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L amore dei miei sogni: Harmony Jolly
L amore dei miei sogni: Harmony Jolly
L amore dei miei sogni: Harmony Jolly
E-book157 pagine2 ore

L amore dei miei sogni: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Chi lo ha detto che i milionari devono essere sempre solo belli e dannati? Esistono anche quelli romantici e sognatori e ve lo dimostreremo!
Scappata da un matrimonio asfissiante, Rita Paul si ritrova a Maui per il matrimonio di un'amica. Trattandosi della sua prima avventura da donna single, vuole divertirsi con leggerezza e non ha nessuna intenzione di farsi coinvolgere in una storia, ma quando incappa nell'intrigante fratello della sposa, l'eterno scapolo Clint Fallon, ne resta affascinata, lasciandosi andare con lui per una settimana. Tornati alla realtà delle loro vite, però, Clint e Rita dovranno capire se una relazione senza impegno è ancora quello che vogliono.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2019
ISBN9788858995341
L amore dei miei sogni: Harmony Jolly

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    Anteprima del libro

    L amore dei miei sogni - Nina Singh

    successivo.

    1

    Cominciava a non sopportare più sua sorella.

    La adorava in realtà, solo che lei stava mettendo a dura prova la sua pazienza da quando si era fidanzata.

    Clint aveva il telefono schiacciato sull'orecchio, mentre ascoltava distrattamente l'ennesimo sfogo della ragazza, senza nemmeno cercare di calmarla. Anche perché l'ultima volta che aveva tentato di farlo, aveva ricevuto una scarica di insulti che avrebbe fatto arrossire persino i suoi operai.

    La capiva. O, perlomeno, si stava sforzando di capirla, considerando che mancava poco ormai al grande giorno.

    In quel preciso istante, infatti, era sceso dall'auto guidata dal suo autista, per entrare in aeroporto dove, tra qualche attimo, si sarebbe imbarcato sul volo diretto a Maui, dove si sarebbe svolta appunto la cerimonia.

    A quanto pareva, Lizzie era in preda a un attacco di panico poiché era sopraggiunto un problema con il catering. Ascoltandola, pareva una tragedia. Di sicuro, però, non era nulla di così catastrofico. O comunque, nulla che non potesse essere sistemato pagando le persone giuste. Una spesa in più o una in meno ormai non avrebbe fatto molta differenza, considerando quanto era costato quel matrimonio. Ad ogni modo, se ne sarebbe occupato una volta arrivato, perché ora sarebbe stato impossibile far ragionare Lizzie.

    Sua sorella aveva sempre avuto la tendenza a drammatizzare, e l'organizzazione del matrimonio aveva accentuato questa sua inclinazione, sfortunatamente per Clint.

    «E tu, invece, come stai? Ci sono delle novità?» gli domandò la ragazza a sorpresa.

    Clint esitò. Doveva essere sincero e raccontarle che sarebbe stato solo al matrimonio, visto che il giorno prima aveva litigato con Maxine, dopo che lei gli aveva dato l'ennesimo ultimatum?

    Meglio di no, decise, non volendo essere sottoposto a un interrogatorio. Le avrebbe raccontato tutto quando si sarebbero visti. «Sto bene» le rispose dunque. Ed era vero. In effetti lo sollevava l'idea di avere chiuso la relazione con quell'attricetta pretenziosa e assillante. «Sto per fare il check-in per il mio volo.»

    «Allora ti lascio andare, fratellone.» Lizzie rimase in silenzio, ma non appese. «Lo sai, vero, quanto è importante per me tutto quello che stai facendo? Credimi. Ti sono davvero grata.»

    Clint provò uno strano senso di disagio. Non era necessario che lei lo ringraziasse. Lizzie era la sua famiglia. L'unica che aveva. Aveva iniziato a prendersi cura di lei quando erano ancora due ragazzini, ed era naturale per lui regalarle il matrimonio dei suoi sogni. O fare tutto ciò che era in suo potere per rimediare a quello che avevano subito da piccoli. O assisterla, quando lei aveva una delle sue crisi isteriche.

    «Figurati, Lizzie» si limitò dunque a risponderle, prima di chiudere la telefonata.

    Mentre aspettava di imbarcarsi, lesse poi alcune mail e rispose alle più urgenti, quindi fece il check-in in tutta calma, a quel punto però la compagnia aerea annunciò che il volo sarebbe partito con un'ora di ritardo.

    Oh no! Clint sbuffò. Il suo jet privato doveva guastarsi proprio quel giorno? Che perfetto tempismo! Di sicuro, comunque non sarebbe rimasto in quella sala d'attesa rumorosa. Decise dunque di spostarsi nell'area VIP che l'aeroporto metteva a disposizione di un certo tipo di clienti, sperando di trovare un po' di pace e silenzio.

    Purtroppo, però, non fu così.

    Era, senza alcun dubbio, la situazione più imbarazzante che avesse mai vissuto in vita sua.

    Rita avrebbe voluto essere inghiottita dal pavimento mentre cercava di rispondere alle domande dell'impiegata dell'aeroporto, di fronte agli sguardi incuriositi delle persone che si trovavano nell'area VIP. A un certo punto, con la coda dell'occhio, notò che era arrivato un uomo alto con i capelli scuri e una ventiquattr'ore in mano. Ottimo, rifletté. Un altro spettatore che avrebbe assistito alla sua pubblica umiliazione!

    «Sono terribilmente dispiaciuta, signorina, ma non trovo il suo nome sulla lista delle persone che possono accedere a questa sala» le ripeté Sheila – come si leggeva sulla targhetta fissata all'elegantissima divisa – dall'alto dei suoi tacchi a spillo. «Temo che dovrà pagare la colazione e poi andare via.»

    «Oh, uhm... non capisco, la mia amica, che è un membro regolare, mi aveva detto che avrei potuto venire qui se avessi voluto, e... se il volo fosse stato in ritardo. Credevo che...» Rita non sapeva più come giustificarsi. In effetti non era mai stata brava a reggere la tensione, e quella donna di sicuro non la stava aiutando. Al contrario, la trattava come se fosse stata una fastidiosa macchia di fango che aveva rovinato le sue costose Louboutin. Era insopportabile.

    Oh, al diavolo! Non valeva la pena continuare a discutere. «D'accordo. Quanto le devo per la colazione?» le domandò prendendo il portafoglio.

    «Con la bibita, sono settantacinque dollari.»

    Che cosa? Per poco, Rita non lasciò cadere il portafoglio. «Settantacinque dollari?»

    La signorina annuì visibilmente soddisfatta di averla messa in difficoltà.

    Sempre più a disagio e sconfortata, Rita le passò con mani tremanti la carta di credito, sapendo che purtroppo dopo quella spesa non le sarebbe rimasto molto da spendere durante la settimana che avrebbe trascorso alle Hawaii. Per fortuna il soggiorno era stato offerto dagli sposi. Restavano comunque i costi extra: i pranzi e le cene, eventuali souvenir. Come le era venuto in mente di entrare in quella sala?

    D'un tratto, una specie di colosso avvolto in una camicia di seta color blu marino, apparve davanti ai suoi occhi, di spalle, frapponendosi tra lei e Sheila. Si trattava dell'uomo arrivato circa trenta secondi prima.

    «Mi scusi se mi intrometto, ma la signorina è mia ospite. Metta pure la sua colazione sul mio conto.»

    Bene. Ci mancava solo che un estraneo le facesse la carità!

    «No, non è necessario» affermò Rita, mentre lui era ancora di schiena. Aveva delle spalle così larghe, che la camicia che aveva addosso sembrava stesse per esplodere.

    «Insisto» reagì l'uomo, senza voltarsi.

    «Certamente signore» rispose Sheila, cambiando tono. «È un piacere rivederla.»

    Rita si alzò in punta di piedi e provò un certo sollievo nel vedere che ora era quella smorfiosa a essere in difficoltà. Restava il fatto, comunque, che non poteva permettere che uno sconosciuto le pagasse la colazione. «Non deve farlo, mi creda.»

    Ma lui alzò una mano per bloccarla.

    Come? Per quanto stesse facendo qualcosa di gentile per lei, non aveva alcun diritto di zittirla. E...

    Troppo tardi.

    La signorina Sheila le rivolse un sorriso tirato. «Me ne occupo subito, signor Fallon.»

    Signor Fallon? Nel momento in cui Sheila se ne andò, lui si voltò e, quando incontrò i suoi occhi castani, Rita rimase letteralmente imbambolata. Quello sguardo intenso, quei capelli scuri, quei lineamenti così familiari... sapeva perfettamente chi aveva di fronte.

    «Scusa, non intendevo offenderti, solo che quella hostess spocchiosa già in altre occasioni è stata sgarbata. Credo che lo segnalerò alla direzione.»

    «No, non farlo per favore. Non voglio che qualcuno perda il posto di lavoro per colpa mia.»

    «Anche se ti ha maltrattata?»

    «Non ha importanza, davvero. Certo mi sono sentita un po' imbarazzata, ma in fondo non avrei dovuto entrare in questa stanza.»

    Lui la studiò con occhi stretti. «Sono felice, invece, che tu lo abbia fatto.»

    Come? Clinton Fallon stava flirtando con lei? Rita decise che quella era senza dubbio la situazione più umiliante che avesse mai vissuto in vita sua. Perché, evidentemente, Clint non l'aveva riconosciuta. Non si ricordava nemmeno di lei!

    Clint avrebbe voluto dire alla ragazza che la capiva. Non era passato molto tempo, infatti, da quando persone come Sheila lo avevano trattato con arroganza, proprio come era successo a lei. Vederla così a disagio quando era entrato nella sala VIP, in effetti, aveva fatto scattare qualcosa dentro di lui. Qualcosa che gli aveva ricordato da dove proveniva. Ed era felice che fosse successo, come le aveva detto, perché non gli piaceva dare per scontato ciò che aveva.

    «Immagino di doverti ringraziare» affermò lei.

    Immagino? «Uh... prego.»

    Rita prese la propria valigia. «Bene... ora vado.»

    Ma Clint la bloccò. «Non è più necessario.»

    Lei gli rivolse uno strano sguardo, come se il suo atteggiamento l'avesse offesa. Per quale ragione? Che cosa avrebbe dovuto fare? Lasciare che venisse buttata fuori da quella stanza?

    «Preferisco comunque andare via di qui.»

    «Hai detto che il tuo volo è il ritardo. Finisci almeno la colazione.»

    «Ormai si è raffreddata.» Rita respirò a fondo. «Scusa. È solo che non vedevo l'ora di partire per la mia vacanza, ma purtroppo non è cominciata nel migliore dei modi.»

    «Sì, ti capisco» reagì lui. Ed era la verità. La capiva più di quanto lei non potesse immaginare.

    Rita si aggiustò il colletto della camicia e cercò di mantenere la calma. Clinton Fallon la stava guardando negli occhi, senza avere idea di chi lei fosse. Evidentemente non gli aveva fatto una grande impressione, diversi anni prima, quando era stata la compagna di università di sua sorella. E pensare che lei, invece, era rimasta letteralmente folgorata da lui. Era patetica!

    «Piacere, io sono Clinton...»

    «Sì, so chi sei» lo bloccò Rita, senza pensarci.

    «Davvero?»

    Lei avvertì un nodo alla gola. D'altro canto non avrebbe dovuto essere così delusa dal fatto che Clint non l'avesse riconosciuta, no? Uomini come lui non si interessavano certamente a donne come lei, che era divorziata e anche disoccupata, vale a dire: un fallimento su tutti i fronti.

    «Vediamo se così ti ricordi» aggiunse Rita, legandosi i capelli in una morbida coda di cavallo e indossando un paio di occhiali da vista, che prese dalla borsa.

    Clint la guardò con espressione interrogativa.

    Niente da fare. Bene. Si stava rendendo ridicola. Quante volte aveva pensato a lui? Quante volte si era domandata dove lui fosse o che cosa stesse facendo? E Clint, invece, evidentemente, non aveva mai pensato a lei.

    «Frequentavo l'università con Lizzie» gli spiegò. «Noi due ci siamo incontrati di sfuggita durante i vari eventi scolastici.» Allungò una mano verso di lui. «Sono Rita Paul e, in effetti, sto partendo proprio per partecipare al matrimonio di tua sorella.»

    Clint le rivolse un sorriso radioso. «Scusa, sono una frana a riconoscere le persone.»

    «Non ti devi scusare.»

    Tra di loro si creò poi un certo disagio mentre si stringevano la mano, come se nessuno dei due avesse voluto staccarsi dall'altro. Che cosa le stava succedendo?, si chiese Rita. Non aveva senso che si comportasse in maniera così impacciata. Alla fine, infatti, fu lei a sciogliersi dalla sua stretta.

    «Avrei dovuto immaginare che ci sarebbe stata qualche amica di Lizzie, sul mio stesso volo» aggiunse Clint. «È solo che non sono abituato a viaggiare sugli aerei di linea. Purtroppo il mio jet privato ha avuto un guasto e lo stanno riparando.»

    «Parli seriamente? Tu hai un jet privato?»

    Lui abbozzò un sorriso impacciato. «Già.»

    Era ovvio che Clint aveva fatto strada. Non c'era da stupirsene. In effetti

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