La casa dei sogni: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Che sorpresa per Esme Scott Hamilton scoprire che il più probabile acquirente di Highfield Manor, la storica dimora dove lei è cresciuta, è il suo grande amore dell'adolescenza. Oltretutto, lui sembra intenzionato a non mandarla via, bensì a offrirle un lavoro! Il suo cuore scalpita ancore per il giovane miliardario Jack Doyle, ma la ragione la mette in allarme: lui non deve assolutamente sapere che è successo dopo quella notte indimenticabile in cui...
Alison Fraser
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Recensioni su La casa dei sogni
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Anteprima del libro
La casa dei sogni - Alison Fraser
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Mother and the Millionaire
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2001 Alison Fraser
Traduzione di Giovanna Seniga
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-562-9
www.harlequinmondadori.it
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1
Esme aprì la porta. Doyle era lì, davanti a lei. Durante tutti quegli anni non era cambiato molto. Era un po’ invecchiato e vestiva in modo più elegante, ma non c’erano dubbi. Era lui.
«Moscerino?» chiese l’uomo con un sorriso incerto. Non era sicuro che fosse proprio lei.
Esme non sorrise. Era troppo turbata. Non è facile mostrarsi disinvolti con un fantasma sbucato all’improvviso dal passato.
«Jack Doyle» si presentò lui, pensando di non essere stato riconosciuto.
Come se fosse possibile! Alto un metro e novanta, occhi grigi, capelli neri, lineamenti decisi, un sorriso divertito sulle labbra, non era un tipo che si potesse dimenticare facilmente.
«I... io... io...» balbettò Esme lottando per ritrovare il controllo di sé.
Tutta la sua compostezza, conquistata con tanta fatica, sembrava essersi volatilizzata. Era come se fosse tornata a essere Moscerino - quello era uno dei tanti nomignoli che le aveva affibbiato Arabella, la sorella maggiore - la sgraziata adolescente di dieci anni prima.
Per quanti sforzi facesse, Esme non riusciva a ritrovare la parola. E forse era un bene perché se avesse potuto parlare gli avrebbe detto di andarsene. Ora aveva una vita sua. E lui non avrebbe capito. Non avrebbe potuto capire.
Nell’attesa di una risposta che inspiegabilmente non arrivava, Doyle osservò con attenzione la giovane donna che aveva davanti: capelli biondi raccolti sulla nuca, volto dal profilo aristocratico, figura snella. Davvero attraente.
«Moscerino, sei cresciuta in questi anni!» la stuzzicò.
Anche se conosceva bene quel tono scherzoso, Esme ne rimase turbata. «Nessuno mi chiama più Moscerino da tempo. Posso fare qualcosa per lei?» domandò con cortese condiscendenza, dopo aver recuperato il sangue freddo.
«Spaventoso.»
«Cosa?»
Doyle scosse il capo, mentre le labbra gli si incurvavano in un sorriso. Sembrava che ridesse di un pensiero segreto, come gli capitava spesso in passato quando osservava in silenzio lei e la sua famiglia.
«Ti piace ancora fare il misterioso. Non sei per niente cambiato!» lo accusò Esme irritata.
«Tu, sì. Hai acquistato i modi di una vera castellana.»
Esme arrossì, consapevole di aver scimmiottato gli atteggiamenti di sua madre per metterlo a disagio. «Le buone maniere non guastano mai» replicò sulla difensiva.
Doyle la guardò sorpreso. Anche se era il figlio della cuoca, anche se non aveva frequentato una scuola d’élite, nessuno aveva mai trovato da ridire sul suo comportamento. In ogni modo non fece osservazioni. «C’è tua madre?» domandò invece, cambiando discorso.
«No. Non abita più qui. Si è risposata.»
«Già. E probabilmente ha perso il titolo nobiliare. Povera Rosie, dev’essere stato un trauma.»
In realtà non era stato per niente facile per Rosalind - in vita sua non aveva mai permesso a nessuno di chiamarla Rosie - accettare l’idea di sposarsi per la seconda volta. Era stato solo in seguito a un ultimatum del suo partner che aveva preso quella decisione.
«Abita nei paraggi?»
«No.»
«E Arabella?»
Il suo tono distratto non trasse in inganno Esme, che ricordava benissimo l’interesse di Jack per sua sorella.
«Non vive qui nemmeno lei. È a New York.» Tacque un momento. «Con suo marito.»
Se si aspettava una qualche reazione, fu delusa. D’altra parte, Jack era sempre stato molto riservato.
«Si è trasferita a New York?»
«Per il momento.» Esme pensò che non c’era niente di male nel non chiarire l’equivoco. Arabella sarebbe rimasta là ancora per qualche tempo con il marito e non era necessario raccontare a tutti che stavano per divorziare. «Sono contenta di averti rivisto. Ma ora aspetto qualcuno...»
«Lo so.» La guardò di nuovo con espressione divertita.
«Sei tu la persona mandata da Jadenet?»
«Proprio così.»
Esme impallidì e lo guardò incredula.
«Telefona all’agente immobiliare se vuoi una conferma» le suggerì lui porgendole il cellulare.
Lei ignorò il gesto. Gli credeva, ma il suo atteggiamento disinvolto la irritava.
«Non capisci cosa provo in questo momento? Sai da quanto tempo gli Scott-Hamilton vivono in questa casa?» gli chiese con un’arroganza che non le era propria.
«Non dirmelo. Lasciami indovinare. Fin dai tempi della Magna Charta?» replicò Jack prendendola affettuosamente in giro.
«Non scherzare. Perché non vuoi capire?»
«Forse non posso capire, visto che i miei antenati erano contadini, come tu sai bene.» Il tono adesso era tagliente.
Esme si sentì sciocca per essersi cacciata in quel discorso. Non era nel suo carattere vantarsi della sua famiglia, ma Jack era riuscito a farle perdere la calma.
«Non ho detto questo.»
«Non ce n’era bisogno. So bene cosa pensa di me la tua famiglia. L’ho sentito da una fonte molto attendibile. Ricordi?» la provocò lui.
Lei arrossì. Non avrebbe mai potuto dimenticare quel giorno, nemmeno se lo avesse voluto.
«Ma credevo che tu fossi diversa dagli altri.»
Esme avrebbe voluto dire che era davvero diversa, ma le sembrò più semplice lasciar perdere. «Non chiamarmi Moscerino» mormorò solo. «Non ho più dieci anni.»
«È vero.»
Si era fatta una bella donna, alta, con le gambe lunghe, snella, con un bel seno e i fianchi rotondi. Lo sguardo ammirato di Jack indugiò su di lei. Ironia della sorte, dieci anni prima Esme avrebbe fatto qualunque cosa purché la guardasse così e ora le sembrava quasi un insulto.
«Fammi vedere un documento che provi che hai un appuntamento per visitare la villa.»
Jack le porse un foglio, chiedendosi fino a che punto fosse cambiata. Esme lo prese, ma senza gli occhiali non riuscì a decifrare quello che c’era scritto.
«Posso leggerlo io per te» suggerì lui in tono cortese, ma Esme si sentì ferita.
«So leggere!» replicò bruscamente.
«Lo so bene, ma ricordo che un tempo avevi bisogno degli occhiali.»
Esme arrossì, chiedendosi se lui avrebbe mai smesso di considerarla una goffa adolescente, grassoccia e con gli occhiali, poi si concentrò sul biglietto su cui era scritto: Jack Doyle, Direttore amministrativo, J.D. Net. Appena lo ebbe letto si rese conto che il direttore amministrativo era lui e che Jadenet non esisteva. Quando sua madre l’aveva avvertita che sarebbe arrivato qualcuno a vedere la casa, aveva detto J.D. Net, cioè la rete di Jack Doyle, non Jadenet. Sua madre aveva aggiunto anche che l’eventuale acquirente era un americano ricchissimo. Esme si domandò se sapeva che si trattava di Jack o se era troppo orgogliosa per ammettere la verità.
«Mia madre sa che J.D. Net sei tu?»
«Forse no. Non le ho parlato di persona.»
«È meglio che entri» lo invitò lei facendogli strada attraverso l’atrio.
Il pavimento di marmo bianco e nero, benché usurato dagli anni, era sempre magnifico. Jack osservò lo scalone e l’ampio ballatoio sovrastante cercando di immaginare come sarebbe stato una volta ammobiliato secondo i suoi gusti. Lentamente proseguì la visita, aprendo tutte le porte e guardando attentamente ogni stanza, finché non arrivarono a quella che una volta era stata la sala da pranzo, dove si soffermò più a lungo.
La stanza era priva dei mobili, che erano stati venduti all’asta, ed Esme si chiese se Jack ricordasse com’era la sera in cui era piombato lì alla ricerca di Arabella.
Ripensando a quell’episodio, Esme arrossì, a disagio.
«Vorrei dare un’occhiata al piano di sopra.» La voce di Jack la strappò ai ricordi del passato.
«Hai sempre desiderato tornare qui e comprare questa casa?» gli chiese Esme quando si fermò davanti alla finestra del pianerottolo in cui la scala si biforcava.
«Vedo che i tuoi gusti in fatto di letture non sono cambiati» osservò lui come se non avesse sentito.
Esme lo guardò senza capire.
«Jane Eyre?» le domandò lui guardandola perplesso. «O era Wuthering Heights? In quale di questi romanzi si parla del garzone di stalla che fa fortuna e torna per distruggere la famiglia dei padroni di un tempo?»
«Wuthering Heights» mormorò Esme, sospettando che lui conoscesse già la risposta.
Jack annuì osservando le terrazze lastricate, i prati un tempo ben curati che scendevano verso il campo da tennis in disuso, il labirinto e il laghetto. «Non temere. Non ho alcun desiderio di vendetta» le disse ridendo.
«Non ti importa più nulla di Arabella?»
«Arabella? Intendi il grande amore della mia vita?»
Esme non si aspettava quel tono indifferente, come non si aspettava di soffrire ancora per la preferenza che lui aveva dimostrato dieci anni prima per sua sorella.
«Mi dispiace deluderti, ma da quando me ne sono andato ho incontrato altri due o tre grandi amori.»
«Ne sono felice per te...» replicò Esme in tono esageratamente cortese, nascondendo i suoi sentimenti dietro il sarcasmo, «... e per loro.»
Jack sorrise divertito dalla sua aggressività. «Comunque è un caso che abbiamo deciso di comprare questo posto» aggiunse, seguendola su per lo scalone.
Abbiamo?, si chiese Esme perplessa. I soci in affari o qualcun altro?
«Abbiamo bisogno di una base vicino a Londra. Il Sussex è in una posizione strategica per avere contatti con il continente e Highfield è una delle tre possibilità che ci sono state prospettate. Sfortunatamente l’edificio che avevamo scelto per primo era già stato venduto al momento in cui potevamo cominciare le trattative, e il secondo era destinato esclusivamente a uso abitativo. Così non rimaneva che Highfield.»
Esme provò un forte senso di disappunto al pensiero che Jack avesse deciso di prendere in considerazione la proprietà solo in mancanza di altre scelte, benché la villa fosse uno dei migliori esempi di architettura georgiana della regione.
«Non importa» lo canzonò bonariamente mentre lo conduceva dentro e fuori dalle camere da letto del primo piano a tutta velocità. «In tutto questo c’è almeno un aspetto positivo.»
«Quale?» domandò Jack costringendola a fermarsi.
«Potrai sempre dire che è la casa dei tuoi avi» rispose Esme in tono risentito. «Un ottimo modo per impressionare i tuoi amici arricchiti.» Sapeva di aver passato il segno, ma in quel momento non gliene importava. Voleva scuotere quella sua assoluta sicurezza. Voleva ferirlo come aveva fatto lui, anche se in modo