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L erede di Miss Jesmond
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L erede di Miss Jesmond
E-book234 pagine4 ore

L erede di Miss Jesmond

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Info su questo ebook

Nauseato dalla frivola vita della capitale e convinto che sia ormai tempo di metter su famiglia, Jess Fitzroy decide di stabilirsi a Netherton, dove di recente ha ereditato dalla prozia miss Jesmond una delle più belle ville della zona. Un giorno, ispezionando la tenuta, scopre un ragazzo e due bambini che giocano nel parco della villa, solo che il ragazzo, Georgie, è in realtà una graziosa e rispettabile vedova che risponde al nome di Georgina Herron. Si tratta tuttavia di una giovane troppo anticonvenzionale per i suoi gusti, e in un primo momento Jess non la considera un partito accettabile. Finché non scopre la verità che si nasconde dietro la facciata che lei - e parecchi altri! - presentano al mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2016
ISBN9788858951910
L erede di Miss Jesmond
Autore

Paula Marshall

Nata e cresciuta in Inghilterra, a dieci anni leggeva già Dickens e Tackeray. La passione per la storia e per l'epoca della Reggenza in particolare ha ispirato in seguito i suoi deliziosi romanzi, avventurosi e ricchi di umorismo.

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    Anteprima del libro

    L erede di Miss Jesmond - Paula Marshall

    successivo.

    1

    «Georgie, mia cara, hai sentito la novità? Louisa Manners è venuta a farmi visita stamattina, mentre tu eri fuori, e mi ha raccontato che il sovrintendente di Jesmond House ha saputo che l'erede della signorina Jesmond vuole prendere possesso della villa al più presto. Sembra che non si renda conto di quanto sia caduta in rovina la dimora negli ultimi anni. Tutto considerato, non credo che sarebbe saggio da parte tua portarci ancora i bambini a giocare. La signorina Jesmond era contenta che lo facessi, ma forse il nuovo proprietario non sarà così accomodante. Meglio aspettare e vedere.»

    Georgie, come tutti chiamavano Georgina, stava accordando la chitarra. Guardò la cognata, di pochi anni più anziana di lei ma di salute così cagionevole da essere costretta a trascorrere la maggior parte del tempo sdraiata sul divano.

    «Chi è il nuovo proprietario?» chiese. «Hai idea di quando arriverà?»

    «Non so né l'una né l'altra cosa» sospirò Caroline Pomfret, che tutti chiamavano Caro. «Anche Louisa mi ha domandato se sono al corrente di chi sia l'erede, ma tutto quello che ho potuto risponderle è che non avevo nemmeno idea che la signorina Jesmond avesse dei parenti. Anzi, visto che non ne parlava mai, ero convinta che non ne avesse affatto. Non so nemmeno se sia un uomo o una donna. Con te ne ha mai fatto parola? In fondo aveva più confidenza con te che con chiunque altro, qui a Netherton. Forse non significa molto, vista la vita ritirata che conduceva. Negli ultimi tempi non usciva mai di casa, e in giro si diceva che non fosse più lucida come un tempo.»

    Georgie non replicò e Caro cambiò argomento.

    «Hai detto di voler uscire a fare una passeggiata con i gemelli, appena finito di accordare la chitarra del povero John. Conti di farlo vestita così?» si informò lanciandole un'occhiata di disapprovazione.

    Georgie sorrise. Indossava pantaloni, camicia, giacca e stivali, tutti appartenuti al suo defunto fratellastro John, marito di Caro, quando era ancora ragazzo. Ottimi per cavalcare in campagna, molto meno per presentarsi in pubblico. I suoi capelli rossicci erano tagliati piuttosto corti, secondo una moda passata da un pezzo. Ma a lei non era mai importato molto delle mode.

    Sua cognata osservava spesso, con un sospiro di rassegnazione, che non sapeva sfruttare il fascino dei suoi occhi verdi e del suo nasino all'insù per fare effetto su qualcuno dei gentiluomini locali, ansiosi di corteggiarla da quando era rimasta vedova.

    «Non uscirò da Pomfret Hall, Caro» rispose Georgie per tranquillizzarla, dopo aver suonato qualche accordo di prova sulla chitarra. «Porterò Gus e Annie ai limiti del parco, nessuno ci vedrà se non gli uccellini e qualche scoiattolo. Ai bambini piace giocare lì.»

    «So benissimo che amano giocare lì. Ma tu dimentichi due cose: prima di tutto che il parco confina con la proprietà della signorina Jesmond, e secondo che non puoi essere assolutamente certa che nessuno ti veda. Se passasse qualche gentiluomo a cavallo? Che cosa dovrebbe pensare della signora Pomfret di Pomfret Hall che va in giro vestita come un mozzo di stalla?»

    «John non andava in giro vestito come un mozzo di stalla, e comunque nessuno se ne sarebbe curato: era un Pomfret di Pomfret Hall, e questo bastava alla gente. E poi io non sono la signora Pomfret, ma la signora Herron. Sono tornata a vivere qui con te dopo la morte di mio marito solo per mutua convenienza.»

    Le cose, in realtà, non stavano esattamente così, perché l'unica a trarre vantaggio dalla loro convivenza era proprio Caro. I Pomfret non erano mai stati ricchi, ma quando John era morto dopo aver fatto alcune speculazioni sbagliate, a Caro e ai suoi due figli gemelli era rimasto ben poco di che vivere. Georgie, invece, aveva ereditato una notevole somma di denaro da sua madre, la seconda moglie del signor Pomfret, e dopo la morte del marito si era ritrovata ancora più ricca. Era proprietaria anche di una bella villa a Church Norwood che, al momento, aveva affittato temporaneamente a un nababbo indiano, ma aveva deciso di tornare nella casa paterna per aiutare la cognata, e soprattutto i due nipotini, che si trovavano in difficoltà. Per una varietà di ragioni non aveva la minima intenzione di risposarsi, benché avesse solo venticinque anni.

    «Nessun gentiluomo ti considererebbe rispettabile se ti vedesse con quei vestiti» ribadì Caro con l'ostinazione che le era propria.

    «Non provo alcun interesse per gli uomini, perciò non mi importa» dichiarò Georgie, e poi iniziò a cantare le prime battute di una canzone, soddisfatta che la chitarra fosse finalmente accordata. Quindi si alzò. «Scusami, Caro. I bambini dovrebbero essere già pronti e non voglio farli aspettare.»

    «Ti ricordi quanto ti ho detto? Non andare nella proprietà della signorina Jesmond.»

    «Tengo sempre a mente tutti i tuoi consigli» mentì Georgie. «Cerca di riposare, cara. Stasera giocheremo a carte, Gus e Annie saranno contenti.»

    «Se solo l'emicrania smettesse di tormentarmi» si lamentò Caro mentre la cognata usciva dalla stanza, consolandosi in cuor suo all'idea che Georgie era così magra da sembrare davvero un ragazzo con quei vestiti. Almeno non avrebbe dato troppo nell'occhio, si disse. Cosa che a lei invece non sarebbe mai potuto succedere, considerò con una certa soddisfazione. Le sue forme così femminili avevano sempre suscitato l'ammirazione degli uomini. Non c'era da meravigliarsi che Georgie si fosse sposata con un vecchio come Charles Herron, probabilmente per il suo denaro. Chi altri l'avrebbe voluta, con i suoi modi sconcertanti e il suo aspetto così poco femminile?

    Non era bello pensare quelle cose di una cognata, si rimproverò quasi subito. In fondo doveva essere grata a Georgie, se non altro perché la liberava del fastidio di occuparsi dei bambini, considerò sentendosi un po' in colpa, ma non troppo, mentre si appisolava sul divano.

    Georgie intanto, dopo aver posato la chitarra era scesa in giardino. I bambini la stavano aspettando con la mazza, le ginocchiere e la palla da cricket, ma era impensabile giocare sui prati verdi intorno alla villa. Né la loro madre né i giardinieri li avrebbero mai perdonati se solo avessero osato calpestare l'erba religiosamente curata di Pomfret Hall.

    Così li condusse in fondo al parco, al confine con la proprietà della defunta signorina Jesmond. Lì avrebbero potuto giocare in pace senza rischiare sgridate e musi lunghi.

    «Sei sicuro di quello che fai, Jess? Spero che non si tratti di un capriccio passeggero.»

    Jesmond Fitzroy, il nuovo proprietario di Jesmond House, guardava il giardino desolato dalla vetrata del salotto ripensando a ciò che aveva detto il suo amico e datore di lavoro Ben Wolfe, quando gli aveva raccontato di aver ereditato la proprietà della sua prozia e di volersi trasferire a vivere in campagna.

    «Non è un capriccio passeggero» gli aveva risposto. «E non vado in campagna perché sono stanco di lavorare con te. Ti devo molto, lo sai. Ho un grande debito di gratitudine verso di te che non riuscirò mai a ripagare.»

    Ben aveva risposto con un cenno impaziente della mano. «Non parlarne nemmeno. Non hai più alcun debito verso di me, mi hai ripagato già da tempo. Vorrei solo essere sicuro che hai pensato bene a ciò che stai per fare. Sai benissimo, naturalmente, che se la vita in campagna ti dovesse annoiare e volessi tornare qui a Londra, ti riaccoglierei a braccia aperte. Anche solo perché non sarà facile trovare un altro collaboratore di cui potermi fidare ciecamente come di te.»

    «Mi mancherai molto» aveva replicato Jess stringendo la mano che l'altro gli porgeva.

    I due uomini non sarebbero potuti essere meno simili fisicamente. Erano entrambi alti, ma Ben, con gli occhi grigi e i capelli neri, aveva una struttura fisica massiccia e imponente, simile a quella di un orso. Ricordava più un pugile o un minatore che un uomo che veniva da una famiglia ricca da molte generazioni. Jess invece era biondo, con gli occhi azzurri e i lineamenti perfetti di una statua greca, e aveva il fisico agile e muscoloso di un atleta.

    Susanna, la moglie di Ben, una volta li aveva paragonati a una sciabola e a un fioretto, ma erano molto simili per il modo in cui si comportavano nella vita e negli affari. Entrambi erano tipi enigmatici, raramente dicevano quello che pensavano. Ben era così di natura, Jess lo era diventato frequentandolo e lavorando con lui. Un uomo d'affari non doveva mai rivelare in anticipo le sue intenzioni, gli aveva insegnato Ben trovando in lui un perfetto allievo.

    «Spero che non avrai problemi finanziari. Ma se ti dovesse capitare di avere bisogno di soldi...» aveva proseguito Ben.

    «Ti ringrazio. La mia prozia è stata generosa con me e, come sai, ho qualche soldo da parte.»

    Era una risposta piuttosto evasiva, ma Jess preferiva che nemmeno Ben sapesse quanto era diventato ricco seguendo il suo esempio. Aveva investito con avvedutezza guadagnando molto denaro soprattutto nel 1815, quando sia lui sia il suo datore di lavoro avevano avuto fiducia nel trionfo di Wellington a Waterloo. Quando era giunta la falsa notizia della vittoria di Napoleone, la Borsa era crollata e tutti si erano affannati a vendere le proprie azioni, mentre Jess e Ben, da vecchi soldati, non avevano creduto alla sconfitta dell'Inghilterra ed erano stati premiati.

    Aveva intenzione di non rivelare a nessuno la vera consistenza delle sue finanze. Fin da giovane aveva imparato a proprie spese che era sempre meglio nascondere quali carte si avevano in mano. Suo padre era morto lasciandolo senza un soldo e solo l'amicizia di Ben Wolfe era riuscita a salvarlo dalla rovina. Per conto dell'amico era andato in India, occupandosi di importazioni e apprendendo la difficile professione dell'uomo d'affari.

    Ora sentiva finalmente di non avere più bisogno della protezione e dei consigli di Ben. Voleva incominciare una nuova vita, lontano dagli affari, e pensare a formarsi una famiglia. Forse in campagna sarebbe riuscito a trovare una brava moglie, proprio come Ben aveva trovato Susanna.

    Gli sarebbe piaciuto che Susanna avesse scelto lui, ma purtroppo aveva sempre avuto occhi solo per Ben. Andarsene da Londra sarebbe stato opportuno anche perché così sarebbe riuscito a dimenticarsi finalmente di lei.

    Non ricordava molto di Jesmond House, anche se da bambino era stato più volte ospite della prozia nella sua proprietà del Nottinghamshire. Dopo il soggiorno in India non aveva più rivisto la prozia, le aveva soltanto scritto qualche volta. La lettera dei suoi legali che gli annunciavano l'insperata eredità, un mese prima, era stata una sorpresa.

    Oltre alla casa, lei gli aveva lasciato una piccola fortuna. All'inizio aveva pensato di vendere la proprietà senza nemmeno rivederla, ma a poco a poco aveva cambiato idea. Gli erano tornati in mente i ricordi dell'infanzia, i suoi soggiorni a Jesmond House durante le vacanze scolastiche, la cucina calda e accogliente dove la cuoca, la signora Hammond, lo aveva rimpinzato di dolci anche fuori dei pasti. La prozia aveva l'appetito di un uccellino e credeva che anche al nipote bastassero i brodini di cui si nutriva lei, ma la signora Hammond sapeva di quante cose avesse bisogno un bambino per crescere bene. I suoi biscotti erano i migliori del mondo e Jess non ne aveva mai più assaggiati di altrettanto buoni.

    Poiché adesso era ricco, avrebbe usato parte del suo denaro per restaurare la villa e riempirla di servitori che la riportassero all'antico splendore. Ricordava che la zia aveva un maggiordomo molto formale, Twells, che parlava sottovoce fra un inchino e l'altro, e che la governante dirigeva con pugno di ferro una schiera di cameriere estremamente efficienti. La casa era sempre perfettamente pulita, tutto funzionava come un orologio.

    La prima cosa che aveva fatto arrivando a Jesmond House, dunque, era stato assicurare a Twells e alla governante che non intendeva licenziare nessuno della servitù e che, anzi, avrebbe assunto presto altro personale.

    «La signora prendeva sempre il tè a quest'ora del pomeriggio» mormorò Twells, che era entrato nel salotto in punta di piedi. «Posso dire alla governante che intendete seguire le sue abitudini?»

    Jess non l'aveva sentito entrare e trasalì udendo la sua voce alle proprie spalle. Stava per rispondere di no, quando gli tornò alla mente l'immagine della prozia seduta davanti al caminetto, che versava il tè in una tazza di porcellana e la porgeva a un bambino biondo, timido e impacciato.

    «Sì» rispose cambiando idea. «Grazie di avermelo ricordato. Di' pure alla governante di preparare il tè. Dopo farò una passeggiata nel parco. Giochi ancora a cricket, nel tempo libero, in quel prato al confine della nostra proprietà?»

    «Io, signore? No, purtroppo, non ne ho più l'età. Ma i servitori più giovani si divertono, quando possono. Anche voi eravate un buon giocatore, se ricordo bene.»

    «Mi sembra che sia passata un'eternità» commentò Jess mentre il maggiordomo se ne andava mormorando che il tè sarebbe stato servito immediatamente.

    Jess si pentì di aver detto che andava a fare una passeggiata nel parco. Era ancora vestito da città, e le scarpe e i pantaloni che indossava non sembravano certo adatti a una passeggiata sull'erba. Di certo Mason, il suo valletto personale, non glielo avrebbe consentito se fosse ancora stato al suo servizio. Jess si chiese se la sua repentina decisione di abbandonare Londra per la campagna non fosse stata, almeno in parte, anche una conseguenza del fatto che Mason aveva ereditato dal padre una locanda nel Devon e aveva lasciato il suo servizio. Senza Mason si sarebbe sentito perduto a Londra, dove le persone venivano giudicate dal modo in cui vestivano. Se alcuni dei suoi migliori amici avessero visto come si era annodato la cravatta di seta, dopo innumerevoli sforzi, sarebbero inorriditi. Solo Mason sapeva annodarla secondo i dettami della moda.

    Il tè arrivò con i biscotti, proprio gli stessi biscotti della sua infanzia. Forse se n'era ricordato il maggiordomo o forse la governante, la signora Hammond. Che strana cosa, pensò Jess, ritrovarsi in quel pomeriggio di maggio nel salotto della prozia a prendere il tè proprio come vent'anni prima, ma senza di lei.

    A quell'ora, se fosse stato ancora a Londra, sarebbe stato seduto alla sua scrivania intento a svolgere qualche incarico molto delicato - o molto indelicato, a seconda dei punti di vista - per conto di Ben Wolfe. Per la prima volta dopo tanti anni disponeva di un intero pomeriggio tutto per sé... e non aveva la minima idea di come occuparlo.

    Dopo il tè uscì a fare la passeggiata, senza badare ai pantaloni e alle scarpe. Il giardino non era più curato come un tempo, i fiori inselvatichiti intristivano nelle aiuole piene di erbacce. Ma ancora per poco, pensò Jess. Ben presto tutto sarebbe tornato come prima, anzi Jesmond House non sarebbe mai stata più bella e accogliente.

    La casa era più in alto rispetto alla strada. Scendendo fra le aiuole, Jess arrivò fino all'angolo del parco dove un tempo i servitori giocavano a cricket. Spesso si era fermato a guardarli sperando che lo facessero partecipare al gioco, e quando gli avevano concesso di prendere la mazza e battere si era sempre fatto onore.

    Prima ancora di raggiungere la macchia d'alberi alla fine del prato, sentì delle grida infantili.

    «Presa!» gridò una ragazzina nella tranquilla brezza pomeridiana.

    Jess sorrise. Probabilmente i marmocchi del vicino villaggio venivano a giocare sul prato, come capitava anche ai suoi tempi. La prozia aveva un asinello che attirava tutti i bambini dei dintorni ma che, probabilmente, aveva smesso da un bel pezzo di brucare l'erba del prato per andare a pascolare in paradiso.

    Jess si fermò fra gli alberi per spiare gli intrusi. Erano due bambini, un maschio e una femmina di circa dieci anni, e un ragazzetto con i capelli rossicci. Forse un fratello maggiore, o più probabilmente un servitore, un mozzo di stalla o un aiuto giardiniere a giudicare dai vestiti che indossava. Non giocavano affatto male, anche se usavano delle mazze artigianali, fatte in casa, che poco avevano a che fare con quelle professionali dei veri giocatori di cricket.

    Soprattutto il ragazzetto con i capelli rossicci lanciava con una certa potenza, e non era per niente facile prendere le sue palle. All'ultima delle sue prodezze, Jess non poté trattenersi dall'applaudire.

    «Formidabile!» esclamò facendosi avanti. «Posso fare qualche lancio anch'io?»

    I tre intrusi trasalirono sorpresi e si voltarono di scatto verso di lui. Non si erano accorti di essere osservati, e ci rimasero piuttosto male. Il ragazzetto con i capelli rossi parve molto a disagio e si scusò imbarazzato.

    «Dovete perdonarci» gli disse in tono gentile. «Voi siete di certo il nuovo proprietario di Jesmond House. Venivamo sempre a giocare qui quando c'era la signorina Jesmond. A lei non dispiaceva, ma forse voi preferite che ce ne andiamo.»

    Il ragazzo aveva una voce limpida e gradevole e sembrava molto educato per essere un garzone di stalla.

    «Ma che cosa dici, Georgie?» lo rimproverò il bambino. «Non vuole mandarci via. Non hai sentito? Vuole solo giocare

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