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Una famiglia tutta nostra: Harmony Bianca
Una famiglia tutta nostra: Harmony Bianca
Una famiglia tutta nostra: Harmony Bianca
E-book156 pagine1 ora

Una famiglia tutta nostra: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Mia: Il destino mi ha giocato proprio un brutto scherzo. Dopo aver perso mio marito, rischio di perdere anche il mio bambino. Nonostante Harry non sia il mio figlio biologico è parte di me, e suo padre non ha il diritto di portarmelo via. Leo è freddo e incapace di provare emozioni, ma ha qualcosa che mi appartiene.

Leo: Non mi fido delle donne e Mia non fa eccezione. Ha cresciuto mio figlio come se fosse il proprio e devo dire che ha fatto un buon lavoro, ma adesso è giunto il momento di rimettere a posto le cose. Certo, non immaginavo che, per riuscirci, avremmo dovuto vivere come una vera famiglia e comincio a pensare che questa potrebbe essere la soluzione migliore. Di certo, è la più eccitante.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2019
ISBN9788830508224
Una famiglia tutta nostra: Harmony Bianca
Autore

Jennifer Taylor

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Una famiglia tutta nostra - Jennifer Taylor

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Motherhood Mix-Up

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2013 Jennifer Taylor

    Traduzione di Loredana Volpe

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-822-4

    1

    «Prego, signora Adams, il dottor Khapur l’aspetta.»

    «Grazie.» Mia seguì la segretaria lungo il corridoio. Non era più tornata in quella clinica dopo la nascita di Harry, anche se spesso aveva desiderato di rivedere e ringraziare di cuore tutti coloro che l’avevano aiutata a diventare madre.

    Purtroppo il viaggio dal Kent al centro di Londra, con un bimbo piccolo al seguito, per lei allora era un problema, senza contare la salute del marito. Per quanto avesse affrontato con grande determinazione e coraggio la condizione di paraplegico, in alcuni momenti Chris doveva sottoporsi a cure speciali, che richiedevano più tempo e attenzione da parte di Mia.

    Così, mesi, e poi anni, erano volati via, e Mia non sarebbe certo tornata là di proposito, se la clinica stessa non le avesse inviato quella lettera, con l’invito a presentarsi.

    Chissà perché il dottor Khapur voleva vederla, si chiese, perplessa. Harry ormai aveva cinque anni, e la recente morte di Chris escludeva totalmente l’idea di una nuova gravidanza. Dunque perché convocarla, e con una certa urgenza? Forse era accaduto qualcosa che riguardava suo figlio?

    Mia entrò nell’elegante studio del dottore celando l’ansia. Khapur le andò incontro per accoglierla, sorridendo cordialmente.

    «Signora Adams, la ringrazio molto per essere qui. Prego, si accomodi» disse, guidando Mia verso alcune poltrone vicino alla finestra.

    Strano, pensò lei. Nelle altre occasioni, si era sempre seduta alla bella scrivania di mogano, di fronte all’anziano dottore. Quel cambiamento aumentò la sua preoccupazione; con mani tremanti, Mia posò la borsa sul pavimento accanto alla poltrona.

    «Il viaggio è andato bene?» le chiese il dottore, premuroso. Nonostante il sorriso, Mia intuì in lui una certa tensione: bastò a convincerla che era là perché qualcosa non andava.

    «Sì, grazie. Non abito molto lontano. Io e Chris ci eravamo trasferiti dal Kent a Londra già da qualche anno» rispose, controllando l’inquietudine crescente.

    «Capisco... Bene, bene» commentò Khapur sfregandosi nervosamente le mani.

    Sembra che non trovi le parole per andare avanti, pensò lei, decisa a chiarire cosa c’era nell’aria. Se riguardava suo figlio Harry, voleva saperlo immediatamente. «Dottore, io...»

    Non riuscì a dire altro. In quel momento, la porta si spalancò di colpo, e un uomo alto, bruno, entrò con slancio inarrestabile, quasi violento. Assurdo, pensò Mia, stupita, infrangere così la discrezione di questa clinica. Khapur balzò in piedi, palesemente seccato per l’intrusione.

    «Signor Forester, per favore! Non le permetto di irrompere nel mio studio in questo modo!»

    Il nuovo arrivato ignorò il dottore, concentrando la sua attenzione su Mia.

    «È lei, vero?» disse, osservandola con un lungo sguardo attento.

    Occhi grigi, gelidi. Mia provò un disagio enorme. Pensò alla propria immagine: statura media, struttura fisica normale, lineamenti regolari, capelli castani. Niente di straordinario, purtroppo. Solo gli occhi, verde smeraldo, non erano male, lo sapeva. Occhi che le brillavano, quando era felice. Ma, in quel momento, la loro espressione un po’ smarrita non migliorava certo l’impressione generale che offriva allo sconosciuto.

    Mia si mise in piedi, cosciente di dare importanza al giudizio che l’intruso poteva esprimere su di lei. Non sapeva chi fosse, anche se quell’uomo sembrava conoscerla. «Chiedo scusa» esordì, sottraendosi al grigio sguardo indagatore, e guardando Khapur. «Ma potrei sapere cosa sta succedendo? Credo di avere diritto a una spiegazione, dottore.»

    «Ecco, io...» cominciò Khapur, esitando.

    «Certo che ne ha il diritto» disse l’uomo, la voce aspra di rabbia contenuta. «E secondo me questa spiegazione le era dovuta molto tempo fa.»

    «Allora perché non mi spiega tutto, e mi dice chi è lei, e perché si trova qui?» Mia tentò di superare il leggero tremito nella voce, di cui anche l’altro doveva essersi accorto. Non mi importa, pensò, voglio sapere se è successo qualcosa che riguarda Harry.

    «Il mio nome è Leo Forester.» Voce ferma, priva di rabbia, ma dal tono venato di compassione. Non lo direi capace di un tale sentimento, pensò Mia, rialzando le spalle, ignara della valanga che stava per caderle addosso. «La ragione per cui mi trovo qui è molto semplice, signora Adams. Sono il padre di suo figlio.»

    Leo sentì aumentare al massimo la tensione che lo attanagliava fin dalla mattina, al punto da annebbiargli la vista. No, non era il momento di mostrarsi debole, pensò. Era assolutamente necessario chiarire questa faccenda, una volta per tutte. Il risultato non riguardava solo lui, ma anche la vita di Noah. Pensare a suo figlio gli rinnovò le energie. Forse doveva evitare quella clamorosa entrata nello studio di Khapur, ma non avrebbe mutato la situazione di una virgola.

    Il viso di Mia Adams era bianco come la cera. Sono io il padre di suo figlio, pensò Leo, anche se le sarà molto difficile accettarlo.

    «Se per caso si tratta di uno scherzo...» cominciò lei, subito interrotta.

    «Niente affatto. Mi creda, signora Adams, non si scherza su queste cose» scandì Leo, tagliente. La vide diventare sempre più pallida.

    Non volevo spaventarla, pensò subito. Leo cercava sempre di non pentirsi delle proprie azioni, ma in questo caso non era lui a doversi scusare con Mia o Noah.

    Si rivolse a Khapur, cercandone l’appoggio. «Io e la signora Adams dovremmo parlare in privato. C’è una stanza disponibile?»

    «Non ho alcuna intenzione di seguirla finché non saprò cosa accade, e perché l’ho sentita dichiarare quella ridicola affermazione.»

    La voce le trema ancora, pensò Leo, ma è ovvio che nonostante la brutta sorpresa, reagisce con forza, e non ha intenzione di accettare quanto le dirò. A parte tutto, persone così meritano stima.

    «Più che giusto. Forse il dottor Khapur le spiegherà meglio la situazione.»

    Leo sedette su una poltrona, di fronte a Mia e al dottore. Lei, gli occhi bassi, lisciava la gonna sulle ginocchia, calma e composta. La stima di Leo diventò ammirazione. Dopo Amanda, l’ex moglie dal forte temperamento istrionico, era rilassante avere a che fare con una donna che non ricorreva a continue scenate, per far valere le proprie ragioni.

    «Mia cara, questa faccenda è molto complicata» disse Khapur. «Vede, niente di simile era mai accaduto prima, quindi è molto difficile venirne a capo. Ma posso dirle che faremo tutto il possibile per rimettere le cose a posto.»

    Leo evitò di intervenire, ben sapendo che quanto affermava Khapur era impossibile. Attese in silenzio le parole del dottore. Non appena trasmesse a Mia Adams tutte le informazioni, potevano decidere il da farsi.

    «Sarebbe tutto molto più semplice se lei mi spiegasse perché questo signore dichiara di essere il padre di Harry.» Mia, il tono fermo, si piegò in avanti, fissando Khapur dritto negli occhi. «Voglio sapere la verità, dottore.»

    «Ma certo, sicuro...»

    Khapur non sa rispondere, è a disagio; di questo passo non andremo da nessuna parte, pensò Leo. E non c’è più tempo da perdere, ogni istante è prezioso.

    «Sembra sia accaduta una specie di scambio» intervenne in fretta, e mentre Mia lo guardava assunse subito un’espressione molto mite, la stessa che adottava quando doveva dare qualche cattiva notizia ai suoi pazienti. Di solito, l’assenza di emozioni, la calma mostrata dal loro dottore li aiutava a sopportare anche le prognosi più infauste.

    Brutto colpo, mi dispiace per lei, pensò. Però, in fondo i sentimenti di Mia Adams non gli interessavano. Gli importava solo di Noah, e di Harry, suo figlio.

    L’idea lo avvolse in un’onda di emozione. Strano davvero, per uno come lui, abituato alla costante tensione per mantenere tutto sotto controllo.

    «In sostanza, sembra che gli embrioni siano stati impiantati nelle donne sbagliate. Amanda, la mia ex moglie ha ricevuto quelli creati dalla sua cellula uovo e dal seme di suo marito, mentre lei ha ricevuto i nostri. Per farla breve, signora Adams, lei e Amanda avete messo al mondo un figlio che non era il vostro.»

    Mia balzò in piedi, fissandolo incollerita. «No! Non so perché lei ha architettato queste ridicole bugie, ma non resterò qui un minuto di più ad ascoltarne altre!»

    Si girò di scatto, a testa alta, diretta alla porta. Khapur si alzò per fermarla, ma Leo, rapido, la raggiunse afferrandole un braccio. Ne sentì la pelle delicata, il polso sottile, fragile sotto le sue dita, come se stringesse un uccellino. D’istinto allentò la stretta, senza lasciarla.

    «Non ho mentito, tutto ciò che ho detto è la verità» disse a denti stretti, fissandola negli occhi. E si trovò intrappolato dentro straordinari, luminosi occhi di smeraldo. Mai visti occhi così, pensava.

    Tornò sulla terra un attimo dopo. «Il suo bambino è in realtà mio figlio, signora Adams. E adesso dobbiamo decidere come risolvere la questione.»

    2

    Mia ricadde seduta sulla poltrona, sperando di non perdere i sensi, presa in un vortice di ansia e paura. La testa le girava, un pensiero martellante le toglieva il respiro. Non è possibile, Harry è mio figlio, io lo so bene... E se davvero c’era stato un errore, dov’era la prova che avrebbe coinvolto anche lei?

    Posso comprendere cosa prova Forester, pensava. Deve essere orribile scoprire di non essere il padre biologico di un figlio che credi tuo. Ma non per questo quell’uomo poteva rivendicare la paternità di Harry!

    La porta si aprì di nuovo. Mia sobbalzò, spaventata. Era Khapur, che rientrava dopo aver acconsentito a lasciare lei e Forester a parlare da soli.

    «La signora Rowlands porterà il caffè tra poco.»

    Forester le sedette di fronte, allungando le gambe sotto il tavolino basso. Mia lo osservò in silenzio: nel volto di quell’uomo non appariva il minimo segno di ansia o preoccupazione. Quanti anni poteva avere? Era vicino ai quaranta, o più oltre? Tra i capelli, molto neri, tagliati corti, apparivano qua e là dei fili d’argento. Forma perfetta del capo, lineamenti forti, decisi, mascella solida, zigomi alti. E un tratto aristocratico in armonia con l’aspetto complessivo della persona.

    Tutto sommato, Leo Forester aveva l’aria di un uomo dalle molte responsabilità, che raramente tiene conto delle opinioni degli altri. E questo pensiero, date le circostanze, non era molto confortante.

    Un piccolo colpo alla porta. Leo andò ad aprire, prese il vassoio dalle mani della segretaria, lo posò sul tavolino. Senza chiedere, versò il caffè per entrambi, avvicinò zucchero e latte per Mia, sollevò la sua tazza.

    Lei, la gola chiusa, mise qualche goccia di latte nel caffè, senza berlo, giusto per fare qualcosa, aspettando un attimo ancora, prima di dire a Forester quello che pensava. Mi dispiace molto per lei, ma le conviene cercare altrove il figlio perduto. Harry è mio, mio e di Chris, e nessuno potrà portarmelo via.

    «Prima di proseguire, signora

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