Seduzione francese: Harmony Bianca
Di Karin Baine
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Anteprima del libro
Seduzione francese - Karin Baine
successivo.
1
Lola bevve un sorso di tè e fece del suo meglio per ignorare le varie fonti di ansia che si contendevano spazio nella sua testa. Sono all'altezza di questo lavoro? Sarò in grado di prendere decisioni dalle quali dipenderanno la vita o la morte delle persone? Dov'è il bagno?
Oltre il bordo della sua tazza, un mare di camici blu riempiva la mensa. Le risate e le chiacchiere dei suoi nuovi colleghi contribuivano poco a confortarla. Sembravano così a loro agio, sicuri di sé nel loro ambiente. Era certa di essere l'unica dottoressa al primo anno con un nodo allo stomaco. Nonostante si fosse ripromessa che il suo nuovo lavoro al Belfast Community Hospital sarebbe stato un altro passo verso l'indipendenza, era tentata di mettersi a correre.
Fino a poco tempo prima aveva sempre avuto vicino i suoi fratelli, per rassicurarla e prenderla per mano quando ne aveva avuto bisogno. Era stata una sua idea andarsene di casa dopo la laurea in medicina, anche se non era sicura che traslocare dall'altra parte della città per condividere l'appartamento con la sua migliore amica potesse ritenersi un gesto particolarmente coraggioso.
In quel momento avrebbe avuto bisogno di uno di quei caldi abbracci che solo un fratello maggiore poteva dare. Quel senso di isolamento non le era estraneo, anzi, lo conosceva molto bene da quando, a quindici anni, tutto il suo mondo era crollato. Persino adesso, dopo quasi dieci anni, Lola non riusciva a scrollarsi di dosso la paranoia che tutti la stessero guardando o giudicando.
Trasalì quando il cellulare le suonò in tasca, distogliendola dai suoi ricordi. Non sarebbe stato un bene per lei perdersi in quei pensieri di sofferenza e umiliazione quando nel giro di quindici minuti sarebbe dovuta entrare per la prima volta nel reparto di Pronto Soccorso.
Era sicura che ogni paio d'occhi nella stanza si fosse girato nella sua direzione mentre con le mani sudate rovistava per recuperare il telefono.
«Ciao, sore'» la salutò dall'altra parte del telefono il più grande dei suoi fratelli maggiori.
«Ehm... ciao, Jake.»
Se non avesse preso la chiamata, il resto della sua famiglia l'avrebbe di certo perseguitata tutto il giorno, dato che erano stati loro a insistere che si portasse sempre appresso quell'aggeggio rumoroso. Dopo avere abbandonato il caffè, si affrettò in corridoio per evitare ulteriori sguardi di disapprovazione.
«Come va?» Jake, senza saperlo, le aveva già messo virtualmente un braccio sulle spalle, per farle capire che non era sola.
«Non ho ancora iniziato. Ti chiamo appena arrivo a casa.» Lola sentì salire le lacrime al pensiero che i suoi fratelli la conoscessero abbastanza da prevenire la sua ansia in un ambiente poco familiare. Nonostante il loro interesse a volte eccessivo nei confronti della sua vita privata, non sapeva che cosa avrebbe fatto senza di loro.
«Sono nel parcheggio. Ho qualcosa per te.»
Jake sembrava così contento che Lola non ebbe il coraggio di declinare il suo invito. Inoltre, un vero abbraccio l'avrebbe aiutata ad affrontare il resto della giornata.
«In tal caso, arrivo tra un paio di minuti.»
Questa volta non riattaccò e corse lungo i corridoi bianchi per andargli incontro. Le suole basse e di gomma delle sue scarpe scricchiolavano sul pavimento dell'ospedale.
Jake, bello come il sole, la stava aspettando nell'area riservata all'ambulanza, per la gioia di tutte le donne che passavano. Tutti e tre i suoi fratelli assomigliavano, nella carnagione scura, al padre, mentre lei era identica alla madre, con i suoi capelli biondi e gli occhi verdi. A volte pensava fosse quella la ragione per cui suo padre aveva preso le distanze da lei. Era un doloroso ricordo della donna che l'aveva abbandonato e l'aveva lasciato solo ad allevare i loro quattro figli.
«Sono venuto per augurarti buona fortuna.»
Jake l'attirò tra le sue braccia e la lasciò solo quando lei sentì le costole scricchiolare.
Le mise tra le mani un pacco sgualcito. «E ti ho portato questo.»
«Grazie.»
Lola strappò la carta malridotta e si ritrovò tra le mani un nuovo stetoscopio. A quel gesto gentile non poté evitare di sorridere. Anche se non aveva ricevuto molto appoggio dai suoi genitori, con la madre che aveva tagliato la corda e il padre preoccupato solo per se stesso, i suoi fratelli avevano sempre cercato di compensare in ogni modo possibile.
«Te ne abbiamo preso uno rosa... non si sa mai.» Jake rise per quel dettaglio che avrebbero potuto capire solo loro quattro.
Per evitare che i suoi fratelli rubassero le sue cose quando erano piccoli, Lola aveva imparato presto a contrassegnare ciò che le apparteneva con colori a prova di maschio.
«Grazie. È bellissimo, Jake. Ma devo davvero scappare. Non voglio dare una brutta impressione il primo giorno.» Gli diede un bacio frettoloso sulla guancia e si mise al collo il regalo.
«Non c'è problema. Hai ragione.»
Un altro abbraccio che le tolse il respiro rese evidente il suo totale appoggio, ma Lola fu costretta a divincolarsi perché il tempo passava veloce. Lo salutò e aspettò che se ne andasse prima di ricominciare a correre.
Senza fiato, si fermò dietro al gruppo già riunito al Pronto Soccorso.
«Che piacere che ti sia unita a noi.»
Il tagliente accento francese del nuovo capo richiamò la sua attenzione al di là delle teste dei suoi colleghi. Aveva sentito storie secondo le quali tutte le nuove arrivate si innamoravano dello specializzando francese dell'ultimo anno, e riusciva a capire perché. Henri Benoit era il classico uomo dei sogni: alto, moro e bellissimo. Era un bene che Lola avesse giurato di smettere di frequentare uomini affascinanti.
«Mi dispiace. Mio fratello voleva augurarmi buona fortuna.»
Anche a se stessa sembrò la scusa di una bambina di cinque anni al suo primo giorno di scuola. Lola si tolse lo stetoscopio dal collo e lo tenne tra le mani. La bellezza di quel regalo si era attenuata di fronte al disprezzo del suo capo.
«Bene, dottoressa...» Lui esaminò il suo badge. «... dottoressa Roberts. In futuro puoi lasciare la tua vita personale fuori dalle porte dell'ospedale?»
«Non si ripeterà.» Stamparsi un marchio in fronte era l'ultima cosa che una persona timida poteva desiderare.
«Bien. Ora che ci siamo tutti vi mostrerò il reparto, prima di lasciarvi da soli.»
L'uso della sua madre lingua da parte di Benoit non intimidiva di meno Lola, ma metteva in evidenza gli occhi a cuore, stile cartone animato, delle altre nuove colleghe accanto a lei. Persino gli uomini del gruppo pendevano dalle sue labbra.
In circostanze diverse, anche Lola avrebbe sospirato al suono sensuale della voce di un francese in carne e ossa, invece del solito forte accento di Belfast, ma per quanto la riguardava un rimprovero non poteva essere considerato romantico in nessuna lingua.
«Queste sono la Sala Rianimazione e la Stazione di Monitoraggio. Sono le stanze per i pazienti in entrata...»
Lola fece del suo meglio per assorbire tutte le informazioni con cui li stava bombardando. Non sembrava certo il tipo abituato a ripetersi, e Lola non intendeva attirare altra attenzione su di sé facendogli domande.
Un giorno sarebbe andata avanti nella vita come facevano tutti gli altri, senza preoccuparsi di come appariva agli occhi di chi le stava intorno. Ma per adesso sentiva ancora quella vocina crudele che le sussurrava all'orecchio cattiverie sul suo aspetto, dicendole che non era abbastanza brava per stare lì.
Persa nei pensieri, si ritrovò al centro del Pronto Soccorso dietro ai suoi colleghi. Quando si avvicinarono al letto di un anziano paziente, Lola all'improvviso si rese conto che tutti la stavano guardando, in attesa. Questa volta non se lo stava affatto immaginando. Henri Benoit incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, aspettando chiaramente qualcosa da lei.
Lola rimase senza fiato e li guardò con aria assente, chiedendosi cosa avesse fatto di sbagliato questa volta.
«Excuse-moi per avere interrotto il tuo sogno a occhi aperti, dottoressa. Bisogna fare un prelievo di sangue a questo paziente e ti stavo chiedendo se volevi essere tanto gentile da farlo tu.»
Lola si meritava questa seconda lavata di capo. Aveva lasciato che la mente si allontanasse dal presente per perdersi tra gli ingombranti ricordi del passato.
Non avrebbe mai potuto fare carriera come medico se non fosse riuscita a gestire i suoi problemi personali.
Con le mani sudate e le gambe che le tremavano, Lola uscì dal suo angolino. «Signore, le farò un prelievo di sangue.»
Seguendo la procedura, mantenne il paziente informato su ciò che stava per fare mentre si avvicinava al letto, cercando di tenere sotto controllo la voce che le tremava. Non c'era spazio per l'incertezza nella frenetica routine del Pronto Soccorso e Lola aveva bisogno di un'aria autorevole se sperava di guadagnarsi il rispetto in quell'ambiente.
Purtroppo, a quanto pareva era sopraffatta dalla tensione.
«Mi dispiace, sembra che io non riesca a trovare una vena adatta...»
«Una delle cose principali da ricordare in questi primi giorni è chiedere aiuto quando ce n'è bisogno e non far soffrire un paziente solo per amore del proprio ego. Adesso qui ci penso io.»
Tutte le paure di Lola si materializzarono quando il suo capo la utilizzò come esempio negativo per il resto del gruppo.
Le mani di Henri Benoit sfiorarono le sue quando prese l'ago e Lola sentì ancora di più lo stomaco sottosopra. Fece un passo indietro per avere un po' più di spazio per respirare.
«Fatto.»
Con una facilità che suscitò l'invidia di tutti, lui finì il lavoro e mise da parte le provette per il laboratorio. Dopo avere fatto risistemare il paziente, rivolse di nuovo la sua attenzione al gruppo. Anche se Lola aveva la netta sensazione che si stesse rivolgendo soprattutto a lei.
«Il miglior modo per imparare è sul campo. Fate, dunque, la conoscenza dell'infermiera di turno e distribuitevi i pazienti tra di voi. Sarò nei dintorni, se avete bisogno di me.»
Lola si rilassò.
Naturalmente, non appena il dottor Gentilezza se ne fu andato, lei iniziò a essere efficiente come ogni altro membro dello staff. Tutte le procedure successive, dopo la débâcle della mattina, andarono lisce come durante il tirocinio. E in ogni occasione in cui ebbe davvero bisogno di un po' di aiuto si rivolse alle infermiere per assistenza.
In ogni caso, non riusciva a scrollarsi di dosso il disappunto, ogni volta che si ricordava di quella colossale brutta figura che aveva fatto davanti al suo capo.
Le sembrò che passasse un'eternità prima della conclusione della giornata, ma alla fine il suo turno terminò. Lola indossò di nuovo i suoi abiti borghesi e si avviò dritta verso l'uscita. Alzò il viso verso il cielo, lasciò che la pioggia la bagnasse e lavasse la sua pelle, come se in qualche modo potesse spazzare via tutto ciò che era successo dietro quelle porte.
L'ombrello che alla fine fu costretta a tirare fuori si rivelò una protezione insufficiente contro gli elementi naturali. Si piegò varie volte mentre lei si univa alle persone che si dirigevano verso il centro della città. Aveva accettato di uscire con Jules, la sua coinquilina, e dopo quella giornata se lo meritava.
La maggior parte delle sere preferiva studiare, ma Jules aveva insistito a volere festeggiare il suo primo turno. Come specializzanda del secondo anno del programma di tirocinio, si era presa l'impegno di istruire Lola su come si svolgesse la vita dell'ospedale dentro e fuori i reparti.
«Andremo in un nuovo posto di cui