mi scusi?»
«Non sarà sonnambula per caso?»
«No di certo.»
Lui si appoggiò allo stipite con l'aria di divertirsi. «Bene. Di solito le donne non si addormentano in mia presenza. Ho forse sbagliato casa? Sto cercando una che organizza matrimoni.»
La testa che le girava, abbagliata dal suo sorriso, Chastity si sforzò di rispondere in modo coerente. «Lei... be', l'ha trovata.»
«Bene.»
Fu la soddisfazione rivelata dal suo sorriso che alla fine le permise di ricomporsi. Come se non fosse soltanto consapevole del suo effetto sulle donne, ma lo desse addirittura per scontato. Controllò l'ora e in tono gelido disse: «Tuttavia, signor O'Connor, lei è in ritardo».
«Lo so e mi dispiace. Nel recarmi qui mi è venuta un'idea, così mi sono fermato a metterla giù. Era importante.»
«Più importante del matrimonio di suo fratello?»
Sin rise e appoggiò il braccio contro lo stipite. «Oh, molto ma molto più importante. Il matrimonio di mio fratello riguarda solo due persone, la mia idea riguarderà milioni di vite nel prossimo millennio.»
Chastity lo fissò, attratta e disgustata allo stesso tempo. «Il prossimo millennio? Non mi piace ragionare in tempi così lunghi.»
Sin parve scioccato. «Il futuro non è così lontano, il futuro è ora.»
A quell'affermazione, lei spalancò la porta e gli indicò di entrare. «Esatto, signor O'Connor. Per me il futuro è il matrimonio di suo fratello fissato fra cinque giorni. Se non le dispiace, vorrei mettermi al lavoro subito.»
Sin guardò l'orologio. «Va bene, ma posso dedicarle solo pochi minuti. Ho del lavoro da sbrigare.»
Entrò con passo deciso, come se dovesse raggiungere un posto importante e che il mondo non si azzardasse a ostacolargli il cammino. L'arroganza dei suoi movimenti e la grazia trattenuta del suo fisico le resero difficoltoso il respiro. Chastity scosse il capo. Che cosa le stava capitando? Non amava affatto i sapientoni arroganti e aggressivi. Pur sapendo che avrebbe fatto meglio a tacere, non riuscì a trattenersi.
«Se fosse arrivato puntuale, adesso avremmo più tempo a disposizione.»
«Ah, ci risiamo?» Sin si fermò e si voltò così di scatto che per poco lei non lo urtò. In un gesto automatico, le tese le braccia per non farle perdere l'equilibrio e lei finì con la faccia contro la sua maglietta. Sentì la sua fragranza virile e penetrante con una traccia di odori esterni per via del viaggio in moto.
«È sempre tanto ossessionata dal tempo?» le chiese lui.
Chastity aprì e chiuse la bocca come un pesce finito a riva e boccheggiante. Nessuno le aveva mai posto una simile domanda. Al giorno d'oggi, chi non era ossessionato dal tempo?
«Solo quando va a mio svantaggio.»
Lui ridacchiò, poi la guardò con aria incuriosita. «Non le viene mai voglia di partire per la tangente ed esplorare qualcosa di nuovo senza mai pensare a quanto tempo ci vorrà?»
«Ma certo. Sono uno storico. Noi viviamo per questo genere di cose. Dovrebbe vedermi in una biblioteca.»
«Credevo che fosse un'organizzatrice di matrimoni.»
«Solo in estate, durante il Festival del Rinascimento.» Intuendo che sarebbero venute altre domande, si affrettò ad aggiungere: «Mi scusi, non vorrei sembrarle scortese...».
«Oh, come mai ho l'impressione che lei voglia sembrare scortese?» Sin le sorrise. «Tutte queste scuse non sono forse una perdita di tempo?»
D'un tratto, lei si sentì come Alice dopo essere caduta nella buca del coniglio. Si chiese come avesse potuto perdere il controllo della situazione. «Signor...»
«Sin.»
Esasperata, Chastity espirò con enfasi. «Senta, non mi importa come si chiama... Ho venti milioni di cose da fare questo pomeriggio e sono già in ritardo. Perciò dobbiamo provare il suo vestito immediatamente.» Si avviò con tutta la dignità rimastale e per poco non inciampò nel tappeto.
Lui l'afferrò per il braccio, ma la lasciò subito andare vedendo che Chastity si aggrappava alla modanatura della porta. «Come vuole, signorina...»
«Lasci perdere. Visto che è il fratello di Harrison, mi chiami pure Chastity.»
Sin indietreggiò. «Chastity? Castità?»
«Chastity Goodwin.»
Lui rise. «Sta prendendomi in giro?»
«Assolutamente no. Che cosa c'è di tanto divertente?»
Sin la fissò per un lungo momento, squadrandola dalla testa ai piedi. «Direi che il nome le si addice in pieno.»
In quel momento, lei avrebbe dato la sua intera collezione delle opere di Shakespeare rilegate in pelle in cambio di una padella abbastanza grande e pesante da fargli vedere le stelle per l'eternità!
Lui doveva avere intuito i suoi propositi, perché alzò le mani in un gesto conciliante. «Era un complimento.»
Chastity preferì optare per le buone maniere, a cui dava peraltro molta importanza. «Sarà meglio cambiare argomento.»
«Potrebbe non essere facile. Dovrò pur chiamarla in qualche modo, no?»
Lei lo guardò riflettere sul problema, stupita dal suo impegno totale. Ora capiva come potesse essere il tipo che si fermava tranquillamente ai margini della strada per prendere nota di un'idea improvvisa e come mai il tempo non fosse importante per lui. All'improvviso ebbe la sensazione di poter avere finalmente la meglio in quella strana conversazione, cosa che la rese molto più felice. «Da come la vedo io, ha una sola alternativa... o Chastity o signorina Goodwin.»
«Oh, no. Ma non si preoccupi, troverò una soluzione.»
«Non mi serve affatto una soluzione, sono perfettamente soddisfatta del mio nome e non...»
«Mi scusi.» Sin guardò l'ora. «Credo proprio che dovremmo occuparci del mio smoking.»
Interrotta proprio mentre stava trovando le parole giuste per ridimensionare quell'impudente che aveva appena fatto irruzione nella sua vita, Chastity lo fissò e chiese: «Quale smoking?».
«Quello per il matrimonio. Sono qui per la prova. Non era di questo che stavamo parlando?» domandò Sin, perplesso.
Lei incrociò le braccia cercando di non rivelare la soddisfazione che provava. «Per la verità, non deve indossare uno smoking.»
«Meglio. L'unica tenuta in cui mi sento a mio agio sono un paio di jeans e una camicia. È quello che porto sempre. Sa, aderiscono al corpo nel modo giusto.»
«Ed è questo che conta per lei?»
Lui parve sorpreso. «Sì, penso di sì.»
Chastity si strofinò le mani. «Ho proprio ciò che fa al caso suo. Ne sarà entusiasta.»
«Ah, sì?»
«Si fidi. Venga nel mio studio che glielo mostro.»
«D'accordo.» Sin controllò l'ora per l'ennesima volta. «Posso concederle