Il destino di una notte: Harmony Collezione
Di Julia James
4.5/5
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Info su questo ebook
Cinque anni non sono bastati a Rhianna per dimenticare l'unica notte di passione che ha condiviso con Alexis Petrakis. Ora la sua vita è cambiata, e si divide tra le difficoltà economiche e la cura per il bambino, il suo bambino, frutto di quell'incontro indimenticabile. Venuto a conoscenza di essere padre, Alexis ritorna nella vita di Rhianna, animato da un fuoco vendicativo e rabbioso. La costringe a seguirlo in Grecia, tentando in ogni modo di toglierle l'affidamento del piccolo. Ma anche le fiamme più indomabili si estinguono, specie se un altro fuoco, segreto e celato, emerge da sotto le ceneri di un amore mai dimenticato.
Julia James
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Anteprima del libro
Il destino di una notte - Julia James
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Baby of Shame
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2005 Julia James
Traduzione di Sonia Savina Indinimeo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-362-8
www.eHarmony.it
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Prologo
«Signor Petrakis...»
La porta del suo ufficio londinese si aprì e la segretaria si affacciò, esitante.
Gli occhi neri come il carbone si sollevarono su di lei e le lanciarono uno sguardo così tagliente, che Maureen Carter si sentì raggelare.
«Mi sembrava di aver detto nessuna interruzione, signora Carter!» La voce profonda, dall’inconfondibile accento greco, suonò brusca e minacciosa. Per una frazione di secondo lo sguardo si fece indulgente, poi l’uomo tornò a concentrarsi sulla pila di documenti che ingombrava la scrivania, come se avesse cancellato la presenza dell’intrusa.
Maureen Carter restò sulla soglia, titubante. Le ci volle tutto il suo coraggio per proseguire.
«Capisco, signore, ma... Lei ha detto che si tratta di una questione molto urgente e...»
Alexis Petrakis si appoggiò alla spalliera dell’immensa poltrona e tornò a sollevare la testa. Quando le rispose, la sua voce era così dolce che le fece drizzare i capelli sulla nuca.
«Signora Carter, dica a Natalia Farwel che non ho alcun interesse per le sue crisi isteriche.»
Distolse lo sguardo, stringendo le labbra.
La sua segretaria si schiarì la gola. «Signor Petrakis» provò per la terza volta. «Non si tratta della signorina Farwel. È la signora Walters, dei Servizi Sociali di Sarmouth. Ha detto che deve parlare con lei immediatamente» si affrettò ad aggiungere, prima che lui potesse incenerirla di nuovo con lo sguardo. «È qualcosa che ha a che fare con una certa Rhianna Davies.»
Per un lungo momento, l’uomo rimase a fissare il vuoto. Era chiaro che quel nome non gli diceva nulla.
«Dica alla signora Walters, chiunque essa sia» enunciò scandendo ogni parola con una cura esagerata, «che non ho nulla a che fare con Rhianna Davies.»
Prese la stilografica d’oro dal tavolo e tornò al suo lavoro.
«Ma, signor Petrakis...» proseguì Maureen Carter, ormai disperata. «La signora Walters ha detto che si tratta di suo figlio!»
Questa volta ottenne una reazione.
Alexis Petrakis lasciò cadere la penna sul ripiano della scrivania e rimase impietrito.
1
Rhianna stava attraversando sulle strisce pedonali. La pioggia batteva sulla capottina del passeggino di Nicky. Aveva guardato a destra e a sinistra, ma non appena era scesa dal marciapiede, una violenta raffica di vento l’aveva costretta ad abbassare la testa.
Dal profondo dell’abisso nebbioso in cui giaceva, inerme e disperata, rivide la scena al rallentatore.
Il rombo di un motore, uno stridio di gomme, poi il suo corpo che volava in aria e ricadeva come attratto dall’asfalto bianco e nero sotto di lei. L’impatto terribile e poi le tenebre.
Assolute.
Rivedendo la macchina che piombava su di loro, rabbrividì, e quel semplice fremito le provocò un dolore insopportabile in tutto il corpo. Una voce urlava nella sua testa. Terrorizzata. Incontrollabile.
Nicky! Nicky! Nicky!
Ancora e ancora, riempiendola di terrore.
Una mano le stava premendo una spalla. Aprì gli occhi e vide un’infermiera che stava parlando.
«Il tuo bambino è salvo. Te l’ho detto. Non è rimasto ferito. Stai tranquilla.»
Rhianna la guardò come se non la vedesse, con gli occhi velati, colmi di angoscia. «Nicky» sussurrò ancora. «Nicky... dove sei? Dove sei, tesoro?»
L’infermiera continuò a parlarle, rassicurante. «Resterà in buone mani fino a quando non ti sentirai meglio. Devi riposare. Vuoi qualcosa per dormire?»
Rhianna cercò di scuotere la testa, ma ogni movimento le risultava insopportabile. Ogni respiro era doloroso per i suoi polmoni malati.
«Non voglio dormire! Devo trovare Nicky. Non me lo restituiranno mai più... lo so. Lo so! Lo so!» cercò di urlare, ma il panico le rendeva ancora più difficile il compito di respirare.
«Certo che te lo restituiranno» provò a calmarla l’infermiera. «Se ne prenderanno cura solo fino a quando sarai ricoverata. Non appena uscirai, tornerà con te.»
Gli occhi di Rhianna erano spalancati. «No... lei me lo ha preso. Quell’assistente sociale... Ha detto che non potevo occuparmene, che sarebbe stato meglio senza di me...» Afferrò la mano della donna. «Ma io lo rivoglio! Lui è mio figlio!»
«Ti darò un sedativo» disse l’infermiera uscendo.
Rhianna si sentì travolgere dalla disperazione. Nicky se n’era andato. Preso in custodia. Proprio come aveva minacciato l’assistente sociale. Lei non è in grado di occuparsi del bambino, mi pare ovvio! L’eco di quella condanna le trapanò il cervello. Suo figlio è a rischio.
Oh, cielo, perché? Perché?, pensò Rhianna. Perché l’assistente sociale era arrivata proprio quel giorno?
Era passata solo una settimana dal funerale di suo padre e lei si sentiva malissimo. Aveva preso due bustine di antinfluenzale che l’avevano gettata a terra del tutto. Così, quando quella donna era arrivata, Nicky le aveva aperto la porta in pigiama. Poi era tornato davanti alla televisione, dove stava facendo colazione mangiando cereali da una ciotola sul pavimento. Lei era a letto, incapace di muoversi, quasi incosciente.
L’assistente sociale l’aveva presa di mira fin dalla prima volta che l’aveva incontrata.
Quando Rhianna aveva richiesto un aiuto domiciliare per suo padre, ormai in punto di morte, la donna si era presentata a casa sua, per verificare la legittimità della domanda. Dopo una sommaria occhiata in giro, aveva concluso che quell’uomo avrebbe dovuto aspettare la fine in ospedale e non a casa, a contatto con un bambino così piccolo. Comunque, aveva aggiunto, il bambino aveva sicuramente un padre, quindi non capiva perché dovesse farsene carico lo stato.
L’eco della sua voce sgradevole e impietosa risuonò nella mente di Rhianna. Secondo le direttive del governo, aveva sentenziato, Nicky dovrebbe essere dato in affido a una famiglia normale, e lei si dovrebbe trovare un lavoro.
Alla fine di quella tiritera, Rhianna aveva perso la calma ed era balzata davanti a lei, senza rendersi conto di avere ancora in mano il pelapatate con cui stava preparando le verdure per la cena. In seguito, l’assistente sociale avrebbe riferito alle autorità che quella donna era violenta e pericolosa, tanto che l’aveva aggredita, brandendo minacciosamente un’arma.
Dopo quella spiacevole visita, le cose erano precipitate. La vita di suo padre era arrivata a una tormentata conclusione. La depressione di Rhianna, il suo esaurimento, e la necessità primaria di difendere Nicky da tutto ciò che stava accadendo intorno a loro, l’avevano messa in ginocchio. La malattia, che aveva trascurato per accudire suo padre e suo figlio, l’aveva sopraffatta, gettandola in uno stato pietoso. Più di quanto non fosse mai stata in quei cinque anni, da quando il mondo le era crollato addosso.
Quando l’assistente sociale era arrivata, quella maledetta mattina, trovando Nicky abbandonato a se stesso e lei semicosciente, a letto, aveva sferrato il colpo di grazia. «Otterrò un’ordinanza di custodia» aveva dichiarato con aria grave. «Prima che il bambino subisca qualche danno, a causa della sua violenza e della sua completa mancanza di responsabilità.» Aveva passato un dito sul comodino dove c’erano tracce della polvere antinfluenzale e l’aveva annusata con sospetto. «Prenderò questa per farla analizzare, quindi non si disturbi a nascondere le altre droghe che ha in casa.»
La donna aveva lasciato la stanza. Rhianna aveva trovato la forza di scendere dal letto per seguirla, ma era riuscita solo a sbattere contro lo stipite della porta. Sembrava davvero sotto l’effetto di una droga, anziché vittima di una grave infezione polmonare, che ormai le rendeva quasi impossibile respirare.
Quando l’assistente sociale aveva sbattuto la porta di ingresso, dopo aver urlato che sarebbe tornata con un ordine del tribunale per prendere il bambino, Rhianna, fuori di sé per il terrore, si era vestita ed era uscita. Voleva andare dal dottore per chiedergli degli antibiotici. Voleva anche pregarlo di rilasciarle una dichiarazione che lei non faceva uso di sostanze stupefacenti e non era soggetta a crisi di violenza. Aveva bisogno di tutto il suo aiuto per contrastare l’ordine del tribunale. Ma prima di poter raggiungere lo studio medico era stata investita da una macchina, a folle velocità, sulle strisce pedonali.
Quando si era svegliata, si era trovata in un letto d’ospedale. Non riusciva a capire quale parte del corpo le facesse male. Il busto e gli arti erano sospesi con delle cinghie. Aveva una flebo in ogni braccio.
E Nicky se n’era andato.
Nicky.
La sua sola ragione di vita! La sua sola gioia.
Doveva riprendersi suo figlio! Sarebbe morta, senza di lui. E lui... Oh, cielo. Non riusciva nemmeno a immaginare la sua paura, la sua confusione nel trovarsi fra estranei. Lontano dalla sua mamma, che lo aveva sempre protetto e lo aveva tenuto al sicuro per tutta la sua giovane vita. Nonostante i dolori, le pressioni, le difficoltà, la malattia di suo padre e la mancanza di denaro. Senza nessun aiuto, nessuno che potesse darle una mano e nient’altro che il misero assegno sociale di sussistenza per tirare avanti.
Nicky!
Angosciata, urlava quel nome in silenzio, rivedendo come in una tragica moviola, il momento in cui era stata falciata dalla macchina e aveva pensato che il bambino fosse stato travolto e ucciso.
Ma non era morto! Grazie al cielo, era vivo. Però era stato portato via, e lei era terrorizzata all’idea di non rivederlo mai più. Mai più... Sarebbe stato dato in adozione, sarebbe svanito nel nulla... le sarebbe stato strappato per sempre...
Ricordò vagamente che l’infermiera aveva cercato di aiutarla. «Non c’è nessuno che possa occuparsi di lui? Amici, parenti, vicini?» le aveva chiesto.
«Nessuno» era riuscita a sussurrare lei.
Dopo la morte di suo padre era rimasta sola. Non aveva altri parenti. E nessuna amica. Erano sparite tutte. E i vicini? Non aveva mai fatto amicizia nelle case popolari in cui aveva vissuto. Era stata troppo occupata a gestire i suoi problemi, per coltivare relazioni sociali. Si era chiusa completamente in se stessa, inorridita dal tragico livello raggiunto dalla sua vita, rovinata per sempre.
L’infermiera aveva proseguito con cautela. «E il padre del bambino?»
I suoi occhi si erano induriti. «Non ha padre.»
L’infermiera non aveva fatto nessun commento e Rhianna aveva risentito l’eco delle sue stesse parole nella mente.
Non ha padre...
Un’immagine le si affacciò alla mente, bruciandole il cuore, la pelle, la carne.
La