Conflitto milionario
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Jennifer Lewis
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Anteprima del libro
Conflitto milionario - Jennifer Lewis
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A High Stakes Seduction
Harlequin Desire
© 2014 Jennifer Lewis
Traduzione di Giulia Dani
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-537-5
1
«Liberati di lei il prima possibile. È pericolosa.»
John Fairweather guardò suo zio con espressione contrariata. «Smettila di vedere complotti ovunque.»
John non voleva ammetterlo, ma in realtà anche lui era preoccupato che l’Ufficio degli Affari Indiani avesse mandato un’ispettrice a verificare i bilanci del New Dawn. Diede un’occhiata nella maestosa hall dell’hotel e casinò: personale sorridente, pavimenti in marmo tirati a specchio, clienti rilassati sui divani di pelle. Amava ogni singolo dettaglio di quel posto. Era sicuro che fosse tutto in regola, eppure...
«John, sai bene che chiunque lavori per il Governo è nemico giurato di noi indiani.»
«Io non ce l’ho con lo Stato. Abbiamo ottenuto il riconoscimento federale come tribù, e grazie a ciò abbiamo potuto realizzare tutto questo. Devi rilassarti, Don. È qui solo per un controllo di prassi.»
«Pensi che una laurea ad Harvard e un curriculum d’eccellenza come il tuo ti rendano un uomo rispettabile? Ai loro occhi sei solo un indiano qualunque, che cerca di arraffare i soldi dello Stato.»
John si irrigidì indignato. «Io non sto cercando di arraffare proprio un bel niente. Sei peggio di loro. Abbiamo costruito questo albergo con fatica e duro lavoro, e abbiamo il diritto di guadagnarci. A proposito quella donna è già arrivata?» Guardò l’orologio con evidente impazienza.
«Scommetto che è lei.» Suo zio gli indicò con il capo una ragazza appena entrata che reggeva in mano una valigetta.
«Non scherzare. Avrà sì e no diciotto anni.» Si era fermata in mezzo al salone guardandosi intorno disorientata.
«Flirta con lei» gli sussurrò suo zio all’orecchio. «Usa il fascino dei Fairweather.»
«Sei impazzito?» Continuò a fissare la ragazza che nel frattempo si era avvicinata al bancone della reception. Dopo una breve conversazione, l’impiegata si voltò verso di lui indicandolo con il dito. «Mi sa che hai ragione tu. È lei.»
«Ero serio, prima. Guardala. Secondo me non ha mai baciato un uomo in vita sua. Prova a sedurla, vedrai che in un attimo ce la togliamo dai piedi.»
«Perché invece non ti togli tu dai piedi? Sta arrivando.»
Con un sorriso stampato in faccia, John si avvicinò a lei, porgendole la mano. «John Fairweather, piacere di conoscerla. Constance Allen, immagino.»
Lei rispose con una stretta debole e incerta, sembrava nervosa. «Piacere mio, signor Fairweather.»
«Mi chiami pure John.»
La ragazza indossava un abito blu, con sopra una giacca color panna, e portava i capelli raccolti in una specie di chignon. A guardarla bene da vicino sembrava molto giovane, e anche graziosa.
«Scusi per il ritardo. Ho sbagliato l’uscita in autostrada.»
«Non si preoccupi. Era già stata in Massachusetts?»
«No, è la prima volta.»
«Allora benvenuta anche sulle terre dei Nissequot.» Provava un certo piacere ogni volta che ripeteva quella frase. «Posso offrirle qualcosa da bere?»
«No! No, grazie.» Con sguardo inorridito, si voltò verso il bancone del bar, dove erano serviti anche i drink.
«Intendevo un tè o un caffè.» Le sorrise. Farla sentire a suo agio si stava rivelando più difficile del previsto. «Ai clienti piace bere qualche whisky durante il giorno, d’altronde sono qui per divertirsi e rilassarsi, ma i nostri dipendenti sono seri e professionali.» Notò con fastidio che suo zio era ancora in piedi alle sue spalle. «Visto che è qui, le presento anche mio zio, Don Fairweather.»
Si aggiustò gli occhiali prima di allungare la mano per salutarlo. «Piacere di conoscerla.»
Non è reciproco, fu tentato di aggiungere John scherzando, ma non era il momento opportuno. «Le mostro i nostri uffici, signorina Allen. Don, potresti andare a controllare che nel salone sia tutto pronto per la conferenza di stasera?»
Suo zio lo fulminò con lo sguardo, poi cedette e si allontanò, facendogli tirare un sospiro di sollievo. Non sempre era facile lavorare con la propria famiglia, ma alla fine dei conti, ne valeva la pena. «Lasci che le porti la valigetta, sembra pesante.»
«Sono perfettamente in grado, grazie.» Arretrò non appena lui si sporse verso di lei. Era molto nervosa.
«Stia tranquilla, finora non ho mai morso nessuno.» Forse avrebbe dovuto iniziare a flirtare con lei. Le serviva qualcuno che la sciogliesse un po’. Guardandola meglio si accorse che non era poi così giovane come gli era parsa all’inizio. Era minuta, e dal suo portamento deciso era chiaro che prendeva molto sul serio se stessa e il suo lavoro. John provò l’istinto perverso e irrefrenabile di provocarla.
La fissò negli occhi mentre raggiungevano gli ascensori. «Diamoci del tu, che ne dici, Constance?»
«Va bene» accettò esitante.
«Spero che ti divertirai al New Dawn, anche se sei qui per lavoro. Stasera c’è un concerto, ritieniti invitata.»
«Penso che avrò da fare.» Con la bocca serrata, rimase impettita a fissare le porte ancora chiuse dell’ascensore.
«Ovviamente i pranzi e le cene sono offerti dall’hotel. Il nostro chef ha lavorato nei migliori ristoranti di Manhattan.» Ne andava molto fiero. «Sei ancora in tempo a cambiare idea per stasera. È il concerto di Mariah Carey, i biglietti sono esauriti da mesi.»
L’ascensore si aprì e lei schizzò dentro. «È davvero molto gentile, signor Fairweather...»
«John, chiamami John.»
«Ma sono qui per fare il mio lavoro e non penso sia appropriato da parte mia accettare nessun tipo di regalo extra.» Il modo in cui piegava la bocca attirò l’attenzione di John. Quella donna aveva delle labbra molto belle, carnose e sensuali. Sarebbe stato divertente poterle baciare.
«Regali extra? Hai frainteso, non sto cercando di corromperti. Sono solo molto orgoglioso del New Dawn, e mi piace condividerlo con più gente possibile. Pensi sia sbagliato?»
«Io non penso proprio niente.»
Quando finalmente raggiunsero il piano degli uffici, Constance si lanciò fuori dall’ascensore. C’era qualcosa in John Fairweather che la metteva a disagio. Era alto, imponente, con le spalle larghe, si era sentita in trappola chiusa là dentro con lui.
«Da questa parte, Constance.» Le sorrise porgendole la mano, che subito ritirò. Poteva evitarsi tutte quelle smancerie da dongiovanni, i suoi muscoli scolpiti e il suo sguardo profondo non avevano nessuna presa su di lei.
«Che impressione ti sei fatta del Massachusetts?»
Rieccolo all’attacco. Era convinto di essere proprio irresistibile. «Eccetto l’autostrada, non ho praticamente visto altro, quindi non saprei dire.»
John rise. «Dobbiamo rimediare.» Aprì la porta di un ampio salone con cinque scrivanie di cui quattro deserte. «Questo è il cuore pulsante dei nostri affari.»
«Dove sono tutti?»
«Di sotto a servire i clienti, è la nostra priorità. Katy risponde al telefono e smista le pratiche.» Le presentò una ragazza bruna e minuta. «Hai già conosciuto Don, che si occupa del marketing. Stew, invece, è il nostro tecnico, immagino lo abbiano chiamato a riparare qualcosa. Rita è la consulente informatica, ma al momento è a Boston per l’acquisto di nuovi server. La contabilità invece è di mia competenza, perciò posso mostrarti tutto ciò che desideri.»
Meraviglioso. Quello sguardo le provocava una sensazione strana allo stomaco, che non sapeva spiegarsi. Era chiaro che era abituato ad avere le donne ai suoi piedi, ma per sua fortuna lei era immune a certi giochetti. «Perché non assumete qualcuno per la contabilità? Sei il direttore, come fai ad avere tempo di occupartene?»
«Sono molto orgoglioso di gestire anche la parte finanziaria della mia società, o forse la verità è che non mi fido di nessuno.» Le sfoderò un altro dei suoi sorrisi smaglianti. «È mia responsabilità nel bene o nel male.»
Interessante. Sembrava che la stesse sfidando a trovare qualche irregolarità nei libri contabili.
«La nostra è un’impresa a conduzione familiare. Molti degli impiegati in ufficio appartengono alla tribù, ma vogliamo sostenere il territorio, quindi ci appoggiamo anche ad aziende in città.»
«Dove sarebbe questa città? Ho prenotato una stanza al Cozy Suites Motel, ma arrivando non l’ho visto.»
John sorrise. «Non preoccuparti, ti sistemerò personalmente in una camera qui da noi.»
«Preferisco alloggiare da un’altra parte, grazie. Come ho già detto, è fondamentale che sia obiettiva.»
«Non capisco come ciò potrebbe condizionarti.» I suoi occhi profondi la fissarono intensamente. «Non mi sembri il tipo che si lascia fuorviare da lusinghe e regalie. Sei una ragazza di sani principi.»
«Infatti» rispose con troppa fretta. «Non ho mai permesso che niente influenzasse il mio giudizio.»
«Non ne dubitavo.» La fissò dritto negli occhi e lei non abbassò lo sguardo, nonostante il suo cuore stesse battendo all’impazzata. Chi si credeva di essere?
Sembrava un gioco a chi resisteva di più, e Constance fu la prima a desistere; comunque erano solo all’inizio. Quell’uomo era molto sicuro di sé, come se non avesse nulla da nascondere, ma nella sua carriera si era imbattuta in frodi molto ben mascherate. L’Ufficio degli Affari Indiani aveva affidato alla sua società, la Creighton Waterman, l’incarico di verificare i bilanci del New Dawn. Doveva accertarsi che tutte le entrate del casinò fossero registrate regolarmente. Le sarebbe bastato poco per individuare qualche movimento sospetto.
Si sforzò di guardarlo di nuovo negli occhi. «Non puoi immaginare quante cose si scoprono andando a scavare un po’ a fondo nei bilanci, anche dove tutto sembra in regola.»
«Sono certo che rimarrai soddisfatta dei risultati.» Il suo sorrisino le provocava un brivido fastidioso.
Le fece cenno di seguirlo in uno degli uffici. La stanza era molto grande, e arredata in modo essenziale: una sedia in pelle, una scrivania in legno scuro, due poltroncine e alcune cassettiere in metallo allineate lungo la parete. Ebbe il pessimo presentimento che quello fosse il suo ufficio.
«Eccoti le ricevute degli incassi giornalieri, ogni mattina faccio io le somme.»
Quando le porse le cartelline, Constance notò che aveva delle mani grandi; era diverso da tutti gli altri direttori che aveva incontrato sino allora. Un motivo in più per stare in guardia.
«Accomodati.» Le indicò la sua sedia. Fu costretta a passargli davanti, sfiorandolo; quel contatto fugace le provocò una strana sensazione. Come se non bastasse, John si sedette accanto a lei e aprì il report di bilancio dell’anno in corso indicandole i profitti in prima pagina. «Lavoriamo sodo qui al New Dawn.»
Quarantun milioni di dollari, un utile notevole. «Ho già visionato i bilanci annuali. Mi interessano di più i libri contabili.»
Accese il computer.
«Ti darò le password, così potrai accedere a tutti i file e documenti che ti servono.»
Constance sgranò gli occhi quando si accorse che le stava realmente mostrando i flussi di cassa giornalieri. Batteva sui tasti con estrema velocità.
Era suo quel profumo di colonia? O forse era solo un deodorante, tuttavia l’aroma intenso le avvolgeva le narici. Da vicino notò che aveva un fisico atletico e muscoloso.
«Qui ci sono i report mensili di tutte le nostre attività, dove annoto ogni avvenimento anomalo.»
«Cosa intendi per anomalo?»
Era un sollievo riuscire a distrarsi, quelle mani possenti l’avevano ipnotizzata.
«Vincite sospette, giocatori espulsi dal casinò, reclami da parte di clienti o segnalazioni del personale. Solo prestando attenzione ai piccoli dettagli si evitano brutte sorprese.»
«Hai ragione.» Gli sorrise.