Desiderio al primo sguardo: Harmony Bianca
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Il dottor Slater ha risvegliato in lei sentimenti che credeva sepolti insieme alla storia con il suo ex, così Claire si trova a dover fare i conti con il desiderio di lasciarsi andare e la paura di restare delusa un'altra volta. Per questo l'equivoco grazie al quale Jude è convinto che lei sia una suora le torna utile, impedendole di dover affrontare i propri sentimenti. Ma il suo cuore esige una risposta sincera, e a lui non potrà mentire ancora a lungo.
Jennifer Taylor
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Desiderio al primo sguardo - Jennifer Taylor
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1
L'aereo scendeva, compiendo le ultime fasi dell'atterraggio; Jude Slater trasalì, colto da un inaspettato assalto di panico. Cosa ci faceva, lui, in un posto come quello?
Finora, non aveva veramente pensato alla sua meta.
La decisione di partire, di allontanarsi dall'ambiente di lavoro più recente, era una forma di fuga, doveva ammetterlo. Ma la vera radice di quella decisione aveva un'origine più lontana.
Nell'animo di Jude c'era ancora un forte risentimento contro il professore anziano, guida, consigliere e maestro – persona peraltro molto stimata da Jude – che qualche anno prima l'aveva accusato di aver scelto la via più comoda, facile, tra le varie proposte, sostenendo che lasciare la Sanità Pubblica, per passare in quella privata, era un grave errore.
Forse Jude non avrebbe sofferto a tal punto umiliazione e imbarazzo, se non per il vago, persistente sospetto che il docente anziano avesse invece ragione.
Dopo quella scelta, un po' sofferta, per qualche anno Jude aveva lavorato senza troppo impegno, con un certo distacco, in una prestigiosa clinica privata, quasi alla sua attività ormai mancasse quello spirito fondamentale, vanto della sua professione.
In realtà, Jude non amava ricordare il primo periodo di lavoro svolto, appena laureato, nell'ospedale universitario. Una fase penosa della sua vita, che l'aveva spinto a girare le spalle a un mondo nel quale, all'inizio, si era battuto con entusiasmo, ma che poi gli aveva creato non poche difficoltà e inflitto forti sofferenze. Basti dire che la mancanza di rimorso, per l'abbandono di ciò in cui aveva creduto, gli confermava di aver agito per il meglio, anche se, a uno sguardo estraneo, i suoi motivi erano apparsi, in prevalenza, di carattere economico.
Tuttavia, nonostante il passare del tempo, l'accusa del docente anziano gli bruciava ancora, al punto di dargli l'impulso, forse un po' irrazionale, di formulare la richiesta di partecipare, come volontario, alle iniziative di Worlds Together, una delle maggiori agenzie umanitarie, indispensabili in ogni parte del mondo, al di là di frontiere di ogni genere.
Poco fiducioso, aspettò la risposta; ma solo due settimane dopo, gli era arrivato l'invito per un colloquio, e l'offerta di un lavoro. Jude, stupito, non sperava in un'accoglienza così rapida, ora più che mai deciso a non tornare indietro.
Nessuno lo avrebbe più accusato di un atteggiamento superficiale, di non vedere la realtà, dopo una dura esperienza in un Paese straniero, d'oltremare. Era questo il suo pensiero più rassicurante: crearsi una nuova immagine di professionista, dedito alla sua missione, nell'ambito medico, in nome della fraternità universale. Jude non chiedeva di più. Progetto magnifico, in teoria, ma al momento dell'atterraggio nel Mwuranda, piccolo Paese dell'Africa Centrale, Jude comprese che forse in pratica non lo era altrettanto.
In sostanza, cosa ne sapeva lui dei problemi connessi al lavoro nei Paesi in via di sviluppo? Come poteva cavarsela Jude Slater, londinese dalla testa ai piedi, nato e cresciuto in una città il cui trambusto incessante era il suo pane quotidiano, e che nei viaggi in altre città – come New York, Parigi o Roma – si sentiva sempre a casa, ospite in hotel di lusso? E adesso, ripensandoci, durante il colloquio preliminare, gli avevano detto che nel Mwuranda era appena finita una devastante guerra civile, e probabilmente hotel di lusso non vi erano previsti, almeno per il momento...
L'aereo rollava sulla pista, frenando. Jude slacciò la cintura. Dieci ore di volo a bordo di un cargo, schiacciato in uno spazio angusto tra imballaggi di varie misure non garantivano certo un viaggio confortevole. Per fortuna, d'ora in poi sarebbe andato tutto meglio, quindi niente panico. D'altronde, non era possibile lavorare in condizioni drammatiche, prive di ogni conforto. Bastava guardare le cose dalla giusta prospettiva, pensava. La sua presenza in Africa era richiesta solo per tre mesi, un tempo abbastanza limitato per sopportare qualche difficoltà.
Sorretto dalla sua logica stringata, Jude scese dall'aereo lungo la scaletta. Sapeva che qualcuno lo attendeva all'arrivo, per accompagnarlo a prendere servizio nell'ospedale dove un nuovo chirurgo era atteso da tempo, ma dopo pochi passi sulla pista del piccolo aeroporto, si guardò intorno, sgomento.
Nessuno. Neanche l'auto che doveva rilevarlo.
In ogni direzione, l'unico colore dominante, un giallo polveroso, appariva punteggiato da rari gruppi di arbusti striminziti, a interrompere la monotonia del paesaggio. Il caldo bruciante delle prime ore del pomeriggio rendeva l'aria irrespirabile. Un deserto, a parte l'aereo che ve lo aveva portato.
Aspettare chissà quanto l'arrivo di qualcuno sotto quel sole, era l'idea più deprimente.
«Dottor Slater?»
Una voce. Una donna, a quanto pare, pensò Jude, anche se la persona che vide girandosi, non offriva altri elementi per stabilire con esattezza il proprio genere. La figura appariva avviluppata in una vecchia tuta voluminosa e informe; scarpe pesanti, e un berretto con visiera calato sugli occhi.
Jude vedeva solo la parte inferiore di un viso, mento rotondo e labbra prive di trucco, senza capire se la donna fosse giovane, avanti con gli anni o una via di mezzo. E senza sapere quale fosse il tono più opportuno per risponderle. «Sono io» sorrise infine, tendendo la mano. «Jude Slater, e lei è?»
«Il suo autista.»
Risposta secca, mano tesa ignorata, sguardo lontano. Jude si offese, visto che non passava mai inosservato, specialmente da donne di ogni età. Le anziane volevano coccolarlo, le giovani dormire con lui, quelle di mezzo gradivano entrambe le opzioni.
«Se ha portato del bagaglio farà meglio a prenderlo» disse la donna, lanciando un rapido sguardo indifferente e un sorrisetto sprezzante all'aria galante di Jude. «Un camion dovrebbe arrivare a prendere i nostri rifornimenti, ma non è sicuro che torni in città entro stanotte, dipende dal tempo occorrente per scaricare il cargo. Non giriamo in macchina con il buio, è troppo pericoloso» aggiunse, aumentando lo sconforto di Jude. Lui cercò di nasconderlo, anche se la situazione sembrava prospettarsi peggiore del previsto.
«Prendo il mio borsone» annunciò.
«Bene. Devo solo dire qualcosa al pilota, poi sono subito da lei. La moto non è lontana.»
Jude si fermò di colpo. «Moto?» chiese, dubbioso, pensando di non aver udito bene.
L'altra accennò oltre la pista. «Sì, è laggiù. Dev'esserci della corda, sotto il sellino, le consiglio di legarvi il suo bagaglio, sarà più al sicuro, se lungo la strada non troviamo molte buche.»
Jude individuò una vecchia moto rugginosa appoggiata al recinto della pista. Anche da lontano, gli pneumatici apparivano completamente lisci. Questa donna è pazza, pensò preoccupato, se crede che viaggerò sul sellino posteriore di quel rottame.
«Senta, è uno scherzo, vero? Una specie di prova speciale destinata ai principianti come me?» chiese, ridendo di gusto. C'ero quasi cascato, si disse allegro. «Bella accoglienza, offrire un passaggio su quel ferrovecchio... E pensare che stavo per fidarmi!»
«Mi dispiace deluderla, dottor Slater, ma non è come crede. Andremo in città a bordo di quella moto, quindi prenda la sua roba» disse lei, sbirciando l'orologio. «Sono quasi le due e non ho tempo da perdere. Se non vuole passare la notte dormendo nell'aereo, sarà meglio muoversi» aggiunse, allontanandosi in direzione dell'equipaggio che l'aspettava accanto all'aereo.
Jude la seguì con lo sguardo, trattenendo il respiro. Non che respirare a fondo potesse dargli un minimo di sollievo o refrigerio. Guardò la vecchia moto, sapendo che non aveva scelta, e rifiutare di salirvi era inutile.
Altro che scenari abituali di città, dove muoversi agilmente. Qui, straniero in una terra ostile, non avrebbe saputo come sopravvivere, inerme e debole come un neonato. E ammetterlo era alquanto seccante.
Restiamo calmi, si intimò Jude, deciso a prendere in mano la situazione. Non intendeva certo obbedire agli ordini di una donna, autoritaria e arrogante!
«Mi dispiace per il ritardo» disse Claire Morgan all'equipaggio, intento a scaricare il cargo. «Ma il nostro autista abituale stamane non si è presentato, è stato necessario rimpiazzarlo» aggiunse, guardando di nuovo l'orologio. «Il camion doveva già essere arrivato, non so cosa sia successo. Chiamo la base, per sentire se hanno notizie.»
Jude finì di legare la sua costosa sacca in pelle alla moto, e si girò, sentendo la donna avvicinarsi. Claire frattanto si era tirata ancora di più il berretto sugli occhi, detestando la necessità di nascondersi. Sperava di aver superato quella paura, ma appena visto il dottor Slater scendere la scaletta, i vecchi segnali di allarme si erano scatenati di nuovo.
Claire ovviamente ne capiva il perché. Quell'uomo le ricordava Andrew, tutto qui, e proprio per quella stessa aria di sconfinata fiducia in se stesso, così evidente e ostentata dal suo ex, da bloccarle quasi i passi.
L'idea di trascorrere i prossimi mesi tormentata da quell'immagine le era insopportabile. Forse era meglio definire bene le differenze, tra i due, invece di concentrarsi sulle similitudini, pensò, iniziando il confronto a distanza.
Altezza uguale. E mentre la corporatura di Andrew appariva robusta, massiccia, Jude Slater mostrava il fisico muscoloso e flessibile di un atleta. Entrambi bruni; i capelli di Jude, neri corvini, lucenti, appena mossi. Quelli di Andrew tendevano al marrone opaco, lisci e dritti come fili di ferro. Anche gli occhi erano molto diversi, notò Claire, avvicinandosi. Nei caldi occhi nocciola di Jude scintillavano lievi pagliuzze dorate, mentre gli occhi di Andrew, di un pallido celeste sbiadito, erano molto freddi, a tratti perfino gelidi.
In realtà, quegli occhi rappresentavano l'aspetto di Andrew che a Claire piaceva di meno. Anche nei momenti intimi, nel suo sguardo non appariva mai un vero slancio di passione.
Oggi, con il senno di poi, Claire capiva che lo sguardo di Andrew avrebbe dovuto insospettirla, ma allora era troppo infatuata per vedere dei segnali importanti, rendersi conto della realtà. Errori da non ripetere mai più. E se mai un giorno avesse considerato la possibilità di iniziare una nuova relazione, non avrebbe mai scelto qualcuno che somigliasse vagamente a Andrew, o a Jude Slater.
«Tutto risolto?»
«Quasi» replicò lei, senza guardare il dottor Slater, mentre prendeva la ricetrasmittente da sotto il sedile della moto. Quell'analisi a distanza tra l'ex e il nuovo arrivato non era servita a niente, pensava intanto. Paura e voglia di fuggire a nascondersi erano ancora saldamente ancorate nel suo istinto. Purtroppo, dopo due anni, era ancora a questo punto.
«Quasi? Vuol dire che c'è ancora un problema?» chiese Jude, seccato per la risposta laconica.
Claire lo ignorò, cercando la frequenza giusta sulla radio. Restare in contatto con la base era essenziale; la maggior parte dei ribelli era ormai sconfitta, ma non erano mancate segnalazioni della presenza di alcuni gruppi di resistenti in diverse zone del Paese.
Jude avanzò, e chinandosi, sbirciò sotto la visiera del berretto di Claire. «Pronto? Le ho rivolto una domanda, mi ha sentito?»
Claire trasalì. «Le dispiace se...» scattò, armeggiando con la radio, giusto per celare il tremito delle dita. Detestava le interruzioni, se era impegnata, vere invasioni dello spazio personale. Un trucco che Andrew usava per intimidirla, che ancora la feriva, anche se forse Slater non intendeva agire come il suo ex.
«Mi scusi» disse lui, infatti. «Ma è così frustrante, quando la gente non risponde a domande semplici...»
Jude arretrò, appoggiandosi al recinto, a braccia incrociate. Ha capito il mio disagio, ragionò lei, anche se nessuno conosce la mia storia. Neanche la famiglia, né gli amici,