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Un estate di passione: Harmony Collezione
Un estate di passione: Harmony Collezione
Un estate di passione: Harmony Collezione
E-book156 pagine2 ore

Un estate di passione: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Chissà se riuscirà a resistere per un mese... John Bennett non ha certamente voglia di stendere il tappeto rosso ai piedi dell'ex cognata Leah Hayes, ma sa anche che deve far buon viso a cattivo gioco per compiacere sua figlia, che invece l'adora. Leah è affascinante e tenera come lui se la ricordava, e soprattutto capace di sciogliergli il cuore e i sensi come nessun'altra donna. John confida che trenta giorni passino in fretta, in realtà...
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2016
ISBN9788858952054
Un estate di passione: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Un estate di passione - Nikki Benjamin

    successivo.

    1

    La grande casa del padre di Leah Hayes distava pochi minuti in auto dall'abitazione di John Bennett. Normalmente Leah si sarebbe affrettata, senza neanche pensarci. Nonostante non mettesse più piede a Missoula da otto anni, i viali alberati che conducevano all'Università del Montana le erano sempre familiari.

    Ma ora non era certa di come sarebbe stata accolta, e così guidava molto lentamente.

    «Ti sei persa, zia Leah?» chiese sua nipote. La piccola aveva sei anni e sembrava in ansia.

    «No, Gracie» la rassicurò Leah, sorridendo mentre alzava lo sguardo nello specchietto retrovisore. «Ricordo molto bene la strada per casa tua.»

    Gracie non ribatté. La bambina assomigliava molto sia a sua madre Caro, la sorellastra di Leah, che a suo padre. Da Caro aveva ereditato il volto a forma di cuore e i riccioli biondi, dal padre i grandi occhi grigio chiaro e quei lineamenti decisi che in quegli anni Leah aveva inutilmente tentato di dimenticare.

    «Però stai guidando piano piano» commentò dopo un attimo la bambina.

    «Mi piace guardare tutti questi bei fiori. I giardini sono molto curati.»

    «Il nostro no» precisò Gracie, senza nascondere la sua delusione. «Le nostre aiuole sono piene di erbacce.»

    «Be', possiamo rimediare fintanto che sono qui. Se ci mettiamo d'impegno tutte e due, non ci vorrà molto a strappare le erbacce e a piantare dei fiori nuovi.»

    «Magari papà potrebbe aiutarci» mormorò Gracie timidamente. «Prima che la mamma morisse lui riempiva il giardino di fiori.»

    «Vedremo» commentò Leah. Non aveva la più pallida idea di cosa John avesse intenzione di fare.

    «Sarà troppo impegnato» concluse la bambina, sospirando rassegnata. «Non ha mai tempo di fare delle cose con me, oppure è troppo triste. A lui manca tantissimo la mamma. Tu invece farai delle cose con me, vero zia?»

    «Certo, Gracie. Io starò qui, e noi due faremo tantissime cose insieme quest'estate, te lo prometto» replicò Leah, assumendosi un impegno che non sapeva quanto le sarebbe costato.

    «Vedi quante erbacce ci sono?» le fece notare sua nipote, appena svoltarono in Cedar Street.

    «È vero» disse Leah, e provò a mascherare il suo sgomento per le condizioni in cui si trovava la grande casa a due piani. Quell'edificio dall'aspetto trascurato non aveva nulla in comune con le belle fotografie che le aveva inviato Caro due anni prima.

    Leah la osservò più attentamente. Il giardino era incolto, l'erba del prato era troppo alta e le finestre della casa erano completamente al buio, nonostante stesse scendendo la sera.

    Lei aveva sperato che suo padre e la sua matrigna avessero esagerato nel descriverle l'umore e le condizioni di John. Era convinta che lui avesse cominciato a elaborare il lutto e fosse pronto a riprendere a vivere, conscio delle responsabilità che non poteva ignorare.

    Fra queste, Gracie era la principale.

    «Pensi che papà sia a casa?» chiese Gracie a Leah, mentre lei svoltava nel vialetto. L'incertezza nel tono di voce della bimba era pari a quella che provava lei.

    «Quella è la sua auto, no?»

    «Sì» rispose la piccola. «Ma questo non significa che sia a casa. Alla sera fa spesso delle lunghe passeggiate. Molto lunghe. E ormai è già quasi notte.»

    Leah avrebbe potuto comprendere quell'accoglienza scostante se lei si fosse presentata da sola. Ma possibile che lui fosse andato a fare una lunga passeggiata, pur sapendo che stava per tornare a casa sua figlia? L'uomo che lei aveva conosciuto otto anni prima non l'avrebbe mai fatto. Evidentemente John era cambiato dopo la morte di Caro.

    «Se tuo padre non è a casa, torniamo dal nonno e aspettiamo lì» disse Leah, sperando in cuor suo di sembrare più convincente di quanto si sentisse.

    A ogni buon conto, Leah decise di lasciare la valigia nel bagagliaio e si affrettò ad aiutare Gracie a scendere dall'auto.

    La bambina non aveva problemi a spostare la gamba rinchiusa in un tutore metallico, ma accettò comunque l'assistenza di Leah. Era anche perfettamente in grado di camminare fino alla porta di casa da sola, però strinse la mano di Leah.

    Leah fece una sosta una volta raggiunta la veranda, strinse la mano della bambina e suonò il campanello. Una brezza fresca agitò le fronde e la fece rabbrividire leggermente. Era giugno, ma nel Montana di sera l'aria era sempre pungente.

    «Oh no» mormorò Gracie. I secondi di attesa erano diventati un minuto, poi due, e la porta non si apriva.

    Leah premette una seconda volta il pulsante, insistendo un po' di più. Trascorsero altri due minuti, poi con gran sollievo, udì dei rumori dall'altra parte.

    «È in casa!» esclamò Gracie. La cosa strana era che il suo tono era un misto di incertezza e sollievo.

    Leah provò a sorridere e a preparare le parole giuste per salutare un uomo che non vedeva da otto anni.

    La porta finalmente si aprì, anche se con uno scatto che rivelava impazienza e perfino irritazione. Nell'ingresso in penombra Leah vide un uomo che non le ricordava neanche vagamente John. Aveva i capelli spettinati, la barba lunga, gli occhi affaticati. La maglietta e i jeans sbiaditi erano cascanti.

    John Bennett era un estraneo ostile. Il sorriso svanì dal volto di Leah.

    «Ciao papà» salutò Gracie.

    La vocina acuta e dolce della bambina colmò quel silenzio imbarazzato.

    L'espressione di John cambiò immediatamente, si intenerì mentre il suo sguardo si spostava su sua figlia. Ecco, era quello l'uomo che Leah ricordava, l'uomo buono, che non avrebbe mai fatto soffrire nessuno, men che mai lei. Non era ostile, era solo distrutto da un dolore così profondo e devastante che non lasciava più spazio a nient'altro, se non all'amore per sua figlia.

    «Ciao Gracie» rispose John e, piegatosi, sollevò la sua bambina fra le braccia, chiudendo con attenzione una mano intorno alla gamba ferita. Mentre si alzava, la strinse a sé con delicatezza.

    «Sei stata bene a casa dei nonni?»

    «Oh sì. Avevano anche una bella sorpresa per me.»

    La bambina si girò con un sorriso soddisfatto e con la manina indicò Leah.

    «Guarda papà, lei è zia Leah. Te la ricordi, vero? Sono stata tante volte da lei a Chicago con la mamma, e ora è venuta lei a farci visita qui a Missoula. E sai una cosa? Resterà con noi per tutta l'estate. Sono così contenta, papà, lo sei anche tu?»

    «Certo che ricordo tua zia. La ricordo molto bene» rispose John in un tono di voce neutro. «Bentornata a Missoula, Leah.»

    Lei provò nuovamente a sorridere, ma le riuscì difficile, perché non le era sfuggito lo sguardo freddo di lui. Quell'ostilità da parte sua la metteva a disagio e più che altro la coglieva di sorpresa.

    Tanto per cominciare, era sicura che suo padre e la matrigna avessero messo al corrente John dei programmi che avevano fatto per Gracie e che lui li approvasse.

    Non era possibile che lui non sapesse che Cameron e Georgette avevano scelto lei per badare alla bambina quell'estate. Sicuramente avevano discusso della cosa con lui e prima di interpellarla avevano avuto il suo benestare. Doveva essere così.

    Allora perché John era così ostile nei suoi confronti?

    Leah si rese conto che non aveva mai chiesto né a suo padre né alla matrigna quale fosse stato il parere di John, e né l'uno né l'altro avevano accennato alla cosa. Le avevano semplicemente detto che lui era molto cambiato dalla morte di Caro, e Leah aveva trovato la cosa più che comprensibile. Se solo avesse immaginato quanto potesse infastidirlo la sua presenza, non sarebbe mai tornata a Missoula.

    Ma non era del tutto vero. L'amore per Gracie l'avrebbe spinta comunque a tornare. Cameron le aveva spiegato che John era troppo devastato dalla perdita della moglie per prestare a sua figlia le attenzioni delle quali aveva bisogno, e il commento di Gracie in auto era stato un'esplicita conferma.

    E non aveva senso negare che il pensiero di rivedere dopo otto anni il suo più caro amico aveva risvegliato in lei una scintilla di speranza e dei sogni sepolti in quei lunghi anni solitari.

    Non che si fosse aspettata che John condividesse i suoi sentimenti. Era trascorso appena un anno dalla morte di Caro, e lui non avrebbe mai amato nessuno come aveva amato lei. Però quella freddezza era decisamente eccessiva.

    «La camera della baby-sitter è in fondo alla casa, dopo il tinello» le disse lui, mettendo fine ai suoi sogni a occhi aperti.

    La stava trattando come se fosse una ragazza alla pari assunta per l'estate, anziché la persona con la quale un tempo aveva condiviso sogni e progetti.

    «Fa' come se fossi a casa tua» aggiunse infine, gelido e distante.

    Poi si girò verso Gracie e parlò con dolcezza.

    «Scommetto che hai cenato a casa della nonna, vero?»

    «Sì, ho mangiato hamburger e patatine fritte» rispose la piccola.

    «Bene, allora andiamo di sopra e mettiamo il pigiama. È già tardi, signorina.»

    Gracie gettò le braccine al collo del padre ed emise un risolino felice.

    Leah era rimasta sola sulla veranda, e mentre guardava John incamminarsi verso le scale, provò l'impulso di gridare, Ehi, dove credi di andare?.

    Ma non poteva farlo, non con Gracie presente. La bambina aveva diritto a una serata serena, e non di assistere a una lite fra padre e zia.

    Leah però aveva tutto il diritto di sapere cosa diavolo stesse accadendo a John. A quanto pareva suo padre e la sua matrigna le avevano fornito una versione blanda della realtà per attirarla lì a Missoula.

    Lei non era pronta ad affrontare i problemi di cui loro due erano sicuramente a conoscenza.

    Non che lei potesse dichiararsi completamente innocente. Aveva accettato quelle versioni, aveva creduto a quello che le avevano detto, perché era quello che voleva.

    Suo padre e la sua matrigna avevano bisogno del suo aiuto e lei era disponibile durante le vacanze estive.

    Entrambi non avevano avuto dubbi: l'unica persona in grado di gestire il pessimo umore di John e di badare nel migliore dei modi a Gracie era proprio lei. E poiché oltretutto lavorava come insegnante in un istituto privato a Chicago, era anche in condizioni di aiutare la bambina a recuperare il tempo perduto a scuola durante la convalescenza

    Solo in quel momento Leah ricordò le parole che Cameron e Georgette avevano usato per descrivere John. Amareggiato, arrabbiato, un altro uomo. E lei aveva preferito ignorarle.

    Avevano anche accennato a due baby-sitter scappate negli ultimi nove mesi. E lei non aveva fatto domande.

    Quelle due poverette dovevano essere fuggite a gambe levate, si disse Leah, mentre tornava all'auto per prendere la sua valigia. Ma perché trattava anche lei in quel modo? Lei era Leah, la sua amica di sempre. O almeno era quello che aveva creduto, finché lui non le aveva girato le spalle e l'aveva piantata sulla veranda.

    Leah poteva anche andarsene, poteva riprendere la sua auto e tornare a Chicago. Nessuno l'avrebbe biasimata, neanche suo padre o la sua matrigna. Ma chi si sarebbe preso cura di Gracie? Non Cameron

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