Sotto il cielo del Texas: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Mary Lynn Baxter
Americana, non è solo un'eccellente scrittrice, ma anche una divoratrice di libri. Harlequin Mondadori ha pubblicato tra gli altri Un giorno d'aprile, Senso di colpa, Diamanti, Tra buio e luce, Passione assoluta, Sensi vietati.
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Anteprima del libro
Sotto il cielo del Texas - Mary Lynn Baxter
successivo.
1
Sara Ann Wilson.
Quel nome echeggiava nella mente di Clark Garrison da quando aveva lasciato Houston diretto a River Oaks e, quando alla fine lo disse a voce alta, ancora non riusciva a credere a quella coincidenza.
Perché no?, si chiese mentre con il suo fuoristrada raggiungeva la periferia della cittadina, così piccola che aveva un solo semaforo, una sola stazione di servizio e un unico spaccio. Certo che le piccole città non cambiano mai..., pensò.
Non sapeva niente della Sara Wilson di oggi. Tutto ciò che ricordava era che un tempo era uscito con Alice, la sorella minore, la cui madre e la cui sorella non avevano avuto molta simpatia per lui.
Alice non gliene aveva mai parlato, ma lui sapeva perfettamente che Katherine lo giudicava poco adatto a sua figlia perché aveva fama di essere un cattivo ragazzo.
Sorrise. Katherine Wilson non poteva nemmeno immaginare quanto potesse essere scatenata quella brava ragazza della figlia...
Di Sara invece ricordava molto poco, a parte il fatto che aveva cinque anni più della sorella. Adesso doveva averne trentanove, rifletté. Cercò di ricordare che aspetto avesse, ma non gli venne in mente niente di particolare se non che aveva i capelli di un castano che tendeva al rosso e che era alta e snella. Non doveva essere stata particolarmente attraente, altrimenti se lo sarebbe ricordato. Un bel viso e un bel corpo difficilmente sarebbero sfuggiti alla sua attenzione.
Comunque, ricordava che era una persona tranquilla e un po' timida, che Alice sosteneva che era intelligente e che la considerava anzi il cervello della famiglia.
Non solo, quindi, doveva essere intelligente, ma aveva avuto la capacità e i mezzi per mettere su una casa di riposo per anziani. Dubitava che fosse particolarmente ricca, comunque. In quella comunità piccola come un francobollo non c'erano segreti e, se Sara avesse accumulato una certa fortuna, la voce sarebbe arrivata alle sue orecchie anche se da anni non viveva più a River Oaks.
Dopo che il suo capo, Lance Norton, gli aveva dato il dépliant della casa di riposo, aveva avuto giusto il tempo di gettargli una semplice occhiata, e quello che lo aveva colpito erano stati i nomi dei proprietari: Don e Opal Merrick e Sara Wilson. Non aveva avuto modo di studiare il progetto prima di lasciare l'ufficio per via di alcune telefonate e di un paio di altre incombenze che doveva assolutamente sbrigare prima di partire, ma si riprometteva di farlo non appena fosse arrivato a casa di sua zia.
Gli affari si stavano espandendo, ed era molto fiero del fatto che gran parte della crescita della Compagnia fosse dovuta a lui e di venir pagato in modo adeguato alle sue capacità e alla sua resa.
Circa la faccenda delle case di riposo una cosa era certa: la richiesta da parte della popolazione di strutture in grado di occuparsi dei vecchi era in costante aumento e l'idea di acquistarle e poi rivenderle si stava rivelando un affare più che redditizio; al punto che, se le cose avessero continuato così, presto si sarebbe potuto ritirare dagli affari per trasferirsi al ranch che possedeva nei dintorni e in cui aveva sempre desiderato di vivere.
Ora doveva riuscire ad acquistare quella particolare casa di riposo, la Quiet Haven. Una situazione che aveva un potenziale economico incredibile perché non molto tempo dopo, da quelle parti, avrebbero aperto una nuova interstatale che avrebbe accresciuto il valore della proprietà, dato che sarebbe diventata facilmente raggiungibile; ma doveva concludere in fretta, prima che quell'informazione preziosissima e riservata diventasse di pubblico dominio.
Poco dopo raggiunse la casa della zia, spense il motore e rimase per alcuni minuti seduto al volante a osservare il luogo in cui aveva trascorso l'adolescenza dopo che i suoi genitori erano morti nell'incendio della loro casa. Decisamente la zia Zelma aveva fatto del suo meglio con quell'orfano dalla testa dura e dal carattere ribelle, più interessato a baciare le ragazze che allo studio, rifletté con un sorriso mentre si voltava per prendere dal sedile posteriore la ventiquattr'ore.
«Ah!» gridò.
La sua schiena! Si era di nuovo fatto male!
Una fitta lancinante lo aveva paralizzato. Provò a muoversi, ma il dolore gli strappò un altro grido. E adesso?, si chiese, disperato. Non poteva certo rimanere bloccato su quella macchina per chissà quanto tempo!
Stringendo i denti e ignorando il sudore che all'improvviso gli aveva imperlato la fronte colandogli sul viso, con uno sforzo incredibile aprì la portiera e, lentamente, riuscì a posare i piedi a terra, a uscire del tutto dalla macchina e a raggiungere, faticosamente e tutto piegato da un lato, il portico, dove si lasciò andare sulla sedia a dondolo.
Un moto di nausea lo colse prima che potesse inspirare una giusta quantità d'aria, il dolore che diventava sempre più lancinante, quasi paralizzante, come se qualcuno gli stesse rigirando una lama nella parte inferiore della colonna vertebrale.
Era davvero in un bel guaio!, pensò disperato.
«Chiunque lei sia, sappia che si trova su una proprietà privata, signore!»
Era la voce di Daisy Floyd, la vicina di Zelma, una vecchia pettegola dall'aria terribilmente trascurata che era sempre stata considerata la lingua più velenosa della città.
Che male aveva fatto per meritarsi anche lei?, si domandò.
«Salve, Daisy» la salutò raccogliendo le ultime energie.
«Sei davvero tu, ragazzo mio?» ribatté quella con un tono di voce altissimo.
Lui ricordò che, oltre a essere cieca come una talpa, la vecchia Daisy era anche sorda come una campana e rispose a voce altrettanto alta: «Sì, certo Daisy, sono io».
«Qual è il problema? Hai la faccia di uno che sta male.»
O la vecchia Daisy non era orba come si credeva in giro, o lui aveva un aspetto peggiore di quanto non pensasse. «Mi sono appena fatto male alla schiena.»
«E come diavolo hai fatto, ragazzo mio?»
«Non ha importanza» replicò stringendo i denti per il dolore. Doveva liberarsi di quella donna e fare qualcosa per porre fine a quella tortura alla spina dorsale.
«Senti, sei già stato a trovare Zelma alla casa di riposo?»
«No.»
«Non mi stupisce affatto. Non ti sei mai preoccupato molto, per lei.»
«Sono appena arrivato, Daisy.»
«Non è una buona ragione. Chiede sempre di te, lo sai?»
No, non lo sapeva e, adesso che lo aveva saputo, si sentiva ancora peggio. Il senso di colpa sembrò acuirgli il dolore fisico, ma per fortuna durò solo qualche secondo. Diavolo, non sarebbe caduto in quella trappola e non avrebbe permesso a Daisy di tormentarlo come aveva fatto durante la sua gioventù. Non voleva essere rude con lei, ma non aveva nessuna intenzione di darle spazio. Non era più un adolescente senza casa, adesso.
«Grazie dell'interessamento, ma immagino che tu abbia altre cose da fare» le disse.
«Non ho da fare proprio niente» ribatté lei col tono di voce di chi stava parlando a qualcuno molto lontano.
Clark fu colto da un'altra ondata di dolore e trattenne il respiro. «Be', io invece sì» replicò non appena ebbe ripreso fiato.
«Cos'ha che non va la tua schiena, ragazzo?»
«Te l'ho detto, mi sono fatto male. Ho dei problemi alle vertebre e...»
«Hai bisogno di un dottore.»
Prima di tutto aveva bisogno di un attimo di tranquillità, avrebbe voluto precisare Clark. Perché diavolo quella donna non se ne andava e non lo lasciava in pace? Non era nella sua natura lasciare in pace il prossimo, ricordò, e ricordò anche che sua zia non aveva mai avuto per lei più simpatia di lui. «Da quando il vecchio Newton si è ritirato, a quanto ne so, non esiste più un dottore, in questo buco che chiamano città» replicò.
«Attento a come parli, ragazzo. Non c'è niente che non va, in questa città.»
«Hai ragione, ma se adesso vuoi scusarmi...»
«Ce l'abbiamo eccome, un dottore» lo interruppe la donna.
Clark si rianimò. La vecchia Daisy diceva sul serio, oppure stava vaneggiando? Non si stava per caso confondendo col veterinario? «Chi è? E dove sta?» le chiese, cauto.
«Laggiù» gli rispose indicando una direzione vaga con la testa.
«Laggiù dove?»
«Sulla Windom Street. Al numero novantasei, per essere precisi.»
«E come si chiama?»
«È una dottoressa, ed è il miglior medico che abbiamo mai avuto da queste parti.»
Clark provò un filo di speranza. Se fosse riuscito a tornare alla macchina e a guidare fino alla Windom Street sarebbe stato salvo.
«Si chiama Wilson. Sara Wilson» lo informò la donna.
«Sara Ann Wilson?» ripeté, stupito, lui.
«Proprio quella» confermò Daisy.
Lui scosse, divertito, la testa. Che incredibile coincidenza! Non riusciva a crederci! Per via del suo disturbo cronico alle vertebre era abituato ai migliori medici sportivi, che avevano attribuito il suo problema a un vecchio incidente che gli era capitato ai tempi del college durante una partita di football. E adesso non aveva nessuna voglia di farsi mettere le mani addosso da quella dottoressa di provincia, soprattutto considerando che avrebbe dovuto trattare un affare delicatissimo con lei.
«È una di quegli specialisti che trattano le ossa» puntualizzò Daisy.
«Una chiropratica?» chiese lui.
«Sì, è così che la chiamano.»
A questo punto la coincidenza era incredibile, pensò Clark, e si disse che, se fosse riuscito a tornare alla macchina e raggiungere Sara Wilson, non avrebbe che dovuto ringraziare il cielo.
Fece per alzarsi, ma ripiombò sul dondolo.
«Vuoi una mano?» gli domandò Daisy.
«Grazie» le rispose controvoglia.
La donna salì sul portico, lo aiutò ad alzarsi e poi, dopo essersi fatta mettere un braccio intorno alle spalle, lentamente lo accompagnò fino alla macchina e lo aiutò a prendere posto al volante.
Poco più tardi Clark fermò la macchina davanti all'indirizzo che gli aveva dato Daisy e, dopo un tempo che gli sembrò interminabile, raggiunse la porta di Sara e suonò il campanello.
Lei aprì quasi subito e, come vide il suo viso pallido come uno straccio e contratto dalla sofferenza, lo guardò a bocca aperta.
«Mi dispiace disturbarla, ma...»
«Sta molto male, vero?» lo interruppe lei, poi aggiunse: «Se non sbaglio tu sei Clark Garrison!».
Prima che potesse annuire, Clark si sentì venir meno.
Le cadde praticamente fra le braccia e la sua imprecazione fu l'ultima cosa che sentì prima di